Ascesi cristiana e vocazione
“Se il Signore non mi avesse fatto la grazia di un ascetismo, non so come me la sarei cavata”. Faccio mia questa confessione di Giovanni Battista Scalabrini: non solo in riferimento al periodo della mia formazione giovanile, ma anche oggi che sto entrando nella fase matura della mia vocazione.
Certo sono cambiati, lungo l’itinerario della mia vita e della mia esperienza di fede e vocazionale, i mezzi e le modalità dell’ascesi: è rimasta e rimane ferma la grazia, permanentemente invocata, di “ricevere la condizione di discepolo” e “assumere i contorni del discepolo”.
“Essere cristiani è piuttosto un ‘ricevere la condizione-discepolo’. Ciò significa che io a poco a poco assumo i ‘contorni’ del discepolo. Non parlo dell’essere già un discepolo, ma ricevo a poco a poco questa condizione”[1].
Ed ancora: “L’identificazione con Cristo, la sequela di Cristo, l’imitazione di Cristo traducono in atto con formule diverse, l’atteggiamento fondamentale e tipico dell’uomo di fede. L’uomo spirituale è l’uomo che dallo Spirito di Cristo riceve il coraggio e la grazia di dire: È bene per me prendere non i miei contorni, quelli che io voglio, ma quelli di Cristo, attraverso la mediazione del Cristo della Pasqua, attraverso la Parola e il Sacramento[2].
Con queste riflessioni è già delineato il quadro di riferimento e la finalità dell’ascesi cristiana, come ‘esercizio’ quotidiano ad aprirsi alla grazia di ricevere la condizione del discepolo di Cristo Crocifisso e assumerne i ‘contorni’.
In questa luce si comprende anche l’invito del S. Padre che parla della “necessità di una nuova cultura dell’ascesi, affinché ognuno ristabilisca, anche a prezzo di sacri ci, un corretto rapporto con Dio, con gli altri, con il cosmo e con se stesso” [3].
Perché parliamo di “ascesi”
Prima di spingere oltre la riflessione desidero precisare perché in questo numero di Vocazioni affrontiamo il tema dell’ascesi e, specificatamente, il rapporto “ascesi cristiana e vocazione”.
Premesso che con questo numero della Rivista intendiamo prepararci al Convegno annuale dei primi di Gennaio, promosso dal CNV ed entrato ormai nella tradizione della Chiesa Italiana, quest’anno sul tema appunto “ascesi cristiana e vocazione”, si intende approfondire come l’ascesi cristiana è condizione e dimensione imprescindibile della risposta vocazionale.
Inoltre la scelta e l’approfondimento di questo tema, è comprensibile alla luce e come completamento dei temi affrontati negli ultimi due Convegni promossi dal CNV: “Perché pregare per le vocazioni” (1993) e “Celebriamo in Cristo la nostra vocazione” (1994).
Affrontare il tema dell’ascesi in rapporto alla vocazionalità cristiana, dopo quello della preghiera e quello della liturgia, significa cercare di rispondere a questa domanda: come, a livello pastorale, è possibile aiutare gli adolescenti e i giovani a coltivare nella concretezza della loro quotidianità il mistero della vocazione stessa di Gesù?
Il tentativo è dunque di riprendere una categoria spirituale oggi disattesa o comunque non esplicitamente presente nella pedagogia pastorale odierna, quella appunto dell’ascesi cristiana, anche se ci sono qua e là degli interessanti segnali di attenzione pastorale a questo tema.
Il rapporto ascesi cristiana e vocazione
“Ascesi” non è una parola tipicamente cristiana. È una parola che ha una sua storia anche prima e al di fuori del cristianesimo; ma bisogna assumere questo termine anzitutto nel senso generale di “esercizio”.
Questo richiamerebbe subito al fatto che l’essere e il vivere da cristiano è un esercizio; non coincide perciò con un generico sentimento o un qualsiasi spontaneismo. Essere cristiani è piuttosto – come sopra già accennato – un ricevere 1a “condizione-discepolo”.
È necessario tuttavia – di fronte al pullulare delle varie forme di ascesi “laiche” e “religiose” contemporanee – un passaggio imprescindibile: quello che va da un’ascesi autogratificante ad un’ascesi autotrascendente. Da un’ascesi centrata sulla ricerca o ascolto di sé ad un’ascesi che, presupposto fondato della possibilità del dono di sé, intende condurre l’uomo ad una reale autotrascendenza.
Tema che comporta l’affrontare la dimensione propriamente teologale, cioè cristologica, dell’ascesi cristiana, tutta riassunta nel “sia fatta la tua volontà” di Cristo: come colui che è condotto dallo Spirito, quale “icona” della comprensione, dell’accoglienza e della risposta al progetto – chiamata del Padre: “Sia fatta la tua volontà”; appunto.
In questo senso potrebbe essere significativo ed esemplificativo riferirsi ad alcune coordinate della vita di Gesù; deserto, tentazioni, lotta ecc.; dei mezzi da lui usati in questo senso: l’esercizio della preghiera, della peregrinazione continua, l’esercizio verso la Croce ecc.; nonché a quel particolare itinerario ascetico che Gesù stesso ha inteso proporre ai suoi discepoli: tappe, esperienze, mezzi, insegnamenti, prove, scelte ecc.
L’ascesi cristiana, in ultima analisi, si identifica in quella figura propria della teologia spirituale che è la sequela Christi: in forza dello Spinto (“ricevete lo Spirito Santo”) la Chiesa diventa ed è il luogo nel quale storicamente i credenti si esercitano ad assumere lo stesso Spirito di Cristo, cioè a “diventare” cristiani, di Cristo. La stessa grande tradizione della Chiesa documenta ampiamente come i credenti nella Chiesa si sono esercitati e si esercitano “normalmente”, quotidianamente, ad assumere lo, Spirito di Gesù.
Si pensi in merito ad alcune grandi forme di ascesi spirituale cristiana che si sono espresse, e si sono di fatto imposte lungo la storia millenaria della Chiesa. Queste grandi forme ascetiche della tradizione cristiana – che hanno educato e maturato lungo la storia umana vocazioni autentiche – sono anche una provocazione alla sequela di Gesù oggi.
La stessa proposta ai nostri giorni di itinerari ascetico-vocazionali nella pastorale giovanile non può non essere vista che come continuità naturale di questo grande e fertile filone della tradizione ascetica cristiana.
Si tratta di rispondere, a partire dall’orizzonte immediato della pastorale giovanile, a questa domanda: che rapporto esiste e si può di fatto constatare oggi tra pastorale giovanile e ascesi cristiana?
Tento alcune esemplificazioni, senza la pretesa di esaurire l’ampiezza dei temi che si possono affrontare a questo riguardo, ma solo per offrire alcune suggestioni che verranno approfondite nelle pagine che seguono e, in particolare, nei lavori del Convegno 1995.
A partire dalla convinzione teologico pastorale del “primato della Parola di Dio”; cosa significa oggi concretamente educare, “esercitare”, la realtà adolescenziale-giovanile delle nostre comunità cristiane ad un autentico ascolto della Parola: scuola della Parola ed esercizio concreto della lectio divina? Annesso a questa tematica potrebbe essere interessante recuperare anche l’educazione del mondo giovanile all’ascolto e al silenzio.
Tenendo conto di quelle grandi forme di esercizio della fede cristiana – che possiamo rinvenire nella vita liturgico-sacramentale – ci si potrebbe domandare come educare, “esercitare”, il mondo adolescenziale e giovanile alla pratica, “alla frequenza” come ancora saremmo tentati di dire, ordinaria dei sacramenti, evitando poi forme pastorali di volontarismo, di intellettualismo, di spiritualismo, di sensazionalismo, ecc.
Un altro aspetto molto importante potrebbe essere poi quello circa l’educazione oggi ad una corretta gestione dell’affettività. Di conseguenza: il tema della casta, della verginità. Non sono questi valori vocazionali che si possono in maniera troppo scontata e ingenua presupporre facilmente: come rapportare l’ascesi cristiana a questo ambito della vita affettiva delle giovani generazioni?Altro spazio, in connessione a quanto sopra, potrebbe essere in fine dedicato alle tematiche degli esercizi spirituali e della direzione spirituale intesi qui propriamente al servizio della vocazionalità cristiana. Sono solo alcuni spunti che troveranno approfondimento nei contributi che seguono.
Sul piano educativo in generale, e specificamente su quello vocazionale, resta comunque fermo che “non devo mai pensare l’esercizio ascetico soltanto in generale, bisogna che io lo declini per me, nella mia situazione, nella mia storia, nella mia vocazione. Quel discorso dell’esercizio dell’essere-discepolo significa esercizio dell’essere-discepolo come uno che deve fare una certa strada e non un’altra, che deve scegliere una certa direzione e non un’altra. Quel discorso sui sì e sui no che mi devo dire si verifica e si precisa entro un quadro particolare di vita, in un ambiente specifico con difficoltà concrete, che sono le mie e non quelle di un altro; in una vocazione cui devo rispondere io e non un altro. L’inizio sta proprio qui: anche la ricerca della mia vocazione con verità è un’autentica ascesi”[4].
Note
[1] G. Moioli, Il peccatore perdonato, Itinerario penitenziale del cristiano, in Quaderni spirituali n. 3, a cura del Biennio Teologico del Seminario di Milano, Saronno 1993, p. 95.
[2] G. Moioli, L’esperienza spirituale, Glossa, Milano, 1992, p. 23.
[3] Giovanni Paolo II, Messaggio per la XXV Assemblea della FIES, 6 Agosto 1989.
[4] G. Moioli, idem, p. 106.