N.02
Marzo/Aprile 2000

L’adorazione eucaristica nella promozione delle vocazioni al ministero ordinato e alla vita consacrata

Presso la sponda del lago di Tiberiade, nell’episodio che il vangelo di Giovanni descrive come la terza manifestazione di Gesù risorto ai suoi discepoli (cfr. Gv 21,1-14), c’è un meraviglioso riferimento all’esperienza di un silenzio contemplativo, carico di gioia: “Nessuno dei discepoli osava domandargli: – Chi sei?, poiché sapevano bene che era il Signore” (Gv 21,21). È il vertice di un cammino in cui si è realizzato il passaggio dalle tenebre di una notte inconcludente (cfr. Gv 21,3) all’alba della presenza del Risorto (cfr. Gv 21,4).

 

È il Signore!

Nella nuova luce che avvolge i discepoli, si accolgono doni preziosissimi. C’è una parola carica di amore e di speranza, che, accolta con fiducia, provoca un’abbondanza inaspettata di grossi pesci, simbolo di una vita che si ritrova nella sua pienezza. C’è soprattutto il riconoscimento del Signore, verso il quale ci si dirige con decisione entusiasta. Ora si è “con Lui”, nella gioia di essersi ritrovati come suoi discepoli e come comunità riunita dall’amore già sperimentato nel cenacolo: si allude ai gesti del dono dell’Eucaristia, “prese il pane e lo diede loro” (Gv 21,13). Dopo questa “sosta contemplativa”, segue nel brano evangelico la comunicazione dell’amore del Risorto a Pietro. Egli è l’apostolo che ha trascinato la rete sulla riva, ed ora deve prendere coscienza della propria missione nella responsabilità pastorale verso gli “agnelli” e le “pecorelle” che gli sono affidate dal buon Pastore. Così la barca, simbolo della Chiesa, potrà ritornare sul lago, carica di persone rinnovate, per una missione da compiere con l’energia nuova che viene dall’incontro con il Signore.

Il riferimento a quest’esperienza evangelica ci può aiutare a comprendere alcuni aspetti del valore dell’adorazione eucaristica nella promozione delle vocazioni al ministero ordinato e alla vita consacrata. Pregando “per le vocazioni”, non ci si limita soltanto ad invocare il dono di numerose persone che siano testimoni autentici della presenza di Dio e pastori fedeli nella comunità cristiana. È necessario creare “luoghi” di preghiera, cioè modi validi e tempi significativi di incontro e di dialogo con Dio, che divengano “luoghi” di formazione alla risposta vocazionale. 

Anche l’adorazione eucaristica, non limitata all’iniziativa isolata di una pratica organizzata in un momento particolare, favorisce tempi significativi di soste contemplative che conducono al fondamento della propria vita: il dono di amore del Signore presente nel cuore della propria esistenza. La risposta alla gioia di quest’incontro vitale diventa concreta nell’impegno di vocazione che ci rende partecipi dell’amore con cui il Signore ha donato la sua vita.

Il discepolo, che si è incontrato con Gesù, è stato a mensa con lui e lo ha contemplato, sarà in grado di tendere le mani (cfr. Gv 21,18) come il Maestro, che nel corso della sua vita le ha tese ai fratelli accostandosi ad ogni forma di povertà, e sulla croce le ha tese in un gesto di dono portato “sino alla fine” (Gv 13,1).

 

La presenza del Risorto nel segno sacramentale

Due realtà fondamentali possiamo cogliere come ispirazione dell’itinerario vocazionale sostenuto dall’adorazione eucaristica. La prima è la presenza stessa del Risorto. I vangeli notano accuratamente che la manifestazione misteriosa di Gesù è sempre accompagnata da una ripresa vitale che tocca le fibre più profonde del cuore dei discepoli: “Gioirono al vedere il Signore” (Gv 20,20); “Non ci ardeva forse il cuore nel petto mentre conversava con noi?” (Lc 24,32). Così nell’adorazione si sta davanti all’Eucaristia nella consapevolezza di gustare la stessa presenza “dinamica” del Signore risorto, che ci comunica costantemente l’energia della vita nuova e la gioia della vocazione da vivere nella Chiesa.

L’altra realtà fondamentale è il segno sacramentale del pane, con cui la presenza del Signore ci è donata. Quando sostiamo in adorazione davanti all’Eucaristia, il pane consacrato ci ricorda che lì una comunità si è riunita per celebrare la Pasqua del Signore e ci ha lasciato il “segno”: la stessa presenza sacramentale di Cristo. Questo cibo è conservato dopo la messa “per estendere la grazia del sacrificio”[1], cioè per permettere a coloro che non hanno potuto partecipare alla celebrazione liturgica con la comunità – agli ammalati in primo luogo – di unirsi in comunione sacramentale con il Signore, se lo desiderano, e per dare a tutti la possibilità di approfondire nella contemplazione quanto hanno accolto e vissuto nella celebrazione stessa.

Davanti a questo pane continuiamo a riconoscere “il Signore”, facendo nostro, nella contemplazione silenziosa, il grido dei discepoli, i quali si orientano con gioia verso di lui, come ritornando alla sorgente della vita personale e della vita della Chiesa: “Il suo riconoscimento non ha una forma qualunque, ma suona appunto così: è il Signore. È il riconoscimento di un volto noto, di una storia ben nota e amata come perdurante qui e adesso… Il Signore significa per la comunità cristiana primitiva colui che, vivente, sta continuamente al centro di essa e la fa vivere”[2]. Questo nome, pronunciato con fede davanti al segno del pane, presenza del Signore che si dona, impegna al riconoscimento pratico di Gesù, nella condivisione della sua stessa vita, delle sue scelte di amore, cioè di un’esistenza guidata dal suo stesso Spirito.

Contemplando il Cristo, con cui siamo entrati in comunione, partecipiamo del suo sguardo universale di redenzione (per voi e per tutti) e sentiamo impresse nella nostra esistenza la responsabilità del dono ricevuto e la spinta ad essere testimoni di ciò che si è celebrato alla mensa eucaristica. 

Il segno del pane, ancora, ci rende evidente l’invito essenziale dell’Eucaristia, l’invito alla partecipazione conviviale: “Prendete e mangiate… bevetene tutti”. La prima risposta è necessariamente la comunione nella celebrazione liturgica, che non può limitarsi ad un fatto sbrigativo di una ritualità superficiale. Si entra in vera comunione con il Signore quando ci si lascia attrarre dal suo Spirito. Venendo a contatto con questa sorgente “che dà la vita” (Gv 6,63), ci si rende disponibili al cammino nuovo che lo stesso Spirito suscita e sostiene. È una comunione spirituale, dunque, che ci coinvolge profondamente, saziando la nostra fame di vita autentica e suscitando la gioia delle grandi scelte evangeliche che emergono da una coscienza chiaramente illuminata dallo Spirito di Dio.

Passando dalla celebrazione eucaristica all’adorazione, dal momento culminante all’approfondimento contemplativo, è soprattutto questa esperienza della comunione spirituale ciò che meglio ci aiuta a comprendere il senso della preghiera davanti all’Eucaristia. Dopo aver preso parte alla mensa del Signore nella celebrazione liturgica, in risposta al suo invito, riviviamo quel dono nella preghiera di adorazione, come in una comunione spirituale prolungata nel clima della contemplazione. Ne scaturisce una vita spirituale, cioè un’esistenza concreta animata dallo Spirito, che si modella sul dono di vita di Gesù. Il collegamento con l’azione liturgica, in particolare con lo spirito della comunione, è uno degli aspetti più interessanti messi in risalto dalle note introduttive all’adorazione eucaristica nel Rito della comunione fuori della Messa e culto eucaristico, per la riscoperta del suo valore essenziale: “Quando i fedeli adorano il Cristo presente nel sacramento, si ricordino che questa presenza deriva dal sacrificio e tende alla comunione sacramentale e spirituale insieme” (n. 88). “Ricordino i fedeli che con questa orazione dinanzi a Cristo Signore presente nel sacramento, essi prolungano l’intima unione raggiunta con lui nella comunione e rinnovano quell’alleanza che li spinge a esprimere nella vita ciò che nella celebrazione dell’Eucaristia hanno ricevuto con la fede e il sacramento” (n. 89).

Dalla preghiera vissuta in questo spirito, nasce una vita corrispondente al Dono contemplato. Il culto eucaristico non si conclude nei riti o nei momenti trascorsi in chiesa. Deve ispirare nella pratica l’esistenza cristiana, che, secondo un’altra espressione del numero appena citato, è trasformata in un continuo atto di lode a Dio: “[I fedeli] procurino, sostenuti dalla forza del cibo celeste, di trascorrere tutta la loro vita in rendimento di grazie” (ib.). L’impronta “eucaristica” donata all’esistenza quotidiana è lo spirito di gratuità e di dono con cui si partecipa alla carità di Cristo che vive in noi.

 

L’anima di un cammino vocazionale

Sono evidenti i risvolti vocazionali di questa preghiera, che può diventare un elemento prezioso del clima formativo per il discernimento della scelta della vita consacrata e del ministero ordinato. L’attenzione alla presenza del Signore, manifestata nel segno “povero” del pane, suscita e sazia continuamente la fame di Dio, il desiderio profondo da cui è sempre rigenerata la nostra vita. Ogni uomo di buona volontà, di fronte ai motivi di tristezza o di paura da cui si vede minacciato, desidera una luce di speranza che lo liberi da questa schiavitù oppressiva. Lo sguardo contemplativo sul “pane della vita” conduce ad accogliere lo sguardo di Dio che penetra come luce di grazia in tutte le realtà della storia personale: è uno sguardo di amore che redime e dà senso nuovo anche a ciò che si è sperimentato come momento negativo, e sempre apre un cammino di speranza e di crescita secondo un disegno che va molto al di là delle vedute umane. Chi, sostando in adorazione, si nutre del Dono di Dio, sorgente di gratuità e di vera pace, continua ad accoglierlo anche per gli altri, e scopre la bellezza di dedicare la propria vita a “contagiare” i fratelli, perché anch’essi, stanchi come i discepoli sul lago nella notte infruttuosa, giungano a riconoscere la luce del Risorto che li rianima.

La parola di Dio, “ricordata” nella contemplazione eucaristica in dialogo con la Parola vivente che è Gesù, non è solo un libro da sfogliare, da conoscere e da meditare. Assume la vitalità di una parola creatrice: fa ricordare il dialogo di alleanza con Dio, vissuto nella celebrazione eucaristica, e la parola che nella potenza dello Spirito santo ha trasformato il pane e il vino nel dono della presenza del Signore. È dunque una parola che nel tempo dell’adorazione continua a risuonare sempre nuova, come ne hanno fatto l’esperienza i due discepoli sulla strada di Emmaus, ripensando la Scrittura alla presenza del Viandante misterioso: “Non ci ardeva forse il cuore nel petto mentre conversava con noi lungo il cammino, quando ci spiegava le Scritture?” (Lc 24,32). Questo è anche l’esclamazione di meraviglia che “scalda il cuore” di chi, in dialogo con lo stesso Risorto nella contemplazione eucaristica, riconosce di essere chiamato nella Chiesa a portare il lieto annuncio ai fratelli e a camminare con loro sulla via della fede.

Il segno sacramentale con cui è manifestata la presenza del Signore anche dopo la celebrazione eucaristica – nel tabernacolo o nell’esposizione – continua ad essere, per colui che sosta in preghiera, il richiamo efficace che sintetizza tutta la vita di Gesù: è il segno del dono di se stesso, condotto “sino alla fine” (Gv 13,1), rivelato nel pane della fraternità e nel calice della condivisione. Il “vedere” questo segno nella contemplazione eucaristica aiuta a focalizzare la vocazione di chi si sente chiamato a seguire il Signore nello stesso stile di vita e a condurre i fratelli all’incontro con Gesù-Servo, amandoli con la forza stessa della sua “carità pastorale”.

L’unico pane, che è spezzato alla cena del Signore continua ad essere il centro della vita della Chiesa. La contemplazione eucaristica, davanti allo stesso pane, è un’invocazione costante e una continua accoglienza del dono dello Spirito che unisce i fedeli come membra di uno stesso corpo. Da questa contemplazione prende vigore la missione di chi è chiamato nella Chiesa ad essere pastore di un gregge che appartiene al Signore e che ha la missione di essere segno di unità nel mondo. E così via… Tutti gli aspetti della vocazione al ministero ordinato e alla vita consacrata possono essere compresi e focalizzati nel loro vigore più significativo alla luce dell’esperienza che è favorita dall’adorazione eucaristica. Certamente, non ci si può limitare ad organizzare una pratica solo nell’occasione sporadica di un incontro di preghiera per le vocazioni. Si tratta di promuovere “una mentalità contemplativa”, che accompagna la costruzione della propria vita centrata sull’incontro di fede con la persona di Gesù. “Sapevano bene che era il Signore” (Gv 21,21): la gioia per la riscoperta della presenza del Risorto si identifica con la gioia della consapevolezza della vita e della missione da condividere con lui.

 

 

 

Note

[1] Sacra Congregazione dei Riti, Eucharisticum Mysterium, 25.05.1967, n. 3.

[2] È il Signore! Programma pastorale 1999-2000 della Diocesi di Bergamo, p. 67.