N.06
Novembre/Dicembre 1998

La famiglia, primo luogo di realizzazione della vita comune

La famiglia cristiana si trova ad essere immagine di Dio, ad imitazione della Santa Famiglia di Nazareth, in una specifica realtà sociale e culturale alle soglie del terzo millennio. La nostra società fa pressioni notevoli sull’identità degli individui.

 

L’individuo e la coscienza di una vocazione

Chi sono? Che senso ha la mia vita? Sono soltanto alcune delle domande esistenziali che da sempre l’uomo si pone. Le risposte non possono trovarsi nella razionalità umana, ma soltanto in Dio, scoprendo l’aspetto vocazionale e missionario della vita alla luce della Parola si possono comprendere ed esaudire certi interrogativi. Queste domande profonde sul senso della vita, presenti nell’intimo dell’uomo, vengono oggi troppo spesso soffocate, affinché questo non sperimenti la sofferenza di scoprire di non avere risposte.

Qualora qualcuno riesca ad emergere da questa cultura della distrazione, vengono proposte per ogni interrogativo di senso, delle false verità. Il moderno pensiero dominante così difende, fino a proporlo come un valore sociale, il diritto di ogni individuo non fare scelte definitive e la libertà incondizionata di ciascuno nelle relazioni sociali: emblema di questa sono il divorzio e l’aborto.

La cultura moderna inoltre ostacola l’interazione tra la sfera d’azione privata e quella pubblica, anzi la differenzia sempre più creando norme e falsi valori che non trovano punti d’incontro tra loro. Pertanto sull’altare del potere, del successo, della carriera, viene chiesto di sacrificare gli affetti familiari, l’apertura alla vita, la fede, tutto ciò che compete la sfera privata.

Questa stessa cultura che ostacola un intervento della vita intima dell’individuo nella sfera pubblica, non si fa scrupoli nel proporre come normali modelli di vita che minacciano quotidianamente la stabilità stessa della famiglia. Ne sono chiaramente esempio: l’esigenza produttiva del lavoro domenicale che non permette di santificare il giorno che Dio ha riservato a sé; la “proposta educativa” offerta dalla scuola che prevede solamente la cultura dell’uomo in funzione dell’“avere” tralasciando accuratamente di fornire valori altri; l’azione incontrollabile dei mass media che rovesciano su chi ne usufruisce la loro “sapienza” fatta di soldi facili distribuiti con i quiz, di violenze gratuite in nome della giustizia e dell’informazione.

Dunque ci troviamo in una società che fa pressioni notevoli sull’identità degli individui, che non offre concrete risposte alle domande esistenziali di questi, anzi molto spesso le reprime. La falsa verità offerta rivela il senso della vita nella gratificazione di se stessi e nella soddisfazione di ogni bisogno primario e secondario. Minaccia altresì il progetto di famiglia cristiana quale luogo di vita fraterna evangelica.

Per effetto di questa cultura dominante, in ogni famiglia, anche in quelle cattoliche, troppo spesso si invitano i figli a decidere cosa vorrebbero fare da grandi, riferendosi soltanto alla loro realizzazione professionale, e troppo raramente si parla loro di vocazione quale chiamata di Dio a corrispondere al Suo progetto d’amore.

Dio Padre così come ci ha posti nell’esistenza per amore, per lo stesso amore ha pensato per ogni individuo un disegno per il futuro. La famiglia ha il compito di far prendere coscienza ai propri figli di questo grande sogno d’amore che il Signore ha per ciascuno, così che essi possano essere l’espressione di una parte specifica del Suo pensiero.

Ogni essere umano dunque è chiamato fin dalla sua nascita all’amore quale vocazione implicita nel semplice fatto di esistere. Ben diverso è il progetto di Dio sull’uomo da quello che l’umanità fa su se stessa.

 

Il matrimonio come testimonianza dell’amore di Dio per l’uomo

Questo mistero è grande, lo dico in riferimento a Cristo e alla Chiesa (Ef 5,32). Questo è il fulcro della chiamata di Dio al matrimonio: testimoniare l’amore di Dio per l’uomo. Il Sacramento del matrimonio è espressione ed attuazione dell’amore trinitario di Dio, mistero stupendo, riposto in vasi di creta.

Nella loro povertà creaturale, i coniugi sono chiamati a dar vita a una comunità nella quale Dio, in una Kenosis quotidiana, insegna ai componenti di questa comunità ad entrare nel mistero del Suo amore: accogliere la Sua presenza, orientando così a Lui le occupazioni e le preoccupazioni della vita comune.

Questa comunità, consapevole di essere nata dal soffio creatore di Dio, riconosce la propria povertà: ciascun membro sperimenta quotidianamente le proprie infedeltà, che vanno dalla reciproca disattenzione dei coniugi, alla ribellione dei figli verso i genitori, alle richieste continue dei genitori che inaspriscono i figli in un disperato desiderio di vederli rispondere ai piccoli progetti che hanno su di essi.

Piccoli progetti che spesso fanno distogliere lo sguardo dal grande progetto che Dio, buon padre e tenera madre, ha su ciascuna creatura: Siate santi, perché Io, il Signore, Dio vostro, sono santo (Lv 19,2).

Se gli sposi lasciano entrare nella loro unione il Santo Spirito di Dio, nuovi orizzonti si schiudono: il marito diviene immagine del Cristo che è pronto a morire per la sua sposa; la moglie come vite feconda (Sal 128,3) esprime in ogni suo gesto l’amore proprio di una Chiesa così amata dal suo sposo, Cristo, e può dire con san Paolo l’amore di Cristo ci spinge (2 Cor 5,14). Ogni creatura è chiamata da Dio a vivere la Sua stessa vita in Cristo.

Abbiamo cantato spesso Dio si è fatto come noi, per farci come Lui. Dio si è fatto uomo perché noi fossimo elevati a Lui, partecipi della Sua divinità. Soprattutto in seno alla famiglia ciò assume una particolare concretezza: grande è la sua vocazione, perché la famiglia viva la sua chiamata alla santità come comunità, espressione terrestre dell’amore proprio di Dio, delle tre persone della Santissima Trinità.

La famiglia è chiamata: ad accogliere l’amore di Dio; a far partecipi li questo amore, aprendosi alla vita, il numero di figli che Dio ha pensato per essa; ad essere segno visibile di Dio che è amore per coloro che vivono nella famiglia; ad essere luce per evangelizzare chi vive nelle tenebre, offrendo atrocemente la mancanza di Dio nella propria vita.

Nella famiglia Dio ha inserito una molteplicità di carismi, di doni: innanzitutto l’ha fondata sul sacramento del matrimonio, in virtù del quale “gli sposi sono consacrati per esser ministri di santificazione nella famiglia e di edificazione della Chiesa”[1].

Ad essa offre i mezzi sia di grazia che di apostolato, affinché si apra all’ascolto di Dio. Egli potrà così darle la conoscenza della propria identità: una comunità credente evangelizzata ed evangelizzante[2].

In questi vasi di creta che sono i componenti della famiglia, Dio chiede di essere (presente affinché fiumi di acqua viva sgorghino da essa (Gv 4,14) per dissetare le esistenze secche, aride, senz’acqua, dell’umanità che soffre. Un’umanità schiava del peccato, della lussuria, del consumismo, di tutti quegli idoli senza vita che le impediscono di alzare lo sguardo a Dio, Padre pieno di bontà che non aspetta altro che distribuire amore, pace e vita eterna alle Sue creature. Questo è il matrimonio: testimonianza dell’amore di Dio per l’uomo. Vivendo il matrimonio con la consapevolezza di questa vocazione, gli sposi si adoperano a suscitare la coscienza vocazionale nei propri figli.

 

Il matrimonio e la vita comune: la famiglia come luogo di pastorale vocazionale

La Chiesa, nostra Madre premurosa, esorta a riservare un’attenzione particolare alla dimensione vocazionale nel periodo del fidanzamento. Questo tempo di grazia […] ha un carattere eminentemente vocazionale, per aiutare i giovani fidanzati a interrogarsi sulle motivazioni vere e profonde che li orientano alla scelta matrimoniale, per verificare il cammino che stanno facendo[3].

Potendo avere un discernimento che faccia luce sulla consistenza della loro chiamata, i fidanzati vedono realizzarsi una graduale consapevolezza della propria realtà vocazionale. Il Signore li chiamerà ad essere ministri del loro matrimonio, suoi cooperatori nella trasmissione della vita. È compito degli sposi non soltanto generare, ma anche custodire ed educare i propri figli nel corpo e nell’anima: i tuoi figli come virgulti d’olivo intorno alla tua mensa (Sal 128,3).

I nostri ragazzi hanno un’intelligenza che deve essere coltivata, un cuore che deve essere formato, una volontà che deve essere guidata. I primi educatori e maestri sono i genitori che faranno della propria famiglia una piccola comunità cristiana, come la Santa Famiglia di Nazareth, che viva in umiltà, semplicità e lode a Dio. Tutto sia in comune, ma i genitori hanno il compito di rimanere una guida per i figli, vegliando su di loro, usando attenzione a quale sia il cibo intellettuale e morale di cui essi si nutrono: le letture, i divertimenti, l’uso del tempo…

Gli sposi che consapevolmente vivono il matrimonio come chiamata di Dio a un amore particolare, sono testimoni per i figli di questa specifica vocazione e sono chiamati a promuovere una pastorale vocazionale in essa.

Grati a Dio della consapevolezza della loro chiamata, sono attenti a predisporre i figli, nei momenti più idonei della loro crescita, ad incontri di conoscenza e di confronto con altre forme di vita fraterna evangelica, con chi vive un tempo di preparazione alla concretizzazione di una vocazione, ad un Amore specificamente diverso da quello coniugale: al sacerdozio, alla vita religiosa, alla consacrazione verginale.

 La famiglia predispone così i giovani ad essere aperti e disponibili a vivere senza limiti qualsiasi esperienza di vita comune, nello spirito di un amore fraterno, che è dono di Dio Padre.

 

 

 

 

 

Note

[1] CEI, Evangelizzazione e Sacramento del Matrimonio, Roma 1975, n. 104.

[2] Cfr. CEI, Direttorio di Pastorale familiare, Roma 1993, nn. 138, 139, 141.

[3] Ibidem, n. 45.