Il parroco: una vocazione per tutte le vocazioni
Un intero numero monografico su una figura, un ministero, un ruolo. Deve essere davvero un ministero speciale e singolarissimo se si sente di dovergli dedicare tanta attenzione. Da dove nasce questa attenzione particolare al parroco? Essenzialmente da due fattori: innanzi tutto dalla centralità della comunità cristiana nella pastorale vocazionale e poi dal modo con cui si costituisce la comunità cristiana attorno alla figura insostituibile del ministero ordinato. Mi sembra importante presentare questo numero sottolineando prima questo secondo aspetto e poi tornare brevemente sul primo. Il numero intero è largamente polarizzato attorno a questi due fattori.
Il Sacerdote rende presente il Vescovo
La Chiesa locale, ossia la diocesi, nella quale si realizza in pienezza la realtà della “Chiesa” normalmente si articola in parrocchie. “Poiché nella sua Chiesa il Vescovo non può presiedere personalmente sempre e ovunque l’intero suo gregge, deve costituire gruppi di fedeli, tra cui hanno un posto preminente le parrocchie organizzate localmente e poste sotto la guida di un pastore che fa le veci del Vescovo; esse, infatti, rappresentano in certo modo la Chiesa visibile stabilita su tutta la terra”.
Ancora secondo il Concilio, la parrocchia è la “cellula” della diocesi, la famiglia di Dio, come fraternità animata nell’unità, o “come insieme di fratelli animati da un solo spirito”, capace di “fondere insieme tutte le differenze umane che vi si trovano e inserirle nell’universalità della Chiesa”. In essa, il credente può vivere di fatto la sua vita cristiana quotidiana. In essa quotidianamente pervengono “i problemi di ciascuno e del mondo e le questioni spettanti la salvezza degli uomini, perché siano esaminati e risolti con il concorso di tutti”. Il sacerdote vi rende presente il Vescovo, e così la parrocchia rende presente in se stessa la Chiesa universale. A motivo della sua relazione alla Chiesa particolare, la parrocchia costituisce di fatto ancora oggi, la prima e insostituibile forma di comunità ecclesiale, strutturata e integrata anche con esperienze articolate e aggregazioni intermedie, che ad essa devono naturalmente convergere o da essa non possono normalmente prescindere[1].
Se si aggiunge – come si fa in alcuni interventi stimolanti di questo numero – che il sacerdote è l’insostituibile uomo della Eucaristia e della Riconciliazione si comprende quanto sia vero il detto che “il prete fa la parrocchia” anche se sarebbe bello che ciò avvenisse nella reciprocità. Mi sembra che allora il modo con cui il parroco vive il suo rapporto con la propria e l’altrui vocazione determini largamente – anche se non esclusivamente – il rapporto della stessa comunità con la propria vocazione e con un impegno serio per le vocazioni.
Dentro al suo cuore di padre
È lì che si decide largamente il suo rapporto con le vocazioni. L’impegno del prete per la maturazione vocazionale dei suoi parrocchiani, specialmente – come è ovvio – delle nuove generazioni è una questione di sensibilità. Una sensibilità che si alimenta in due direzioni: il sentire “cum ecclesia” ovvero sentire con la Chiesa un vero “tormento materno” per la sua capacità generativa; sentire con i propri figli tutta la difficoltà e, contemporaneamente, tutta la pressante necessità di vivere la vita come vocazione. Il prete deve sentire dentro che la felicità dei suoi ragazzi si gioca sul dato vocazionale. E lo sente di sicuro in proporzione a quanto egli stesso è contento di essere prete: di aver detto quel sì che lo ha reso vivo, pieno, padre.
Dentro alla sua preghiera
È là prima di tutto che il parroco traduce la sua sensibilità di padre: pregando incessantemente per coloro che il Signore ha a lui affidato e ai quali è stato affidato dalla Chiesa come padre, pastore, guida, maestro e sacerdote. Si leva dal cuore e dalle labbra del parroco una preghiera incessante personale, legata al ministero, occasionale. Mi raccontava un amico vescovo che i suoi preti sono ciascuno in un grano del rosario. È un vescovo che ogni giorno recita le tre poste del rosario… Un parroco forse non potrà farlo con tutti i parrocchiani ma con ciascuno dei suoi giovani o con quelli che hanno manifestato di essere in cammino, di porsi determinati interrogativi… perché no?
Dentro al suo servizio
Celebra l’eucaristia, confessa, ascolta, dialoga, predica… Non ha certamente bisogno di fare particolari miracoli il parroco per trovare i concreti spazi nei quali tradurre in modo operativo la sua attenzione e il suo amore per la vocazione dei suoi figli. È molto probabile che l’aver di fatto e per molte ragioni valide trascurato questi aspetti squisitamente sacerdotali che i nostri preti hanno finito per non essere strumenti preziosi e spesso indispensabili per quell’aiuto alla scoperta e alla scelta vocazionale delle nuove generazioni che oggi più di prima passa proprio dentro al ministero di mediazione dei nostri preti.
Il Parroco con la sua Parrocchia
Quando questo numero di vocazioni arriva ai nostri lettori siamo ormai alla vigilia dell’importante assise europea del Congresso sulle vocazioni al Sacerdozio e alla Vita Consacrata promosso dalla Santa Sede. In vista di tale incontro un documento di lavoro sta aiutando la nostra riflessione. Si parla – in termini ovviamente assai attuali e precisi – anche della parrocchia e si delineano alcune prospettive che sembrano punti di non ritorno. Vediamo qualche passaggio: “Cresce comunque la consapevolezza che la pastorale vocazionale debba ricuperare lo spazio vicino il più possibile alle persone e ai giovani. In particolare la pastorale ordinaria della comunità cristiana, là dove il sacerdote può diventare il primo animatore delle vocazioni oppure può diventarne il controtestimone. Ma perché ciò avvenga è necessario prevedere alcune attenzioni particolari per un’efficace traduzione pastorale delle vocazionalità della vita e della Chiesa.
Anzitutto va prestata attenzione alla Chiesa particolare, vero luogo dei carismi e delle vocazioni più diverse. I giovani in particolare non maturano un’appartenenza ecclesiale solo in base a riflessioni astratte, ma soprattutto attraverso esperienze vissute. La comunità e la Chiesa particolare, se da una parte devono guardare con simpatia ai giovani prestando ad essi un’attenzione privilegiata, dall’altra sono orizzonti da riscoprire e da sperimentare come i luoghi concreti in cui progettare una vita in dimensione di servizio” (nn. 73 e 74).
Anche a me sembra una buona pista. E questo numero sembra che altro non intenda fare che percorrerla nel migliore dei modi.
Note
[1] CEI, Comunione e comunità, n. 42.