Valori e progetti educativi
Il mio contributo è sviluppato in tre punti. Nel primo punto cerco di mettere in evidenza alcune sfide emergenti nel contesto socioculturale odierno, per verificare quali valori o disvalori vocazionali sono presenti. Nel secondo punto ricordo l’impegno fondamentale di ricostruire una “cultura vocazionale”, evidenziando alcuni valori e atteggiamenti vocazionali da riscoprire e riproporre oggi. Nel terzo punto cerco di offrire alcune indicazioni affinché un progetto di pastorale giovanile sia costitutivamente vocazionale. Concludo, presentando in allegato il Piano di animazione vocazionale dei Salesiani in Italia, recentemente riformulato dopo l’ultimo Capitolo Generale (2002).
Alcune sfide emergenti nel contesto socioculturale odierno
Da una rapida analisi del contesto socioculturale odierno, emergono alcune sfide che un operatore di pastorale giovanile vocazionale non può non considerare. Dalla lettura attenta di queste sfide è possibile verificare quali siano i valori vocazionali presenti o assenti e quali siano le attenzioni educative più importanti da mettere in gioco.
La complessità sociale e il pluralismo delle proposte
C’è innanzitutto una complessità sociale e un pluralismo di proposte che non permette di individuare con facilità dei punti di riferimenti sicuri. Una volta eravamo aiutati a percorrere un percorso unitario di crescita attorno alle agenzie educative fondamentali (famiglia – scuola – parrocchia), che “parlavano la stessa lingua”! Oggi invece il ragazzo che cresce riceve stimoli ed input assai differenziati e discordanti che non lo aiutano certamente a fare unità nella sua coscienza e nella sua vita. Occorre allora essergli accanto, per aiutarlo a catalogare, a scegliere, a mettere ordine tra le molte informazioni e i tanti orientamenti che riceve, in una società che spesso non distingue più il bene dal male: “È scomparsa la categoria e si sono banalizzati il bene e il male: tutto si è appiattito sull’etica della circostanza per cui si può fare quello che si vuole, dipende solo da quando e da come. Un relativismo drammatico che fotografa esattamente il clima che domina nella nostra cultura”[1].
Diventa perciò urgente e fondamentale l’impegno dell’educazione e della formazione della coscienza, premessa fondamentale per ogni ulteriore scelta e decisione di vita. C’è poi la necessità di operare con progetti educativi integrati: il lavoro complementare “in rete”, il patto educativo con tutte le agenzie presenti sul territorio, ecc. Occorre infine sostenere i ragazzi cresciuti in contesti positivi, che si ritrovano sempre più spesso “soli”: nel confronto implacabile con i coetanei sono ritenuti “mosche bianche”, perché non fanno certe cose o non assumono certi comportamenti. Da qui l’importanza di offrire loro una “rete di sostegno” (ambiente educativo, gruppo formativo, ecc.).
Il forte influsso esercitato dai mezzi di comunicazione sociale
La tecnologia è uno degli spazi e dei linguaggi espressivi preferito dalle nuove generazioni, con cui hanno grande familiarità. È una generazione che “pensa con gli occhi”; tra le forme di svago individuale prevalgono quelle visive: video-giochi, video-cassette, televisione, monitor dei computer; alla “fatica del leggere” si preferisce la “facilità del guardare”. C’è poi una forte esposizione alla Tv: una recente statistica dice che sono 15.000 le ore dedicate alla Tv durante la scuola dell’obbligo, contro le 11.000 dedicate allo studio! Cresce la presenza di ragazzi e adolescenti in Internet: i più piccoli giocano, i più grandi scaricano dati e chattano! Può ingenerarsi una confusione tra reale e virtuale: è reale quello che viene presentato, pubblicizzato, enfatizzato… Possono nascere anche meccanismi pericolosi quali la simulazione, l’automatismo (abituati a distruggere l’avversario nei videogiochi, si può facilmente pensare di distruggere l’avversario anche nella realtà!), l’effetto “zapping” (passare da un canale all’altro, poca capacità di concentrazione, difficoltà a seguire una lezione o un discorso compiuto…). Il risultato di tutto questo è che oggi i ragazzi hanno un’emotività carica e sovraeccitata, con una capacità logica e razionale raffreddata, più modesta e ridotta.
Ci chiediamo: quali modelli di identificazione ricevono dai media? Davanti a tanti pettegolezzi e perversioni presentati dai media (che sono a volte più dannose di moltissimi omicidi, violenze e fatti di sangue), quali modelli “passano” di uomo, di donna, di famiglia, di comunità, di religione, di Chiesa? Come fare a presentare modelli autentici di vita, affascinanti e credibili, che possano parlare al cuore dei nostri ragazzi in maniera positiva e costruttiva? Non credo che la scelta sia quella di proibire l’uso di questo strumenti e neppure di demonizzarli[2] . Si tratta invece, per l’adulto educatore, di diventare una sorta di “compagno di navigazione”, impegnato a conoscere e a valorizzare queste nuove possibilità, ma non rinunciatario o neutrale nella possibilità di esprimere esigenze e prospettive critiche.
Il percorso di crescita tra presentismo e perdita della visione di futuro
Un’altra sfida da considerare oggi è quella della perdita della visione di futuro. Siamo in un tempo ricco di “capacità programmatica” ma povero di “capacità progettuale”. Si naviga a vista, senza grandi prospettive. In molte analisi della condizione giovanile si parla di “presentismo”, indicando proprio l’atteggiamento di chi vive ripiegato sul presente, consumando le opportunità della vita quotidiana per fini generalmente egoistici, con scarsa memoria e con poca visione di futuro. Da qui ne scaturisce la non-definitività e la reversibilità delle scelte: l’incertezza del presente, avvertita dai più con una certa tensione, non facilita la prefigurazione del futuro e rende le scelte piuttosto indeterminate; le scelte sono fragili, “a tempo determinato” e di “corto respiro”.
Ci chiediamo: come annunciare oggi il Vangelo della vocazione dentro una prospettiva biblica tutta centrata invece nella dinamica della progettualità, del pellegrinaggio, dell’essere in cammino verso un ideale, una meta, una terra promessa?
La difficile transizione verso l’età adulta
Per transizione verso l’età adulta intendiamo l’abbandono dei ruoli tipici dell’adolescenza e la contemporanea assunzione delle funzioni e delle competenze dell’età adulta. Generalmente questa transizione è scandita dal superamento di 5 soglie:
– Uscita definitiva dal circuito formativo
– Ingresso in modo continuativo nel mercato del lavoro
– Uscita dalla casa dei genitori
– Creazione di una nuova famiglia
– Nascita di un figlio (ruolo genitoriale)
Oggi assistiamo ad un restringimento del periodo dell’infanzia e ad un prolungamento progressivo dei tempi necessari per transitare verso l’età adulta. C’è un rinvio delle tappe di passaggio e un abnorme permanenza dei figli nella casa dei propri genitori. Anche la graduale estensione dell’età di campionatura delle diverse indagini IARD conferma questo trend: dai 15 ai 24 anni del 1984… ai 29 anni del 1993… ai 34 anni del 2002!
Alcuni dati dell’ultima indagine IARD, sottolineano che i giovani italiani stanno procrastinando ulteriormente il superamento delle soglie di passaggio ai ruoli adulti:
– Maggiore propensione a continuare gli studi (12,5% di studenti oltre i 30 anni!).
– Entrata nel mondo del lavoro sempre più tardiva (25% di giovani oltre i 30 anni non è ancora inserito!), con sempre più diffuse forme di lavoro flessibile, alternato, non garantito…
– Aumento della permanenza nella famiglia di origine (65% nell’età 25-30 anni e 35% nell’età 30-34 anni!). Si continua così a vivere in famiglia e di essa si godono le garanzie e la gratificazione affettiva, ma con notevole autonomia e indipendenza, perché ogni rischio di conflittualità viene risolto con forme di negoziazione (anche implicite), che sono la base di un quieto vivere più o meno funzionante.
– Ritardo nell’avvio di una convivenza, abbassamento dei tassi di nuzialità, crescita dell’accettazione culturale della convivenza prima del matrimonio. È rarissimo formare una famiglia stabile prima dei 25 anni; la gran parte dei matrimoni si concentra nell’età 30-34 anni, anche se il 40% dei giovani di quest’età non ha ancora avviato una convivenza!
– Tendenza a spostare oltre i 30 anni il momento della messa al mondo di un figlio: solo il 45% dei giovani nell’età 30-34 anni ha generato un figlio! Si parla a tal proposito di “sospensione generativa”: c’è un vuoto procreativo sconosciuto in epoche precedenti. È importante allora risvegliare il compito della generazionalità: sentirsi generati per essere capaci di generare!
Secondo questi parametri, in Italia, dovremmo considerare non ancora adulti:
– il 98% dei giovani tra i 18 e i 20 anni;
– il 94% dei giovani tra i 21 e i 24 anni;
– il 73% dei giovani tra i 25 e i 29 anni;
– il 35% dei giovani tra i 30 e i 34 anni.
Una “cultura vocazionale” da ricostruire
Di fronte alle sfide delineate, certamente dobbiamo rilevare una crescente cultura antivocazionale: “Una cultura pluralista e complessa tende a generare dei giovani con un’identità incompiuta e debole con la conseguente indecisione cronica di fronte alla scelta vocazionale. Molti giovani non hanno neppure la ‘grammatica elementare’ dell’esistenza, sono dei nomadi: circolano, senza fermarsi a livello geografico, affettivo, culturale, religioso; essi ‘tentano’! In mezzo alla grande quantità e diversità delle informazioni, ma con povertà di formazione, appaiono dispersi, con poche referenze e pochi referenti. Per questo hanno paura del loro avvenire, hanno ansia davanti ad impegni definitivi e si interrogano circa il loro essere. Se da una parte cercano autonomia e indipendenza ad ogni costo, dall’altra, come rifugio, tendono a essere molto dipendenti dall’ambiente socioculturale ed a cercare la gratificazione immediata dei sensi: di ciò che ‘mi va’, di ciò che ‘mi fa sentire bene’ in un mondo affettivo fatto su misura. […] La penuria di vocazioni specifiche – le vocazioni al plurale – è soprattutto assenza di coscienza vocazionale della vita – la vocazione al singolare – ovvero assenza di cultura vocazionale”[3].
In questo contesto, diventano allora urgenti alcuni valori e atteggiamenti vocazionali da riscoprire e da riproporre:
– Ricerca di senso – Comporta esercizio della ragione, sforzo di esplorazione, atteggiamento di contemplazione e interiorità. Da scoprire nella propria esperienza, nella storia, nella Parola di Dio.
– Senso della trascendenza – A fronte di indirizzi culturali che portano a chiudersi negli orizzonti “razionali” e temporali e rendono inabili ad accogliere la propria vita come mistero e come dono. Ricordiamo a tal proposito un “principio antropologico e vocazionale” fondamentale: la vita è un bene ricevuto che tende per natura sua a diventare bene donato!
– Formazione della coscienza – Capacità di valutare le realizzazioni attuali e possibili sul principio del bene e del male, illuminati dalla coscienza morale, centrata sui valori piuttosto che sui mezzi, che dia il primato alla persona, a fronte del prevalere di altre istanze come l’utilità, il piacere, il potere.
– Educazione all’amore – Anche questo è un nodo fondamentale su cui lavorare con gli adolescenti e i giovani di oggi. Il rischio di “bruciare” in fretta questa dimensione fondamentale della vita con scelte avventate e superficiali, richiede una forte attenzione educativa. Se infatti “l’amore è la fondamentale e nativa vocazione di ogni essere umano”[4], ogni intervento messo in atto per accompagnare i giovani a sviluppare con serenità e responsabilità questa dimensione fondamentale dell’esistenza, sarà un aiuto importante.
– Progettualità – L’apatia di fronte al senso si tramuta spesso in indifferenza verso il futuro; senza una visione della storia non appaiono mete appetibili per le quali impegnarsi, eccetto quelle che riguardano il benessere individuale. Progettare vuol dire organizzare le proprie risorse e il proprio tempo in consonanza con le grandi urgenze della storia e con le domande delle comunità per raggiungere traguardi ideali degni dell’umanità, a fronte di una cultura dell’immediato che dilata il presente contraendo il futuro.
– Cultura della solidarietà – Mobilita lo spirito di servizio e spinge ad esso, tenendo presente che la persona non va considerata come un essere che prima si costituisce in sé e solo in un secondo momento si orienta verso gli altri, ma che riesce ad essere se stessa soltanto quando assume solidalmente il destino dei suoi simili.
Per realizzare una pastorale giovanile “orientata vocazionalmente”
Considerare l’animazione vocazionale come parte integrante della pastorale giovanile
È questa una convinzione acquisita, maturata da un’approfondita riflessione teologico-pastorale, che ha messo a fuoco la finalità unitaria e le dimensioni convergenti della pastorale giovanile, mentre sul versante vocazionale ha chiarito la natura, lo sviluppo e le condizioni di maturazione delle vocazioni: “Tutta la pastorale e in particolare, quelle giovanile, è nativamente vocazionale. […] In tal senso si può ben dire che si deve ‘vocazionalizzare’ tutta la pastorale, o fare in modo che ogni espressione della pastorale manifesti in modo chiaro e inequivocabile un progetto o un dono di Dio fatto alla persona, e stimoli nella stessa una volontà di risposta e di coinvolgimento personale. […] La pastorale vocazionale si pone come la categoria unificante della pastorale in genere, come la destinazione naturale d’ogni fatica, il punto d’approdo delle varie dimensioni, quasi una sorta di elemento di verifica della pastorale autentica. […] Soprattutto la pastorale vocazionale è la prospettiva unificante della pastorale giovanile”[5].
Occorre pensare perciò a una pastorale giovanile capace di promuovere una crescita integrale della persona, nelle sue dimensioni costitutive da considerare in maniera organica e complementare:
– maturazione umana progressiva verso la capacità di vivere la propria esistenza nell’affidamento al mistero;
– incontro continuo e verificato con il Signore Gesù;
– senso di appartenenza alla Chiesa;
– ricomprensione di tutta la propria esistenza come esistenza vocazionale.
In questa prospettiva la dimensione vocazionale non è considerata come un’aggiunta alla pastorale giovanile, ma come interna e sostanziale ad essa.
Aver cura dell’orientamento vocazionale della vita
L’orientamento vocazionale della vita è il livello di partenza, senza del quale è difficile costruire percorsi vocazionali specifici. Si tratta cioè di inserire in tutti i percorsi educativi e di evangelizzazione, prospettive, elementi e motivazioni di carattere vocazionale.
– L’ambiente educativo e la presenza di adulti significativi – È necessaria innanzitutto la partecipazione in un ambiente educativo. Lì il giovane vive l’incontro con adulti che risvegliano il desiderio e la volontà di crescere come persona e risultano per lui testimoni significativi della vita intesa come vocazione. Con essi i giovani debbono poter avere rapporti personali in modo che l’orientamento avvenga quasi “per contagio”. Nell’ambiente educativo è importante perciò incontrare adulti sereni e contenti e perciò convincenti.
– L’attenzione al singolo – Bisogna allo stesso tempo interagire con il singolo: facilitare ai giovani una conoscenza di se stessi, realista e adeguata, che li conduca ad un’accettazione serena del proprio essere, ad un rapporto fiducioso e armonico con gli altri e con la realtà, ad un riferimento a Dio incarnato e vicino. Si deve aiutare ogni giovane a percepire il suo desiderio di vita e di senso, ad assumere la sua vita come dono e chiamata alla donazione, ad uscire da se stesso e a decentrasi verso gli altri riconosciuti come prossimo da amare, a sviluppare la capacità di affidarsi che permette di vivere con gioia e serenità la precarietà della propria esistenza, a riconoscere la speranza che sta oltre quello che si può godere e sperimentare. Lo sviluppo di questi atteggiamenti di base renderà il giovane capace di accogliere la sua esistenza concreta con libertà, sicurezza e disponibilità all’impegno.
– L’apertura culturale – Alla qualità dell’ambiente e all’accompagnamento della persona, bisogna aggiungere l’apertura culturale: acquisire migliore conoscenza di valori e situazioni, sviluppare la capacità critica di fronte alle mentalità, ai messaggi e ai comportamenti dell’ambiente, insegnare a raccogliere e ad approfondire gli interrogativi e le interpellanze che provengono dagli avvenimenti.
– La centralità della persona di Gesù – In questa ricerca si scopre Gesù Cristo come proposta di vita e di futuro, si intuisce la fecondità della donazione alla sua sequela. L’animazione vocazionale deve orientare chiaramente verso questo traguardo: portare cioè i giovani a riconoscere in Gesù Cristo il maestro, il modello e l’amico; alla relazione personale con lui concorrono le esperienze di preghiera, il riferimento alla Parola di Dio e la regolare frequenza dei Sacramenti.
– Il senso di Chiesa – C’è ancora un’altra realtà importante nella pastorale giovanile vocazionale: la sua capacità di educare i giovani al senso di Chiesa. Spesso i giovani hanno un’immagine incompleta e distorta di essa: talvolta i pregiudizi hanno fatto breccia in loro, anche perché le loro esperienze positive della comunità ecclesiale forse sono poche. Un’opzione vocazionale però è possibile solo se si è riusciti a vedere la Chiesa come ambito di accoglienza gratuita, di dialogo e collaborazione per il bene, di perdono. Allora acquisterà importanza e significato l’opzione di un servizio particolare per la missione ecclesiale comune.
Favorire le esperienze che interpellano e sviluppano gli atteggiamenti vocazionali
Intendiamo per esperienza non una qualsiasi cosa che si può fare a livello concreto, non semplicemente un’attività compiuta tanto per rendere il cammino più interessante. È invece un evento decisivo per quel momento, un fatto desiderato, condiviso, vissuto con vera partecipazione, riflettuto e ricompreso in forma nuova e più profonda, che abbia la forza di suggerire una nuova impostazione della vita, nuovi contenuti dell’esistenza. L’esperienza così intesa non è la pura somma delle attività, ma anche la sua risonanza profonda e la carica di novità verso cui orienta la vita.
Tra le esperienze che possono sviluppare gli atteggiamenti vocazionali, si tratta di offrire ai giovani opportunità concrete di animazione, di carità, di servizio gratuito, in particolare verso i più bisognosi, allenandoli così alla disponibilità e alla generosità. Non si tratta soltanto di stimolarli a fare qualche cosa per gli altri, con il rischio di alimentare la loro naturale tendenza all’attivismo, ma di guidarli in un cammino che dal “fare” conduca al proposito e al gusto di impegnarsi perché se ne comprendono le motivazioni autentiche e profonde.
Per questo si può fare appello al desiderio quasi naturale del giovane di essere utile e mostrare le possibilità di servire, arricchendo il proprio bagaglio di conoscenze, rapporti e competenze. Sarà importante anche prevedere quelle esperienze forti e maturanti che possono sollecitare a “salti di qualità”, sia nella linea del servizio e della carità, sia nella linea della preghiera e dell’interiorità, sempre però da verificare nella trama della vita quotidiana.
Compito dell’educatore attento è saper proporre con creatività e fantasia esperienze di tipo diverso, per una formazione integrale e completa. Sarà poi decisivo accompagnare il giovane nell’interpretare quello che sperimenta, nello scoprire dimensioni e significati della realtà, nel guidarlo a valutare atteggiamenti e reazioni alla luce del Vangelo, individuando forme e modi di collocarsi di fronte alle situazioni e agli avvenimenti della vita.
In questo ambito è opportuno anche offrire conoscenze e informazioni sempre maggiori sui diversi stati di vita e sulle diverse scelte vocazionali possibili. Si arriva così alla soglia di un’opzione personale di vita che può essere generosa o rinunciataria; comunque la pastorale giovanile vocazionale ha posto il problema e ha cercato di creare le condizioni per una soluzione positiva.
Note
[1] ANDREOLI V., La società che non distingue il bene dal male, in “Famiglia Cristiana”, n. 42/ 2002, p. 43.
[2] “Non pare costruttivo un atteggiamento di diffidenza e di critica verso i media. Occorre invece prendere in seria considerazione le indicazioni ufficiali della Chiesa che invitano ad un atteggiamento profondamente positivo verso di essi, anche se tale atteggiamento è ancora ben lontano dall’essere penetrato nella mentalità della maggior parte dei cristiani o dei pastori. Questa indicazione a favore di un atteggiamento positivo è ricorrente nei messaggi annuali per la Giornata Mondiale delle Comunicazioni Sociali” (SPREAFICO M., La Chiesa nel villaggio globale: vocazione, vocazioni e comunicazione sociale, in ‘Vocazioni’, n. 2/2002, pp. 9-18).
[3] Nuove Vocazioni per una Nuova Europa. Documento finale del Congresso sulle Vocazioni al Sacerdozio e alla Vita Consacrata, Roma, 6 gennaio 1998, n. 11/c e 13/b.
[4] Familiaris Consortio, n.11.
[5] Nuove Vocazioni per una Nuova Europa. Documento finale del Congresso sulle Vocazioni al Sacerdozio e alla Vita Consacrata, Roma, 6 gennaio 1998, n.26/a, 26/b, 26/g.
L’ANIMAZIONE VOCAZIONALE DEI SALESIANI IN ITALIA
Promuovere un’intensa animazione vocazionale
in stretto collegamento con la pastorale giovanile,
a favore di tutti i giovani
e per la promozione di tutte le vocazioni