N.03
Maggio/Giugno 2000

L’età della fedeltà e della fecondità: guida spirituale e vocazionale nella maturità

Trattare del tema dell’Età della fedeltà e della fecondità, della guida spirituale nell’età della maturità è parlare non tanto dei giovani, dei ragazzi o degli adolescenti, non della terza età, ma dell’età di mezzo, dell’età degli adulti. Questo tema implica in prima persona gli educatori/genitori in una delle varie collocazioni, da prendere con elasticità: come giovani adulti (anni 28-30-35); come adulti adulti (anni 35-45-50); come adulti anziani (anni 50-60-65). Si tratta dell’età della seconda chiamata o meglio delle ulteriori chiamate.

 

 

 

LA GUIDA SPIRITUALE VOCAZIONALE NELLA MATURITÀ

COME UNA NECESSITÀ

 

Per poter parlare di direzione spirituale e vocazionale nella maturità occorre anzitutto precisarne la specificità e i limiti. Per maturità che cosa si intende? 

 

Tratti dell’età adulta o matura

Sono tratti o indici che vanno presi con flessibilità nel loro insieme e con equilibrio entro il tutto sistemico della persona. Questa fase della vita è caratterizzata dai seguenti tratti (l’assunzione in proprio delle responsabilità nei settori chiave di ogni vita) il settore professionale, il settore affettivo e sociale, il settore del senso ultimo e immediato di sé e delle varie realtà; il saper affrontare costruttivamente le difficoltà dell’esistenza; il realismo e la sensibilità dinanzi alle vicende umane e alle persone con una equilibrata presa di posizione, cioè con la capacità effettiva di farsi vicini e distinti all’altro, non sovrapposti, né troppo distanziati come difesa previa; l’autonomia nelle scelte e nell’impegno originato da motivazioni prevalentemente rette e vere; l’essere in grado di dare e ricevere gioia nelle relazioni umane; la stabilità e la tenuta nel tempo, quanto a valore e a fedeltà creatrice, che rendono la persona affidabile e costruttiva. Ora attuare la direzione spirituale e vocazionale nella maturità costituisce un compito tanto necessario quanto non scontato. Infatti, rispetto alle fasi di vita precedenti, ci sono ora continuità e discontinuità.

Continuità

C’è continuità perché ciò che si era a lungo preparato precedentemente, cioè la vita spirituale e la scelta vocazionale definitiva, senza ritorno, del disegno di Dio sulla propria vita, ora chiede di incarnarsi, di potersi dispiegare a pieno. È questa la fase della realizzazione vocazionale nei diversi settori, dell’attuazione della propria missione nella vita, in continuità con le scelte fatte. È questa l’età in cui fiorire e portare i frutti di vita attesi, conformemente alla propria vocazione, nel matrimonio come vocazione o nella vita consacrata nelle sue varie forme.

Discontinuità

C’è discontinuità perché ora sono presenti elementi nuovi. Infatti si esercita la propria responsabilità in prima persona nei settori chiave della vita suaccennati. Si sono interiorizzati a sufficienza i valori guida scelti così da operare ora scelte conformi e caratterizzanti. Si è più autonomi nei vari settori del tempo, dell’uso del denaro, delle proprie energie. Si è chiamati a collaborare con lealtà e generosità. Si è più creativi e progettuali in risposta alle domande della realtà e delle persone.

 

Necessità di una guida spirituale e vocazionale efficace

In questa fase di continuità e discontinuità rispetto a prima, la guida spirituale cambia in parte volto e funzione. Ora si fa meno frequente nel tempo. Verte non tanto sulle scelte di vita personali già fatte, quanto sui criteri guida delle proprie scelte operative, sulla qualità e genuinità delle motivazioni all’agire, sulla lettura spirituale e sapienziale della realtà su cui si opera, sul discernimento dei movimenti interiori che guidano così da concretizzare una vita secondo lo Spirito, da essere effettivamente testimoni luminosi di un altro avvenire, quello del Regno. Ora occorre decifrare la volontà di Dio per il presente, quello proprio e quello delle persone o comunità da servire. È la prova di realtà che va spesso fatta tra ciò che si intende e progetta e la realtà effettiva delle cose, istituzioni e persone. Ora alcuni compiti attendono la persona: occorre attuare un impatto realistico e fiducioso con il reale, quello della vita propria e altrui, e quello delle istituzioni. Per attuare questo obiettivo occorre sia imparare dalle esperienze riuscite sia saper più volte “rifare il patto” con la propria vita propria, dopo ogni fatica e scacco; occorre seminare la Parola, coltivare e raccogliere a suo tempo frutti di vita come collaboratori saggi della grazia primaria di Dio; occorre costruire comunione e collaborazione nel contesto in cui si vive, nella famiglia o nella comunità; occorre alternare evangelizzazione e promozione umana, formazione e azione di risveglio, conformemente alle istanze delle persone incontrate.

Non è facile delimitare cronologicamente l’età adulta. Come tentativo, questa età dell’adulto può essere vista entro due fasi flessibili: i 28-30/40-45 anni come età di assunzione delle responsabilità della vita e di realizzazione vocazionale; i 45-60-65 anni come età della seconda chiamata, di una ripartenza più umile realistica e fiduciosa. Può fare da utile icona l’incontro di Pietro con Gesù attorno al lago di Genezareth dopo la Pasqua con l’invito di Gesù: “Che importa se lui non morirà? Tu seguimi”. È richiesta nuovamente la sequela, la stessa degli inizi, ma ora ben più radicata nella storia propria e della comunità.

 

 

 

LA GUIDA SPIRITUALE VOCAZIONALE NELLA MATURITÀ

COME UN PROBLEMA

 

Ma attuare una guida spirituale efficace nell’età adulta non è facile né immediato. Resistenze di varia natura si frappongono e rendono laboriosa la sua attuazione.

 

Le resistenze nella persona adulta

Le immagini riduttive o distorte della Direzione Spirituale; la presunzione di autosufficienza totale, il “fai da te” senza confronto; le dipendenze affettive perduranti da persone e da istituzioni, a volte mascherate di obbedienza; le attese indebite nei confronti della D. Sp. come ricettario risolutivo.

 

Le resistenze nella Guida Spirituale

La tendenza alla dominazione sulle persone, al dirigismo delle coscienze, in modo manifesto o camuffato; l’abdicazione ad un compito ministeriale costitutivo dell’adulto nella fede, in tutto o in parte; l’impreparazione all’accompagnamento spirituale e vocazionale; il discorsismo e l’intellettualismo nell’approccio ai problemi.

 

I conflitti ricorrenti negli adulti

Nell’età della maturità ci sono alcuni conflitti ricorrenti che comportano una crisi da affrontare, riferiti alle seguenti aree circa il valore di sé: quanto valgo per davvero, se mi sperimento spesso fallito, dato le non riuscite e gli scacchi subiti… sono davvero al mio giusto posto oppure le difficoltà incontrate mi dicono che ho sbagliato strada?… Sono fecondo per davvero, generativo, ho una posterità, una paternità/maternità o sono sterile o sterilizzato dalla vita con le sue incomprensioni?… Quanto conta lo sforzo fatto per riuscire se di fatto cambia così poco delle persone e delle istituzioni?… A che serve impegnarsi a fondo se costa così tanto e i risultati sono così poveri?… Mi basta questa persona o comunità che amo, cui mi sono legato o sono necessari altri amori più gratificanti, prima che sia troppo tardi e io sia sfiorito?

Parlare di guida spirituale dell’età della fedeltà e della fecondità non è facile, né agevole. Attualmente si vive per vari aspetti un tempo di passaggio da uno stile di vita pellegrinaggio ad uno stile vagabondaggio, dalla fedeltà fiume che scorre, talora tortuoso, alla serie di pozzanghere. La stagione culturale attuale tende ad essere aliena dalla fedeltà e dalla maturità come realtà di valore. In vari ambienti si parla della fedeltà come di una virtù svalutata, da retrobottega, di una virtù magagnata, obsoleta. Di fatto le crisi della fedeltà sono all’ordine del giorno. Alcune crisi sono chiare, evidenti, con il conseguente cambio delle scelte fondanti; altre sono crisi da dentro per svuotamento, conformi di un tirare a campare alla meno peggio, restando sul posto. Emergono allora problemi centrali per la fedeltà: può essere per insufficiente interiorizzazione dei valori durante la formazione, per mancanza di un centro interno capace di coagulare, di unificare per davvero le varie realtà della persona in un’identità coerente, in una persona consistente; oppure può essere per l’emergere di un agglomerato di sensazioni, di emozioni, di un immaginario sostitutivo della realtà che si è venuto costituendo in un sé prevalentemente apparente, di fatto falso sé. Si è passati o si sta passando da una fedeltà da ambienti dal sacro recinto, dal sacro olezzo, a quella all’aria aperta, più spesso dall’aria inquinata. Perciò non è facile precisare questa età della fedeltà, della fecondità e della maturità. Sono vari i criteri di valutazione, a seconda della concezione della persona che fa da guida. Di qui un serio problema pedagogico-pastorale: come si caratterizza la maturità spirituale e vocazionale? Come saper attuare una G.S. efficace nell’età matura? Quali sono i compiti di crescita spirituale e vocazionale propri di questa età? Che cosa la aiuta? E che cosa la frena? Quali sono le tentazioni, le trappole ricorrenti nell’attuare un’adeguata G.S. nell’età della maturità? Come G.S. quali attenzioni avere per favorire una G.S. efficace? La riflessione teologica e antropologica su questa età non è molto estesa. Sono frequenti esortazioni varie o un lasciar perdere. In questo contesto si precisano alcuni punti di riferimento. Di fatto la necessità della D.Sp. continua come continuano le chiamate anche “nella vocazione” che occorre saper discernere.

 

 

GUIDARE A VIVERE DA ADULTI NELLA FEDE

COME GUIDA SPIRITUALE

 

Ciò che caratterizza la G.S. e vocazionale nella maturità sono alcuni obiettivi da perseguire e alcuni atteggiamenti da maturare. In particolare emergono: la fedeltà creativa e la fecondità spirituale, la capacità di saper discernere genuinamente. Questi sono tra loro strettamente collegati. Per un verso, nella loro radice, sono un dono di Dio, sua iniziativa gratuita. Per un altro, come per ogni suo dono, è necessaria una fattiva collaborazione umana. Occorre che la persona vi si impegni e venga aiutata a farlo dalla Guida spirituale.

 

La fedeltà creativa e la fatica della fedeltà

Questa fedeltà è esigita anzitutto dalla qualità dell’amore che la suscita, la nutre e la fonda. Ne è un frutto e una concausa ad un tempo. È esigita poi dal bene delle persone destinatarie dell’impegno d’amore. Occorre che esse vi possano trovare un fondamento solido, duraturo, indefettibile, orientante. È richiesta dal sacramento e dalla promessa che la fondano: il matrimonio, l’ordine sacro, i voti. Dio vi si impegna con fedeltà indefettibile e sollecita una fedeltà reciproca da parte della persona impegnata. Essere fedeli perciò costituisce una necessità per la concretizzazione delle scelte fondanti la propria vita.

 

La fedeltà come un compito da rinnovare

Il compito di essere fedeli oggi si concretizza entro una serie di difficoltà da tener presenti.

Essere fedele oggi come un impegno qualificante

Nei riguardi della fedeltà ci troviamo di fronte ad un fatto ambivalente. Da un lato essere fedeli agli impegni assunti è sentito, e lo è sempre stato, come un valore per la persona che vi si impegna. Fa parte della espressione della sua serietà e affidabilità. La rende credibile e di valore. Questa fedeltà si esprime in vario modo e in diverso grado. Va dagli impegni temporanei fino agli impegni senza ritorno, definitivi, presi con le scelte proprie dello stato di vita, il matrimonio sacramento e la vita consacrata.

 

Essere fedeli oggi come un serio problema educativo pastorale

Però dall’altro lato la fedeltà non sembra essere la virtù del nostro tempo in cui tutto è coinvolto in un turbinio di cambiamento. Infatti essere fedeli oggi non è facile, né spontaneo. Difficoltà ci sono state in ogni tempo, ma recentemente esse si sono moltiplicate. Ciò rende le scelte esposte e problematiche, a volte fragili. Le cause sono molteplici e di varia natura. Ne ricordiamo alcune. 

Sul versante della persona impegnata troviamo il prolungamento dei tempi di maturazione per la persona; la complessità delle provocazioni opposte martellanti; la conseguente richiesta di una continua adattabilità; una maggior esposizione all’insicurezza personale e sociale; un accentuato soggettivismo; un’enfasi sul presente e sullo spontaneo; un’enfasi sulla realizzazione personale immediata; il rifiuto di considerare mete più lontane, accontentandosi di un piccolo cabotaggio; la realtà dell’impegno preso scoperto sempre più con ritardo. 

Sul versante educativo troviamo un generale impoverimento dei modelli per le nuove generazioni, forme di mediocrità mediocri e spesso ambigue che costituiscono altrettante controtestimonianze. La stessa comunione di comunità fatica molto ad essere un ambiente di sostegno efficace. 

Il versante culturale si caratterizza per il desiderio di cambiamento e per il progetto di liberazione. Desiderio e progetto poggiano sulla persuasione che l’uomo non saprebbe essere mai prigioniero di un passato dalle opzioni definitive e irreformabili. Un elemento caratteristico della modernità, continuato anche nel postmoderno, è l’ambito della vita umana considerato prima come dominato dal destino. Ora è percepito come occasione di scelta per l’individuo, per la collettività, per entrambi.

Di fronte a queste immagini ci si chiede: qual è il vero volto della fedeltà? E quali le sue contraffazioni? Che cosa fare per divenire genuinamente fedeli? Occorre riscoprire il vero volto della fedeltà, oltre certe contraffazioni.

 

Le immagini carenti della fedeltà

A questo ridursi dei supporti sociologici e culturali della fedeltà va aggiunto il peso costituito da alcune immagini di fedeltà sotto accusa e sospette di fissismo e di passivismo alienante. Alcune si presentano come certi alberi cresciuti sformati e stentati cui è successo uno strappo del fusto in fase di crescita. È cresciuto solo un ramo laterale. Resta ancora ciliegio o castagno, ma rattrappito. Le principali immagini sono le seguenti.

 

La fedeltà come sottomissione ad un destino autoimposto una volta per sempre

Si tratta di un atteggiamento di subimento di una sorte dura, di una sottomissione ad un unico tempo della vita. Contrariamente a questa concezione, la modernizzazione comporta una moltiplicazione delle scelte. Le cose possono essere altre rispetto a come sono state fino ad ora. La tradizione non è più costringente. Lo status quo può essere mutato. Il futuro è un orizzonte aperto, almeno potenzialmente. Da una sottomissione ad un destino autoimposto l’uomo moderno passa alla volontà di esercitare delle scelte libere. Questa mutazione comporta un deprezzamento della fedeltà intesa come sottomissione ad un unico tempo della vita. Il valore della vita è posto spontaneamente dal lato del cambiamento e della mobilità.

 

La fedeltà vissuta come conservazione del passato, come stagnazione

Si tratta di non perdere niente, di conservare tutto come allora. Questa inerzia, quasi minerale, può provenire da varie cause, ad es. la mancanza di vitalità, la paura davanti ad ogni prospettiva di cambio, la pigrizia che preferisce non esporsi ai rischi di un pensiero libero e di una decisione personale. L’abitudine genera allora sclerosi e l’istallazione si immagina come virtuosa. La pretesa fedeltà di tipo regressivo cerca troppo esclusivamente le sue norme nel passato e dimentica gli aspetti esigenti della crescita. Si tratta di una fedeltà come propensione all’intestardimento. Si tratta di una forma di orgoglio che si rifiuta di mettersi in discussione, revisionando le proprie posizioni, oppure di un partito preso suicida alla cieca che si precipita fino alle conseguenze più assurde. A volte queste fedeltà divengono catastrofiche, tese al punto di provocare uno squilibrio psichico più o meno distruttore. C’è sotto un’alta dose di risentimento contro ignoti, realizzato per interposta persona. Diversamente l’uomo vero come pure l’umanità presa nel suo insieme, sono indissociabilmente eredità e progresso. Sono tensione irriducibile tra un passato, in cui si radicano, e un avvenire lungo il quale essi divengono ciò che sono. La fedeltà non può definirsi tramite la sola conservazione del passato. Una fedeltà semplicemente ripetitiva si contrappone al dinamismo della vita. Non basta alla vera fedeltà di appoggiarsi al formalismo di un impegno contrattuale sottoscritto un dato tempo. Il presente e l’avvenire obbligano più realmente del passato.

 

La fedeltà come adattamento a qualcosa imposto dall’esterno

Si tratta di una fedeltà percepita come un imperativo categorico venuto dall’esterno. Essa viene allora opposta alla vita che è anche evoluzione da dentro e cambio. Questa immagine della fedeltà viene da una morale dell’eteronomia. Questa non fa spazio alle esigenze della libertà e della coscienza in evoluzione. Di fatto si può essere esteriormente conformi ad una legge o ad un costume imposti senza verificare le condizioni di un’autentica fedeltà dotata di valore morale. Regolarità esteriore non è dunque necessariamente fedeltà vivente. La conformità legalista può lasciare fuori gioco l’esercizio presente della coscienza morale da cui non si è mai dispensati di fronte a qualunque legge.

 

La fedeltà come esecuzione di un ideale fine a se stesso

Si tratta di un’eteronomia morale in rapporto al super-io, di un’istanza oscura formatasi per identificazione inconscia ad un essere da cui un tempo si è dipeso strenuamente. Anziché svolgere la funzione di lievito e di orientamento, l’ideale diviene allora l’unica realtà. Si assiste allora a forme di idealismo facilmente dogmatico, alienante rispetto alla realtà effettiva. La fedeltà cede allora il posto alla rigidità in una delle varie forme possibili.

 

Una fedeltà come rassegnazione, come intristimento

C’è una forma di fedeltà triste che viene vissuta come semplice rassegnazione o subimento. Certe vite religiose, come certe vite coniugali, si mantengono, costi quel che costi, per salvare le apparenze sociali e per una specie di stanchezza. Questa porta a dirsi che, dopo tutto, è meno complicato conservare le proprie abitudini e restare là dove ci si trova, anche se il cuore non è più là da tempo.

 

Genesi delle alterazioni della fedeltà

Queste varie immagini di fedeltà deformanti sorgono per enfatizzazione di un suo aspetto a scapito degli altri. Per sé è un aspetto vero, ma esagerato e alterante. Rendono la fedeltà poco testimoniante, quasi fuori moda. Pongono un problema per ogni persona. Che cosa intendere per fedeltà genuina? Che cosa vuol dire restare autenticamente fedeli oggi? Che cosa aiuta la fedeltà? Che cosa la frena? Quale strada percorrere per essere e divenire sempre più fedeli? L’essere fedeli in modo genuino costituisce il termometro dell’autenticità del cammino spirituale e vocazionale. È frutto di tutto l’insieme del cammino spirituale. Ne costituisce un suo contrassegno. Interessa un po’ tutti gli aspetti della propria vita. Per poter essere autenticamente fedeli occorre tener conto di alcune condizioni imprescindibili.

 

Le istanze per una fedeltà genuina oggi

In vista di una fedeltà genuina oggi è necessario viverla secondo alcune condizioni qualificanti. Le principali sono le seguenti.

 

L’uomo fedele guarda in avanti ed è fecondo

Con una formula semplice si potrebbe dire: non si resta fedeli, lo si diviene nel quotidiano. La fedeltà è meno fatta per essere conservata che per essere continuamente inventata. Come l’io cerca di vivere, così la fedeltà ha un avvenire. È tramite un atto continuo di impegno che l’io si avvicina alla sua vera identità, dall’io attuale all’io ideale, e non attraverso una linea uniforme di permanenza povera e immobile. Molto spesso l’assenza totale di crisi e di novità non significa coerenza dell’io, ma deperimento. La paura non è la fedeltà, anche se la si battezza prudenza. Non è rifiutando il rischio di domani che l’uomo può riconoscersi e salvaguardare la sua identità. È piuttosto in uno slancio pieno di speranza teso verso l’avvenire che esso raccoglie le sue forze e riconosce ciò che è o che vuole. Il mio avvenire non sarebbe mio se si offrisse semplicemente alla mia visione e al mio desiderio come una riconduzione piatta del passato. L’uomo fedele assume i cambiamenti lungo i quali resta se stesso tramite la mediazione di questi cambi. L’identità dell’essere vivente comporta alcuni tratti inconfondibili: la crescita e la modificazione. Il seme è fedele a se stesso divenendo pianta. Nessun nostro istante, passato o presente, può pretendere di contenere tutto quello che noi siamo in profondità. La fedeltà vivente sa integrare certe rotture e separazioni dolorose. Ogni vera crescita si effettua a prezzo anche di rotture, di negazioni, di rinunce lungo la linea di vita e affettiva preferenziale che dà continuità e sviluppo. Rifiutando ogni rottura in nome di una certa maniera di concepire e di valorizzare l’adattamento all’ambiente e alle sue solidarietà, si rischia di essere infedeli di fatto. Al contrario esiste un disadattamento che segnala una forza e una vitalità vere, delle rotture con l’ambiente che attestano una fedeltà più profonda. Questo fatto riguarda un problema delicato e complesso da ponderare, quello degli sganciamenti liberatori e legittimi. Non si ha mai finito di essere fedeli come viventi. Come la fede, cui l’etimologia la apparenta strettamente, la fedeltà è sempre anche un inizio e un reinizio. Mai possesso sonnolento, essa si tiene sveglia e si afferma di più nell’attesa e nel ricominciamento che nel ricordo. Il suo riferimento regolatore si trova più in avanti che indietro della corrente creatrice dove essa iscrive il suo movimento. Se fa memoria di un evento fondatore, è per assicurare meglio la sua speranza e motivare un nuovo impegno per l’avvenire. Poiché essa viene vissuta ad un tempo come uno slancio interiore originale e come una risposta suscitata da un appello, venuto da fuori, la fedeltà autentica si rivelerà feconda. Il passato impegna, ma impegna ad avanzare e a creare.

 

L’uomo fedele diviene se stesso in pienezza e nell’autotrascendenza

La fedeltà è strettissimamente legata al tipo di identità della persona che la vive. Essa progredisce non per abbandoni o rinnegamenti, ma tramite l’integrazione dei momenti del divenire. Rifiutando l’immobilità, la ripetizione ed il letargo, essa cammina e va in avanti, ma secondo un asse che non varia, anche se conosce delle tappe sorprendenti e se si piega in sinuosità imprevedibili. Questo asse è costituito dalla progressiva attuazione della verità di sé, di ciò che costituisce la persona in profondità, dell’immagine e somiglianza a Dio costitutiva come creature salvate e inviate. Se la fedeltà sposa una storia e conosce un dispiegamento, se essa resta sempre aperta alla possibilità ed agli imprevedibili rinnovamenti, essa obbedisce tuttavia ad una coerenza interna. Le sue tappe, i suoi meandri e i suoi stessi apparenti ritorni indietro restano sostenuti e orientati dal vettore del progetto fondamentale dell’esistenza personale. Questo progetto fondamentale chiede di essere approfondito, riattivato, precisato, senza confondere la sua chiamata con le nostre emozioni sensibili e i miraggi passeggeri. Molto più che dal pullulamento dei bisogni successivi, l’essere umano si caratterizza e si definisce dalla singolarità di un desiderio profondo senza limiti. È lui che unifica la sua traiettoria. Data la contrazione dei supporti sociologici la fedeltà vera è sempre più frutto di maturazione personale. È questo un aspetto nodale della formazione oggi. Ma quale orizzonte di crescita fa da guida per la concreta persona? L’asse dell’autosoddisfazione o l’asse dell’autotrascendenza?

 

La persona fedele è fedele a qualcuno, ad una persona

Stampato nel cuore dell’uomo in divenire, il desiderio fondamentale di ogni persona ha un nome: è il compimento di sé in una relazione di reciprocità, è l’attuazione di una comunione d’amore. A volte prendere coscienza e realizzare questo cammino è difficile per l’egoismo, la violenza, l’illusione fusionale presenti. Tuttavia la dimensione relazionale è fondamentale e imprescindibile per vivere da persona fedele. L’io si coniuga e si iscrive in un “noi”. Allora, fedeli a chi? a delle idee, a delle promesse… o a qualcuno? Per una fedeltà genuina è riduttivo e rischioso parlare di fedeltà ad una causa, a delle promesse, ad una dottrina, ad una linea di condotta. Questa fedeltà a delle astrazioni impersonali rischia di condurre alle malformazioni della fedeltà ricordate all’inizio. L’esperienza dell’uomo fedele è anzitutto una condotta relazionale. Di fatto, se la fedeltà è il contrario dell’immobilismo morto è perché essa non si indirizza a cose o a valori atemporali, ma ad una persona vivente. Fedeli ad una promessa, sì, ma ciò non è il centro. Ciò che determina nella sua specificità la condotta fedele non è il semplice dovere di non mancare ad una promessa formulata nel passato. Di fatto l’idea di fedeltà surclassa di molto quella di promessa, di vita, di giuramento, di contratto. Il prezzo reale di una vera fedeltà dipende da un elemento più interiore che la semplice esecuzione di tipo giuridico. 

 

La fedeltà come effetto di una relazione personale

La fedeltà non potrebbe essere uno scopo; bisogna che sia un frutto di una relazione con una persona, un effetto collaterale necessario. Lo sgorgare profondo della virtù della fedeltà si situa nell’amore dell’altro nei cui confronti ci si è impegnati, non nella preoccupazione prevalente di conservarsi. La fedeltà non si rivolge ad un principio astratto della fedeltà, ma a qualcuno di vivente. L’esatta e tenace osservanza del regolamento non fa sgorgare la vita. Ma dalla qualità ed intensità di una vita uscirà immancabilmente il fedele compimento delle condotte richieste. Per divenire fedeli occorre perciò osare vivere e vivere in modo pienamente umano, nella relazione e nell’apertura all’altro, fino a Dio, manifestatosi in Gesù Cristo, morto e risorto, Signore della vita. A rigore di termini non c’è da essere fedeli a degli atti o a delle idee o a delle virtù o ad una causa, ma solamente e sempre a delle persone. La promessa definisce una responsabilità che ci si addossa nei confronti dell’altro. L’uomo si lega in modo valido solo a delle persone, a Dio o agli altri. Si pone perciò male il problema della fedeltà nell’educazione quando se ne fa l’oggetto di un precetto freddo e senza volto. Essa invece è un modo di vivere la relazione con una data persona. Essa ha sempre l’immagine viva di qualcuno il cui sguardo e cuore invitano a rispondere. Perciò la fedeltà domanda una certa qualità della relazione interpersonale, designata come presenza viva. Implica disponibilità, apertura, attenzione all’altro come tale, non solo a ciò che si dice e si fa. La fedeltà diviene allora relazione viva con una persona viva. Emerge qui il problema di come ci si vive, quanto in verità e quanto in falsità, di come si vive l’altro cui essere fedeli, nella sua verità oppure in false immagini. Il peggior nemico della fedeltà non è la libertà, ma la sua mancanza. Certo la fedeltà è incompatibile con la negligenza e il rinnegamento di ciò per cui ci si è impegnati. Non si annulla il passato. Occorre appropriarsene, riconoscerne la paternità, viverlo con libertà responsabile, riattuarlo in un impegno rinnovato. Il suo richiamo non è una trappola o un peso. È uno stimolo per una scelta tutta intera oggi.

 

La persona fedele lo è per amore

L’essenza della fedeltà è il dono di sé. Calcoli e mercanteggiamenti limitativi ne sono esclusi, pena il suo decadere. L’uomo si definisce più esattamente per il dono, per l’amore, per l’accoglienza gioiosamente stupita nel ringraziamento. Si ama veramente solo quando ci si dà senza calcolo né ritorno. Ma ci vuole tempo per imparare ad amare. Ciò che dovrà essere molto spesso ripreso nel senso di rinnovato, riassunto, attualizzato è l’impegno fondamentale ad amare sempre più. È da qui che sgorga la fedeltà vera. Nessuno si impegna una volta per tutte come se fosse possibile e sufficiente piazzarsi su un binario in un dato tempo dell’itinerario vocazionale. Resterà sempre da riattualizzare la scelta fatta in un dato tempo, da riprendere l’impegno nella sua novità e freschezza nativa entro le situazioni inedite, le crisi possibili e gli stacchi. Prendersi un impegno non è perciò mettersi la corda al collo, ma è entrare in una relazione vivificante. Divenire liberi si può in un’alleanza, in un “vivere con” dell’amore e della fiducia. È questo che costituisce la base di ogni vera fedeltà. È la stessa strada dell’essere me stesso, aderendo a ciò che sono con il meno distacco possibile. La persona non è principalmente un dato predato e inerte. Nella relazione la persona veramente fedele non cerca di consumare l’altro (il congiunto, il fratello, l’amico,… Dio rivelato in Gesù), riconducendolo alle proprie rappresentazioni o alle esigenze egocentriche. Senza questo consenso totale a non essere il centro unico dell’universo, senza questa piena accettazione della distanza e dell’esistenza dell’altro, ciò che si chiama abusivamente fedeltà di attaccamento sfocerebbe in dolorosi inganni, profondi disaccordi, crudeli strazi. Il più grande amore, la più alta fedeltà consistono nel dare gratuitamente la propria vita per coloro che si amano. In sintesi, il proprio di una fedeltà adulta è viversi come un progresso per mezzo di alcune istanze: un’assunzione e una purificazione permanente del passato, una integrazione del presente e un andare oltre. La fedeltà va alla persona che ci ha ugualmente giurato presenza. La fedeltà ad un oggetto sarebbe un’abitudine, dolce o maniaca. La fedeltà ad una istituzione personalizzerebbe indebitamente il compito implicato da questa e rischierebbe di murare il patto di alleanza, venendone abusivamente consacrati. Si può essere fedeli solo a chi ci ha manifestato il movimento del suo cuore. Dichiararsi fedeli ad una promessa in se stessa sarebbe uno sbandamento pericoloso. Evacua colui cui si dichiara la propria fede a vantaggio di una cosificazione di questa stessa fede. Occorre superare una stagnazione rassegnata o di un rigetto semplicistico. Occorre passare dalla fedeltà del funzionario, fedele alla lettera, che cammina dietro ad un sì astratto, a quella della persona prevalentemente sereno ed equilibrato che si fa sempre più matura, convinta, contenta, a quella dell’equilibrio del ciclista, dell’aviatore. Si reggono a condizione di avanzare. L’adulto è forse colui che accetta senza panico di avanzare difficilmente attraverso il dubbio, gli scacchi, le contrarietà, la riuscita, le cadute. L’importante è comprendere che, progredendo lungo una strada, su cui forse cadono ancora delle ombre, si realizza meglio la propria vocazione che non subendola con una costanza passiva e rassegnata. Fedeli, infatti, si diviene entro la vita in divenire.

 

La fecondità spirituale

La maturità si caratterizza poi per la fecondità spirituale. Infatti durante la maturità la fecondità in ciò che si fa costituisce un obiettivo qualificante e un effetto della stessa fedeltà creativa. Emerge come un frutto che la comprova. Consiste nel portare frutti di vita, in un’azione efficace nel settore del proprio impegno, legata soprattutto alla qualità del proprio modo di essere e di rapportarsi. La fecondità si pone come un contrassegno inequivocabile della qualità di vita, come l’opposto della stagnazione di sé, umana e spirituale, come un’alternativa secca e precisa ad una vita segnata dalla passività e dalla rassegnazione. Sul versante dell’adulto la fecondità sgorga da un insieme di condizioni convergenti. Alla base della fecondità sta l’autenticità personale, umana e spirituale, la conformità di ciò che si è con quello che si fa e si esprime, la vera accettazione di sé e del reale nelle sue varie dimensioni. La fecondità nasce dalla verità e trasparenza di sé, dall’umiltà e dal cammino di crescita integrale ed integrato all’opera verso un più, verso la propria autotrascendenza a servizio di quella altrui e verso il Mistero. Ne risulta una genuinità personale che risveglia nelle persone incontrate altra autenticità, desiderio e bisogno di aprirsi alla verità e vocazione di sé che risvegliano altre aperture vocazionali. Le aree dell’autenticità sono quelle centrali della vita: quella dell’uso corretto dei beni, con un necessario distacco del cuore, in forza della povertà in spirito e della libertà interiore; quella dell’amore sempre più a pieno nella reciprocità e nella gratuità, con un atteggiamento realistico e fiducioso; quella del rapporto con la realtà effettuale delle persone e delle istituzioni entro un’obbedienza sempre più responsabile. Questa autenticità porterà a poco a poco a poter discernere gli ulteriori appelli entro la stessa vocazione già configurata e iniziata a realizzare.

 

La capacità di saper discernere e facilitare l’orientamento

Tratto caratteristico dell’adulto è quello di saper discernere la volontà di Dio nel concreto della propria vita e facilitare altri nel loro orientamento spirituale e vocazionale. L’aiuto della guida spirituale di adulti verterà anche nel favorire in loro il perseguimento di alcuni obiettivi: la loro capacità di discernimento spirituale; la verifica e il confronto delle scelte fatte; il ritrovamento di sé e il ravvivamento delle motivazioni entro la varie crisi e rimesse in discussione.

 

 

QUANDO L’ESSERE ADULTI FEDELI È CARENTE

 

La D. Sp. e vocazionale nella maturità deve farsi molto attenta ad alcune trappole ricorrenti, ad alcune prove da affrontare, pena il venir meno del cammino. Le principali trappole sono le seguenti.

 

Il versante dell’adulto guidato

Il ristagno vocazionale

A causa di un impatto con il reale della vita insufficientemente realistico e positivo facilmente la persona si trova a ristagnare su di sé. Disorientamento e ripiegamento rendono quasi sterile la propria vita.

L’annaspamento vocazionale

Prende corpo come un riempitivo di un vuoto di identità e di una risposta vocazionale carente. Il troppo fare non arriva mai a sostituire l’essere carente. Emerge allora la devozione ad un santo apocrifo, al santo monumento a se stessi.

La gestione razionalistica della realtà

Consiste nella rigidità del sentire. Si configura come un tentativo inutile di sostituire la vita mancante tramite un irrigidimento interiore, spesso anche ideologico e dogmatico.

La soddisfazione anzitutto

Si tratta di un modo di rapportarsi con la realtà caratterizzato dal bisogno di evitare ad ogni costo la sofferenza o la frustrazione, a scapito di qualunque valore in sé.

Il soggettivismo

Consiste nel fare del proprio gusto o punto di vista l’unico punto di riferimento e di misura. Governa allora il “mi piace o non mi piace” in modo unilaterale, ignorando ciò che giova per davvero.

L’oggettivismo

Si tratta di una massimalizzazione del dato oggettivo, o delle idee,  cui ci si aggrappa ignorando il lato soggettivo. L’oggetto funziona allora da difesa di fronte al fluttuare della vita.

L’autonomia difensiva

Consiste in un indurimento affettivo e in un certo isolamento di sé. È frutto di una coartazione della vita in profondità. Porta ad una forma di rifiuto di investirsi in profondità nelle vane scelte e relazioni per una insicurezza profonda rimossa e mascherata dalle buone doti. Emerge allora la devozione ad un santo apocrifo, al “fai da te”.

La ripetitività passiva

La disillusione, a volte bruciante, di fronte alla durezza del reale può rinserrare la persona in una vita contratta, quasi spenta. Emerge allora la devozione ad un altro santo apocrifo, a “san moncherino”, una forma di vittimismo tenace.

 

Il versante della guida

Il dirigismo delle coscienze

Nasce da un bisogno esteso di dominazione sulle persone come sostituzione di una consistenza personale ridotta.

L’amicizia connivente o la collusione che fa sconti indebiti

Nasce da una perdita della disimmetria nella relazione da uno sconto indebito circa le esigenze evangeliche con l’esito di una mediocrizzazione del vivere.

L’alienazione all’altro

Consiste nella difficoltà a fare da punto oggettivante e verificante, da una forma dimissionaria.

 

 

 

COME ACCOMPAGNARE

VOCAZIONALMENTE UN ADULTO

 

Di fronte all’età della maturità, per poter facilitare il perseguimento degli obiettivi propri, alla Guida spirituale si pone un problema: come far fronte a questi parassiti dell’età adulta? Come scrollarli di dosso e uscire dall’anemia spirituale? Quali atteggiamenti particolari la guida deve assumere? Su che cosa deve insistere? Come si caratterizza? Anche sul versante della Guida è presente continuità e discontinuità ad un tempo rispetto alle fasi precedenti. In particolare emergono le seguenti istanze, entro una situazione resasi più complessa e appesantita rispetto al passato.

 

Guidare l’adulto al riconoscimento e all’accettazione realistica e fiduciosa della propria verità

L’accettazione del reale favorisce la formazione del filo rosso conduttore, significativo della vera identità di sé. Accanto alle conquiste possibili, ai passi in avanti dell’adulto, c’è un settore molto incisivo, entro cui l’azione della guida spirituale è decisiva, cioè l’esperienza ripetuta del limite e l’apertura indispensabile alla grazia. È qui che si radica la dinamica della fedeltà creativa. Occorre imparare a coniugare le due istanze, il limite e l’investimento fiducioso, tramite un’umiltà rinnovata e un amore personale con Dio. Dopo ogni scacco significativo, dopo ogni frustrazione bruciante occorre insegnare a “rifare il patto con la vita, propria e altrui” e a non cadere nella prigionia e nella palude del risentimento manifesto o strisciante.

 

Educare a dire i sani no e i precisi sì di fronte al facile accomodamento

Il cammino spirituale e vocazionale viene favorito nella misura in cui la persona adulta cresce in autonomia e in dipendibilità. Occorre non restare impigliati né nella dipendenza affettiva e nella controdipendenza, né nell’autonomismo difensivo. Per fare questo va favorito il discernimento spirituale nei vari settori del vivere e la qualità del proprio impegno.

 

Purificare e maturare le motivazioni vocazionali per sostenere la durata

C’è una domanda verificante che di volta in volta occorre educare a porsi: “Che cosa cerchi e chi cerchi?”. Le varie scelte, verificate nelle loro intenzioni e motivazioni, rivelano la direzione di marcia della persona. Portano a galla i passi in avanti, come anche le ambivalenze, i ripiegamenti di fatto. Ravvivare e maturare le motivazioni comporta essere in contatto esistenziale come la vite e i tralci con le sorgenti della vocazione: “Per me, la persona di Gesù, e per il Vangelo”.

 

Sostenere il passaggio pasquale della sequela vocazionale

Il “tu seguimi”, per portare frutti di vita duraturi, deve attraversare la prova pasquale. Questa è fatta di un vero morire a se stessi, cioè al falso sé, spinto a volte fino al sacrificio del figlio di sé, per poter lasciar prendere corpo ai frutti dello Spirito.

 

Verificare e facilitare la crescita nelle aree caratterizzanti la vita

Ogni vita adulta deve imparare a coniugare costruttivamente alcuni poli apparentemente opposti: l’impegno e il distacco, l’amore reciproco e gratuito, l’obbedienza responsabile e l’autonomia creativa, l’attività e la passività, ecc. Divenire adulti è un compito mai compiuto del tutto. Prende corpo lungo un crinale tramite un discernimento permanente, entro il già presente e il non ancora. È raffigurabile nell’equilibrio dell’aviatore e del ciclista. Si reggono e avanzano a condizione di avanzare. Perciò insegnare la fedeltà è insegnare a rileggere la propria storia come un’alleanza sempre attuale. È insegnare nella coerenza e nella continuità a reinventare le risposte nuove per situazioni che evolvono. È insegnare a mettersi in strada, accogliendo la parola data come perdono. È lasciare partire l’altro perché divenga se stesso in verità.