Il Piano Pastorale per le Vocazioni della chiesa italiana
Ho avuto il dono di partecipare alla nascita del Piano Pastorale per le Vocazioni “Vocazioni nella Chiesa Italiana”: siamo agli inizi degli anni ‘80. Ho avuto anche il dono – con tanti preziosi collaboratori e amici – di accompagnarne la crescita e l’incarnazione nella realtà ecclesiale italiana.
Lungi dal voler quantificare l’opera dello Spirito – mentre la chiesa italiana celebra il decimo compleanno del suo Piano Pastorale per le Vocazioni – mi sembra opportuno porci e rispondere a questo o simili interrogativi: “A dieci anni dal Piano Pastorale per le Vocazioni: cosa la chiesa italiana ha proposto, cosa si è realizzato, quali gli interrogativi attualmente aperti, quali le prospettive per il futuro?”. È quanto si propone di riflettere il presente numero di Vocazioni.
Il Piano Pastorale del 1973
È noto come la chiesa italiana – di fronte alla nuova situazione ecclesiale e socioculturale che si viene delineando alla fine degli anni ‘60 – si sia data un primo “Piano per le Vocazioni”: delle vere e proprie linee programmatiche di pastorale vocazionale. Tale Piano rappresenta una vera novità nel fervido clima post-conciliare di quegli anni.
I contenuti e gli orientamenti pastorali che ne emergono – espressione della nuova teologia ed ecclesiologia emergente – gettano le basi del cammino vocazionale che la chiesa italiana è venuta man mano elaborando e vivendo.
Questa sintesi – che traggo dalla presentazione al Piano a firma del Vescovo Amilcare Pasini, già vescovo di Parma, al tempo delegato della CEI per il CNV e recentemente scomparso – mi sembra che delinei lucidamente le linee portanti e gli obiettivi del Piano stesso “un servizio offerto a tutti, per meglio comprendere la propria situazione e per aiutarli nel preparare un intervento ordinato di tutta la comunità:
– Tutta la comunità è responsabile, ognuno secondo il suo ruolo, nel ricordare ai singoli e nell’aiutarli a comprendere che il Battesimo, inserimento in Cristo, è consacrazione e missione da parte del Padre che sta nei Cieli.
– Il Battesimo, quindi, è per tutti Vocazione, cioè chiamata divina al servizio dei fratelli.
– La vocazione battesimale viene specificata nei diversi carismi e servizi.
– Ogni vocazione è importante e preziosa, perché chiamata del Signore e perché nella corrispondenza ad essa sta la santità dei singoli.
– La scoperta e la corrispondenza della vocazione si realizza nella fede viva e nella preghiera continuata.
– Nella fede e nella preghiera può comprendere la necessità delle vocazioni sacerdotali per il crescere della Chiesa e di quelle ‘consacrate’ per rendere sempre più viva la sua testimonianza davanti al mondo”[1].
Il Piano Pastorale del 1985
Il secondo “Piano Pastorale per le Vocazioni” della chiesa italiana nasce sotto l’impulso che alla pastorale vocazionale della Chiesa universale offre la celebrazione del 2° Congresso Internazionale per le Vocazioni promosso dalla S. Sede.
La Celebrazione di tale Congresso – dal 10 al 16 maggio 1981 nell’aula del Sinodo dei Vescovi in Vaticano, a due passi da Piazza S. Pietro ove, proprio in quei giorni di preghiera e lavoro per noi, si consumò il noto attentato a Giovanni Paolo II – e il Documento Conclusivo che ne emerse ha costituito e costituisce, a mio avviso, la “magna charta” della pastorale vocazionale del dopo Concilio per tutta la Chiesa.
Se tale Congresso ha ispirato la revisione del “Piano Pastorale per le Vocazioni” in Italia e ne ha suggerito – come vedremo – lo spirito e gli orientamenti di fondo, “a distanza di dodici anni dalla pubblicazione del precedente Piano, era necessario compiere una verifica e operare una revisione del Piano medesimo, nelle sue linee programmatiche essenziali per la chiesa italiana”.
Sono queste le espressioni con le quali il carissimo Mons. Antonio Ambrosanio – allora Vescovo Ausiliare di Napoli e Presidente della Commissione CEI per l’Educazione Cattolica – dà inizio alla presentazione del Piano stesso, che porta la sua firma a nome della Conferenza Episcopale Italiana.
Prima di dar voce ancora a Mons. Ambrosanio, successivamente Arcivescovo di Spoleto-Norcia, recentemente e prematuramente scomparso, desidero qui testimoniare come la sua competenza teologica, la sua profonda sensibilità pastorale, il suo amore per la Chiesa e per le vocazioni, la fraterna amicizia con noi suoi collaboratori, finirono per segnare – una “firma” davvero – lo spirito e i contenuti del Piano.
“Il presente Piano”; egli continua nella citata presentazione, “permette un’illuminante riflessione teologica sulla vocazionalità della e nella Chiesa, delineando quasi il ‘volto vocazionale’ di essa; prende poi in considerazione la situazione vocazionale italiana, con particolare riferimento alle vocazioni di speciale consacrazione, ed espone un ben articolato piano con riferimento ai soggetti, ai contenuti, ai responsabili, ai metodi e alle strutture della pastorale per le vocazioni. Il riferimento sia pure essenziale – alla ‘struttura interna’ del documento non è pleonastico, e tanto meno casuale: sta invece a significare quale sia – quale ‘debba essere’ – l’impostazione di fondo del problema vocazionale; che è essenzialmente teologica, soprannaturale. Essa si radica nel mistero stesso di Dio e della chiesa… Di qui, il costante richiamo, che percorre tutto il documento, al primato del soprannaturale che non spegne ma favorisce l’autentico dinamismo della pastorale vocazionale”[2].
Il “primato del soprannaturale” dunque – anima, contenuto, metodo, linea di orientamento del Piano Pastorale delle Vocazioni “Vocazioni nella chiesa italiana” – primato che oggi, per noi che l’abbiamo conosciuto da vicino, mi suona anche come sintesi della vita e testamento spirituale di Mons. Ambrosanio.
A dieci anni dal Piano
È a questo “primato”- il “primato del soprannaturale”- che profeticamente s’ispirano e da esso prendono senso le scelte pastorali del Piano, sulle quali si è misurato e mosso il cammino di quest’ultimo decennio di pastorale vocazionale nella chiesa italiana e che possono essere così riassuntivamente focalizzate.
* La pastorale vocazionale unitaria: un “atto” e “un fatto” di Chiesa.
La pastorale vocazionale unitaria, nel tessuto vivo di una chiesa locale, è lo “spirito” e la “scommessa” del Piano. Non si tratta certo di una strategia. Le motivazioni teologiche – l’ecclesiologia di comunione caratterizzante il Vaticano II e i criteri pastorali conseguenti – ne sono il fondamento indiscusso: “La pastorale vocazionale unitaria scaturisce dalla vita di comunione della Chiesa” (P.P.V., 1).
Alla luce della teologia ed ecclesiologia di comunione, patrimonio sempre più approfondito e gradualmente acquisito dalla comunità ecclesiale in questi anni, possiamo dire che la pastorale vocazionale unitaria è nella chiesa italiana un punto senza ritorno, certo una strada ancora in salita, che indica chiaramente alla luce dell’esperienza di questi anni, come:
– l’attenzione per ogni vocazione, comprese quelle di speciale servizio al popolo di Dio, deve diventare sempre più e meglio patrimonio di tutta la comunità cristiana;
– la maturazione vocazionale dei singoli avviene in un cammino comune all’interno della pastorale ordinaria tutta;
– ciascuno nel popolo di Dio, ha una responsabilità specifica nell’annuncio, nella proposta e nell’accompagnamento delle vocazioni consacrate;
– il soggetto fondamentale di questa azione è la chiesa particolare con le sue comunità (parrocchiali, familiari, religiose, associative);
– non c’è alcun settore dell’azione pastorale che non debba interrogarsi sul contributo che può dare a quest’opera così centrale nella vita della chiesa e del mondo[3].
Nel decennio gli stessi centri diocesani vocazioni, i centri regionali e il centro nazionale vocazioni, sono venuti assumendo la loro identità ed hanno cercato di esprimere nelle chiese locali una pastorale unitaria a servizio delle vocazioni di speciale consacrazione.
* La pastorale vocazionale come “scelta educativa” della comunità cristiana.
Ovvero, la dimensione vocazionale anima della educazione alla fede e degli itinerari educativi propri della comunità cristiana, nelle sue diverse articolazioni: famiglia, parrocchia, scuola, gruppi e associazioni ecclesiali.
È il filo conduttore di fondo del Piano: “fine ultimo” dell’educazione, e specificamente il fine dell’educazione alla fede, non può non essere mirato, nel quadro dell’accompagnamento alla “maturità” del singolo nella comunità cristiana, a condurre verso la “verità della propria vocazione”.
È indubbio come la forza dell’azione educativa e del personale cammino verso la maturità sia proporzionata all’attenzione con cui nella comunità cristiana, ogni suo membro e il giovane credente in particolare, assimila e si lascia illuminare nel profondo dal disegno di Dio.
Altrettanto decisivo nel cammino educativo alla fede – in particolare in quel segmento di età naturalmente vocabile qual è appunto la fanciullezza, preadolescenza, adolescenza e giovinezza, – è infine la convergenza dei tre fattori dinamici che il Piano tiene costantemente presenti: il “Maestro interiore”; lo sviluppo delle “attitudini” della persona, la mediazione della comunità cristiana attraverso un sapiente annuncio, proposta e accompagnamento vocazionale comunitario e personale[4].
* Il primato della spiritualità
Autentica “vita nello Spirito” e maturazione vocazionale sono un binomio inscindibile: è il “filo rosso” che solca e guida tutto il Piano. Non può darsi vera maturazione vocazionale – lo confermano anche le tante proposte ed esperienze maturate nelle nostre chiese locali in questi anni – se non all’interno di un forte cammino spirituale: una vita spirituale solida, personale ed ecclesiale, è la “sede” che permette alla chiamata di essere udita e alla risposta di essere data con convinzione, entusiasmo e soprattutto di essere fondata su motivazioni autentiche, bibliche.
Il Piano, mentre tiene per fermo l’inscindibile binomio “vita spirituale” e “maturazione vocazionale”, ha accompagnato e sostenuto in questi anni la crescita degli stessi educatori alla fede, perché nella comunità cristiana fossero capaci di risposte motivate e profonde a questi ed altri interrogativi: quale vita spirituale per una prospettiva di donazione totale e definitiva, ovvero di consacrazione? Quali “mezzi” alimentano una vita spirituale il cui dato vocazionale sia centrale e motivante?
Il “mezzo” della pastorale vocazionale – cuore e verifica ad un tempo di un autentica spiritualità – è come noto, la preghiera: via al cuore di Dio e via al cuore dell’uomo. Il Piano ha tenuto fermo in questi anni nella comunità cristiana il primato della preghiera e specificamente della preghiera per le vocazioni, cardine della pastorale vocazionale (PdV 38).
Una preghiera esercizio di fede, che apre alla speranza, espressione genuina di forte carità; una preghiera che indica un modo di essere e di stare nella comunità ecclesiale: una preghiera il cui oggetto non è il numero o la quantità dei chiamati, ma la loro qualità; una preghiera che esprime e manifesta la corresponsabilità di tutta la comunità cristiana per il dono delle vocazioni; una preghiera come luogo della maturazione vocazionale.
Il Piano ha davvero ispirato il cammino della pastorale vocazionale nella chiesa italiana per cui -fedeli al comando di Gesù “Pregate..” – le nostre comunità ecclesiali in questi anni hanno avvertito non solo l’importanza di pregare per le vocazioni ma, come tante esperienze e proposte lo documentano anche con frutti vocazionali maturi, di coinvolgere i giovani nella preghiera come luogo pedagogico dello Spirito (che matura, discerne, alimenta la perseveranza vocazionale), come incontro e cammino con Dio (che chiama l’uomo), come occasione reale per i giovani di liberazione, autodiscernimento, per “fare verità” sulla propria esistenza, sulla vocazione personale[5].
* La proposta vocazionale come proposta di itinerari educativi
C’è un passaggio del Piano che ha segnato e sta segnando nel metodo e nei contenuti la pastorale delle vocazioni dei nostri giorni. È il seguente: “Fare proposte vocazionali ai giovani d’oggi significa indicare un cammino spirituale ovvero un cammino di fede in chiave vocazionale”. (P.P.V., 47).
Perché è provvidenziale e decisiva questa indicazione? Un “cammino” pedagogicamente garantisce la maturazione e il discernimento di motivazioni vocazionali autentiche, di scelte pensate e personalizzate: la maturazione di un’armonia vocazionale stabile, di un vero e proprio progetto di vita.
Alla luce di queste dinamiche pedagogico-spirituali essenziali di un “cammino spirituale” il Piano propone quei “cammini di fede” che nella esperienza viva della comunità ecclesiale di questi anni si son venuti naturalmente coniugando con la proposta vocazionale: itinerari di preghiera, di catechesi, di servizio e itinerari specifici di orientamento e accompagnamento vocazionale.
Il Piano illumina infine gli educatori alla fede a trovare un equilibrio tra pastorale ordinaria, proposta di itinerari di fede, e iniziative forti della pastorale vocazionale (es. settimane vocazionali parrocchiali, esercizi spirituali, week-end vocazionali ecc.), riportando costantemente la dimensione vocazionale al cuore dei cammini ordinari di fede propri della comunità parrocchiale, luogo specifico dell’annuncio del “Vangelo della vocazione”[6].
* L’educatore alla fede: un vero e proprio animatore vocazionale.
Mentre la figura e il servizio dell’animatore vocazionale – servizio in passato per lo più dei presbiteri e dei consacrati – si sta aprendo ai nostri giorni anche ai laici, il Piano ha aperto numerosi spazi per qualificare tale servizio essenzialmente come servizio di un adulto nella fede e testimone della propria vocazione.
L’educatore alla fede è naturalmente a servizio della maturazione vocazionale delle giovani generazioni; nella comunità ecclesiale una “figura vocante” a condizione che un triplice amore investa e fermenti le proprie caratteristiche personali, le qualità umane, gli stessi doni di grazia: amore a Cristo: quella che viene chiamata “vita interiore”, ricchezza interiore, fede, amore per la preghiera, ecc.; amore alla Chiesa, senso della Chiesa: che si esprime nella capacità di collaborare, di servire, di occuparsi di ciò che è più essenziale per la vita e per il bene della Chiesa; amore per i giovani: desiderio di aiutarli a trovare se stessi, la loro strada, la loro vocazione.
Nello spirito e su impulso del Piano – l’animatore vocazionale che è emerso in questi anni – è essenzialmente un “maestro di preghiera” che ha una chiara coscienza ecclesiale, una chiara coscienza educativa, una coscienza vocazionale esplicita[7]. È una guida capace di offrire il servizio della direzione spirituale in vista dell’orientamento e discernimento vocazionale.
Concludendo: sono ovviamente anche altre le linee dinamiche e operative presenti nel Piano. Le pagine che seguono ne offrono un documento e ampio approfondimento. A me piace qui ricordare anche come il Piano Pastorale per le Vocazioni è stato in questi anni un servizio di riferimento e di stimolo costante al quotidiano lavoro del Centro Nazionale Vocazioni accompagnando, nella chiesa italiana, il passaggio delle diverse “stagioni” della pastorale vocazionale: in particolare il passaggio dalla stagione delle “iniziative o esperienze vocazionali” alla stagione – che sta caratterizzando la pastorale vocazionale dei nostri giorni – della proposta di veri e propri itinerari di fede vocazionali nella comunità cristiana.
Note
[1] CNV, Piano Pastorale per le Vocazioni in Italia, Vocazioni-Documenti n. 2, Roma 1973, p. 11.
[2] CNV, Piano Pastorale per le Vocazioni, Vocazioni nella Chiesa Italiana, Roma 1985.
[3] Cfr. ‘Vocazioni’, n. 4, 1989.
[4] Cfr.’Vocazioni’, n. 3, 1989.
[5] Cfr. ‘Vocazioni’, n. 2, 1987.
[6] Cfr. ‘Vocazioni’, n. 3, 1987.
[7] Cfr. ‘Vocazioni’, n. 3, 1991.