Costruire insieme il “non ancora”-“l’inedito”
Un cordiale saluto e “benvenuto” a tutti i partecipanti, con l’augurio che il Forum sia un momento significativo di scambio relazionale e di proposte operative atte a pensare modalità nuove per svolgere il servizio alla persona in ricerca; un servizio che diventa “di Chiesa” nella misura in cui, in comunione, c’è un PENSARE INSIEME a nuove strategie e a nuove possibilità di accompagnamento.
Lavorare in rete, in diocesi o tra più diocesi, aiuta a superare l’individualismo, la chiusura e il “per noi”, per aprirsi al desiderio di aiutare la persona ad essere ciò che vuole essere, non ciò che a noi piace che sia.
È necessario superare il bisogno di indirizzare le persone al proprio istituto; l’animatore deve svolgere, invece, un servizio di accompagnamento nel discernimento vocazionale a 360 gradi: spesso si è portati a considerare significativa soltanto la vocazione religiosa, mentre anche il matrimonio è vocazione… è progetto di Dio!
È importante incontrarsi per un confronto, per conoscere la realtà in cui i giovani vivono e operano, quali sono i loro bisogni e le loro attese: don Domenico Cravero, sacerdote e sociologo di Torino, esperto conoscitore della realtà giovanile per aver lavorato sul campo, sostiene che oggi i giovani hanno sperimentato e consumato tutto, anche i sentimenti e le emozioni; stanno vivendo momenti di noia e di disorientamento, non sanno più cosa fare. Forse è giunto il momento d’incontrarli fuori dagli ambienti oratoriani e di sacrestia e presentare loro la persona di Cristo: aiutarli a scoprire qual è la vera sorgente di cui hanno bisogno e che desiderano, per trovare il vero senso del vivere.
Ogni progetto formativo mira ad educare la persona a crescere, ad essere il più possibile matura, cioè in grado di fare delle scelte: è pertanto urgente concordare e proporre percorsi educativi, il cui primo obiettivo è quello di aiutare la persona a comprendere chi è – che cosa vuole – dove sta andando, superando la frammentarietà ed il “turismo religioso”. Ho incontrato giovani che per amicizie varie si sono trovati a frequentare corsi di proposte vocazionali, con il risultato di essere sempre più confusi.
Bisogna superare il bisogno di fare dei proseliti e sviluppare, invece, il desiderio di aiutare la persona a capire qual è il progetto di Dio su di lei; saper iniziare un cammino nella sua vita interiore, per capire qual è il suo personale desiderio, come vuole costruire la sua vita futura.
A volte si ha paura di ascoltare ed accostare i giovani; si hanno preconcetti: si ritiene che il loro modo di vestire e di presentarsi riveli solo ostentazione, superficialità ed indifferenza. Ma spesso questo loro atteggiamento è una reazione ad una società adulta che non li accetta, perché in loro c’è un profondo desiderio di essere amati, riconosciuti e stimati nella loro realtà profonda e nascosta.
Ritengo fondamentale imparare a dialogare con i giovani per comprenderli, senza mai giudicarli, per conoscere i loro desideri e per aprirli a prospettive nuove, diverse da quelle che offrono oggi i mass-media; per aiutarli a fare unità; per far loro scoprire qual è il vero senso del vivere e quale orientamento dare alla propria vita.
Nell’accompagnamento è importante aiutare i giovani ad interiorizzare i valori, ad aprirsi ad esperienze di solidarietà, a passare dall’isolamento alla vera relazione, a vivere la solitudine come momento significativo per ascoltare sé nel silenzio, per fare spazio a Cristo e poterlo incontrare, ascoltare, parlare con lui.
Oggi si parla molto di felicità, colta, però, come benessere, derivante dal possesso delle cose o delle persone, che, al contrario, porta ad una dinamica di potere e di violenza. Si parla poco, invece, della gioia, che è una situazione interiore, frutto della comunione con Dio e con i fratelli.
Sono passaggi importanti, che richiedono disponibilità di forze, di tempo, di persone preparate e disposte a lavorare “in rete”. Si tratta di cambiare impostazione: scegliere animatori con competenze specifiche, senza preoccuparsi della rappresentatività. Non “il mio istituto”, ma il servizio alla persona in ricerca e, di conseguenza, alla Chiesa. Questa è fede, è maturità, è servizio, è credere nelle possibilità dell’altro, è mettere al centro la persona.
Va da sé che ogni animatore, che decide di proporre un serio percorso di accompagnamento, deve maturare dentro di sé valide motivazioni che lo spingono a pensare e ad agire; imparare ad amare i giovani, ad accettarli, a rispettare la loro storia personale e relazionale, a servirli nel loro percorso di discernimento vocazionale, evitando, però, il rischio di sostituirsi all’altro, tenendo conto che ogni persona è possibilità e progetto… Occorre, dunque, accostarsi ai giovani per scoprire le realtà e le ricchezze positive che stanno vivendo, con la convinzione che l’incontro sarà proficuo per entrambi.
In sintesi, ritengo inderogabili alcune sottolineature da proporre agli animatori vocazionali:
1. riscoprire le mie MOTIVAZIONI personali, per un impegno relazionale che richiede disponibilità a:
– vivere una relazione sincera, profonda, efficace ed efficiente;
-imparare ad essere e diventare persona e non rimanere individualità;
-imparare a conoscersi e a rapportarsi con il mondo giovanile, consapevole che dai giovani ho tante cose da imparare (nella reciprocità);
-imparare a cogliere la diversità dell’altro come valore che mi permette di esperire interiormente la mia capacità relazionale;
-imparare a vivere le necessarie conflittualità come momenti di verità e di crescita;
-imparare a capire che il rapporto con l’altro va profondamente voluto
2. costruire INSIEME percorsi di animazione vocazionale a servizio della Chiesa locale richiede:
a) capacità di apertura, superando la dimensione egoistica ed egocentrica;
b) consapevolezza che ogni servizio di attenzione e di crescita rivolto alla persona è un servizio di Chiesa;
c) volontà personale e motivata, per superare gli inevitabili conflitti dovuti alle differenze di vedute;
d) comprensione verso chi lavora con noi e consapevolezza che nessuno possiede la verità, ma si è in ricerca del bene comune;
e) convinzione che se il “team” funziona dipende da come mi pongo in relazione positiva con gli altri: se so amare e stimare le persone, ma soprattutto se credo alla possibilità di costruire un percorso educativo che aiuti a promuovere le persone.
Gesù nel Vangelo ci ha insegnato come incontrare le persone, amandole nella libertà: a nessuno ha detto “tu devi”, ma “se vuoi”; ci ha insegnato a vivere il proprio desiderio, che è fondamentalmente desiderio di amare, cioè di spezzare il circuito chiuso dell’individualismo, che è sempre alienante, per aprirsi a condividere con gli altri la propria vita, la propria conoscenza, la propria ricchezza. Solo così riusciremo ad assumere nella nostra vita lo stile di Gesù, che ci insegna ad “essere per gli altri”.