N.02
Marzo/Aprile 1999

Per un cammino di autentica e dinamica conversione alla vita

“In questo terzo anno (1999) il senso del ‘cammino verso il Padre’ dovrà spingere tutti ad intraprendere, nell’adesione a Cristo Redentore dell’uomo, un cammino di autentica conversione, che comprende sia un aspetto ‘negativo’ di liberazione dal peccato sia un aspetto ‘positivo’ di scelta del bene, espresso dai valori etici contenuti nella legge naturale, confermata e approfondita dal Vangelo. È questo il contesto adatto per la riscoperta e l’intensa celebrazione del sacramento della penitenza nel suo significato più profondo. L’annuncio della conversione come imprescindibile esigenza dell’amore cristiano è particolarmente importante nella società attuale, in cui spesso sembrano smarriti gli stessi fondamenti di una visione etica della esistenza umana…”.

Questo brano ripreso dalla esortazione del Papa, Tertio Millennio Adveniente, al n. 50, ci introduce nel significato più profondo di questo numero della rivista del CNV. Abbiamo voluto consacrare una prolungata riflessione sul rapporto stretto che intercorre tra coscienza della propria vocazione, della condizione di fragilità e di peccato e la scelta vocazionale per la vita consacrata e il ministero ordinato. Nella presentazione del sussidio di celebrazioni penitenziali vocazionali, in vista della Giornata Mondiale di Preghiera per le Vocazioni, io stesso avevo già avuto modo di collegare i temi con queste osservazioni:

“D’altra parte tra maturazione vocazionale e amore per il sacramento della penitenza esiste un rapporto inscindibile. Potremmo – infatti – immaginare un contesto più personale, profondo e stimolante, per una risposta sempre più radicale alla vocazione all’amore, di quanto non lo sia la consuetudine a riconoscere, con coraggio e trasparenza, le mancanze verso l’amore che accompagnano quotidianamente la nostra vita? E per un giovane la capacità di convivere con la propria fragilità, sapendo che essa può essere superata a partire dal perenne rinnovarsi del dono della Grazia, non è forse la condizione fondamentale per superare ogni paura? Specialmente quelle paure che si annidano nell’infimo di un cuore giovane quando viene chiamato a scelte definitive e radicali come quelle che conducono al sacerdozio e alla vita consacrata…”.

 

Mi alzerò… andrò… gli dirò: Padre!

Sembra proprio uno splendido itinerario vocazionale quello che il Papa indica come cammino necessario verso il Padre, da percorrere in questo 1999 per prepararci al Giubileo del duemila. L’icona della parabola del “figlio prodigo” – meglio forse del “padre misericordioso” – è posta con forza dal Papa al centro sia della TMA, quando parla della preparazione di questo ultimo anno, sia – specialmente – della Enciclica Dives in Misericordia con la quale – a suo tempo – Giovanni Paolo II ci offrì – con la R.H. e la D. V. – uno splendido omaggio alla Trinità Santissima.

E proprio questa icona va ammirata per capire chi siamo noi nei confronti del Padre e chi è il Padre per noi. È la parabola di un continuo ritorno a casa! A questo siamo chiamati ora e principalmente alla fine della vita quando la vocazione dell’uomo si spiega in tutta la sua pienezza laddove veniamo ammessi e chiamati alla visione beata della gloria di Dio e a “goderci per sempre la vita”.

Un ritorno. Perché prima e per tutti c’è un partire, un essere ed uno stare lontani, la constatazione di una vita senza un perché. Ma io sono fatto per vivere con lui, di casa con lui, a partire da questa presenza di lui nella mia vita… La vera libertà non è allora nel liberarmi da lui per fare da solo ma liberarmi da me stesso per decidere di fare tutto per lui, con lui, a partire da lui e per ritornare di continuo a lui.

Prendono le vertigini quando si riesce anche soltanto a percepire un barlume della incredibile profondità, dignità, bellezza dell’uomo pensato amato voluto e chiamato da Dio a far parte della sua stessa vita. E quanta amarezza quando si vede la persona umana accontentarsi di vivere nella “immondizia dei maiali” con ricordi che sono solo nostalgia senza senso e senza ritorno e con la drammatica esperienza di una schiavitù nuova che ci fa dipendere da tutti perché senza lui si finisce per aver bisogno di tutti…

 

Dalla rivelazione della paternità di Dio la consapevolezza della vocazione dell’uomo…

“Cristo che è il nuovo Adamo (…) svela pienamente l’uomo all’uomo e gli fa nota la sua altissima vocazione: egli lo fa proprio rivelando il mistero del padre e del suo amore (…). L’uomo e la sua vocazione suprema si svelano in Cristo mediante la rivelazione del mistero del Padre e del suo amore…”.

Così il Papa nella D.i.M. al n. 1. E proseguiva, poco sotto, al n. 5: “Il patrimonio che quel tale aveva ricevuto dal padre era una risorsa di beni materiali ma più importante di questi beni era la sua dignità di figlio nella casa paterna…”. Ecco perché lo stare lontano è in realtà una scelta di vita “senza vocazione” e invece il “ritorno a casa” è il vero itinerario vocazionale che ci attende tutti. Nello stare di casa e nel ritornare continuamente a casa una vita da chiamati, amati, donati…

 

…e nel ritornare continuamente a casa il senso dell’itinerario vocazionale.

Così il Papa può continuare al n. 6: “Il padre gli manifesta innanzi tutto la gioia che sia stato ritrovato e che sia tornato in vita. Tale gioia indica un bene inviolato: un figlio anche se prodigo non cessa di essere figlio reale di suo padre; essa indica, inoltre, un bene ritrovato, che nel caso del figlio prodigo fu il ritorno alla verità su se stesso…”. La verità su se stesso. Più semplicemente: la sua vocazione.

Un numero – quello che segue – che intende andare in profondità su questa linea ed offrire un contributo al rinnovarsi della prassi sacramentale della Riconciliazione dall’angolatura più vera e gioiosa: l’angolatura di un abbraccio benedicente che non può aver mai fine.