N.02
Marzo/Aprile 2002

La Chiesa nel villaggio globale: vocazione, vocazioni e comunicazione sociale

L’ultimo secolo del millennio appena trascorso, ha conosciuto un’accelerazione tecnologica unica nella storia dell’uomo. Soprattutto nell’intervallo di tempo che va dai primi anni sessanta ad oggi si è assistito ad una vera esplosione di applicazioni tecnologiche che hanno, più o meno silenziosamente, permeato i nostri ambienti cambiando impercettibilmente molte abitudini personali e sociali.

 

I media, luogo fondamentale dell’esistenza sociale

Oggi i media sono onnipresenti, li troviamo da un capo all’altro del pianeta. Accompagnano costantemente la vita quotidiana e la segnano in tutti i suoi aspetti. Se Internet è ancora appannaggio dei Paesi ricchi e delle persone “collegate”, la televisione e la radio sono entrati nella casa di ciascuno di noi e il tempo che vi dedichiamo ammonta a parecchie ore del giorno. I giovani trascorrono più tempo ad ascoltare la radio o a guardare la televisione che a seguire la scuola. I media sono determinanti per i comportamenti di ciascuno di noi: è nei media che si vanno a cercare i modelli delle proprie relazioni; sono le serie televisive che ci raccontano come amare, come capirsi o come separarsi; è alla radio che si raccontano le proprie difficoltà o i propri problemi relazionali e a cui si chiede consiglio. I media sono per la maggior parte dei nostri contemporanei il principale vettore di informazione e pressoché la sola porta di accesso alla cultura. Sono anche il luogo principale dell’esistenza sociale: ciò che “avviene” nei media esiste socialmente; ciò che non viene visto alla televisione non esiste.

I media sono dunque dei luoghi dove molte persone, certamente un numero crescente di persone, costruiscono il significato della propria vita: “I media offrono l’opportunità a molte persone di unirsi e comprendere le questioni centrali della vita: dal significato dell’arte a quello della morte, della malattia, della bellezza, della felicità e del dolore”. Dobbiamo poi riconoscere che la cultura di massa ha abbattuto i confini delle nazioni, ha contribuito alla sensibilizzazione sui problemi planetari, ha, nel bene e nel male, aumentato la domanda per una maggiore informazione e comunicazione[1].

 

Da un atteggiamento di diffidenza ad un atteggiamento positivo

Il linguaggio dei media, rapido, incisivo, molto segnato dall’immagine, affettivo ed emotivo, fattuale, non direttivo, che cattura l’attenzione, è molto spesso all’opposto del linguaggio della Chiesa ancora tanto legato alla “galassia Gutenberg”[2]. Non pare costruttivo un atteggiamento di diffidenza e di critica verso i media. Occorre invece prendere in seria considerazione le indicazioni ufficiali della Chiesa che invitano ad un atteggiamento profondamente positivo verso di essi, anche se tale atteggiamento è ancora ben lontano dall’essere penetrato nella mentalità della maggior parte dei cristiani o dei pastori[3]. Questa indicazione a favore di un atteggiamento positivo è ricorrente nei messaggi annuali per la Giornata Mondiale delle Comunicazioni Sociali. I responsabili ecclesiali sono obbligati ad utilizzare “le potenzialità dell’era del computer” al servizio della vocazione umana e trascendente dell’uomo, così da glorificare il Padre dal quale hanno origine tutte le cose buone”[4]. “La presenza della Chiesa nei mezzi di comunicazione sociale è un aspetto importante del Vangelo, richiesta dalla nuova evangelizzazione alla quale lo Spirito Santo esorta la Chiesa nel mondo”[5].

Nel recente documento “La Chiesa e Internet”, a cura del Pontificio Consiglio delle Comunicazioni Sociali, al n. 4 è ben sintetizzato questo atteggiamento sostanzialmente positivo della Chiesa nell’arco degli ultimi trent’anni, passando in rassegna le principali indicazioni dei documenti ufficiali. “Trent’anni fa la Communio et progressio evidenziò che “le recenti invenzioni offrono all’uomo nuove modalità di incontro con la verità evangelica”[6]. Papa Paolo VI disse: “la Chiesa si sentirebbe colpevole davanti al suo Signore se non adoperasse questi mezzi per l’evangelizzazione”[7]. Papa Giovanni Paolo II ha definito i mezzi di comunicazione sociale “il primo areopago del tempo moderno” e ha dichiarato “non basta, quindi, usarli per diffondere il messaggio cristiano e il Magistero della Chiesa, ma occorre integrare il messaggio stesso in questa ‘nuova cultura’ creata dalla comunicazione moderna”[8]. Fare questo è importantissimo oggi, poiché i mezzi di comunicazione sociale non solo influenzano fortemente ciò che le persone pensano della vita, ma anche, e in larga misura, “l’esperienza umana in quanto tale è diventata un’esperienza mediatica”[9]. Tutto ciò vale anche per Internet. Sebbene il mondo delle comunicazioni sociali “possa a volte sembrare in contrasto con il messaggio cristiano, offre anche opportunità uniche per proclamare la verità salvifica di Cristo a tutta la famiglia umana. Consideriamo… la capacità positiva di Internet di trasmettere informazioni e insegnamenti di carattere religioso oltre le barriere e le frontiere. Quanti hanno predicato il Vangelo prima di noi non avrebbero mai potuto immaginare un pubblico così vasto… i cattolici non dovrebbero aver paura di lasciare aperte le porte delle comunicazioni sociali a Cristo affinché la Sua Buona Novella possa essere udita dai tetti del mondo”.

 

La “vocazione” dei media

I media possono diventare il luogo di una vera comunicazione umana, una comunicazione che favorisce la comunione fraterna tra gli esseri umani. Questa è la visione centrale della Chiesa rispetto ai media[10]. I media hanno così una vera e propria “vocazione”: “La Chiesa riconosce in questi strumenti dei “doni di Dio”, destinati, secondo il disegno della Provvidenza, a unire gli uomini in vincoli fraterni, per renderli collaboratori dei suoi disegni di salvezza”[11]. Poiché i media contribuiscono enormemente all’unione tra gli uomini, poiché l’unione tra gli uomini è lo scopo principale di ogni comunicazione e poiché questa unione trova la sua origine nel mistero fondamentale della comunione trinitaria, ne deriva che “è nella comunione che risiede la vocazione dei media”`.Occorrerà dunque imparare il loro linguaggio, così come si fa per ogni altra cultura, in modo tale da essere presenti in maniera propositiva e costruttiva in questo importante areopago.

 

Cultura vocazionale e media

Uno dei compiti più importanti oggi per l’animazione vocazionale, è quello di costruire innanzitutto una “cultura vocazionale”, in un tempo in cui si respira invece una cultura prevalentemente lontana da questa prospettiva. Poiché i media contribuiscono non poco ad elaborare cultura e a veicolare messaggi che plasmano le coscienze e indicano criteri di comportamento, è importante verificare quale tipo di proposte essi offrano.

In riferimento alla televisione dobbiamo certamente riconoscere che molte sono le proposte di natura “antivocazionale”, là dove la vita è presentata soltanto in termini di godimento, di successo, di ambizione, ecc. Nella stagione della preadolescenza poi, periodo importante di identificazione con i modelli, quali modelli la TV presenta ai ragazzi attraverso la pubblicità, le fiction, i varietà, ecc.? Forse tanti idoli, ma certamente pochi modelli positivi in cui identificarsi.

Uno dei tanti episodi negativi che potremmo citare è quello di un cartone animato irriverente e trasgressivo, “South Park”, giunto in Italia dagli Stati Uniti poco più di due anni fa. Un cartone animato che non porta rispetto per nessuno: presidi lesbiche, poliziotti ritardati, bambini poveri in scatole di cartone; tutti si divertono a suon di parolacce e insulti. Ci sono state proteste e reazioni che hanno almeno ottenuto di spostare il cartone animato in seconda serata e quindi al di là della fascia protetta. Una lettera di un padre di famiglia, giunta ad Avvenire in quei giorni, segnalava la gravità dell’episodio proprio in riferimento al tipo di modelli di comportamento proposti ai ragazzi: “Caro Direttore, sono le 23 del due febbraio ed ho finalmente spento il televisore dopo essermi ancora una volta imbattuto in quel cartone animato volgare e blasfemo su cui mercoledì scorso mi sono soffermato solo per dovere, in quanto padre di cinque figli, pediatra di oltre mille bambini e marito di un’insegnante di scuola media. Sono varie settimane che sento parlare di questo “South Park” dalla stampa, da ragazzi e dai figli cui ho negato il permesso di vederlo. È vero che il cartone è trasmesso solo in seconda serata e quindi per adulti, ma solo un adulto affetto da qualche patologia della psiche può trovare interessante restare sveglio e guardare questo spettacolo di pessima fattura e per nulla comico. Posso affermare invece con certezza che il cartone viene visto da bambini o ragazzi di 10, 11, 12, 13 anni… Nella classe di mia figlia – terza media – lo avevano visto quasi tutti; alcuni probabilmente figli abbandonati dai genitori davanti al televisore fino a tarda ora, ed alcuni che conosco personalmente, figli di ottimi genitori, ingannati dal fatto che il cartone animato fino a pochi anni or sono era sinonimo di “territorio” garantito e riservato all’infanzia” (Cfr. Avvenire, 16.02.02).

 

Quali modelli vocazionali nei media?

Dobbiamo senz’altro riconoscere che vi possono essere programmi e trasmissioni a forte valenza vocazionale. Pensiamo ad esempio alla fiction religiosa e ad alcune figure, soprattutto di sacerdoti, che hanno riscosso un certo successo. Ricordiamo il felice esempio de “I racconti di Padre Brown”, che nella televisione dei primi anni 70 era interpretato dal bravo Renato Rascel: un prete alle prese con casi polizieschi, ma che non abbandonava il suo ministero e la cura della parrocchia.

Ricordiamo lo sceneggiato “Un prete tra noi”, interpretato da Massimo Dapporto e – più recentemente – lo sceneggiato “Don Matteo”, che propone un personaggio di prete pacato, simpatico e cordiale: “Lo sceneggiato, giunto alla seconda serie, porta sullo schermo la figura di un prete detective. Trasmesso in prima serata, la domenica, sui Rai1, ha il pregio di raccontare vicende e personaggi sufficientemente credibili, collocati in un contesto riconoscibile e realistico. L’azione si svolge a Gubbio, la bellissima cittadina umbra che, per collocazione e colore delle case ricorda la vicina Assisi e il cui vescovo, mons. Bottaccioli, ha pubblicamente invitato a seguire lo sceneggiato come esempio di buona televisione (cfr. Avvenire, 22.11.01). Al contrario di altri esempi televisivi, don Matteo riconcilia con la funzione propria del ministero sacerdotale. Nello sceneggiato viene lasciato spazio alla parola, l’azione è messa in secondo piano; don Matteo è principalmente un consigliere, un educatore, un pastore che cerca di unire gli uomini alla parola di Dio. Il suo è un ruolo importante che opportunamente si affianca a quello dei carabinieri, ma non ne invade il campo, o meglio riesce a tenere distinti i due tipi di giustizia che vengono rappresentati. Don Matteo dimostra che bisogna essere vicini alle persone in difficoltà con la parola, che bisogna confidare nella possibilità di un pentimento e di un ravvedimento, che bisogna mettersi in ascolto delle voci che provengono dal profondo. Il suo essere in movimento, il suo dinamismo silenzioso e discreto sembra invitare a non arrestarsi di fronte al male, magari utilizzando strumenti semplici (la bicicletta e le parole), proporzionati all’obiettivo che ci si è proposti, per trasmettere calore e condivisione. Proprio le parole – ma non quelle che alzano il livello dello scontro, che aizzano le risse, come avviene in tutti i talk-show televisivi – quando sono pacate e riflessive e hanno dietro la coerenza e l’amore sembrano lo strumento essenziale di don Matteo e, più in generale, del ruolo del prete nella nostra società[13]

Tra i successi cinematografici degli ultimi anni, possiamo ricordare il bel film di Giuseppe Piccioni “Fuori dal mondo”, che il regista ha realizzato dopo aver letto la storia di una suora che aveva portato in convento un bambino ammalato di Aids. È un film che ha tanto da raccontare, perché parla di persone che conducono esistenze normali, hanno affetti e speranze come tutti noi e cercano di dare un senso compiuto e positivo alla propria vita. I protagonisti sono Caterina, una suora a pochi mesi dalla professione religiosa perpetua, e Ernesto, un quarantenne ansioso, titolare di una lavanderia. Caterina è molto attiva, divisa tra l’impegno nel convento, lo studio universitario, e i tanti impegni di volontariato che il suo abito le procura. Durante uno dei suoi spostamenti in città le viene consegnato un neonato, abbandonato in un parco. Il bambino, cui verrà dato il nome augurale di Fausto, viene affidato ad un ospedale che avvia le procedure per l’adozione. Caterina rimane molto colpita da questa vicenda ed è sospesa tra il desiderio di conoscere i genitori naturali del bambino e l’inevitabile amore per quella creatura. Le sue ricerche la portano a incontrare Ernesto, “indiziato” principale di essere il padre. Alla fine di un percorso tortuoso, fatto di incontri importanti e di parole chiare, la situazione si accomoda positivamente per tutti: il bambino viene adottato da una coppia felice di accoglierlo; Caterina rimane in convento sicura della propria scelta di vita; Ernesto affronterà la propria professione e la propria esistenza con uno spirito più sereno e disponibile verso gli altri. Suor Caterina ha scelto Dio (o Dio ha scelto lei) per sconfiggere la solitudine, l’indifferenza e ottiene una grande vittoria quando riesce a scuotere Ernesto, che conclude il film rigenerato. È anche grazie a questa “vittoria” che Caterina capisce di non avere frainteso la chiamata e di essere pronta a fare la scelta definitiva. Ha capito che “Dio è faticoso” come le ricorda la madre superiora, ma può regalarle gioie che ripagano di ogni fatica[14].

Da ultimo sarebbe interessante considerare l’immagine della vita religiosa presente nei media particolarmente attraverso gli spot pubblicitari. C’è da dire in proposito che spesso la vita religiosa è ridicolizzata mediante la presentazione di frati golosi e di suore inibite. Questa ridicolizzazione di alcuni stereotipi presenti nella pubblicità non nasce solamente dalla perfida fantasia di qualche pubblicitario o regista di spot, ma anche dal fatto che sono immagini offerte da realtà ecclesiali purtroppo presenti. Di fronte a questa realtà ci si può scandalizzare, accusare i media di distorsione, oppure cogliere umilmente la provocazione e vedere se per caso c’è qualcosa che forse bisogna davvero migliorare.

 

Internet: nuovo ambiente vocazionale?

“Come Pietro anche voi siete invitati ad usare una rete – ma un altro tipo di rete – che vi renda “pescatori di uomini” grazie alla nuova tecnologia, per raggiungere e servire tutti nel nome del Signore Gesù”. Queste parole di Mons. John P. Foley, Presidente del Pontificio Consiglio delle Comunicazioni Sociali, rivolte ai partecipanti ad un recente Seminario di studio “Nuove tecnologie e pastorale”, sintetizzano bene il senso di una pastorale vocazionale che, anche nel contesto odierno, sa trovare modalità per realizzare i suoi compiti specifici[15].

Grazie a Internet posso raccogliere, negoziare e archiviare informazioni (conoscenza), ma anche scambiare messaggi, partecipare a delle comunities, pubblicare le mie pagine personali (comunicazione)[16]. Con Internet entriamo in un linguaggio caratterizzato dall’interattività: usciamo dal mondo dei mass media, di una comunicazione cioè dove “uno” si rivolge a “molti”, in maniera unidirezionale, con un’emittente attiva unica e una massa di riceventi ritenuti passivi. Con l’interattività, tutti sono sia emittenti che riceventi; è un meccanismo di rete, dove ognuno di noi si rivolge a uno o più. Una conseguenza importante è il fatto che in Internet ciascuno ha voce in capitolo e si sente membro di una comunità, e di fatto molti internauti parlano volentieri di “comunità virtuale”.

 

 

 

I verbi della rete e le opportunità per l’animatore vocazionale”[17]

 

Informare

Il mondo Web viene usato prevalentemente per reperire e offrire informazioni. Una delle metafore più usate continua ad essere quella della biblioteca: il mondo della rete assomiglia ad una sterminata raccolta di documenti e ci sembra che tutto il sapere e ciò che occorre conoscere sia lì. Essere operatori vocazionali nell’era di Internet, allora, impegna a non tralasciare questo aspetto essenziale per la conoscenza, l’informazione, l’approfondimento, lo studio. La rete può costituire un utile supporto, purché le opportunità di reperimento fonti, informazioni, documentazioni, siano molte e più precise possibili. In questo territorio, dove sembrano non esserci pareti, è indicativo quanto grande sia la domanda e la ricerca di siti che invitano alla spiritualità. E anche per coloro che dedicano un po’ del loro tempo ad esplorazioni libere, perché non offrire i contorni di una realtà, come quella che riguarda le scelte fondamentali della vita, da conoscere e da scoprire?

 

Comunicare

Molti sono coloro che usano la rete per comunicare, per mettersi in relazione. Il fenomeno delle “chat” è l’emblematico riferimento di una modalità che continua a crescere. Il tempo dedicato all’interazione virtuale è ampio, anche se ci sarebbero da verificare almeno due elementi: l’eticità della relazione e la solidità del legame.  Per l’animatore vocazionale questa opportunità è veramente straordinaria: si possono aprire e mantenere i contatti, le amicizie, le collaborazioni e si può essere “presenti all’altro” in un modo forte e significativo, sia che le persone si conoscano tra loro, sia che non sia dato. Alcuni operatori stanno scommettendo su questa forma di incontro e di relazione virtuale, secondo la preziosa indicazione di Giovanni Paolo II che i giovani vanno ascoltati e incontrati là dove sono. A queste relazioni virtuali possono seguire anche interazioni reali, che danno maggiore stabilità all’incontro e al cammino tra animatore e colui che è in ricerca. Un partecipante su cinque delle chat riferisce di aver incontrato realmente le persone conosciute on-line.

 

Costruire e cooperare

È un dato di fatto che con la rete “il lettore è sempre pronto a diventare autore”, giacché la distanza tra lettore e autore tende a diminuire fino al numero illimitato di individui che oltre ad essere consumatori di informazioni, a loro volta producono, elaborano, costruiscono. C’è un esplodere continuo di pagine web, siti, spazi autogestiti, che esprimono – tra l’altro – il desiderio di contribuire alla costruzione, di mettersi in collaborazione, di far presente il proprio punto di vista in un panorama complesso e multi-culturale, di esprimere la propria creatività. Certo, nella costruzione delle pagine personali ci può essere una dimensione esibizionistica, ma si può costruire anche per motivare o per arricchire progressivamente dei legami. Cooperare e costruire: non sono forse queste le caratteristiche indispensabili di chi, nella serietà di un cammino e di un discernimento attento, viene a porsi in sinergia con coloro che gli sono a fianco, quelli del suo gruppo, della sua comunità? In rete, in pochi secondi, oltre a conversare on-line con un testo scritto, immagini, suoni, si possono condividere esperienze e progetti. Tanti monasteri e clausure stanno abbattendo le loro distanze e hanno delle “grate invisibili” che permettono di accogliere visitatori “virtuali” e contemporaneamente si impegnano a mettere in comune con altri la loro tradizione e le loro idee religiose.

 

 

 

Qualche testimonianza per concludere

 

Due vocazioni domenicane via Internet

“I Domenicani spagnoli, attraverso un comunicato di padre José Luis Gago de Val, diffuso anche sul loro sito Internet, raccontano di un episodio di “vocazioni raccolte attraverso Internet”. La vicenda riguarda una madre e una figlia entrate in un monastero di suore domenicane contemplative in Spagna. Una storia simile a tante altre, quindi di poca originalità, se non fosse che la decisione è stata presa attraverso una navigazione in Internet alla ricerca di un monastero in grado di rispondere al loro desiderio di una vita ritirata e austera. Dopo aver contattato senza successo un monastero francese, è stata la volta del sito dei Domenicani spagnoli, arrivando da lì al Convento Porta Coeli di Valladolid. Rapidamente le due donne raccolgono le informazioni necessarie, quindi fanno visita al convento, ed ora hanno intrapreso il loro noviziato tra le suore domenicane. Altra curiosità significativa – rileva padre José Luis Cago de Val – deriva dalla “resistenza” iniziale delle suore a inserire in Internet dati sulla loro vita comunitaria. Adesso le religiose parlano con entusiasmo delle due nuove vocazioni “virtuali”, e le due donne, di origine messicana, rendono grazie a Dio per averle condotte alle porte del convento grazie ad una navigazione elettronica”[18].

 

Il sito giovani.org e la testimonianza di Giovanna

“Chi non ha mai sentito parlare di chat? Chi ha a che fare con l’immenso mondo di Internet prima o poi ne fa l’esperienza, se non altro per quel po’ di curiosità che ci caratterizza tutti. Milioni di “internauti” dialogano ogni giorno sulla rete ed anche le due emittenti televisive nazionali si sono interessate all’argomento con programmi appositi, dove si può incontrare di persona chi si è conosciuto in chat. Da ogni parte si sollevano dubbi e critiche, polemiche infinite sulla validità e pericolosità di certe relazioni virtuali e ormai ne sentiamo tante… La mia vuole essere una testimonianza fuori dal coro, la testimonianza di una “chattista” che da più di un anno conosce da vicino questo fenomeno, con i suoi pregi e i suoi difetti. Ma quello che vorrei comunicare è l’esperienza altamente positiva che ho vissuto (e che continuo a vivere) grazie alla chat di giovani.org, il sito della Chiesa cattolica dedicato a noi giovani. Ci sono entrata per la prima volta agli inizi di settembre 2000, quando l’entusiasmo e la gioia del dopo Tor Vergata erano ancora alle stelle: eravamo in pochi, quasi sempre gli stessi, per cui, dopo un po’ di tempo, posso dire che ci conoscevamo tutti. Avevamo in comune l’esperienza di Roma e la voglia di comunicarci le sensazioni vissute, le gioie provate ed ancora le esperienze che ognuno di noi viveva nel proprio ambito di vita, dal lavoro, allo studio, alle attività parrocchiali. Per me, che avevo conosciuto altre chat (dove si parla di tutto e di niente, dove ci si nasconde dietro falsità ed ambiguità) quella era un’esperienza diversa dal solito, avevo l’impressione di trovarmi fra amici con cui potevo condividere idee ed esperienze senza sentirmi giudicata o criticata, anzi con la certezza di sentirmi capita. Ma non è tutto qui… Quello che ritengo più importante è il rapporto che si è instaurato con alcune persone in particolare che ancora oggi, dopo un anno, sono presenti nella mia vita come guide insostituibili: sì, potrebbe sembrare incredibile, ma non esagero se dico che per la prima volta in vita mia una persona conosciuta in chat, con una domanda semplice e diretta, mi ha fatto pensare seriamente al mio futuro. Non mi ero mai messa in discussione in modo così profondo, non mi ero mai chiesta seriamente se tutto quello che facevo nella mia vita corrispondesse anche al progetto che Dio aveva fatto su di me. È stato un momento importante della mia vita, anzi, direi fondamentale: ho imparato che, soprattutto per certe decisioni, è necessario porsi delle domande e farsi guidare da chi vuole solo il nostro bene; se poi per tutto questo serve anche la chat, ben venga questo nuovo strumento!”[19].

 

 

 

Note

[1] Cfr. NISSIM PADRE GABRIEL, Saggio apparso sulla rivista canadese Spiritus, dicembre 2000, pp. 421-433 e apparso in traduzione italiana sulla rivista Intermed (periodico quadrimestrale dell’Associazione italiana per l’educazione ai media e alla comunicazione) marzo 2001, pp. 3-7. Qui p. 3.

[2] MARTIN BARERO J., Mass media as a site of resacralization, p. 108.

[3] Cfr. MC LUEAN M., Gli strumenti del comunicare, Garzanti, Milano, 1967.

[4] GIOVANNI PAOLO II, Messaggio in occasione della XXIV Giornata mondiale delle Comunicazioni Sociali, 1990.

[5] GIOVANNI PAOLO II, Messaggio in occasione della XXXV Giornata mondiale delle Comunicazioni Sociali, 2001.

[6] Communio et progressio, n. 2.

[7] Esortazione Apostolica Evangelii nuntiandi, n. 45.

[8] Lettera Enciclica Redemptoris missio, n. 37. 

[9] Aetatis novae, n. 2.

[10] GIOVANNI PAOLO II, Messaggio in occasione della XXXV Giornata Mondiale delle Comunicazioni Sociali, 2001.

[11] Communio et progressio, n. 2.

[12] NISSIM G., o.c., p.4

[13] GRANDI L., La TV salvata da don Matteo, in Settimana, 9 dicembre 2001, n. 44, p. 22.

[14] Cfr. GRANDI L., Una suora dentro il mondo, in Settimana, 2 maggio 1999, n. 17, p. 14.

[15] MAZZA F., Animatori su Internet per nuove strategie vocazionali, in Rogate Ergo, Agosto-Settembre 2001, p. 9.

[16] Cfr. RIVOLTELLA P., Internet, nuovo ambiente vocazionale, in Rogate Ergo, Agosto-Settembre 2001, pp. 6-8.

[17] Si riporta qui una sintesi del pensiero di MAZZA F., Animatori su Internet per nuove strategie vocazionali, in Rogate Ergo, Agosto-Settembre 2001, pp. 9-12.

[18] Sito Internet Vidimusdominum.org., 1 marzo 2002.

[19] Le prime vocazioni nate in Internet, in Rogate Ergo, Agosto-Settembre 2001, pp. 47-48.