N.04
Luglio/Agosto 2005

Il fenomeno degli abbandoni

Mi ci ritrovo nella lettura del fenomeno che è stata fatta; mi chiedo se non è possibile raccogliere la lettura in una sorta di circolo vizioso, cioè quello del giovanilismo. Oggi c’è una doppia sfida: giovani + realtà chiesa, che apre una serie di discussioni e di problemi, che permangono aperti. 

Ad esempio è importante una Chiesa giovane, una vita consacrata giovane, un ministero giovane ma è molto importante discernere bene tra giovane e giovanilismo. Nella nostra società da parte dei giovani c’è molta difficoltà ad accettare di diventare adulti. Abbiamo perciò un’adolescenza prolungata. Le altre generazioni, la mezza età e la terza/quarta età sono costrette anch’esse a giocare la carta del giovanilismo, scimmiottando degli stili di vita che non corrispondono a quello che esse sono, oppure vengono emarginate nella non rilevanza. Così abbiamo un ministero ordinato o una vita di consacrazione messi addosso come un vestito su individui che non sono adulti: c’è il consacrato/a, c’è il prete ma manca l’uomo, manca la donna. 

Per di più la fluidità così caratteristica del nostro tempo diventa un vero circolo vizioso tra giovanilismo da una parte e vita ecclesiale stanca dall’altra. 

Tutto questo rende i giovani e i meno giovani semplicemente spenti nella gioia di vivere e nel credere alla bellezza della propria vocazione, abbassando l’impegno radicale e testimoniale di questo genere di vita e giocando perciò al ribasso del minimo nel vivere e servire il Vangelo. E così si presenta un surrogato di Vangelo, che non attira più nessuno e per molti giovani preti e consacrati diventa, in troppi casi, il trampolino di lancio dell’abbandono vocazionale. 

Di fronte a questa visuale spesso si viene tacciati di pessimismo e di uomini senza speranza. Il pessimismo è vedere la realtà ma scoraggiarsi e tirare i remi in barca. La speranza è un cocktail interessante di realismo e di sogno, portati avanti con fiducia nella Potenza dall’alto. 

Allora la sfida più forte è proprio questa speranza. Ed è proprio essa che ci spinge incessantemente a trovare e tentare anche nuove formulazioni e nuove proposte. 

 

Alcuni esempi: 

1. Tentare una strutturazione nuova del percorso formativo. Ci chiediamo perché i nostri giovani partono così entusiasti per il Seminario e la Vita Consacrata ed arrivano spenti alla fine della formazione, con molta resistenza a proposte di continuazione della formazione nelle iniziative della formazione permanente. Questo bisogno di liberazione e queste resistenze non sono segno di ingolfamento, di congestionamento, di poca personalizzazione e responsabilizzazione? Forse bisogna pensare ad una formazione più personalizzata, più realistica, meno di massa, meno accademica.

 

2. Centrarsi molto di più sulla formazione dell’interiorità. Siamo a tutt’oggi troppo proiettati sull’esterno. Permettere la liberazione in sé della dimensione contemplativa della vita, per ricomporre i frammenti di un’esistenza imprigionata ed invischiata nella distrazione. Il che significa educazione seria della coscienza; esperienza vera di innamoramento del Cristo; abilitazione ad un serio progetto personale di vita; capacità di relazioni profonde e di raccontarsi e condividere la propria storia ed il vissuto delle esperienze della propria vita.

 

3. L’altra strada per uscire da questa “impasse” è lo stupore e la qualità della vita. Per non sentirci troppo privilegiati in questa vocazione ministeriale e consacrata rispetto alle altre vocazioni (cosa che è giusta) abbiamo finito col non contemplare più la bellezza e la grandezza di questa via vocazionale, riducendola spesso ad una pura funzione di servizio. Ma, come dicevano i grandi mistici dei secoli precedenti, è solo l’amore di compiacenza (l’attrattiva, la bellezza) che produce l’amore della benevolenza (l’impegno e la dedizione fino a consumare tutta l’esistenza). Occorre fare leva su questa dimensione di bellezza e su questo sguardo stupito, perché l’amore passa attraverso lo sguardo.