I “passaggi” nella vita di un profeta
“Passare” significa produrre un cambiamento di situazione nel tempo e nello spazio: può essere un mutamento o un progresso, là dove prevale la differenza o la continuità. Ogni storia di vocazione è segnata da un “passaggio” più esistenziale che cronologico, un passaggio che “ripassa” perché il cammino dell’uomo è simile a quello di una spirale ascendente che con fatica e gioia, ritornando sui propri passi, scorge ogni volta la novità che il quotidiano rivela. Anche la storia della Salvezza consegnata a noi nelle Sacre Scritture narra vicende di vocazioni, momenti di “passaggi” che hanno segnato – nella teologia dell’autore sacro – non solo il percorso del personaggio ma anche il cammino dell’intera storia, e quindi anche il nostro. Ad esse vogliamo andare per ripercorrere, alcuni momenti emergenti in un punto di detta storia: la vicenda di Elia ed Eliseo, due personaggi, due racconti tra loro intrecciati per parlare dell’incontro con Dio.
La vocazione di Elia
Nulla si racconta della vocazione di Elia, compare nella scena per difendere il culto nella vita al solo Dio d’Israele contro le profanazioni delle divinità cananaiche e la diffusione del culto di Ba’al a motivo del matrimonio avvenuto tra Acab, re d’Israele (874-853 a.C.) e Gezabele figlia del re di Tiro. Elia sale sulla ribalta in un contesto (1Re 17-18) di grande siccità, dove manca acqua e cibo, in una situazione dove la vita è precaria, egli deve annunciare che solo nel Signore è la vita e allora l’acqua tornerà, si ricomincerà a vivere (1 Re 18,41-46). Il popolo infedele anzitutto nell’infedeltà del re Acab, in Elia deve ripercorrere il cammino di liberazione a ritroso, per attingere ancora una volta la parola del Signore che si fa viva nella sua presenza: dopo quaranta giorni e quaranta notti Elia giunge all’Oreb, il monte di Dio (1Re 19,8), là dove Mosé (nelle tradizioni dell’Esodo è chiamato anche Sinai) aveva parlato con il Signore e dove aveva avuto inizio l’Alleanza nell’aspersione del sangue (Es 24): “Ivi entrò in una caverna per passarvi la notte, quand’ecco il Signore gli disse: Che fai qui, Elia?. Egli rispose: Sono pieno di zelo per il Signore degli eserciti, poiché gli Israeliti hanno abbandonato la tua alleanza, hanno demolito i tuoi altari, hanno ucciso di spada i tuoi profeti. Sono rimasto solo ed essi tentano di togliermi la vita” (1Re 19,9-10).
Sullo stesso monte, dopo l’Alleanza infranta per l’infedeltà del popolo (Es 32) e prima dell’Alleanza rinnovata con le nuove tavole della legge (Es 34), Mosè aveva domandato al Signore di mostrargli la sua gloria: il desiderio di incontrarlo, di vederlo faccia a faccia… ma ciò non è possibile, perché nessuno può vedere il volto di Dio e rimanere in vita: “Gli disse: Mostrami la tua Gloria!. Rispose: Farò passare davanti a te tutto il mio splendore e proclamerò il mio nome: Signore, davanti a te. Farò grazia a chi vorrò far grazia e avrò misericordia di chi vorrò aver misericordia. Soggiunse: Ma tu non potrai vedere il mio volto, perché nessun uomo può vedermi e restare vivo. Aggiunse il Signore: Ecco un luogo vicino a me. Tu starai sopra la rupe: quando passerà la mia Gloria, io ti porrò nella cavità della rupe e ti coprirò con la mano finché sarò passato. Poi toglierò la mano e vedrai le mie spalle, ma il mio volto non lo si può vedere” (Es 33,18-23).
Eppure, anche se non possiamo vedere il Signore occorre fare attenzione affinché il suo “passaggio” nella nostra vita non resti all’oscuro: passa senza farsi vedere, passa facendosi ascoltare: “Gli fu detto: Esci e fermati sul monte alla presenza del Signore. Ecco il Signore passò. Ci fu un vento impetuoso e gagliardo da spaccare i monti e spezzare le rocce davanti al Signore, ma il Signore non era nel vento. Dopo il terremoto ci fu un fuoco, ma il Signore non era nel fuoco. Dopo il fuoco ci fu una voce di soave silenzio. Come l’ascoltò, Elia si coprì il volto con il mantello, uscì e si fermò all’ingresso della caverna. Ed ecco, una voce che gli diceva: Che fai qui, Elia?. Egli rispose: Sono pieno di zelo per il Signore, Dio degli eserciti, poiché gli Israeliti hanno abbandonato la tua alleanza, hanno demolito i tuoi altari, hanno ucciso di spada i tuoi profeti. Sono rimasto solo ed essi tentano di togliermi la vita” (1Re 19,11-14). In questo tratto compaiono gli elementi essenziali del quadro: il “passaggio” del Signore, la “voce di soave silenzio” del Signore, l’ascolto di Elia, il mantello di Elia.
Nella storia di Elia bisogna registrare anzitutto che il primo “passaggio” ha come soggetto non il profeta ma il Signore stesso, è Dio che si incontra con Elia, là sul monte. Tutti i passaggi precedenti e futuri della vita di Elia, cioè le tappe importanti della sua esperienza assumono senso a partire da questo preciso “passaggio”. Ritornare all’Oreb per lasciarsi incontrare dal Signore, salire il monte per rinnovare l’Alleanza, per ascoltare… non nel vento impetuoso, nel terremoto o nel fuoco (simboli, tra l’altro, molto diffusi anche nell’AT per le teofanie divine) ma in “una voce di soave silenzio”: questa traduzione, che si discosta dalla proposta ufficiale della CEI (Dopo il fuoco ci fu il mormorio di un vento leggero: lezione proposta dalle antiche versioni della LXX e della Vulgata) assume la forza dell’ossimoro, cioè della coindicentia oppositorum, qualificando il riconoscimento della presenza del Signore in una “voce di silenzio”, ossimoro che racchiude simbolicamente le due esperienze essenziali della comunicazione, quella della Parola e quella dell’ascolto: dire “voce, suono…” significa porsi in comunicazione con, dire “silenzio soave” significa sottolineare l’atteggiamento di massima disponibilità all’accoglienza della Parola. In questa sintesi nell’incontro di Parola e Silenzio Elia fa l’esperienza del “passaggio” di Dio nella sua vita.
Elia non vide il Signore come Mosè, lo ascoltò, questo fu sufficiente per riconoscerlo. Ma che cosa ascoltò? Appunto una “voce di soave silenzio”: gli occhi vedono l’impeto del vento, il movimento della terra, la forma del fuoco… le orecchie avvertono il frastuono di un vento gagliardo, il fragore del terremoto, lo schioppettio del fuoco, l’intero corpo sente l’infuriare del vento, trema con la terra, suda per il calore prodotto dal fuco… ma solo il “cuore” può ascoltare una “voce di soave silenzio”. Il racconto sembra percorrere una linea dall’esterno all’interno, là dove si decide per l’Alleanza, là dove la storia della proclamazione profetica arriverà a dire che la nuova Alleanza sarà possibile solo con un “cuore nuovo e uno spirito nuovo” (Ez 11,19; 36,26-27). Il “passaggio” del Signore ha lasciato la sua traccia nelle profondità dell’esistenza del profeta Elia, nell’ascolto accoglie il Signore che non può vedere, il “mantello” fa da barriera tra i due perché il mistero del volto di Dio venga custodito in eterno. Il “mantello” avvolge Elia, lo protegge ma si espone al volto di Dio, esso accoglie così l’irradiazione della sua gloria. L’elemento del “mantello”, che pare secondario, si rivela invece interessante per il riferimento ad altri due momenti della vicenda di Elia ormai in relazione ad Eliseo, suo discepolo: la vocazione di Eliseo e il “passaggio” di Elia in cielo.
La vocazione di Eliseo
“Partito di lì, Elia incontrò Eliseo figlio di Safàt. Costui arava con dodici paia di buoi davanti a sé, mentre egli stesso guidava il decimosecondo. Elia passò verso di lui e stese su di lui il suo mantello. Quegli lasciò i buoi e corse dietro a Elia, dicendogli: Andrò a baciare mio padre e mia madre, poi ti seguirò. Elia disse: Va’ e torna, perché sai bene che cosa ho fatto di te. Allontanatosi da lui, Eliseo prese un paio di buoi e li uccise; con gli attrezzi per arare ne fece cuocere la carne e la diede alla gente, perché la mangiasse. Quindi si alzò e seguì Elia, entrando al suo servizio” (1Re 19,19-21).
L’autore del racconto riprende due elementi del racconto precedente: il “passaggio” e il “mantello”. Mentre all’Oreb è il Signore a passare vicino ad Elia, qui, in virtù della missione a lui affidata è Elia stesso che “passa verso Eliseo” riproponendo lo stesso gesto del Signore nei confronti di Elia; il profeta Elia diviene testimone di un’esperienza ricevuta in virtù della quale ora può anch’egli rifare il gesto e riproporne l’efficacia. Elia non produce discorsi persuasivi per una sequela profetica, è sufficiente gettare il “mantello” su Eliseo, è sufficiente avvolgerlo dell’esperienza fatta di fronte a Dio di cui il “mantello” è simbolo e testimone. L’efficacia del “mantello” va oltre le parole, ancora una volta raggiunge il “cuore”, tocca il luogo più decisivo per le scelte definitive… e Eliseo entra al servizio di Elia. Così l’esperienza di vita fatta da Elia nel simbolo del “mantello” coinvolge totalmente Eliseo, in quel mantello Eliseo vede Elia e vede il Signore, ascolta la Parola e il Silenzio, percepisce il mistero di una “voce di soave silenzio” da parte di Dio. Questo è ciò che determina la svolta nella vita di Eliseo: come il “mantello” per Elia aveva mediato l’incontro faccia a faccia con il Signore così per Eliseo.
Ogni “passaggio” può essere un avvicinarsi o un allontanarsi: le storie intrecciate di Elia ed Eliseo sono segnate da due passaggi: quello dell’avvicinarsi di Elia ad Eliseo (la vocazione di Eliseo: 1Re 19,19-21) e quello dell’allontanarsi di Elia da Eliseo sul carro di fuoco verso il Signore. Avvicinandosi ad Eliseo Elia si allontana da Dio, scende dall’Oreb, allontanandosi da Eliseo Elia si avvicina a Dio, salendo al cielo: sono due passaggi, e come si sa qualcosa si tiene e qualcosa si lascia. Che cosa perdura in questi due passaggi? Il “mantello” di Elia! Nella vocazione lo stende su Eliseo, nell’ascensione al cielo lo lascia all’amico e discepolo: “Cinquanta uomini, tra i figli dei profeti, li seguirono e si fermarono a distanza; loro due si fermarono sul Giordano. Elia prese il mantello, l’avvolse e percosse con esso le acque, che si divisero di qua e di là; i due passarono sull’asciutto. Mentre passavano, Elia disse a Eliseo: Domanda che cosa io debba fare per te prima che sia rapito lontano da te. Eliseo rispose: Due parti del tuo spirito diventino miei. Quegli soggiunse: Sei stato esigente nel domandare. Tuttavia, se mi vedrai quando sarò rapito lontano da te, ciò ti sarà concesso; in caso contrario non ti sarà concesso. Mentre camminavano conversando, ecco un carro di fuoco e cavalli di fuoco si interposero fra loro due. Elia salì nel turbine verso il cielo. Eliseo guardava e gridava: Padre mio, padre mio, cocchio d’Israele e suo cocchiere. E non lo vide più. Allora afferrò le proprie vesti e le lacerò in due pezzi. Quindi raccolse il mantello, che era caduto a Elia, e tornò indietro, fermandosi sulla riva del Giordano. Prese il mantello, che era caduto a Elia, e colpì con esso le acque, dicendo: Dove è il Signore, Dio di Elia?. Quando ebbe percosso le acque, queste si separarono di qua e di là; così Eliseo passò dall’altra parte. Vistolo da una certa distanza, i figli dei profeti di Gerico dissero: Lo spirito di Elia si è posato su Eliseo” (2Re 2,7-15).
“Passaggio”e “mantello”: due termini con significato simbolico che hanno segnato l’incontro di Elia con il Signore, di Eliseo con Elia ed ora dei “figli dei profeti” con Eliseo; sembra una catena di trasmissione di una realtà troppo importante per essere taciuta, la realtà dello Spirito, della presenza particolare di Dio nella vita del profeta; questa può essere comunicata, può essere trasmessa, donata, lasciata in eredità. Come il padre concedeva al primogenito doppia parte di eredità (Dt 21,17) così Eliseo domanda ad Elia il dono del suo Spirito. Questo avviene nella memoria del “passaggio” delle acque del Giordano, a piedi asciutti, come un tempo Mosè (Es 14-15) e Giosuè (Gs 3,14-17), passaggio di liberazione e di presa di possesso del dono di una terra promessa. Elia come un tempo Enoc (Gn 5,24) sa di esser rapito lontano verso il Signore, Eliseo è terrorizzato da questa partenza (2Re 2,1-6), anche se la morte non finirà il profeta è come se fosse morto, lontano dagli uomini… solo il suo Spirito, cioè la coscienza ferma della esperienza di Dio con lui può garantire oltre l’assenza la presenza; all’angoscia di perdere un uomo amico si sostituisce la speranza di camminare ancora con uomo amico di Dio. Elia assicura Eliseo che la condizione per il dono dello Spirito è la visione: “se mi vedrai…”. Quel che non era concesso per Dio, di vederlo, diventa la condizione per l’uomo: è necessario vedere l’uomo per comprendere il mistero invisibile di Dio, solo guardando Elia che si sottrae agli uomini Eliseo riceverà il dono dello Spirito. Ma il narratore non dice che lo Spirito discese su Eliseo, ma solo che restò il “mantello” di Elia… Ancora una volta ricompare, forse perché in esso è racchiuso il senso dello Spirito profetico e con esso – come il bastone di Mosé – Eliseo percuote le acque del Giordano e “passa” dall’altra parte; lo Spirito è su di lui, lo avvolge come un “mantello” e i “figli dei profeti” vedendolo a distanza riconoscono che “lo Spirito di Elia si è posato su di lui”… e la storia continua; una storia di “contagio” nello Spirito nel segno del “mantello”.
Nel mistero di ogni vocazione
Forse entro questi eventi si annidano le vicende di ogni chiamata, mediata dall’incontro con una persona o con lo stesso Signore, nella preghiera, “voce di soave silenzio”: sia l’una come l’altra sono autentiche esperienze vocazionali se sono accompagnate dall’ascolto della Parola di Dio e dalla visione della testimonianza umana. Ma c’è una realtà che “passa” oltre ogni “passaggio” questa è lo Spirito Santo, è il “mantello”: era di Elia e “passa” ad Eliseo, quasi con lineamenti “sacramentali”, provocando l’azione di Dio. In questo si gioca il mistero di ogni vocazione, di ogni autentico “passaggio”, nella coscienza che ogni tappa fondamentale della vita attinge senso e risorse da quel primo “passaggio” di Dio sull’Oreb; e nella memoria perpetuata di quel ricordo nello Spirito l’uomo di Dio ha imparato e non dimenticherà mai più quale sia il luogo del discernimento, perché luogo dell’incontro con Dio. Elia comunica questa esperienza ad Eliseo, Eliseo ai “figli dei profeti”… ma lungo la storia di Israele, nel periodo del post-esilio i cieli si chiusero, lo Spirito profetico venne meno, Dio cessò di comunicare con il suo popolo attraverso la franchezza della parola profetica: quando torneranno ad aprirsi i cieli, quando cielo e terra, come sull’Oreb si incontreranno? Quando ritornerà Elia per ridonare parte del suo Spirito? Elia tornerà prima che giunga “il giorno del Signore” – così sperava Israele per bocca dei profeti (Mal 3,23) – e “il giorno del Signore” è giunto quando il Messia, Gesù di Nazareth nel dono di sé al Padre e ai fratelli ha consegnato il suo Spirito affinché quella storia che abbiamo voluto rileggere in Elia ed Eliseo possa continuare sempre rinnovata in una Chiesa, convocata e chiamata dallo Spirito del Risorto.