N.03
Maggio/Giugno 1998

Dinamismo vocazionale della pastorale ordinaria della comunità cristiana

Oggi è facile notare una diffusa aspirazione verso i beni spirituali, una ricerca di risposte alle domande di senso e un anelito verso i destini eterni dell’uomo. La Chiesa è chiamata a collocarsi accanto alla ricerca inquieta e disorientata dell’uomo di oggi con un’azione pastorale che promuova autentici incontri con Cristo perché solo Lui può risignificare ogni vita e aprirla verso orizzonti impensabili di pienezza. “In Cristo nato morto e risorto la Chiesa può leggere il vero senso, il senso pieno del nascere e del morire di ogni essere umano”[1].

Ecco perché la dimensione vocazionale è connaturale ed essenziale a tutta l’azione pastorale della Chiesa. La Chiesa stessa, nel suo essere profondo è definita mysterium vocationis[2]. Perciò la pastorale vocazionale non può essere considerata come un elemento secondario o accessorio, né si può ritenere motivata teologicamente dal fatto che esistano difficoltà e crisi. Tutt’al più la crisi può richiedere che la pastorale vocazionale venga assunta con “nuovo, vigoroso e più deciso impegno da parte di tutti i fedeli”[3].

La pastorale ordinaria “nella misura in cui rende esplicita la sua dimensione vocazionale, ritrova grandi motivazioni per una sua rivitalizzazione”[4]. La vocazione, infatti, non è un optional dell’esistenza cristiana e neppure soltanto chiamata ad una determinata missione, ma è innanzi tutto incontro personale con Cristo che porta la persona alla sua piena realizzazione. “La pastorale vocazionale riguarda la missione della Chiesa destinata a curare la nascita, il discernimento e l’accompagnamento delle vocazioni”, in particolare delle vocazioni ai ministeri ordinati e alle diverse forme di vita consacrata”[5].

In questa prospettiva il n. 27 del documento finale del congresso sulle vocazioni al Sacerdozio e alla Vita consacrata in Europa ha guardato ai naturali cammini comunitari di crescita della fede e del discernimento vocazionale: la liturgia e la preghiera, la comunione ecclesiale, il servizio della carità, l’esperienza dell’amore di Dio ricevuto e offerto nella testimonianza.

 

 

La Liturgia e la preghiera

La “fonte e culmine”, come chiama la Liturgia il Concilio è al centro delle dinamiche della vita cristiana e quindi anche della vita come vocazione. È illuminante al riguardo l’esperienza della nascente Chiesa di Gerusalemme (cfr. At 1,12ss; 2,1-49). Gesù risorto è salito al Cielo, i Discepoli e gli Apostoli si ritrovano assidui e concordi nella preghiera insieme con alcune donne e con Maria, la Madre di Gesù e con i fratelli di lui (At 1,14). È questo clima di preghiera che mostra a Pietro e alla comunità l’esigenza di trovare uno che prenda il posto di Giuda, e così viene scelto Mattia. È su questa comunità orante che fa irruzione la potenza dello Spirito sul finire del giorno della Pentecoste e la trasforma in comunità evangelizzante. Infine, è proprio nell’impegno a testimoniare e annunciare il Vangelo di Gesù che essa scopre i bisogni degli orfani e delle vedove, e in preghiera vengono istituiti i Diaconi. Ogni decisione in questa comunità è preceduta dalla preghiera, ogni scelta avviene in un contesto liturgico.

“La Liturgia è la risposta dell’uomo a Dio che comunica se stesso e cerca il dialogo con tutti gli uomini. L’autocomunicazione di Dio consiste nella rivelazione di se stesso, chiamando ad un colloquio, attraverso il quale Egli offre il dono della verità”[6]. Ogni celebrazione va allora curata perché esprima nei riti e nei segni tutta la sua forza vocazionale. La liturgia, specialmente nei ritmi dell’anno liturgico, illumina i vari momenti della vita con la luce dei misteri di Cristo e configura progressivamente la vita dei fedeli a quella di Cristo.

Ma anche l’esperienza personale della preghiera, come dialogo con Dio, appartiene a questa dimensione: anche se ‘celebrata’ nell’intimità della propria ‘cella’ è relazione con quella paternità da cui deriva ogni vocazione… È la logica orante che la comunità aveva imparato da Gesù quando, di fronte alle folle stanche e sfinite come gregge senza pastore, aveva detto: La messe è molta ma gli operai sono pochi. Pregate dunque il Padrone della messe perché mandi operai nella sua messe (Mt 9,3738; Lc 10,2)… L’icona evangelica del ‘Padrone della messe’ conduce al cuore della pastorale delle vocazioni: la preghiera. Preghiera che sa ‘guardare’ con sapienza evangelica al mondo e ad ogni uomo nella realtà dei suoi bisogni di vita e di salvezza. Preghiera che esprime la carità e la ‘compassione’ di Cristo verso l’umanità, che anche oggi appare come ‘un gregge senza pastore’ (Mi 9,36).Preghiera che esprime la fede nella voce potente del Padre, che solo può chiamare e mandare a lavorare nella Sua vigna. Preghiera che esprime la speranza viva in Dio, il quale non farà mai mancare alla Chiesa gli ‘operai’ (Mt 9, 38) necessari a portare a compimento la sua missione[7].

Queste parole del documento mostrano chiaramente l’itinerario di vita spirituale che ogni operatore pastorale della comunità cristiana è chiamato a far percorrere nella fede per una maturazione vocazionale autentica. Liturgia e preghiera trovano l’alimento più necessario nella Parola di Dio e nella catechesi. Per apprendere la sublime scienza di Gesù Cristo (Fil 3,8) bisogna essere dei frequentatori e dei fruitori assidui del Testo Sacro[8]. Dall’attenzione costante a Dio, dall’accoglienza docile del messaggio biblico, che ha il potere di liberare dall’egoismo e dall’egocentrismo, nasce nella comunità cristiana il bisogno di essere solidali, di partecipare e condividere, portando gli uni i pesi degli altri. La catechesi ordinaria, specialmente quella che segna il cammino dell’iniziazione alla vita cristiana, è chiamata a condurre le nuove generazioni ad un dialogo con Dio, che è fatto di nuove conoscenze, ma ancor di più di nuova esperienza e capacità di dialogo esistenziale con Dio e con la storia. Solo così, infatti, vengono alla luce e maturano nel cuore dei giovani i germi di vocazione che Dio vi ha posto.

 

 

La comunione ecclesiale

“Il  Signore Gesù non ha chiamato i discepoli ad una sequela individuale, ma inscindibilmente personale e comunitaria. E se ciò è vero per tutti i battezzati, vale in modo particolare per coloro che Egli ha scelto perché stessero con lui e anche per mandarli a predicare (Mc 3, 14-15)”[9]. Il vero e completo contesto della vocazione non è soltanto l’incontro a tu per tu con Gesù, ma il “Regno di Dio”, ovvero l’incontro personale con Gesù nel contesto di una comunità che si contraddistingue per un’inedita socialità, la quale instaura una nuova parentela e persino una nuova economia. Il dialogo vocazionale con Dio attuato dalla liturgia e dalla preghiera resta incompiuto fino a quando non diventa relazione con i fratelli, dove si impara a lasciarsi chiamare e rispondere e a riconoscere l’ io nel tu. La comunione ecclesiale, infatti, si qualifica come amore accolto da Dio, a Lui ricambiato, scambiato tra fratelli e testimoniato al mondo.

In una cultura dell’efficienza e della grandezza le comunità cristiane si presentano, ad uno sguardo superficiale, spesso inadeguate ai loro compiti. Si è allora tentati di trovare scorciatoie organizzative, dimenticando che “l’impegno a vivere il comandamento nuovo del Signore, amandosi gli uni gli altri come egli ci ha amati”, è il fondamento della vita di comunione. “Anche tra i suoi discepoli non c’è unità vera senza questo amore reciproco incondizionato che esige disponibilità al servizio senza risparmio di energie, prontezza ad accogliere l’altro così come è senza giudicarlo, capacità di perdonare anche settanta volte sette”[10].

Quest’esperienza di comunione metterà nel cuore l’autentica passione per il Regno di Dio da costruire e i giovani potranno trovare il coraggio e la forza per uscire dalle loro paure, aprendosi verso l’impossibile di Dio nella loro vita.

 

 

Il servizio della carità

Il servizio ai poveri e agli ultimi è una delle caratteristiche che vengono maggiormente riconosciute oggi al mondo cattolico. È sotto gli occhi di tutti, quel ricco e variegato fenomeno del volontariato in cui i giovani si imbattono in ideali spesso alti ed esigenti, verso i quali si proiettano, trovando uno sbocco concreto, le loro potenziali energie. In queste scuole di vita e di Vangelo – mediante la gioia del dono di sé – Cristo chiama tanti a giocarsi tutto per il Regno di Dio. Ma come mai tanto fiorire di iniziative ed esperienze in questo campo producono scarsi frutti vocazionali?

Gli ostacoli possono essere di due tipi: c’è chi vede il volontariato solo come servizio per un progresso umano, ma c’è anche chi non vede nelle figure vocazionali del ministero ordinato e della vita consacrata quegli orizzonti di servizio e quel calore di gratuità che sperimenta. La pastorale della carità delle comunità cristiane deve guidare il servizio a quell’autenticità di chi “ha imparato ad assaporare il privilegio di lavare i piedi ai fratelli più poveri… che ha conquistato la libertà di perdere il proprio tempo per le necessità altrui”[11].

Il servizio della carità appare così come la via regia della pastorale vocazionale. È scuola di verità, perché guida ad andare a quei valori e quelle esigenze che danno senso al vivere ed educa a tirar fuori da sé tutte quelle energie di bene che il Signore ha posto e che possono orientare in senso positivo la vita. È scuola di libertà, perché solo nel diventare agente di liberazione si diventa anche testimone della vera libertà. È scuola di vita, perché, solo quando l’esistenza diventa dono, mostra la sua vera natura: essere cioè vocazione di servizio per la Chiesa e per il mondo.

La Christifideles Laici si augurava che la Chiesa sia sempre più formata da “comunità ecclesiali mature, nelle quali cioè la fede sprigioni e realizzi tutto il suo originale significato di adesione alla persona di Cristo e al suo Vangelo, di incontro di comunione sacramentale con lui, di esistenza vissuta nella carità e nel servizio”[12].

 

 

La testimonianza-annuncio del Vangelo

È riconosciuto da tutti che per la promozione delle vocazioni al ministero ordinato e alla vita consacrata sono necessari modelli personali, comunità stimolanti e accoglienti, comunità che possano dire “venite e vedete” a quanti sono alla ricerca di Dio e che vogliono dare un senso definitivo alla loro vita.

Sappiamo per esperienza quanto sia efficace quella forma di pastorale vocazionale che è rappresentata dalla gioia del proprio sacerdozio o della propria consacrazione, come si esprime e come viene immediatamente percepita nella vita quotidiana delle persone consacrate. Anche i genitori e tutti gli educatori cristiani possiedono un analogo carisma, che viene alla luce quando essi danno buona e gioiosa testimonianza della propria vocazione di sposi, genitori, educatori.

La testimonianza però deve essere accompagnata da quell’impareggiabile itinerario vocazionale che sono i sacramenti dell’iniziazione alla vita cristiana. Lì, sotto la spinta di quel Testimone interiore che è lo Spirito Santo, si fa esperienza di salvezza, libertà e vocazione.

La fedeltà al Battesimo spinge a porre alla vita e a se stessi domande sempre più precise… e impegna a vivere non secondo prospettive umane, troppe volte da piccolo cabotaggio, ma secondo i desideri e i progetti di Dio[13].

Il sacramento della Penitenza, educa a vincere gli scoraggiamenti e le cadute con l’energia del perdono accolto e del cammino vocazionale ritrovato. In esso il contatto diretto e profondo con il ministero ordinato, mostra la straordinaria grandezza di questa vocazione. L’Eucaristia, poi, è la mensa dove ogni cristiano prende parte ed entra nello stile del dono di Gesù… Essa è icona di ogni risposta vocazionale[14]. Nella Confermazione con il suo “Amen” il cresimato esprime la docilità allo Spirito santo nel pensare e decidere il proprio futuro secondo il progetto di Dio”[15].L’età della Cresima potrebbe diventare la stagione più qualificata per la scoperta, la realizzazione e la testimonianza del dono vocazionale ricevuto.

La vita ordinaria delle comunità cristiane, che sanno valorizzare la ferialità del loro servizio attraverso ciò che è più proprio: il servizio della Preghiera, della Parola e della carità fraterna, è il terreno fecondo nel quale tutti i semi vocazionali gettati dal Divino Seminatore, giungono a portare a frutto ciascuno secondo la sua specie.

 

 

 

 

Note

[1] GIOVANNI PAOLO II, OR 18.10.1989 p.5

[2] Ivi. Il Sommo Pontefice esplicita la medesima dottrina con molte altre espressioni, sottolineando anche le conseguenze che ne derivano sul piano dell’azione pastorale. “LaChiesa non solo raccoglie in sé tutte le vocazioni che Dio le dona nel suo cammino di salvezza, ma essa stessa si configura come mistero di vocazione, quale luminoso e vivo riflesso del mistero della Trinità santissima.”(ibid).

[3] Ivi, 34.

[4] Documento di Lavoro del Congresso sulle Vocazioni al Sacerdozio e alla Vita Consacrata in Europa, n. 87.

[5] Cfr. PdV 34 (È la prima volta che troviamo una vera definizione della pastorale nel Magistero Pontificio).

[6] Lineamenta per il Sinodo dei Vescovi, Seconda Assemblea Speciale per l’Europa, 1998, 15

[7] Nuove vocazioni per una nuova Europa, 27a

[8] Cfr. Dei Verbum, 25

[9] GIOVANNI PAOLO II, OR 16.2.95

[10] Vita Consecrata, 42

[11] Nuove vocazioni per una nuova Europa, 27 c

[12] Christifideles Laici, 34

[13] Cfr. Nuove vocazioni per una nuova Europa, 16

[14] Cfr.  Ivi, 17d 

[15] Cfr.  Ivi, 18e