N.03
Maggio/Giugno 2001

Sofferenza e vocazione nei grandi chiamati: attualità della figura spirituale di Padre Pio da Pietrelcina

Pace e bene a tutti.

La Chiesa Italiana, con la vostra presenza, si incontra per avere Padre Pio come punto di riferimento della sua pastorale. A mio avviso è questo il traguardo più importante che si sta raggiungendo nel dopo-beatificazione. Padre Pio deve superare i confini del proprio ordine religioso e del gruppo dei suoi figli spirituali per divenire un “fatto di Chiesa”, cioè una di quelle figure che con la loro vita possono rappresentare non solo un punto di riferimento a livello esemplare, ma possono in qualche modo influenzare le scelte pastorali e profetiche della Chiesa del terzo millennio[1] . Il tema che mi è stato assegnato è piuttosto vasto ed ovviamente richiede alcune premesse per delimitarlo. Prima di tutto useremo il termine sofferenza nella sua accezione più ampia possibile: parleremo di sofferenza riferendoci al dolore fisico, morale e mistico. La seconda premessa riguarda la reciprocità tra cammino vocazionale e sofferenza.

La sofferenza ha una fase esteriore: sensazione del dolore, anamnesi degli effetti, ricerca di una causa, richiesta di aiuto; ed una più interiore: sensazione di paura e di scoraggiamento, speranza/disperazione, accettazione/rifiuto del dolore, con varie ripercussioni sullo stato fisico e sulle scelte di vita, accettazione/rifiuto del mondo che ci è intorno con ripercussioni sulla vita sociale, confronto con chi sta bene, richiesta di senso. Se consideriamo la scelta vocazionale come un cammino di discernimento, uno dei compiti della pastorale vocazionale sarà proprio quello di dare una risposta a questa “richiesta di senso”. In tale prospettiva veniamo così a scoprire alcune reciprocità: la sofferenza è prova, ma la prova è sofferenza; la sofferenza è crisi, e a sua volta la crisi è sofferenza. Come si può intuire, a questo punto, il termine sofferenza, verrà utilizzato in modo onnicomprensivo.

E se utilizziamo anche i termini “prova” e “crisi”, possiamo facilmente cogliere la consequenzialità tra questi e la scelta vocazionale. Sant’Ignazio e san Francesco cambiano vita durante la loro infermità; Teresa Newman e Genoveffa De Troia, per dire dei nomi vicini a noi, sono la testimonianza di una lunga malattia che le pone sulla strada dell’incontro con Dio. In altri casi ci sono santi che subiscono persecuzioni fisiche o spirituali: i martiri, e più vicino a noi Giovanni della Croce, Massimiliano Kolbe, Edith Stein. In altri casi c’è il momento della confusione, del dubbio e dell’isolamento: pensiamo alla cecità di san Paolo, alla ricerca di sant’Agostino e così via. Nella vita mistica, il momento massimo della prova è la “notte oscura”, perché l’uomo non solo vede crollare tutte le sue certezze terrene, ma ha l’impressione che si metta in discussione perfino il suo rapporto con la divinità. Lo stesso Giovanni Paolo II, nella Tertio Millennio Ineunte, mette in relazione il percorso della sofferenza con l’esemplarità dei santi.

Nel discorso per la beatificazione di Padre Pio, proprio il Papa aveva detto:

“Chi si recava a San Giovanni Rotondo per partecipare alla sua Messa, per chiedergli consiglio o confessarsi, scorgeva in lui un’immagine viva del Cristo sofferente e risorto. Sul volto di Padre Pio risplendeva la luce della risurrezione. Il suo corpo, segnato dalle ‘stimmate’, mostrava l’intima connessione tra morte e risurrezione, che caratterizza il mistero pasquale. Per il Beato di Pietrelcina la condivisione della Passione ebbe toni di speciale intensità: i singolari doni che gli furono concessi e le sofferenze interiori e mistiche che li accompagnavano gli consentirono di vivere un’esperienza coinvolgente e costante dei patimenti del Signore, nella immutabile consapevolezza che ‘il Calvario è il monte dei santi’. Purificato dal dolore, l’amore di questo fedele discepolo attraeva i cuori a Cristo”.

Una linea di continuità con la spiritualità cristiana, ma anche una chiave di lettura positiva dell’esperienza umana e soprannaturale di questo “Giobbe del XX secolo” che ha saputo attraversare la sofferenza, ma anche aprirsi attraverso di essa al discorso della risurrezione.

 

 

Padre Pio: un Giobbe del XX secolo

Presentare tutta la vita di Padre Pio esorbita dallo scopo di questo intervento ed oltretutto risulterebbe inutile, visto che molti di voi già sono avanti nel conoscere anche la sua spiritualità. Mi limiterò, quindi, a fare un percorso all’interno della sua esistenza per fare un elenco delle sue sofferenze, in modo da evidenziare quegli aspetti che più possono servire ad approfondire il nostro tema[2].

 

Le sofferenze fisiche

Vediamo prima di tutto di capire di cosa si tratta nella descrizione che ne fa il dottor Giuseppe Gusso, desumendo le informazioni dal primo volume dell’Epistolario: la febbre seguita da copiosi sudori, che in tutto questo periodo non lo lascia mai; una tosse che lo martirizza continuamente; i dolori al torace, talora così forti ed acuti da renderlo “impotente quasi a qualsiasi azione”; il vomito, che in certi periodi non consente allo stomaco di ritenere appena la semplice acqua; spesso accusa fortissime emicranie che lo rendono impotente a qualsiasi applicazione; altre volte sente tutto il corpo reumatizzato; infine una preoccupante diminuzione della vista[3]. Circa le diagnosi fatte durante il servizio militare esse sembrano discordanti tra loro, eccetto nel fatto che la malattia polmonare del soldato Forgione è difficile da identificare. Lo stesso Padre Pio fa notare il paradosso, in una lettera che scrive a Padre Benedetto:

“Ciò che ieri vi accennai come previsione, con la cartolina che vi scrissi, oggi è divenuta una triste realtà. Tutto è andato bene pel passato, come vi tenni informato, ma non così l’ultima visita subita questa mattina dal colonnello, la quale visita si è ridotta ad un semplice sguardo, senza altra osservazione. Egli dunque sentenzia col condannarmi idoneo ai servizi interni. Pazienza, mio caro padre; Gesù vuole mortificarmi. Sia fatta la sua santa volontà! Eppure avrei voluto farvi sentire la diagnosi uscitami dall’osservazione (…) clinica. Tutto il mio corpo, è un corpo patologico. Catarro bronchiale diffuso, aspetto ischeletrito, nutrizione meschina e tutto il resto. Mio Dio! quante ingiustizie che si commettono. Lascio supporre a voi come mi sento sia fisicamente che moralmente”[4].

Quanto possa aver sofferto durante il servizio militare ce lo spiega Gennaro Preziuso nel suo libro Il servizio militare di Padre Pio, qui ci limitiamo a riassumere le sofferenze cui lui va incontro. La sofferenza principale è che per un lungo periodo non può celebrare nemmeno l’Eucaristia; soffre per le incomprensioni circa la sua salute; soffre perché si sente lontano dal convento; soffre per le condizioni igieniche. Spesso si è detto che Padre Pio avrebbe sofferto di tisi, ma nulla lo ha confermato. Anzi, come fa notare il dottor Gusso, i radiogrammi eseguiti in occasione della pleurite avuta da Padre Pio nel 1959 non hanno rivelato nessun segno né presente, né passato di tubercolosi[5].

Tra le sofferenze fisiche di Padre Pio, dobbiamo aggiungere quelle provenienti dai fenomeni mistici e dall’azione del demonio. Un’analisi di queste sofferenze viene svolta da Padre Gerardo Di Flumeri nella conferenza tenuta in occasione del Congresso internazionale: La sapienza della croce oggi[6]. Oltre ai prolungati digiuni, Padre Gerardo parla di sofferenze provenienti da: stimmate, flagellazione, coronazione di spine, trasverberazione. A queste si vanno ad aggiungere quelle provocate dalle vessazioni diaboliche testimoniate in numerose occasioni da chi ha sentito rumori e ha trovato Padre Pio in un lago di sangue. Egli stesso racconta che in più di un’occasione il demonio arriva fino a togliergli la camicia e percuoterlo a dorso nudo.

 

Le sofferenze morali

Alle sofferenze fisiche si vanno ad aggiungere le amarezze procurategli dall’ambiente esterno: polemiche, contestazioni, accuse, manifestazioni disordinate e chiassose di folle e di devoti; visite mediche imposte dalle autorità ecclesiastiche e dell’ordine; e – lo abbiamo già ricordato – la più grande delle sofferenze: la sospensione della maggior parte dei suoi uffici sacerdotali, soprattutto della confessione. 

Per quanto riguarda la sua missione caritativa Padre Pio deve soffrire per le sofferenze che gli sono causate: dalle inchieste apostoliche sulle stimmate e sulle dicerie circa il culto dato alla sua persona; dai sospetti ingiusti e ingiustificati diffusi sulla gestione della Casa Sollievo; in genere su notizie e informazioni irresponsabili e calunniose spesso diffuse sull’ambiente di San Giovanni Rotondo.

Padre Pio soffre per tutto questo, ma anche per i disagi che provoca ai confratelli e per le sofferenze che possono venire alla popolazione dalla sua particolare situazione. All’origine di tutto questo c’è forse il bigliettino, tanto conosciuto, che scrive al Sindaco Morcaldi, dopo il tentativo di un pazzo, che gli puntò la pistola alla tempia nel 1924.Tra le sofferenze di carattere morale occorre aggiungere quelle di origine mistica legate alla “notte oscura” dello spirito. La purificazione interiore provoca in Padre Pio solitudine e smarrimento al punto che arriva a ripetere con Gesù “Deus meus, Deus meus, quare me deriliquisti?”[7]

Ma le sofferenze morali si ripercuotono su Padre Pio anche in seguito alla sua scelta di impegnarsi per la salvezza dell’uomo. Il dolore per la testardaggine dei peccatori, e le sofferenze legate alla sua missione sacerdotale, però non fanno diminuire mai in lui la profonda fiducia nell’uomo e nella sua possibilità di redenzione.

 

Il rapporto con la spiritualità del suo tempo: lettura emblematica

Di fronte a tutte queste esperienze di dolore, Padre Pio reagisce interpretandole dapprima con le categorie del suo tempo. I suoi punti di riferimento sono principalmente due: uno che gli viene dalla spiritualità francescana e l’altro che è uno degli elementi caratteristici della spiritualità dell’800.

Padre Pio nasce nel 1887 ed entra in convento a Morcone nel gennaio del 1903. Gli Ordini religiosi si stanno lentamente riprendendo dai danni provocati in occasione della soppressione degli Istituti religiosi da parte del Governo Piemontese istallatosi a Roma. C’è dunque piena consapevolezza che occorre ricominciare e il primo desiderio è ricominciare partendo dalla ricchezza spirituale del passato. Come sempre il riferimento al passato ha due facce: per un verso è nostalgia, recupero della formalità esteriore e quindi lo slogan diffuso nelle case religiose è uno solo: recuperare la regolare osservanza. Un formalismo non privo di una forza aggregante notevole, ma che spesso non riesce ad arrivare alla sostanza delle cose e resta nella pura esteriorità. Proprio questa esteriorità eccessiva renderà Padre Pio piuttosto critico nei confronti dei sistemi educativi di allora.

C’è però un altro volto di questo ritorno al passato: il recupero dei grandi ideali della spiritualità cristiana e – nel nostro caso francescana – che soprattutto nell’Ottocento avevano puntato molto su due aspetti: la configurazione a Cristo e la com-passione per e con Cristo. Proprio su questa linea Padre Pio riferisce le parole di Gesù: sarò in agonia fino alla fine del mondo. Un Gesù risorto, che in cielo non muore più, nel sacrificio eucaristico continua ad offrire le sue sofferenze per la Chiesa e per rinnovare la storia. Compassionare Cristo, vuol dire partecipare a questa storia di dolore e di redenzione.

Quanto questo possa aver influito sulla spiritualità di Padre Pio è facile da immaginare. Portiamo qui un solo esempio. La Provincia religiosa di Foggia, all’inizio del ‘900, contava poco più di 10 sacerdoti, più una trentina di giovani che però erano in altri posti d’Italia per completare la loro formazione. Pertanto il Ministro Generale aveva disposto che in alcune case di formazione fossero inviati dei sacerdoti toscani per aiutare i confratelli di Foggia. Abbiamo così il Regolamento del Noviziato di Morcone, dove è stato Padre Pio, datato del 1894, 9 anni prima che lui fosse novizio, che porta delle indicazioni valide per i nostri, per i toscani, ma possiamo supporre simili un po’ per tutta Italia. Quando si parla degli esercizi interiori da compiere per raggiungere una certa spiritualità, il testo invita a meditare e piangere sulla passione di Cristo. La testimonianza dei compagni di studio di Padre Pio ci aiuta a comprendere fino a che punto lui avesse vissuto questa esperienza. A volte davanti al suo posto si faceva un pozzetto per le tante lacrime che versava. Confida un suo compagno di studi, che ad un certo punto il Padre Maestro gli aveva proibito di meditare la passione di Gesù per paura che questo fatto lo fiaccasse troppo nel corpo, tanta intensità metteva nella sua preghiera. La struttura spirituale e psicologica di Fra Pio è dunque legata alla configurazione e alla compassione per Cristo.

Nel momento della malattia questa compassione diventa partecipazione alle sue sofferenze e offerta della sua stessa vita. Padre Pio raccoglie così in pieno l’eredità della spiritualità vittimale dell’800 e più volte nel suo Epistolario si offre vittima, dapprima per le anime del purgatorio, poi per i peccatori e via dicendo. È legittimo, a questo punto, domandarsi se Padre Pio abbia preso pedissequamente la configurazione a Cristo e la spiritualità vittimale dal suo mondo formativo, o in qualche modo le abbia interpretate a modo proprio. La lettura del suo Epistolario ci consegna un cammino di riflessione e di discernimento attraverso il quale le sue sofferenze di carattere fisico, morale, mistico e missionario diventano il paradigma di un modo sempre più intenso e personale di comprendere il suo dolore.

Quando poi, dietro indicazioni dei propri padri spirituali, Padre Pio inizia la sua attività di direttore spirituale, ci accorgiamo che consegna la propria esperienza di fede proprio attraverso quelle categorie di sofferenza che lo avevano aiutato a conoscere Dio. Uno studio sulla sofferenza nell’Epistolario di Padre Pio, dovrà quindi cercare per un verso di individuare il suo cammino personale di discernimento e poi i contenuti della sua spiritualità così come li ha consegnati alle proprie figlie spirituali. Per questo motivo ho diviso questo intervento in due parti: l’Ermeneutica della sofferenza e la Pedagogia della sofferenza in Padre Pio.

 

 

 

ERMENEUTICA DELLA SOFFERENZA

 

Il senso della sofferenza: l’offerta vittimale

La corrispondenza tra Padre Pio e Padre Benedetto, il suo primo padre spirituale, inizia in occasione del carteggio che intercorre tra i due in occasione della forzata permanenza del giovane frate a Pietrelcina. Padre Benedetto, ministro provinciale in carica, autorizza il frate a restare al suo paese e pur non comprendendo i divini disegni, “li adoro – scrive – sperando quasi con fiducia che la crisi si risolverà. Gesù e Maria – aggiunge – siano con voi, vi consolino e diano la grazia di portare la croce in modo da essere coronato di merito”[8].

Il giovane fra Pio era stato discepolo per un anno di Padre Benedetto e pian piano imparò ad avere fiducia in lui, fino a confidargli il suo mondo interiore: percepiva con forza la presenza di Dio, lo amava profondamente e tutto questo gli causava una grande ansietà; di fronte all’amore di Dio si sentiva sempre più impreparato, piccolo e soprattutto peccatore. È qui che il grande maestro mette in relazione per la prima volta la sofferenza del discepolo con il progetto divino: “Colpe non ve ne sono, specialmente di quelle che riguardano la santa purezza e molto si compiace Gesù dell’anima vostra che vuole con tante prove purificata e arricchita”[9]. Dunque è chiaro, secondo Padre Benedetto, Gesù vuole santificare Padre Pio attraverso la sofferenza. Ma sarà il discepolo a dover percepire in concreto attraverso quali modalità il Signore vorrà condurlo al Calvario; nasce così un sodalizio, attraverso il quale Padre Pio, sotto la guida di Padre Benedetto e anche di Padre Agostino dall’anno seguente, cerca di interpretare gli atteggiamenti di Dio. Per avere un’idea di come Padre Pio si ponga di fronte alle sue sofferenze fisiche e spirituali seguiamo per qualche tratto le pagine del suo Epistolario. Dio è l’oggetto di tutte le sue attenzioni, per lui vuole soffrire, lui vuole incontrare con la partecipazione di tutta la sua persona.

A questa assidua ricerca da parte del giovane frate, Gesù risponde con una rivelazione personale che assume varie modalità di comunicazione, non tutte di carattere straordinario, che provocano in lui una gioia profonda. Insieme a questa comunicazione di sé, Gesù si avvicina a Padre Pio con una purificazione dello spirito, che rende l’anima sempre più capace di percepire nell’intimo l’amore sostanziale di Dio. Nella lettera scritta da Pietrelcina a padre Benedetto, il 4 settembre 1910, c’è già un accenno alla dolcezza provocata dalla presenza del Signore. Padre Pio, soggetto a forti dolori al torace, trova grande consolazione in Gesù che lenisce le sue sofferenze col parlargli al cuore.

“Oh sì, padre mio, quanto è buono Gesù con me! Oh che preziosi momenti sono questi; è una felicità che non so a che paragonarla; è una felicità che quasi solo nelle afflizioni il Signore mi dà da gustare. In questi momenti, più che mai, nel mondo tutto mi annoia e mi pesa, niente desidero fuorché amare e soffrire. Sì, padre mio, anche in mezzo a tante sofferenze, sono felice perché sembrami di sentire il mio cuore palpitare con quello di Gesù. Ora s’immagini quanta consolazione deve infondere in un cuore il sapere di possedere, quasi con certezza Gesù”[10].

L’appassionata ricerca di Dio trova una risposta in questa presenza di Cristo che riempie di gioia proprio nei momenti di maggiore afflizione. Padre Pio è molto realista, cerca il Signore nell’esperienza quotidiana, in tutte le crocifissioni che caratterizzano la vita di ognuno: il Cristo che gli si manifesta è il pedagogo che gli insegna a soffrire, che si fa compagno di viaggio nel pellegrinaggio terreno. Il tema del Gesù consolatore ritorna molto spesso nelle lettere di questo periodo[11] ed è accompagnato da un fenomeno mistico descritto a padre Agostino il 18 aprile 1912:

“Finita la messa, mi trattenni con Gesù pel rendimento di grazie. Oh quanto fu soave il colloquio tenuto col paradiso in questa mattina! Fu tale che pur volendomi provare a voler dir tutto non lo potrei; vi furono cose che non possono tradursi in un linguaggio umano, senza perdere il loro senso profondo e celeste. Il cuore di Gesù ed il mio, permettetemi l’espressione, si fusero. Non erano più due cuori che battevano, ma uno solo. Il mio cuore era scomparso, come una goccia d’acqua che si smarrisce in un mare. Gesù n’era il paradiso, il re. La gioia in me era sì intensa e sì profonda, che più non [mi] potei contenere; le lacrime più deliziose mi inondarono il volto”[12].

Di fronte a questo spropositato amore di Dio, Padre Pio ha principalmente tre atteggiamenti: compassione per Cristo, per cui chiede spesso di offrirsi vittima per i peccatori, per soffrire con lui; considerazione del grande amore che Gesù ha per lui e della sua incapacità di ricambiarlo: situazione che gli causa profonda angoscia, paura di essere in peccato e che il demonio vorrebbe sfruttare per spingerlo alla disperazione; e infine la consapevolezza che più lui sarà capace di soffrire, più il suo cuore verrà purificato e lui sarà in grado di ospitare Cristo.

“Però Gesù non lascia di tratto in tratto di raddolcire le mie sofferenze in altro modo, cioè col parlarmi al cuore. Oh sì, padre mio, quanto è buono Gesù con me! Oh che preziosi momenti sono questi; è una felicità che non so a che paragonarla; è una felicità che quasi solo nelle afflizioni il Signore mi dà a gustare”[13].

Proprio quest’ultima considerazione ci consente di percepire una prima evoluzione rispetto alla spiritualità vittimale dell’800: Padre Pio non si limita a compatire Cristo e quindi a soffrire con lui, sperimenta che attraverso la sofferenza, il suo rapporto con Cristo diventa sempre più reale ed appagante. Anzi, ci rendiamo conto di un fatto importante: Padre Pio recupera la sua corporeità, perché vede nel proprio corpo, il luogo ove Gesù si manifesta. Ci può essere da guida in questa ricerca una terminologia cara a Padre Pio, quella legata alla glorificazione di Cristo.

 

La vittoria della croce: Dio si glorificherà nel tuo corpo

Andiamo prima di ogni cosa a vedere come si va intensificando il rapporto di amore tra Gesù e Padre Pio nel corso degli anni. Nel febbraio del 1913, Padre Pio scrive a Padre Agostino:

“Gesù quando vuol darmi a conoscere che mi ama, mi dà a gustare della sua passione le piaghe, le spine, le angosce… Quando vuol farmi godere, mi riempie il cuore di quello spirito che è tutto fuoco, mi parla delle sue delizie; ma quando vuole essere dilettato lui, mi parla dei suoi dolori, m’invita, con voce insieme di preghiera e di comando, ad apporre il mio corpo per alleggerirgli le pene”[14]

Secondo Padre Pio, il suo corpo acquisisce una grande importanza perché viene elevato alla dignità di soffrire per Cristo; Gesù rallegra l’esistenza di Padre Pio con le sue dolcezze, ma finalizza la sua esistenza attraverso la croce. Anzi la croce diventa lo strumento attraverso il quale Gesù lega a se stesso Padre Pio:

“Quante volte – mi ha detto Gesù poc’anzi – mi avresti abbandonato, figlio mio, se non ti avessi crocifisso”. “Sotto la croce s’impara ad amare ed io non la do a tutti, ma solo a quelle anime che mi sono più care”[15].

In questo contesto si rinnova l’offerta vittimale da parte di Padre Pio, notiamo però come è radicalmente cambiata la prospettiva.

“Gesù, uomo dei dolori, vorrebbe che tutti i cristiani l’imitassero. Ora Gesù questo calice l’offrì ancora a me; io l’accettai, ed ecco perché non me ne risparmia. Il mio povero patire vale a nulla, ma pure Gesù se ne compiace, perché in terra l’amò tanto. Quindi in certi giorni speciali, in cui egli maggior mente soffrì su questa terra, mi fa sentire ancora più forte il patire”[16].

Padre Pio decide di offrire la sua vita come vittima: mentre prima era la vittima che si offriva in quanto vedeva le sofferenze dei fratelli, ora desidera partecipare al progetto divino di salvezza per i fratelli. La sua esistenza e – particolarmente – il suo corpo diventano lo strumento nel quale si realizza questo progetto. Il riferimento ai giorni della passione, va letto con quanto aveva scritto a Padre Benedetto nel settembre del 1911:

“Ieri sera poi mi è successo una cosa che io non so né spiegare e né comprendere. In mezzo alla palma delle mani è apparso un po’ di rosso quasi quanto la forma di un centesimo, accompagnato da un forte ed acuto dolore in mezzo a quel po’ di rosso. Questo dolore era più sensibile in mezzo alla mano sinistra, tanto che dura ancora. Anche sotto i piedi avverto un po’ di dolore. Questo fenomeno è quasi da un anno che si va ripetendo, però adesso era da un pezzo che più non si ripeteva”[17].

Nel settembre del 1911, Padre Pio è già da un anno che ha le stimmate e quindi a poco più di un mese dall’ordinazione sacerdotale, in lui si verifica questo misterioso evento, anche se in modo invisibile. Letto alla luce di quanto abbiamo detto finora, anche il fenomeno delle stimmate invisibili, appartiene a quest’opera di coinvolgimento del corpo di Padre Pio: tutto concorre a renderlo capace di soffrire con Cristo e per Cristo. È Gesù stesso che educa Padre Pio a vedere nelle sofferenze fisiche e spirituali uno strumento di cui Dio si serve per piegare il suo corpo all’accoglienza, per renderlo capace di percepire ed ospitare una particolare presenza di Dio nella sua vita. Siamo giunti così alla famosa lettera dei “sacerdoti macellai”, che è una lettura drammatica della situazione di molti sacerdoti. Leggiamo prima di tutto il testo:

“Venerdì mattina ero ancora a letto, quando mi apparve Gesù. Era tutto malconcio e sfigurato. Egli mi mostrò una grande moltitudine di sacerdoti regolari e secolari, fra i quali diversi dignitari ecclesiastici; di questi, chi stava celebrando, chi si stava parando e chi si stava svestendo delle sacre vesti. La vista di Gesù in angustie mi dava molta pena, perciò volli domandargli perché soffrisse tanto. Nessuna risposta n’ebbi. Però il suo sguardo si riportò verso quei sacerdoti; ma poco dopo, quasi inorridito e come se fosse stanco di guardare, ritirò lo sguardo ed allorché lo rialzò verso di me, con grande mio orrore, osservai due lagrime che gli solcavano le gote. Si allontanò da quella turma di sacerdoti con una grande espressione di disgusto sul volto, gridando: ‘Macellai!’. E rivolto a me disse: ‘Figlio mio, non credere che la mia agonia sia stata di tre ore, no; io sarò per cagione delle anime da me più beneficate, in agonia sino alla fine del mondo. Durante il tempo della mia agonia, figlio mio, non bisogna dormire. L’anima mia va in cerca di qualche goccia di pietà umana, ma ohimè mi lasciano solo sotto il peso della indifferenza. L’ingratitudine ed il sonno dei miei ministri mi rendono più gravosa l’agonia. Ohimè come corrispondono male al mio amore! Ciò che più mi affligge è che costoro al loro indifferentismo, aggiungono il disprezzo, l’incredulità. Quante volte ero lì per lì per fulminarli, se non ne fossi stato trattenuto dagli angioli e dalle anime di me innamorate… Scrivi al padre tuo e narragli ciò che hai visto ed hai sentito da ma questa mattina. Digli che mostrasse la tua lettera al padre provinciale…’. Gesù continuò ancora, ma quello che disse non potrò giammai rivelarlo a creatura alcuna di questo mondo. Questa apparizione mi cagionò tale dolore nel corpo, ma più ancora nell’anima, che per tutta la giornata fui prostrato ed avrei creduto di morirne se il dolcissimo Gesù non mi avesse già rivelato…”[18].

Dalla posizione di questa lettera all’interno dell’Epistolario e da uno studio sulle locuzioni riportate da Padre Pio nelle sue lettere si può ipotizzare che le parole di Gesù non fossero tanto una condanna sull’atteggiamento dei sacerdoti, quanto un modo per coinvolgere Padre Pio in una donazione sempre più generosa per il bene delle anime. Siamo quindi, come si vede, ad un ulteriore approfondimento di quella che è la teologia del corpo. Mentre il corpo profanato dal peccato, provoca sofferenze a Cristo, che offre la sua vita, fino alla fine del mondo, Gesù cerca anime generose che trasformino la loro vita in un altare dedicato a Dio. E sulla linea di questo corpo ormai completamente dedicato a Dio, vanno lette anche le parole di Padre Pio, in uno dei momenti più intensi della “notte oscura”:

“Oramai, grazie al cielo, la vittima è già salita all’altare degli olocausti e da sé dolcemente si va distendendo su di esso: il sacerdote è già pronto ad immolarla, ma dov’è il fuoco che deve consumare la vittima?”[19].

E qui possiamo ora leggere, come accennato, la categoria della glorificazione. Padre Pio nel 1912 è a Venafro, colpito da febbri fortissime. Si nutre per quaranta giorni quasi esclusivamente dell’Eucaristia, ogni giorno subisce delle tremende vessazioni diaboliche. Al mattino, dopo la comunione va in estasi. Padre Agostino, che annota tutte le sue parole, un giorno trascrive questa domanda che il discepolo fa al Signore: “Cosa significa, io mi glorificherò in te?”. La risposta possiamo intuire quale sia: il punto di arrivo sono le stimmate, ma tutto il cammino di Cristo in questi anni è proprio elevare il corpo di Padre Pio alla dignità di soffrire per lui. È in questa linea che Padre Agostino usa il termine più volte nell’Epistolario, mentre dopo qualche anno, gli ricorda: “Coraggio, ripeto, figliol mio, sta’ sicuro che Dio è con te: di che temerai? Non ha detto il Signore che si glorificherà in te?…”[20]. Ed è su questa linea che lo stesso Padre Pio usa questa terminologia nella direzione spirituale. Dio si glorifica nel corpo di Padre Pio perché lo associa al suo cammino di redenzione. La sofferenza è il segno che Dio sta glorificando il corpo di coloro che ha prescelti; la sofferenza è la glorificazione di Dio nel corpo dell’uomo. Possiamo dire che l’uomo sofferente per Cristo diventa una presenza di Dio nella storia, e quindi il luogo storico, legato ad preciso periodo temporale, in cui Dio viene glorificato.

 

La sofferenza come amore: le stimmate

Il pianto di Cristo sulla situazione di peccato di alcuni sacerdoti, mette in relazione la “redenzione continuativa”, cioè quest’opera di continua salvezza di Cristo, con il quotidiano vissuto da Padre Pio, che si confronta così con il proprio male fisico e con i danni del male morale. Ma la sofferenza di Padre Pio assume anche una connotazione particolare: è una sofferenza di tipo mistico. Cerchiamo ora di servirci di alcune categorie di questo periodo, quelle legate alla “notte oscura”, che meglio possono spiegarci questo concetto. Precisiamo che qui non trattiamo la “notte oscura” in Padre Pio, perché il discorso ci porterebbe lontano. Vogliamo solo cercare di capire come lui legge questa tremenda sofferenza mistica.

Gesù è prima di ogni cosa il Bene: un Bene sommo, molto diverso – però – da Colui che riempiva di felicità l’anima nei primi periodi della vita mistica. È un Bene che è totalità, pienezza, ma amaramente p. Pio constata che è un Bene che in questo momento si allontana, lascia un vuoto tremendo, non si fa trovare[21]. Questa totalità che riempie l’anima è anche una forza morale o, se ci è permesso il termine, una totalità morale, per cui l’anima percepisce nella pienezza la propria miseria. E qui sono le pagine più tremende dell’Epistolario: un dolore che non facciamo difficoltà a definire lancinante, sale prima a Dio e poi al padre spirituale dal quale si invoca una luce: potrà salvarsi quest’anima peccatrice?[22].

Quando parliamo di kenosi ci riferiamo al termine che usa s. Paolo per descrivere l’inabissamento di Dio: Gesù si fa piccolo, sembra annientarsi nella storia degli uomini. Il momento drammatico della crocifissione è visto come il momento più intenso di questo perdersi di Gesù, un momento di tale solitudine da fare sentire a Cristo di essere stato lasciato solo perfino dal Padre. Se proseguiamo il nostro itinerario all’interno dell’Epistolario ci rendiamo conto che la purgazione ha il suo momento più drammatico nell’assoluta oscurità, Dio non si fa vedere, Dio tace: siamo al momento kenotico, rappresentato dal grido: Dio mio, Dio mio perché mi hai abbandonato?, che spesso viene riproposto nelle lettere ai padri spirituali.

“Ma non è tutto, padre mio. Quello che accresce di più il mio tormento, è il rammentare alcune volte vagamente di avere in altri tempi conosciuto ed amato quello stesso Signore, di cui ora io sento di non più conoscerlo, né amarlo, come quello che per me è come un incognito, un assente, uno straniero. Mi vado allora sforzando di trovare almeno nelle creature le tracce di colui che desidera l’anima mia; ma chi può dirlo? Io non ci ravviso più l’immagine consueta di colui che mi ha abbandonato. Ed è proprio qui che l’anima, vinta dallo spavento e dal terrore, non sapendo più che fare per trovare il suo Dio, va esclamando, querelandosi col suo Signore: ‘Dio, Dio mio, perché mi avete abbandonato?’. Ma quale orribile spavento! Nessuno, neppure l’eco risponde nel vuoto che ella sente dentro di sé. Ma non ancora qui l’anima si dà per vinta. Ella ritenta novelli sforzi; ma sempre invano. Sente allora venirle meno ogni calore; tutta la sua forza la sente cessare; i sentimenti tutti di pietà vede che si sono assopiti del tutto.

Strappata al suo sposo, lacerata sino nelle parti sue più recondite, ella non sa più che si fare in questa notte altissima. E quello che più mi accresce il supplizio si è che questi mali intollerabili pare che vogliano eternamente durare. La povera anima non vede termine alcuno a questa sua orribile miseria. Un muro di bronzo sembrami racchiudermi per sempre in questo orrido carcere. Sono tante e sì acute le pene che qui si sentono, che non saprei farvi differenza alcuna di quanto potrei soffrire se fossi nello stesso inferno, anzi, e mi sia lecito il dirlo, qui in questo stato devesi soffrire ancora di più, in ragione dell’amore con cui si è amato il creatore. Ma proseguiamo. Allorché si è proprio al colmo di questo martirio, parmi che l’anima è lì per lì per cercare di consolarsi al pensare che alla fine ella deve necessariamente soccombere sotto il peso di tali dolori, perché è affatto impossibile sopportarli più lungo tempo”[23].

Sembra poco pensare che il nascondimento di Gesù sia da mettere in relazione con l’opera di purgazione che Egli compie nell’anima di p. Pio. Probabilmente in un momento così drammatico Gesù trascina l’anima nella sua esperienza kenotica. Non si potrebbe spiegare altrimenti la vocazione a corredimere di p. Pio, se non ci fosse una sua intima partecipazione alla kenosi di Nostro Signore: Gesù lo assimila al suo stesso processo di solitudine e di distacco dal Padre. L’idea che la “notte oscura” non sia solo un’opera di Cristo in favore dell’anima per portarla alla piena purificazione, ma sia legata alla corredenzione, la suggerisce proprio Padre Pio. Il 7 luglio 1913, descrivendo a p. Benedetto la situazione angosciosa della sua anima, afferma di comprendere ora fino in fondo il dolore del distacco di Maria da suo Figlio e conclude che proprio per questo distacco dovrebbe essere riconosciuto alla Vergine il titolo di regina dei martiri. 

“… il dolore si è fatto ancora più crudo da sembrarmi che il cuore mi si trafigga a banda a banda.

Adesso mi sembra di penetrare quale fu il martirio della nostra direttissima Madre, il che non mi è stato possibile per lo innanzi. Oh se gli uomini penetrassero questo martirio! Chi riuscirebbe di compatire questa nostra sì cara corredentrice? Chi le ricuserebbe il titolo di ‘regina dei martiri?’”[24].

Ci troviamo effettivamente di fronte ad un’unione trasformante che, soprattutto nel periodo che va dal 1917 al 1918, è accompagnata da numerosi fenomeni mistici quali il deliquio e letargo delle potenze e dei sensi, le ferite d’amore al cuore, il tocco sostanziale, la trasverberazione. Tutte manifestazioni che in qualche modo fanno da preludio alla stigmatizzazione. A questo punto Dio si glorifica nel corpo di Padre Pio attraverso le stimmate, ma non nel senso più banale del termine, quasi che gli voglia dare un contentino, ma perché le stimmate diventano il simbolo di questa sua partecipazione tutta particolare alla passione di Gesù. Ecco allora che Padre Pio percepisce il dolore della “notte oscura” e lo stesso dolore delle stimmate, come una partecipazione personale a quell’amore che lo crocifigge per il bene dell’uomo.

 

La sofferenza come “storia”: aiutate questo Cireneo

Dopo la stigmatizzazione, Padre Pio si presenta come il Cireneo. Scrive a padre Agostino:

“Aiutate anche voi con le vostre preghiere questo Cireneo che porta la croce di molti, affinché in esso si compia il detto dell’apostolo: supplire e perfezionare ciò che manca ancora alla passione di Cristo”[25].

La vittima è diventata il Cireneo, Padre Pio è passato cioè da una situazione personale di espiazione, configurazione a Cristo e assimilazione alla sua missione, a una situazione ecclesiale, in cui vive profondamente la sua vocazione di servizio all’uomo e al peccatore. Un sintomo chiaro di questo cambiamento lo abbiamo proprio nella concezione della morte: inizialmente il suo unico desiderio era morire, non perché rifiutasse la vita o sentisse il peso della malattia, ma semplicemente perché la morte era per lui il passaggio da esperienze di amore limitate nel tempo e sempre legate alla paura di perdere l’amore, ad un legame totale e definitivo con Dio. Ora il Cristo lo ha associato anche psicologicamente alla sua missione, per cui portare la croce è diventato per Padre Pio il gesto più bello di amore per Cristo, ma anche l’occasione di rendere presente il Cristo nella storia dell’uomo. Al direttore spirituale che si lamentava perché non rispondeva alle sue lettere, Padre Pio spiegava che ormai la sua missione era quella di portare le anime a Dio.

“E poi mi si fanno dei paterni rimproveri, di cui riconosco chiaramente non essere colpevole. È vero che il concorso è diminuito, ma dovete pur sapere che sono il solo, alla lettera, a portarne tutto il peso, non escluso quello di buona parte della corrispondenza, che cerco di disbrigarla nelle ore notturne. Il concorso è diminuito per gli altri, ma non per me, dal lavoro sono esclusi gli altri, ma non io. Il mio lavoro è sempre assiduo, e con più di responsabilità. Ed è ormai l’una dopo la mezzanotte, che traccio queste poche righe. Sono ormai diciannove ore di lavoro che vado sostenendo, senza un po’ di sosta. Pazienza!”[26].

La cosa più interessante però è che scrive alle figlie spirituali, dicendo, “aiutate questo Cireneo a portare la croce”[27]. Padre Pio ritiene che la Croce non sia uno strumento occasionale con cui ci si confronta ma il mezzo vero con cui la Chiesa è chiamata a portare le anime a Dio. Per questo un discorso su Padre Pio e la sofferenza, non può non tener conto come lui abbia coinvolto le sue figlie spirituali nell’impegno di portare la Croce con Cristo.

 

 

 

PEDAGOGIA DELLA CROCE

 

Storia della direzione spirituale

Nell’Introduzione al III volume dell’Epistolario viene descritta la storia della corrispondenza di Padre Pio con le figlie spirituali; è da quelle pagine che attingiamo queste notizie[28]. Non si sa quando Padre Pio iniziò la corrispondenza in qualità di direttore spirituale. Siamo in possesso della maggior parte delle lettere scritte dal 1914 in poi, però siamo certi che anche precedentemente, forse non in modo sistematico come da allora, lui scrisse a delle anime dietro invito di padre Benedetto e di padre Agostino. Nella seconda metà del 1913 si nota una certa evoluzione nel suo rapporto con il mondo spirituale: da un profondo ermetismo che lo portava ad avere difficoltà nel comunicare la sua vita spirituale perfino ai suoi direttori, Padre Pio passa ad un desiderio di confronto e di reciproco incoraggiamento con altre anime.

“Riconosco pure essermi provenuto da questi tesori celesti un grandissimo desiderio di trattare con persone che hanno fatto più profitto colle vie della perfezione. Le amo assai perché a me sembra che grandemente mi aiutino nell’amare l’autore di tutte le meraviglie, Iddio. Mi sento pure grandemente spinto di abbandonarmi tutto nella provvidenza e nessun pensiero mi danno più le cose sì prospere che avverse e tutto questo avviene senza nessuna ansietà e sollecitudine. Per lo innanzi provavo confusione che altri sapessero quello che il Signore opera in me, ma da alcun tempo in qua non la sento più questa confusione, perché vedo che non per questi favori io son migliore, vedendomi anzi peggiore e che poco profitto io fo con tutto queste grazie. Tale è il concetto che ho di me, che non so se vi siano altri peggiori; ed allorquando veggo in altri certe cose che paiono essere peccati, non posso persuadermi che costoro abbiano offeso Dio, non ostante che io vegga assai lampante la cosa. Solo mi dà pensiero il male comune, che molte volte m’addolora altamente”[29].

Già, quindi, dalla fine del novembre 1913 Padre Pio iniziò una corrispondenza con alcune anime, tra cui quasi certamente anche un sacerdote. Il tramite era ordinariamente padre Agostino, cui arrivavano le lettere in busta chiusa, mentre lui si impegnava a consegnarle di persona alle anime interessate. Nei mesi successivi inizia una corrispondenza diretta con Raffaelina Cerase e nel biennio 1914-1916 abbiamo altri gruppi di lettere, generalmente legati all’ambiente di Foggia, ove operavano padre Agostino e padre Benedetto. Possiamo senz’altro però affermare che il periodo di maggiore intensità nella corrispondenza di Padre Pio è quello che inizia a San Giovanni Rotondo dopo il suo arrivo nel 1916: solo nel III volume abbiamo 24 lettere scritte negli ultimi mesi del 1916, 72 nel 1917 e 106 nel 1918; a queste si aggiungano quelle… scritte a Padre Agostino e Padre Benedetto e a Giuseppina Morgera, nonché le altre indirizzate a vari personaggi e contenute nel IV volume.

“Le destinatarie di questa corrispondenza sono giovani studentesse che si preparano culturalmente per rendersi poi utili alla famiglia ed alla società; casalinghe, nubili o sposate, in umile e nascosto servizio ai familiari o lavoratrici che faticosamente si guadagnano il pane cotidiano; impiegate in uffici pubblici e statali o in attività sociali; maestre e insegnanti, che danno alla professione la sfumatura apostolica richiesta dai tempi; diplomate infermiere, al servizio caritatevole ed assistenziale dell’umanità dolorante; madri di famiglia che attuano la loro perfezione nel santuario domestico; anime consacrate alla verginità e all’apostolato nel mondo o nell’ambito parrocchiale; e anime votate e consacrate allo Sposo divino nella solitudine del chiostro”[30].

Mentre inizialmente le anime vengono presentate a Padre Pio dai suoi padri spirituali, dal suo arrivo a San Giovanni Rotondo, si crea intorno a lui un gruppetto di persone che segue con delle conferenze settimanali. Al termine dell’incontro si discute su argomenti spirituali e Padre Pio, quando è possibile, risponde pubblicamente, in altri casi scrive una lettera personale con le delucidazioni necessarie. Al gruppo delle anime di Foggia e di San Giovanni Rotondo, occorre aggiungere altri due gruppi: quello di Napoli e quello di San Marco La Catola. Le figlie spirituali di San Marco La Catola vengono conosciute da Padre Pio attraverso padre Benedetto. Nel maggio del 1918, inoltre, lo stesso Padre Pio risiederà un mese a San Marco La Catola. A Napoli, durante il servizio militare, Padre Pio conosce Giuseppina Morgera e la sua amica Antonietta Vona. La Morgera svolgerà il suo apostolato di carità ad Ischia, mentre Antonietta Vona si stabilirà a San Giovanni Rotondo.

Lo studio completo della metodologia di Padre Pio richiede una lunga trattazione, non solo di carattere pedagogico, ma anche linguistico e teologico. Per quanto riguarda il nostro discorso occorre tener presenti soprattutto alcuni aspetti. Prima di tutto la capacità di Padre Pio di adattarsi all’anima diretta. Il carattere della sua direzione è quello di non avere un metodo precostituito, Padre Pio si limita a leggere la situazione e consegnare la propria esperienza spirituale. Da ottimo medico dello spirito sa dosare le parole forti, gli interventi intensi con molta dolcezza e familiarità. Cerca inoltre di adattarsi alle situazioni personali, di aiutare le anime a discernere i segni di Dio nelle loro storie e soprattutto agisce nel rispetto della cultura e della crescita di ognuno senza mai pretendere sforzi inutili e percorsi pericolosi.

Al centro della sua direzione ci sono due aspetti: la crescita teologale e una intensa vita di preghiera. Per prima cosa propone la meditazione e l’osservanza rigida di un orario quotidiano a livello spirituale. Tale orario concordato con le interessate varia di intensità e ha sempre come centro l’ascolto quotidiano – se possibile – dell’Eucaristia. In molte occasioni inoltre – importante per il suo tempo – raccomanda lo studio della Sacra Scrittura. La ricerca della perfezione cristiana non è un ideale astratto, ma si basa su esempi concreti e su motivazioni di carattere personale. Di notevole interesse è il rapporto che riesce ad instaurare con le anime. Inizialmente ci si trova di fronte ad una vera e propria iniziazione, Padre Pio sente le anime come dono fattogli da Dio, in più di un’occasione ribadisce che sente il peso e la responsabilità di quella missione. Il rapporto personale con queste anime è caratterizzato da molta familiarità e da un incoraggiamento costante, al punto che Raffaelina Cerase arriva quasi a rimproverarlo per la sua indulgenza.

Tale familiarità ha le sue origini soprannaturali in un impegno comune a discernere l’azione dello Spirito e a smascherare le insidie di Satana. A questo punto, dovendo scegliere alcune lettere per presentare il discernimento di Padre Pio, nella sofferenza, abbiamo scelto di non cogliere fior da fiore, ma di far riferimento ad un solo gruppo di lettere. La scelta è caduta su questo gruppo, per diversi motivi, ma con questo non si vuol dire che siano le lettere più belle né il gruppo che meglio rappresenti p. Pio, anche perché in questo campo prevale la sensibilità personale ed è difficile fare delle classificazioni in base all’importanza di un gruppo di lettere sulle altre. Per questo motivo ho preso ad esempio le lettere indirizzate ad Antonietta Vona.

 

Prova, crisi e sofferenza nella corrispondenza con Antonietta Vona (1886-1949)

Pio si presentò il 6 novembre 1915 al distretto militare di Benevento ed il 6 dicembre venne assegnato alla 10a compagnia di sanità in Napoli. Il 18 dello stesso mese venne mandato in convalescenza a casa per un anno. Il 18 dicembre 1916 rientra a Napoli e il 30 dello stesso mese viene inviato in licenza illimitata, che però sul foglio matricolare è limitata a sei mesi. Per un disguido postale la licenza durò otto mesi. Il 19 agosto 1917 torna alla caserma napoletana e contro ogni previsione è dichiarato idoneo ai servizi interni e rimane in quella caserma fino al 5 novembre, quando ottiene una licenza di quattro mesi per convalescenza. Riprende servizio il 5 marzo del 1918 fino al 16, quando viene riformato per bronco-alveolite doppia, per un complessivo di 182 giorni di servizio militare.

In questo frangente p. Pio conosce Antonietta Vona. Attingiamo queste notizie dall’Introduzione alle lettere che le scrisse Padre Pio, pubblicate nel III Volume dell’Epistolario. Figlia di Domenico e Marianna Cerase, nacque a Castrocielo (Frosinone) il 18 luglio 1886 ed ebbe due sorelle (Celerina e Pasqualina) e quattro fratelli (Livio, Alfonso, Errico e Celestino). Famiglia facoltosa e profondamente cristiana. Antonietta si dedicò sin da giovane ad opere di carità. Nell’estate del 1917 sua mamma si recò con lei e la sorella Celerina in villeggiatura a Casamicciola (Ischia) e alloggiò nella pensione San Pasquale della famiglia Morgera, che conosceva Padre Pio, perché quasi da un trentennio ospitava le sorelle Cerase. La stessa Giuseppina, figlia dei Morgera, conobbe Padre Pio a Napoli nel dicembre del 1915 e cominciò con lui una corrispondenza epistolare.

“Ci viene riferito che in quell’occasione la proprietaria della pensione pregò Antonietta di rispondere a nome suo ad una lettera scrittale dal venerato Padre. Poco tempo dopo Giuseppina ed Antonietta si recarono a Napoli ed insieme visitarono padre Pio, il quale rivolgendosi ad Antonietta le disse senza esitazione: ‘Sei stata tu a scrivermi’. Conosciute dalla famiglia le precarie condizioni di salute di Padre Pio e il bisogno che aveva di un trattamento speciale, ‘si era fatto un onore e piacere di inviargli tutti i giorni un piatto di rape’, approfittando della presenza a Napoli del soldato Errico Vona (fratello di Antonietta)”[31].

A questo punto comincia la corrispondenza tra Padre Pio ed Antonietta, la quale insieme ai suoi familiari si prodigò per liberare al più presto il frate dal servizio militare. Lo stesso padre Pio nelle sue prime lettere si rivolge a lei chiedendole proprio una raccomandazione in proposito. Antonietta Vona, sotto la direzione spirituale di P. Pio intraprende un cammino di fede e – sotto la direzione del vescovo – inizia un’opera apostolica che non riuscì a portare a termine e di cui non abbiamo notizie precise. Dopo la seconda guerra mondiale si trasferisce a S. Giovanni Rotondo e fa parte di quel gruppo di figlie spirituali che faceva capo a Nina Campanile. Passa due anni di grandi sofferenze.

“Un giorno Padre Pio andò a farle visita e, buttandosi su una sedia, incominciò a descrivere in maniera così evidente e chiara, come se leggesse in un libro, i peccati che si commettevano nelle diverse parti del mondo. In ultimo, concluse: ‘Antonietta, soffriamo per i nostri fratelli’”[32].

Muore a S. Giovanni Rotondo il 19 novembre 1949. Padre Pio dettò il seguente pensiero per il ricordino in occasione del trigesimo della sua morte:

“È stata una delle poche anime in cui Dio si è compiaciuto. Ha vissuto nel nascondimento, nell’umiltà più profonda e in una continua sofferenza che ha saputo sopportare con animo sereno e gioioso e si è spenta come un lumicino, tutta consumata in Dio e per Dio nel quale ora eternamente riposa”[33].

La corrispondenza tra Padre Pio e la Vona inizia il 21 settembre 1919. Nel III Volume dell’Epistolario vengono pubblicate 40 lettere, che vanno fino al 1922. Con queste premesse potremmo cogliere le tappe del cammino spirituale di Antonietta Vona, e quindi individuare, almeno in parte quegli elementi che costituiscono non un metodo, ma una peculiarità della spiritualità di Padre Pio.

 

Un cammino orientato verso Dio

Precisiamo prima di tutto che le lettere inviate da Padre Pio alle figlie spirituali, vedono queste donne già impegnate da tempo nel loro cammino spirituale. Pertanto non abbiamo testimonianze autografe di Padre Pio che indichino il suo modo di avvicinare l’anima nei primi momenti della conversione. Le testimonianze orali o scritte in merito, provengono dai racconti degli interessati. Sebbene questi ultimi siano da leggere nel loro contesto e a volte non sono esenti da qualche coloritura offerta dagli interessati e dai circostanti, possiamo sostenere alcune costanti: eccetto casi rarissimi, la conversione dei figli spirituali di Padre Pio non è mai stata un fatto immediato; anche quando si verificavano casi eclatanti, in realtà c’era dietro un cammino molto lento; la presunta “severità” e “intransigenza” di Padre Pio era un metodo pedagogico, che lui adottava in qualche caso e sempre in anime che ormai erano decise ma avevano bisogno di una “spinta finale”; è errato confondere tale metodo pedagogico con quel “rigorismo nostalgico” che a volte si nota nell’ambiente dei devoti di Padre Pio; i punti di riferimento essenziali per iniziare un cammino spirituale per Padre Pio erano le virtù teologali e la ripresa della frequenza ai sacramenti; in tutto questo la croce veniva presentata come espiazione dei peccati, ma soprattutto come strumento di purificazione dalle cattive abitudini intraprese.

Nell’Epistolario ad Antonietta Vona, Padre Pio inizia il suo cammino di direzione con un’anima che conosceva già da due anni e che era impegnata in un progresso di fede. Le virtù fondamentali che suggerisce sono l’umiltà e la pazienza. Potremmo definire la direzione di Padre Pio “un cammino orientato verso Dio”. Un brano preso da una lettera del 20 marzo 1918, ci aiuta a comprendere come lui indirizzi le anime al cristocentrismo:

“Non ti compiacerai mai di te stessa – non ti lamenterai mai delle offese – scuserai tutti – gemerai sempre come povera dinanzi a Dio – non ti meraviglierai affatto delle tue debolezze; ma piena di santo rossore e di completa confidenza abbandonerai il tuo cuore sul petto del divin Maestro, come un fanciullo tra le braccia materne; – non ti esalterai punto nelle virtù, ripetendo tutto da Dio ed a Dio”[34].

 

Il momento della prova

Per quanto riguarda il nostro tema fermiamo per un momento la nostra attenzione su un gruppo di lettere che vanno dal marzo 1918 al novembre 1919. In questo periodo avviene di tutto: Padre Pio è nella “notte oscura”, le sue lettere ai padri spirituali denunciano solitudine, smarrimento, aridità, ma anche momenti di dolcezza e vita d’unione mai vissuti prima; nel luglio del 1918 Padre Pio si offre vittima per la fine della guerra; nell’agosto riceve la trasverberazione; nel settembre riceve le stimmate; iniziano le visite mediche e i primi articoli su di lui; Padre Pio va sempre più comprendendo la sua missione di Cireneo. Dalle lettere di Padre Pio ad Antonietta Vona veniamo ad avere alcune informazioni sul suo cammino spirituale: la donna vive una situazione di desolazione dello spirito; Antonietta Vona sta attraversando un periodo non meglio precisato di sofferenza; la Vona è impegnata in un’opera apostolica che Padre Pio incoraggia.

Non possiamo parlare di un metodo preordinato portato avanti da Padre Pio nei confronti di questa figlia spirituale, bensì di un itinerario che in qualche modo viene illuminato dalla sua esperienza personale. Sebbene ci si trovi di fronte ad una persona avanti nel suo cammino di fede, possiamo proporre un’analogia tra le difficoltà che lei incontra e quelle che si potrebbero incontrare in un cammino vocazionale oggi, e cercare di individuare il percorso proposto da Padre Pio. Ad Antonietta Vona Padre Pio parla di cognizione di una indegnità interiore (siamo nella fase mistica della desolazione), noi avremo a che fare con persone insoddisfatte, che si lamentano perché si sentono non capite ed irrealizzate, con le quali occorre, ovviamente anche un approccio di tipo psicologico, però ritengo sia essenziale avere presente la considerazione di Padre Pio: si tratta di una luce che è grande misericordia di Dio e fu concessa ai più eccelsi santi, perché pone l’anima al riparo da ogni sentimento di vanità e d’orgoglio e rinsalda l’umiltà che è fondamento della vera virtù e perfezione cristiana.

In questo stato di desolazione, Antonietta pensa che anche un minimo peccato la allontani da Dio. Padre Pio risponde che Iddio può rigettare tutto in una natura concepita nel peccato “ma non può assolutamente rigettare il desiderio sincero di amarlo”[35]. Una grande lezione per chi ancora non riesce a staccarsi completamente dal male: Dio non rigetta il desiderio di amarlo, questo è il primo passo della conversione, la risposta ad una crisi che guardi eccessivamente alle debolezze dell’uomo. Di fronte alle grandi croci a volte restiamo senza parole. È bello come Padre Pio non butti la croce addosso ad Antonietta, dicendogli barbaramente “è la tua croce, portala che vai in cielo”. Notate con quanta delicatezza solidarizzi con lei: “benché per una parte io non possa trattenermi di patire con te nel vederti nella prova, poiché tu sei veramente mia figliola concepita nel mio cuore nell’ora del dolore; per l’altra parte mi glorio con te nella croce di nostro Signore, poiché tu sei così felice di parteciparne, e non cesserò mai di pregare lo Spirito Santo che stabilisca sempre più il tuo nella sua ubbidienza, nel suo purissimo e santo amore”[36].

E di fronte al cammino difficile fatto di mille imperfezioni, una ricetta semplice: “Abbi pazienza, figliola mia, nel sopportare le tue imperfezioni, se ti sta a cuore la tua perfezione”[37]. Il cammino di Antonietta che si confronta ogni giorno con Dio è pieno di paure, di incertezze. È chiaro che ci troviamo in un discorso fatto per analogia, ma nessun cammino è pieno di paure o di incertezze come quello vocazionale. Leggiamo quello che consiglia Padre Pio:

“Figliuola mia, non temere le tempeste del rigido inverno, perché a misura che questo sarà più rigido, tanto più la primavera sarà ricca di fiori ed il raccolto sarà più abbondante. Checché dica e faccia il tentatore, Dio va ottenendo in te il suo mirabile fine, quale è di completare la tua piena trasfigurazione in lui. Non credere, mia dilettissima figliuola, ai sussurri ed alle ombre avverse del nemico e tieni ferma la verità contenuta in questa dichiarazione che fa in piena autorità il tuo direttore ed in piena sicurezza di coscienza. Temere di perderti tra le braccia della bontà divina è più curioso del timore del bambino stretto fra le braccia materne. Bandisci qualunque dubbio o ansia, che del resto sono permessi dalla carità infinita per lo stesso fine su accennato. Quelle strette e quelle dilatazioni che senti al cuore nascono dall’amore che spinge e dall’amore che attira. Quindi vivi tranquilla ed espandi pure la tua anima dinanzi all’eterno sole, e non temere i sui cocenti ed infuocati raggi. Spandi pure, dico, o figliuola dilettissima del mio cuore, la tua anima davanti a questo sole di eterna bellezza, se brami che si schiuda il bozzolo affin di far sprigionare da esso la formosissima farfalla”[38].

Se questo può essere l’approccio di Padre Pio di fronte alla crisi e alla sofferenza, è opportuno, però, proporre anche quello che è l’aspetto missionario che emerge chiaramente nella corrispondenza con Antonietta Vona. Nella lettera del 4 giugno 1918, Padre Pio invita Antonietta a pregare soprattutto per la Chiesa e la incoraggia a proseguire nel suo cammino di immolazione per la Chiesa e per i peccatori[39] e nel momento in cui ella sente di più l’abbandono e l’immolazione, la spinge all’abbandono con Gesù sulla croce[40]. 

 

Gesù è la tua ricchezza

Faremmo un cattivo servizio a Padre Pio, se riducessimo tutta la sua spiritualità al tema della sofferenza. Abbiamo iniziato le nostre riflessioni con un concetto base: Padre Pio ha incontrato Cristo come colui che realizzava la sua esistenza, la sofferenza è stata solo il mezzo attraverso il quale approfondire questo incontro con lui. Invito semplicemente a dare una lettura alla corrispondenza seguente con Antonietta Vona, per approfondire questo “catechismo cristologico” di Padre Pio: la via della perfezione passa per il Calvario ove si incontra Gesù[41], su questa terra l’unione con Cristo è incompleta per cui aspettiamo con ansia il suo incontro finale con lui[42], il demonio cerca di sedurci per rendere difficile il nostro rapporto di amore con Dio[43], l’amore di Dio va contemplato in umiltà[44].

 

 

 

UNA VISIONE PASTORALE
ATTRAVERSO IL SIMBOLISMO DELLA CROCE

Tutto questo castello così ben costruito lascia molto perplessi quando lo si vuol riproporre a livello pastorale. È facile rendersi conto di come sia difficile proporre questa tematica ai credenti di oggi ed in modo particolare ai giovani. È possibile, però individuare alcune immagini che Padre Pio suggerisce nell’Episolario e che potrebbero essere utilizzate proprio nel proporre una pastorale realistica che sappia comunque fare i conti con il messaggio della croce che viene da Padre Pio.

 

La croce come senso dell’esistenza

“L’amore alla croce fu sempre un segno distintivo delle anime elette; l’essere aggravato della croce fu sempre una speciale predilezione del Padre celeste per dette anime. E ben comprese il nostro serafico Padre che senza l’amore alla croce non si può fare molto profitto nelle vie della perfezione cristiana e perciò di continuo ne portava scolpita nell’anima la passione e morte, nonché tutta la vita mortale del Figliuolo di Dio fatto uomo. Frutto di sì assidua meditazione fu il generarsi nel di lui cuore l’amore ai patimenti da non conoscere il limite, che spesso rapito in estasi di amore esclamava: ‘È tanto il bene che io mi aspetto che ogni pena mi è diletto’”[45].

La compassione per Cristo è uno di quei sentimenti che io ho trovato tra persone di tutte le età e di tutte le esperienze sociali o religiose. Il momento della prova e dell’incomprensione ci lega soprattutto a questa esperienza di Cristo ed è proprio allora che noi siamo chiamati ad una sterile denuncia o a una condivisione più profonda. Padre Pio si commuove di fronte a questo Dio, che si propone di condividere fino all’estremo le sorti dell’uomo, e portando la sua croce indica uno stile di vita che spesso può sembrare in antitesi alle premesse della nostra società e per i più risulta perfino deludente; il linguaggio del Cristo servo, di un Gesù che lava i piedi è la metafora dello sconfitto e dell’illuso.

Intorno a noi riaffiorano individualismi di ogni tipo, un mercato mondiale sempre più distante dallo stato sociale, il regionalismo portato ad eccessi di neorazzismo, una passionalità sfrenata che ormai lascia ben poco spazio al rispetto dell’altro. Padre Pio che propone di portare una croce e quindi di scegliere la strada degli ultimi, senz’altro per difenderli, ma soprattutto per condividerne la sorte, diventa così la parola profetica su questo mare agitato e ormai sempre meno aperto al grido dei più deboli. La sua storia, le opere che ha compiuto, però, ci hanno consegnato un’utopia diventata realtà; un messaggio di Cristo attuabile e attuato da un povero frate che migliaia, anzi milioni hanno seguito in silenzio e spesso eroicamente lungo la sua strada. E così l’uomo solo, l’uomo abbandonato e deluso ha trovato sempre qualcuno a cui aprire il cuore, ha trovato una parola di speranza, un bicchiere d’acqua dato per pura misericordia.

 

La croce come forza morale

“Non mai temete le insidie di satana, che per quanto possano essere gagliarde, non varranno mai a smuovere un’anima che si tiene attaccata alla croce”[46].

Tutti sappiamo come la scelta vocazionale sia chiara rinuncia al peccato e un’adesione ad una volontà salvifica di Dio che non sempre è percepibile di primo acchito. Molto spesso si ha a che fare con la nostra debolezza e soprattutto con quella degli altri, con le strutture e le persone che deludono. La crisi insorge non tanto di fronte alle grandi scelte. Personalmente ritengo che la crisi si costruisca lentamente nella conflittualità quotidiana. Padre Pio sembra su questa strada e vede che il disordine entra nell’uomo lentamente, attraverso un’opera di falsificazione della verità operata quotidianamente dal demonio: ecco allora l’invito a legarsi alla croce. È proprio il legame con la sofferenza, è “amando la croce” che la prova e la crisi possono diventare uno strumento positivo di salvezza.

L’uomo troppo pieno di sé è incapace di sentire voci diverse dalla sua. A me è capitato spesso di dover dire a delle persone in crisi: “Se non ti aiuti tu, non ti aiuta nessuno”. Nessuno può intervenire in un cuore pieno di odio, di rivalse, di passionalità; la sofferenza però può diventare uno strumento di purificazione, se diventa il mezzo per liberare il cuore e aprirlo a Dio.

 

La croce come scelta missionaria

“Per carità, non lasciate mai solo il Cristo, senza il pietoso Cireneo”[47].

La generosità cui fa riferimento Padre Pio è quella eroica di chi si carica della croce degli altri per poi diventare motivo di gioia per gli altri. Chi ha conosciuto Padre Pio ha colto tutta la serenità che era contenuta nel suo messaggio spirituale. Abbiamo accennato alla glorificazione del suo corpo: quella glorificazione voleva dire la presenza del Regno di Dio, una presenza caratterizzata da un uomo che prendeva su di sé la sofferenza degli altri per restituire la gioia. È questo l’essere Cireneo di Padre Pio. Una missione che ha un valore morale e materiale: Padre Pio si caricava delle sofferenze spirituali e fisiche della gente per restituire benessere e speranza.

Sarebbe un errore far concludere la vita di Padre Pio con la croce: le sue stimmate scompaiono in occasione della sua ultima messa, così come sono comparse all’inizio del suo sacerdozio. Ognuno ha dato le sue interpretazioni, e per il momento siamo sempre a livello di ipotesi. Io credo che nel fare delle ipotesi sulla scomparsa delle stimmate occorra metterla in relazione proprio col fatto che sono durate per tutto il tempo del suo sacerdozio. Il suo sacerdozio aveva proprio quella missione: portare Cristo al mondo attraverso la propria crocifissione. La scomparsa delle stimmate indica senz’altro – come già detto da qualcuno – un annuncio di risurrezione, ma anche la conclusione di una missione di salvezza portata avanti sulla terra.

Parlare di Padre Pio vuol dire annunciare la possibilità di continuare la missione del cireneo, di continuare ad essere su questa terra delle isole fortunate di questa presenza di Dio. La missione del Cireneo corrisponde in pieno alla grande promessa: mi glorificherò in te, e alla grande missione che Padre Pio ha ricevuto: santificati e santifica.

 

 

 

CONCLUSIONE

Abbiamo iniziato queste nostre riflessioni con le parole del Papa, concludiamo con quelle del Cardinal Silvestrini. “Per quale motivo – si domanda – una vita di sofferenza riusciva ad interpellare gli animi in modo così efficace e tuttora esercita un travolgente richiamo popolare? Senz’altro perché quella sofferenza era in contrasto solo apparente con le insopprimibili attese di vita riposte nel cuore umano; essa anzi le sapeva interpretare e ricondurre al mistero della vita vera presente in Colui che ha detto: Io sono la via, la verità e la vita (Gv 14,16)”.

Il secolo XX è stato definito da più parti il secolo dell’anestetico perché si cercava in ogni modo di occultare il dolore, di renderlo meno evidente, più sopportabile e soprattutto di diluirne la drammaticità. Gli oroscopi, il mondo della magia, l’astrologia hanno portato – d’altra parte – a un determinismo, per cui la volontà dell’uomo risulta talmente influenzata dall’esterno, da perdere ogni mordente di fronte alla problematicità della croce. Tutto questo ha senz’altro influito sui nostri rapporti con la realtà.

Nanni Moretti di recente ci ha proposto un film: “La stanza del figlio”. Il film è ambientato ad Ancona, si parla di una famigliola: papà, mamma, due figli; uno studio medico, numerosi clienti. Una famiglia serena. Poi succede l’evento che cambierà di colpo la loro vita: la morte del ragazzo durante un’immersione. I tre superstiti iniziano un cammino difficile, una discesa nell’inferno della sofferenza, del rimpianto e dei sensi di colpa, per poi ricominciare a vivere. Nanni Moretti con il film “La stanza del figlio” è riuscito a darci uno spaccato di tante situazioni familiari, che non sempre forse sono attraversate da disgrazie come questa, ma comunque vivono simili momenti di sofferenza, che spesso servono a ricompattarle proprio attraverso una discesa nell’inferno delle proprie sofferenze e dei propri rimpianti. Soprattutto però è riuscito a farci vedere come si faccia di tutto per nascondere il dolore, lo si vuole esorcizzare con le luci, le feste, i trionfi calcistici o di un quiz televisivo; Nanni Moretti in modo magistrale ci insegna che tutto questo non serve: il dolore non si fugge, va affrontato, letto e superato insieme.

Padre Pio, non attraverso un film, ma con una vita segnata dalla croce ci ha fatto vedere come lui ha attraversato il dolore, come è riuscito a dare un senso a quella croce: è diventata la porta per accedere a Dio e il paradigma per interpretare l’esistenza dell’uomo. L’uomo non comincia la sua vita con la croce e non la conclude con la croce. Nel momento in cui l’esistenza comincia a spogliarlo delle sue sicurezze l’uomo scopre la croce come strumento per liberarlo dalle false sicurezze e fare spazio a Dio. Nello stesso tempo utilizza la croce come paradigma per spiegare alla luce dell’amore di Cristo quanto gli sta accadendo: come Gesù l’uomo crocifigge attraverso la sofferenza il suo peccato, purifica il suo cuore, come Gesù offre la sua sofferenza per gli altri, come Gesù attraverso la croce diventa il testimone della salvezza.

È chiaro che in questo modo la croce evoca l’amore di Dio, ma diventa anche il paradigma della sequela: una vera sequela sulla strada del Maestro è prendere la sua croce, ma non come strumento di sofferenza, bensì come strumento di gloria. In un cammino vocazionale la croce diventa il simbolo della graduale liberazione ed assimilazione a Cristo. Nel momento della prova diventa offerta, nel momento in cui l’esodo ci fa sperimentare i dubbi e l’arsura del deserto la croce diventa il punto di riferimento che ci fa superare l’ostacolo. Nel momento infine, in cui sperimentiamo la nostra debolezza la croce è il nuovo serpente di bronzo che viene innalzato per la nostra salvezza.

Possiamo riassumere questi concetti con le stesse parole di Padre Pio: Mi copro il volto di rossore; so benissimo che la croce è il pegno dell’amore, la croce è caparra di perdono, e l’amore che non è alimentato, nutrito dalla croce, non è vero amore; esso si riduce a fuoco di paglia[48].

 

 

 

 

 

 

Note

[1] Un riscontro della risonanza ecclesiale della spiritualità di Padre Pio si può avere nel volume della Libreria Editrice Vaticana: Padre Pio l’uomo e il Santo, che raccoglie – oltre ai discorsi del Pontefice in occasione della beatificazione – una trentina di articoli di cardinali e vescovi che si interrogano sul messaggio di Padre Pio.

[2] La bibliografia sulla vita di Padre Pio è vasta. Ricordiamo le due opere principali: ALESSANDRO DA RIPABOTTONI, Padre Pio da Pietrelcina “Il cireneo di tutti”2, P. Pio da Pietrelcina, S. Giovanni Rotondo, 1983; FERDINANDO DA RIESE S. PIO X, Padre Pio da Pietrelcina 6, P. Pio da Pietrelcina, S. Giovanni Rotondo 1984. Per un simpatico omaggio agli amici, è possibile trovare diversi libretti, tra cui il libro-audiocassetta, con un’intervista fatta a Padre Pio e le testimonianze di persone della cultura e dello spettacolo a lui legate: FILIPPO ANASTASI, Padre Pio, la sua voce, la sua storia, RAI-ERI 2000.

[3] G. GUSSO, Padre Pio visto da un medico, in AA. VV., Atti del 1° Convegno di studio sulla spiritualità di Padre Pio (S. Giovanni Rotondo, 1-6 maggio 1972), P. Pio da Pietrelcina, S. Giovanni Rotondo 1973 (= Atti), 307.

[4] Epist. I, 694.

[5] Cfr. Atti I, 308.

[6] GERARDO DI FLUMERI, Il mistero della croce in Padre Pio da Pietrelcina, P. Pio da Pietrelcina, S. Giovanni Rotondo 1977. Per quanto riguarda il tema della sofferenza in Padre Pio cfr. anche: F. DA RIESE S. PIO X, Il mistero della Croce in Padre Pio, in Atti, 71-97.

[7] Epist. I, 477.

[8] Epist. I, 177.

[9] Epist. I, 192.

[10] Epist. I, 197-198.

[11] Si possono leggere in proposito le lettere n. 57 (Epist. I, 249 e ss.), n. 63 (Epist. I, 260 e ss.) e n.67 (Epist. I, 264 e ss.). 

[12] Epist. I, 273. 

[13] Epist. I, 197. 

[14] Epist. I, 335.

[15] Epist. I, 339.

[16] Epist. I, 335.

[17] Epist. I, 234.

[18] Epist. I, 350. 

[19] Epist. I, 750.

[20] Epist. I, 478.

[21] “Padre mio! – scriverà a p. Benedetto – Dio mio! ho smarrito ogni traccia, ogni vestigia del sommo Bene, nel senso più rigoroso. Tutte le mie affannose ricerche in cerca di questo Bene mi riescono inutili, sono lasciato solo nella mia ricerca, solo alla mia nullità e miseria, solo alla viva immagine di ciò che si possa, anche in cognizione sperimentale; sono solo, completamente solo, senza cognizione alcune della suprema bontà, all’infuori di un desiderio forte sì, ma sterile, di amare questa suprema bontà” (Epist. I, 1051).

[22] Sempre nella stessa lettera p. Pio continua: “Mi vedo appunto qual sono, e tal conoscenza mi porta a sapermi immeritevole di qualunque sguardo, e divino ed umano; scendo ogni dì nell’abisso mostruoso della mia deformità; e questa dimora mi fa comprendere ciò che mi spetta. Cessate, padre mio, cessate per carità di prodigare perle preziose a quest’immondo animale le ghiande e quanto vi è di rifiuto e dispregevole” (Ib., 1052).

[23] Epist. I, 723-724; si veda anche Epist. I, 1056.

[24] Epist. I, 384.

[25] Epist. I, 1276. 

[26] Epist. I, 1158. 

[27] Epist. III, 582.

[28] Cfr. Epist. III, Introduzione, VII e ss. 

[29] Epist. I, 423.

[30] Epist. I, Introduzione, XXIV. 

[31] Epist. III, 814. 

[32] Epist. III, 815. 

[33] Epist. III, 816. 

[34] Epist. III, 842. 

[35] Epist. III, 848. 

[36] Epist. III, 854. 

[37] Epist. III, 858. 

[38] Epist. III, 858. 

[39] Cfr. Epist. III, 862. 

[40] Cfr. Epist. III, 866. 

[41] Cfr. Epist. III, 868. 

[42] Cfr. Epist. III, 871. 

[43] Cfr. Epist. III, 874 

[44] Cfr. Epist. IV, 881. 

[45] Epist. III, 65. 

[46] Epist. III, 93. 

[47] Epist. III, 770. 

[48] Epist. I, 571.