N.05
Settembre/Ottobre 2004

Pedagogia della e delle vocazioni

“Corriere della Sera” del 5 luglio2004: un grosso interrogativo ed una denuncia drammatica sotto la penna di Danilo Taino “Il tormento dell’Occidente: è possibile essere felici?”. Quest’uomo occidentale ricco ma sempre più triste. Un’interrogazione senza fine e fiumi di inchiostro di sociologi, psicologi, filosofi ed economisti. Perché, una volta soddisfatti i bisogni di base, attraverso l’operazione fin troppo abusata: consumi fratto (leggi: diviso) desideri – ricetta vincente dell’era consumista – la ricchezza materiale incrementa sempre meno felicità? Raggiunta la prima fase del benessere diffuso, si costata amaramente che più in là non si riesce ad andare. Fatto sta che la ricerca della felicità sta diventando una delle pietre angolari del ventunesimo secolo. Ma un’illusione di felicità assoluta alla Leopardi? Oppure qualcosa di diverso: ad esempio più spiritualità, uno scopo a cui dedicarsi anche con sacrifico individuale, come ci stanno insegnando le bayani, ossia le colf filippine, vere eroine laboriose, che stirano male le camicie ma accudiscono con amore i nostri figli? Il segreto di queste eroine del 2000? La loro è una cultura della condivisione: stare insieme ed impegnarsi per una causa eroica, come quella di faticare e lavorare, con l’unico intento di inviare qualche po’ di denaro ai propri cari nel loro paese. Tutto l’inverso proposto dalla cultura del consumismo, con il suo soggettivismo esasperato e lo sfruttamento di ogni istante per il soddisfacimento dei propri bisogni immediati.

Davvero interessanti queste riflessioni e questo rinsavimento, con i tempi che corrono! Una riflessione che ha molto da dire anche per noi addetti, come tutti, alle gioia e alle fatiche dell’animazione vocazionale. Ci rendiamo sempre più conto, guardando alla vita dei ragazzi e dei giovani e guardando alla nostra stessa vita, che felicità e vocazione sono strettamente legate e proporzionate. Se i giovani sono alla ricerca di una propria identità nella società complessa e la comunità cristiana è il luogo per la definizione e la crescita della identità cristiana, come ci ha ben spiegato il panorama ad ampio spettro, che ci ha presentato poco sopra l’intervento di don Franco Dorofatti, ciò significa che, oggi, per impostare saggiamente una pedagogia della e delle vocazioni, occorre che essa sia una pedagogia della felicità, “mutatis mutandis”, come quella delle bayani filippine, cioè cultura della condivisione, con alle spalle o come fondale, una causa eroica per cui impegnarsi. Già, perché specie in questi ultimi anni, attorno alla preoccupazione e all’impegno per le vocazioni abbiamo applicato soprattutto la pedagogia dei problemi. Ma pedagogia della felicità come?

 

 

Il contributo dei Congressi Continentali e dei Piani di pastorale vocazionale di alcuni Paesi

Interroghiamo su questo punto i Congressi ed i Piani Pastorali. Ci soffermiamo in particolare sul documento “Nuove Vocazioni per una nuova Europa” (NVNE) del 1997, non solo perché ci tocca particolarmente da vicino, ma anche perché appare paradigmatico nel confronto dei due congressi continentali americani e degli altri piani di pastorale vocazionale, che, in sostanza, battono il tracciato e seguono l’impronta di quello europeo. Del documento NVNE finora sono state sottolineate tante cose interessanti e decisamente nuove. Forse non si è colto ancora che è essenzialmente e vuole essere un inno di ottimismo della fede colma di speranza, perché il filo rosso di tutto il Convegno del ‘97 fu soprattutto essa, la speranza. Un invito quindi alla speranza per il settore della vita della Chiesa (quello delle vocazioni), che ne ha maggiormente bisogno ed una fede colma di speranza da risvegliare nei ragazzi, negli adolescenti, nei giovani e, inoltre, nei genitori, educatori, pastori, presbiteri, consacrati e consacrate e in tutti coloro che servono la vita accanto alle nuove generazioni (nn. 3 e 38). Un caldo invito ai giovani ad accogliere il progetto di Dio, che assicura felicità e realizzazione piena di vita (n. 5). Il documento in questione afferma che è urgente una nuova cultura vocazionale nei giovani e nelle famiglie; questa infatti è una componente fondamentale della Nuova Evangelizzazione, perché è cultura della vita, della fiducia, della capacità di sognare e di stupirsi della bellezza e della verità della vita e gusto per le domande grandi del senso dell’esistenza. Per questo invita l’attuale pastorale vocazionale, che è giunta ormai ad uno snodo storico, a fare un salto di qualità, per comprendere la direzione della storia, che Dio, generatore perenne di vita, imprime continuamente con il suo slancio creativo (n. 13). Il documento afferma inoltre chiaramente che la crisi vocazionale è crisi di proposta pedagogica e di cammino educativo (n. 30) e, per questo, nella quarta parte, traccia quello straordinario itinerario di 5 prospettive (seminare – accompagnare – educare – formare – discernere) che tutti conosciamo, perché la vocazione sia davvero la buona notizia, che coinvolge la persona (n. 31), anche se, come il granello di senape, è il più piccolo di tutti i semi, ma è dotato di una forza straordinaria, se è ben coltivato (n. 33). Esige, di conseguenza, perché possa proporsi come prospettiva unitaria e sintetica della pastorale in genere, che si esprima al suo interno come sintesi di collaborazione e comunione dei carismi e dei ministeri (n. 29) e consista essenzialmente in un’animazione vocazionale di contagio, da parte di persone riuscite, esige di educare a leggere i tracciati della storia della propria vita, per trovare quelle profonde aspirazioni umane, che possono garantire il massimo della felicità; quella felicità, che Maria canta nel suo Magnificat (n. 36) e sfocia appunto in un progetto tutto di felicità (n. 37). Dunque, sul serio, abbiamo qui la mappa di una chiara pedagogia della felicità, proprio quella che cercavamo, provocati anche noi dagli interrogativi di felicità dei nostri contemporanei.

 

L’“impasse” delle specializzazioni

Si può dire che, in questi anni, le abbiamo tentate proprio tutte, per la causa delle vocazioni. Ma non si è di certo impostata o almeno abbozzata la famosa quanto disattesa cultura vocazionale, lanciata dal Papa fin dalla GMPV del 1993. Tante volte, alle nostre fatiche ha fatto eco il vuoto e la siccità della terra arida. Anche noi, come le società occidentali, che continuano ad intestardirsi nella corsa della felicità sulla strada del miglioramento materiale del vivere, che più avanti di così non va, anche noi, forse, continuiamo ad incaponirci sulla pastorale e sulla pedagogia vocazionale, semplicemente moltiplicando e sofisticando le varie specializzazioni: pastoralisti superattrezzati e pluriabilitati; psicologi e sociologi indagatori sopraffini; catechisti della new tecnology comunicativa; educatori aggiornati e superspecializzati in un aggiornato pendolarismo tra lauree brevi e lauree specialistiche… Ma più avanti di così il “ treno vocazionale ” non ci porta. Occorre scendere da questo treno, che serve al massimo per il primo stadio del servizio vocazionale e continuare su altre strade, quelle che amo raccogliere e condensare proprio nella pedagogia della felicità. E, in effetti, se guardiamo ai frutti – in verità piuttosto pochini – delle maturazioni vocazionali di questi anni, ci accorgiamo che portano il marchio delle superspecializzazioni, che dicevamo: giovani con dentro, molto spesso, il virus della privatizzazione della vocazione, una faccenda/avventura per lo più gelosamente personale, poco compromessa con le vere urgenze del Regno e con la responsabilità di servire la missione pastorale della Chiesa, come parte di una comunità responsabile[1]. Una specializzazione/privatizzazione, che non ha forse dietro, come imperativo categorico, la chimera di essere perfetti e di essere vincenti sempre, secondo i parametri della nostra società del successo a tutti i costi, quando, invece, la logica del Regno di Dio è la misura del successo del mistero pasquale nel suo percorso integrale di morte e risurrezione? Si tratta di una specie di stato confusionale generalizzato, che non riesce a cogliere con sufficiente adeguatezza la realtà delle cose. Mentre, invece, si esige l’obiettività del tenere sempre conto dell’insieme e non solo di qualcosa; si esige la speranza di saper seminare il più delle volte nel pianto, con la certezza che qualcuno (io o qualcun altro) raccoglierà nella gioia; si esige la pazienza dei tempi lunghi, perché tali sono i tempi di Dio.

 

 

Esercizi di pedagogia della felicità

Dunque, è urgente attivare una pedagogia della felicità, perché si possa parlare, in un modo rinnovato, di autentica pedagogia della e delle vocazioni e non solo di qualche rattoppo di aggiustamento momentaneo. Ma, come praticamente? Ci vogliamo limitare, per il momento, a due strategie, che appartengono al nerbo robusto della pedagogia della felicità e che mi piace indicare con due simboli: la rete ed il puntello. 

Al di là di tutte le specializzazioni, occorre andare o tornare, se si preferisce, al concreto del vissuto. Bisogna che ce lo diciamo molto chiaramente: c’è una comunità cristiana da rigenerare, perché si possa giungere ad incidere veramente sulla trasformazione della pastorale, perché le scelte mature di vita non si improvvisano senza un contesto specifico e significativo. Occorre cioè ritentare una nuova costruzione del micelio della cultura vocazionale e fare sul serio l’esperienza di essere Chiesa sul territorio, per mezzo della costruzione di una vasta rete di collegamento. Don Franco Dorofatti, nel suo intervento, invitava ad opporre alla società strutturata in modo policentrico, tale da sminuzzare le personalità nella frammentazione, una comunità ecclesiale “grembo generatore” di vere personalità, di identità forti incentrate sulla fede. E questo attraverso la gioia di credere insieme, pastori, presbiteri, consacrati, laici; di sperare insieme e perciò amare insieme nella collaborazione, nel non limitarsi più al tanto geloso orticello privato, perché sa ormai di antistorico e diventa terra sempre più arida, nel non stare più tanto ad aspettare, quanto ad andare insieme ad incontrare giovani e famiglie, ad accogliere, convertendoci, con fiducia, alla situazione dei ragazzi e della gente di oggi, scovando i gangli vitali, dove vivono le persone concrete. Sostituire il grande vuoto esistente con il dare un’anima, curando contemporaneamente la formazione, la corresponsabilità e la missionarietà. Valorizzando i luoghi e gli snodi primari dell’esistenza, il vissuto genuino come percorso primario ed importante della vita. Formare insomma una solida rete e lavorare in rete, inventando anche nuove forme di presenza, senza ridursi a riprodurre calchi del passato o specializzarsi ad allestire musei. Utilizzando, in una parola, tutto quello che il territorio offre, per costruire dei sempre nuovi nodi di relazione, perché è attraverso di essi che scorre bene la buona notizia di Gesù.

E poi essere un puntello solido. Diceva ancora don Franco Dorofatti, che, nel nostro tempo, è più che opportuna una compagnia educativa che aiuti nel cammino di maturazione umana e cristiana e nel discernimento della propria vocazione, verso la scelta di Cristo come centro unificante e qualificante dell’identità della persona, spendendo il talento della vita a servizio dei fratelli. Ma come fare da puntello, praticamente? Il segreto sembra quello di essere persone gioiose per l’esistenza dedicata ad una grande causa: la vocazione all’amore al centro della vita ecclesiale, della nostra vita personale e di tutto ciò che esiste e la felicità di rispondere con semplicità e profondità alla vita secondo il cuore di Dio. Ecco tutto. Sono tante le paure di fondo della gente del nostro tempo; così il mondo dei desideri si è esteso oggi in lungo ed in largo, anche grazie alla colluvie di opportunità della globalizzazione, della tecnologia e della comunicazione; paure da esplicitare e da sconfiggere; desideri da discernere e da incanalare, valorizzando al massimo gli snodi ed i passaggi normali dell’esistenza, facendo emergere le crescite nascoste, che ci sono nel profondo di ogni persona, indicando un senso ed orientando verso un progetto, adattando percorsi differenziati e proporzionati al tipo molto vario dei nostri destinatari. Si tratta quindi di una nuova forma di accompagnamento, che si presenta innanzi tutto come un puntello solido, cioè come il servizio più prezioso per tante esistenze giovanili e familiari, che sono alla ricerca di riferimenti di forte tenuta, per dare senso alla propria vita ed al proprio esistere, senza adattarsi e conformarsi allo show del franamento di una società, che, in modo miope e ripetitivo, si autoconsuma sempre più verso il vuoto ed il nulla. Aiutando ad aprire gli occhi del cuore ed insegnare a leggere il dentro della realtà, ad entrare nella verità delle cose, a stupirsi della propria vita e della vita meravigliosa, che pulsa in tutto l’universo. Se Dio è amore, qualsiasi cosa che esiste può forse perdersi nel nulla? Si tratta, di conseguenza, di accompagnare a scegliere: dai piccoli sì della vita quotidiana, che costano tanta fatica, alle scelte definitive dell’esistenza, che oggi sembrano impossibili. Imparare ad appartenere a se stessi, alla responsabilità di appartenere a questo nostro tempo splendido e terribile, per appartenere a Dio, che dà senso e compimento a tutto, nell’avanzamento e nell’evolversi della storia della salvezza. Ecco la sfida della rete e del puntello, cioè la spina dorsale della pedagogia della felicità per questo nostro tempo.

Alla domanda ingenua e seriamente preoccupata dei nostri contemporanei: “È possibile essere felici?”, se ne rimpiazzeranno presto due altre: “Perché sei/siete così felici?” e “Posso diventare felice anch’io, come voi?”. Allora sarà il segno che davvero la cultura vocazionale si sta finalmente impiantando.

 

 

 

Riferimento bibliografico

TAINO D., Il tormento dell’Occidente: è possibile essere felici? in “Corriere della Sera”, 5 luglio 2004, pp. 1, 16.

P.O.V.E., Nuove vocazioni per una nuova Europa, 1997, in Enchiridium Vaticanum n. 16, EDB, Bologna 1999, pp. 1314-1421.

CEI, Il volto missionario delle parrocchie in un mondo che cambia, Paoline, Milano 2004.

 

Note

[1] Cfr. CEI, Il volto missionario delle parrocchie in un mondo che cambia, 2004, n. 12.