La bellezza che salva
Estetica e vocazione
Nei documenti del Magistero, più volte, si incontra la parola “bellezza” come cifra del mistero, richiamo al trascendente, riverbero dello Spirito di Dio, porta verso l’Infinito che apre gli animi al senso dell’eterno, dove lo stupore si fa contemplazione.
E più volte i Pontefici si sono rivolti agli artisti come “costruttori di bellezza”, sottolineando l’importanza di “diffondere bellezza” nel mondo: «noi abbiamo bisogno di voi. Il Nostro ministero ha bisogno della vostra collaborazione». Questo perché gli artisti sono capaci di travasare il mondo invisibile in formule accessibili, intelligibili, di carpire dal cielo dello spirito i suoi tesori e rivestirli di parola, di colori, di forme […].Voi avete anche questa prerogativa, nell’atto stesso che rendete accessibile e comprensibile il mondo dello spirito: di conservare a tale mondo la sua ineffabilità, il senso della sua trascendenza, il suo alone di mistero […] se noi mancassimo del vostro ausilio, il ministero diventerebbe balbettante ed incerto»[1].
Ma che cos’è, dunque, questa bellezza, si chiede Benedetto XVI, che «non allontana dalla realtà» e che scrittori, poeti, musicisti, artisti contemplano e traducono nel loro linguaggio, se non il riflesso dello splendore del Verbo eterno fatto carne?
«Voi sapete bene, cari artisti, che l’esperienza del bello, del bello autentico, non effimero né superficiale, non è qualcosa di accessorio o di secondario nella ricerca del senso e della felicità, perché tale esperienza non allontana dalla realtà, ma, al contrario, porta ad un confronto serrato con il vissuto quotidiano, per liberarlo dall’oscurità e trasfigurarlo, per renderlo luminoso, bello […]. L’espressione di Dostoevskij che sto per citare è senz’altro ardita e paradossale, ma invita a riflettere: L’umanità può vivere senza la scienza, può vivere senza pane, ma soltanto senza la bellezza non potrebbe più vivere, perché non ci sarebbe più nulla da fare al mondo[2]».
La bellezza, infatti, da quella che si manifesta nel cosmo e nella natura a quella che si esprime attraverso le creazioni artistiche, è uno stimolo attivo e creativo che proietta l’uomo verso il regno della libertà, non consente rassegnazione, ma spinge alla trasformazione del mondo.
La bellezza è l’espressione visibile del bene, come il bene è la condizione metafisica della bellezza ed esperire il bello non significa coglierlo solo nella sua autoreferenzialità, ma nel suo rapporto con il Vero e il Bene ed è, in questo modo, che interpella la nostra libertà e responsabilità.
Anche papa Francesco, nell’Enciclica Laudato si’, ha sottolineato «la relazione che c’è tra un’adeguata educazione estetica e il mantenimento di un ambiente sano», e ha affermato che «prestare attenzione alla bellezza e amarla ci aiuta ad uscire dal pragmatismo utilitaristico. Quando non si impara a fermarsi ad ammirare e apprezzare il bello, non è strano che ogni cosa si trasformi in oggetto di uso e abuso senza scrupoli»[3]. Ecco perché, contro gli esiti nichilisticamente rassegnati del pensiero contemporaneo, una educazione estetica, che insegni a prendersi cura della bellezza, potrebbe rappresentare una concreta occasione formativa per inaugurare una modalità diversa di rapportarsi alla vita e al mondo.
Invito ad avere cura della bellezza, e la bellezza curerà tante ferite che segnano il cuore e l’animo degli uomini e delle donne dei nostri giorni [4].
Papa Francesco in occasione dell’Incontro con i rappresentanti dei media ha sollecitato i partecipanti a nutrire il loro lavoro di studio, di sensibilità, di esperienza, come tante altre professioni, ma ha invitato a una particolare attenzione nei confronti della verità, della bontà e della bellezza e ha aggiunto che se la Chiesa esiste per comunicare proprio questo – la Verità, la Bontà e la Bellezza – dovrebbe apparire, chiaramente, che siamo tutti chiamati non a comunicare noi stessi, ma questa triade esistenziale[5].
La bellezza, infatti, fa parte di quei preziosi alleati per un autentico impegno a difesa della dignità dell’uomo, per la costruzione di una convivenza pacifica fra i popoli e per la cura del creato. Essa è un luogo di un sentire comune, nel quale si percepiscono vicini tutti quegli uomini e donne che, pur non riconoscendosi appartenenti ad alcuna tradizione religiosa, si sentono, tuttavia, in ricerca della verità[6].
Nel corso della storia del pensiero filosofico c’è stato chi, con grande acutezza, ha creduto che educare al bello, contribuisse a ricomporre il rapporto tra il sentire e il pensare e che la via pulchritudinis potesse essere una efficace risposta alle sfide disumanizzanti che coinvolgono le dimensioni sociali, culturali e religiose del tempo, verso una verità esistenzialmente significativa.
La bellezza, infatti, colpisce, ma proprio così richiama l’uomo al suo destino ultimo. Nel Cratilo di Platone, il termine greco bello viene tradotto dal verbo kaléin che significa «chiamare, convocare a sé», ma anche «nominare», e da questo duplice significato si afferma che la bellezza ha la capacità sia di richiamare l’attenzione dell’anima in virtù delle sue manifestazioni sensibili, sia di sottolineare il ruolo decisivo dell’intelletto nel riconoscimento del bello. La bellezza è fatta per turbare, mentre la scienza rassicura.
Nominare belle le cose poi è una prerogativa solo dell’essere umano che le riconosce e conferisce loro un senso e un valore non configurabile nei termini di una pura convenzione.
Nel contesto socio culturale contemporaneo, l’inarrestabile processo di industrializzazione, di tecnicizzazione, con la rapida accelerazione, ha fatto sì che i valori predominanti siano diventati fondamentalmente quelli di una scientificità “senza cuore”, dove l’utile è il grande idolo e tutte le forze devono “servire” e tutti i talenti prestargli ossequio. Il potenziale salvifico della vera bellezza, allora, è la sua capacità di educare la sensibilità ad opporsi al processo omologante dell’apparenza e ai valori d’uso, rivalutando il ruolo della corporeità, delle emozioni, dei sentimenti che non costituiscono più un ostacolo all’idealità, ma un mezzo privilegiato per attuarla liberamente, in piena armonia con tutte le dimensioni dell’esperienza umana.[7]
Il merito della bellezza, che sembra oggi non avere nessun peso se non quello di essere trasformata in oggetto di un chiassoso mercato del consumo, potrebbe rappresentare, allora, la possibilità di una sospensione da una immanenza che schiaccia e una carezza di tenerezza (come direbbe Simone Weil), di speranza, anche là dove l’inospitalità delle opere contemporanee, esprimono senza compromessi, l’insopprimibile nostalgia d’infinito dell’uomo di ogni tempo[8]. È in questo senso che si può parlare di bellezza come pegno dell’al di là.
[1] Paolo VI, Omelia in occasione della Solennità dell’Ascensione di Nostro Signore, Giovedì 7 maggio 1964 (corsivo dell’Autrice).
[2] Benedetto XVI, Discorso all’Incontro con gli artisti alla Cappella Sistina, 21 novembre 2009.
[3] Francesco, Laudato si’, 215.
[4] Francesco, Messaggio in occasione della XXI Solenne Seduta pubblica delle Accademie Pontificie, 16 dicembre 2016.
[5] Cf. Francesco, Discorso all’Incontro con i rappresentanti dei media, 16 marzo 2013.
[6] Cf. Francesco, Discorso all’Incontro con i rappresentati delle Chiese e delle comunità ecclesiali e di altre religioni, 20 marzo 2013.
[7] Cf. J. Dewey, Body and Mind, in «Bulletin of The New York Academy of Medicine», (1928), n.1, vol. IV, 53.
[8] Cf. D. Frisby, Georg Simmel, Il Mulino, Bologna 1985.