«So a chi ho dato la mia fiducia»
Variazioni e riflessioni sul tema
Si apre un nuovo triennio all’insegna della fiducia
Con la GMPV dello scorso anno è terminato un triennio di riflessione e di preghiera, illuminato dai tre Messaggi del Santo Padre per le rispettive tre ultime Giornate Mondiali di Preghiera per le Vocazioni, incentrato sul rapporto vitale tra vocazione e Chiesa, intesa come mistero-comunione-missione: La vocazione al servizio della Chiesa mistero (2006), La vocazione al servizio della Chiesa comunione (2007), La vocazione al servizio della Chiesa missione (2008). Si apre dinanzi a noi un nuovo triennio che, avendo come punto di riferimento l’esortazione post-sinodale Sacramentum caritatis, ci offrirà la possibilità di riflettere su la Fiducia nella iniziativa di Dio e risposta umana (2009), La Testimonianza suscita vocazioni (2010), La proposta vocazionale nella Chiesa locale (2011).
Ecco spiegato perché il CNV ha scelto questo slogan – So a chi ho dato la mia fiducia – per accompagnare il cammino di quest’anno pastorale, che vede nella celebrazione della GMPV il suo punto culminate, ma anche la tappa di avvio per la preparazione delle tante esperienze estive vocazionali, che si progettano in tutta la nostra Penisola a favore dei giovani.
Nella scelta dello slogan, il riferimento all’esperienza e agli scritti di S. Paolo era in un certo senso obbligato, visto che si sta vivendo l’anno paolino; d’altra parte, non si poteva trascurare – perché scelto dal Papa come filo conduttore per questo triennio – il collegamento con l’esortazione post sinodale Sacramentum caritatis. In modo particolare, si vuole tener presente quanto Benedetto XVI scrive al n. 26:
“è necessario avere maggiore fede e speranza nell’iniziativa divina. Anche se in alcune regioni si registra scarsità di clero, non deve mai venire meno la fiducia che Cristo continui a suscitare uomini, i quali, abbandonata ogni altra occupazione, si dedichino totalmente alla celebrazione dei sacri misteri, alla predicazione del Vangelo e al ministero pastorale”.
Quanto il Papa dice delle vocazioni al presbiterato può essere applicato anche per le altre vocazioni, nel rispetto della loro specifica identità e missione nella Chiesa e nel mondo. Un triennio, come si può ben notare, che non poteva aprirsi in modo migliore: con un forte appello a riscoprire il tema della fiducia, in tutte le sue dimensioni e tonalità. E che ci sia bisogno proprio di questo lo sperimentiamo quotidianamente noi, operatori pastorali, tentati di lasciarci prendere dallo scoraggiamento dinanzi agli apparenti insuccessi della nostra azione, e chiamati ad accompagnare giovani che hanno difficoltà a fare scelte decisive nella loro vita, attanagliati come sono dalla paura.
Dallo slogan al poster e viceversa
Come ogni anno, lo slogan, che rilancia in modo sintetico ed intrigante il tema, è accompagnato dal poster che traduce in immagine lo stesso tema. Va da sé che l’uno e l’altro si integrano e s’illuminano reciprocamente. In modo particolare, è necessario che il poster diventi sempre più eloquente, valorizzandolo nelle catechesi e negli incontri vocazionali; ma anche lì dove è semplicemente affisso alla porta della chiesa, possa “manifestare” tutta la ricchezza che racchiude in sé. È questo ciò che faremo ora: provare a fissare lo sguardo sullo slogan e metterci in ascolto del poster.
Qui, in primo piano, si stagliano due mani che si incontrano: affidarsi nelle mani di un Altro – e degli altri – perché ci si fida di lui, è il primo, grande messaggio che si vuole lanciare. Purtroppo, oggi, molto più spesso si vedono mani che si ritirano, si scontrano, fanno violenza… E, questo, anche tra i più giovani e perfino tra i ragazzini. Quelle due mani, leggendole in negativo, diventano un segno eloquente di quel disagio che un po’ tutti viviamo in questo nostro tempo. Siamo sinceri: oggi, non ci viene spontaneo avere fiducia; tanti sono i segnali che attraversano la nostra vita chiedendoci di essere un po’ più “prudenti”. Dalle relazioni affettive a quelle parentali, da quelle lavorative a quelle economiche… chi non è rimasto “scottato” e non si è detto, poi, pentito per aver dato fiducia? “Sembrava un amore eterno”… si è rivelato solo un’avventura passeggera; “aveva tutta l’aria di essere una persona per bene”… poi ci si è accorti che era solo un imbroglione che carpiva la fiducia delle persone più anziane; “eravamo amici per la pelle, fin dall’infanzia, non mi sarei mai aspettato che si innamorasse della mia fidanzata”; “gli avevo dato carta bianca… ho scoperto che ha prosciugato il mio conto in banca…”
La saggezza popolare ci ricorderebbe, amaramente, che “fidarsi è bene, non fidarsi è meglio”. Allora, ci chiediamo: sarà possibile fidarsi almeno di Dio o anche il rapporto con lui si è un po’ incrinato? E tra di noi, non è proprio possibile recuperare un po’ di fiducia? Dobbiamo ammettere che il sospetto e la diffidenza devono regolare la nostra vita?
Non lo vogliamo! Ci piace pensare che, alla luce del tema della GMPV 2009, quest’anno gli animatori vocazionali, i giovani in ricerca vocazionale e le comunità cristiane realizzino insieme un “pellegrinaggio di fiducia” per le strade della vita. Lasciamoci, allora, guidare da questi due potenti fari – lo slogan e il poster – e mettiamoci in cammino.
Tu apri la tua mano e sazi la fame di ogni vivente (Sal 145,16)
Come non vedere in quella mano aperta in alto nel poster la mano di Dio che si apre con generosità per arricchirci dei suoi innumerevoli e inattesi doni? Ogni anno, la GMPV ravviva in noi questa consapevolezza: le vocazioni sono innanzitutto un dono di Dio, prima ancora che frutto delle nostre iniziative e della risposta generosa dei giovani. “Ogni vocazione cristiana – ci ricordava Giovanni Paolo II – viene da Dio, è dono di Dio” (PdV 35). Gli fa eco la liturgia della Messa che così ci fa pregare, per invocare il dono delle vocazioni al ministero ordinato:
“O Dio… fa’ maturare, con la forza di questo sacramento, i germi di vocazione che a piene mani tu semini nel campo della Chiesa, perché molti scelgano come ideale di vita di servire te nei loro fratelli” (orazione dopo la comunione)
Se sono dono di Dio, allora, il nostro primo impegno è quello di invocare con fiducia questi doni, nella certezza che saremo esauditi. Si comprende, allora, perché, fin dagli inizi, è la preghiera, innanzitutto, e non altre iniziative a caratterizzare la Giornata Mondiale per le Vocazioni. In un’epoca come la nostra, in cui si ha sempre più l’impressione che l’uomo si senta “onnipotente” e, per questo, “autonomo”, è indispensabile richiamare con forza il primato della grazia.
All’inizio di questo millennio fu Giovanni Paolo II a ricordarcelo:
“C’è una tentazione che da sempre insidia ogni cammino spirituale e la stessa azione pastorale: quella di pensare che i risultati dipendano dalla nostra capacità di fare e di programmare. […] La preghiera ci fa vivere appunto in questa verità. Essa ci ricorda costantemente il primato di Cristo e, in rapporto a lui, il primato della vita interiore e della santità. Quando questo principio non è rispettato, c’è da meravigliarsi se i progetti pastorali vanno incontro al fallimento e lasciano nell’animo un avvilente senso di frustrazione?” (NMI 38).
Del resto, non possiamo nascondercelo: le urgenze e i bisogni sono tanti; come grande è la tentazione di fare come Abramo che, non avendo figli in dono da Dio, secondo la promessa, se ne è procurato uno dalla schiava (cf Gn 16, 1-4). La preghiera per le vocazioni da una parte è espressione della grande fiducia che la Chiesa pone nel Signore, dall’altra la alimenta e la rafforza. Sentiamo rivolto a noi e risuoni con forza dentro le nostre comunità e nel cuore dei giovani l’invito di Gesù, che, vedendo le folle stanche e sfinite, come pecore senza pastore, disse ai suoi discepoli: “La messe è molta, ma gli operai sono pochi! Pregate dunque il padrone della messe che mandi operai nella sua messe!” (Mt 9, 37-38).
Comprendiamo, allora, perché Giovanni Paolo II inizi l’esortazione post-sinodale Pastores dabo vobis con questa affermazione:
“di fronte alla crisi delle vocazioni sacerdotali la prima risposta che la Chiesa dà sta in un atto di fiducia totale nello Spirito Santo. Siamo profondamente convinti che questo fiducioso abbandono non deluderà, se peraltro restiamo fedeli alla grazia ricevuta” (n. 1).
È solo la preghiera che può attivare nei giovani che si sentono chiamati quegli atteggiamenti di fiducia e di abbandono che sono indispensabili per pronunciare il proprio “sì” e superare paure e incertezze. “Ogni vocazione nasce dalla invocazione” (NVNE 27/a). Solo questo atteggiamento costante di abbandono fiducioso in Dio e di gratitudine può escludere in radice “ogni vanto e ogni presunzione da parte dei chiamati. L’intero spazio spirituale del loro cuore è per una gratitudine ammirata e commossa, per una fiducia ed una speranza incrollabili, perché i chiamati sanno di essere fondati non sulle proprie forze, ma sull’incondizionata fedeltà di Dio che chiama” (PdV 36).
Fissando lo sguardo su quelle due mani rappresentate nel poster – la mano di Dio, che si apre con generosità, e la nostra che attende con fiducia e accoglie i suoi doni – facciamo nostra la preghiera fiduciosa del salmista:
“Tutti da te aspettano che tu dia loro il cibo in tempo opportuno. Tu lo provvedi, essi lo raccolgono, tu apri la mano, si saziano di beni” (Sal 104, 27-28).
Sappiano che qui c’è la tua mano: tu, Signore, tu hai fatto questo (Sal 109,27)
Da dove la Chiesa e ciascuno di noi, al suo interno, può attingere e alimentare questa fiducia? Lo slogan – Io so a chi ho dato la mia fiducia – facendo riferimento all’esperienza personale dell’apostolo Paolo, fa appello ad una fiducia che deriva da una conoscenza diretta della Persona alla quale siamo chiamati ad affidarci. Io so, perché ho fatto l’esperienza di non essere stato deluso dal Signore. Guardando le due mani raffigurate nel poster – una che si protende nell’afferrare l’altra – rileggiamo “con cuore pensante” il nostro cammino alla ricerca dei tanti segni che Dio ha lasciato nella nostra vita, che ci incoraggiano sempre più ad abbandonarci nelle sue mani.
Inizialmente, quando abbiamo percepito la sua chiamata, ci siamo forse posti alla sua sequela facendo affidamento più sulle nostre forze e sulle nostre capacità che sull’aiuto del Signore. Allora, il nostro passo si è fatto incerto, gravato dal peso e dal dubbio se fosse realmente quella la nostra strada.
E in qualche momento del cammino
«abbiamo forse fatto l’esperienza di Pietro quando, camminando sulle acque incontro al Signore, improvvisamente si è accorto che l’acqua non lo sosteneva e che stava per affondare. E come Pietro abbiamo gridato: “Signore, salvami!” (Mt, 14, 30). Allora abbiamo guardato verso di lui … ed egli, con grande bontà, ci ha preso per mano, ci ha tratti a sé e ci ha detto: “Non temere! Io sono con te. Non ti lascio, tu non lasciare me!”. Egli ci ha afferrati per la mano e ci ha dato un nuovo “peso specifico”: la leggerezza che deriva dalla fede e che ci attrae verso l’alto. Lasciamo che la sua mano ci prenda, e allora non affonderemo, ma serviremo la vita che è più forte della morte, e l’amore che è più forte dell’odio. Chiediamo che egli non lasci mai la nostra mano». (Benedetto XVI, Omelia della Messa crismale del 2006)
Guardando attentamente il poster vogliamo intravedere in quelle due mani che si sfiorano altre due mani che si toccano con la punta delle dita – quella del Creatore e quella di Adamo – dipinte da Michelangelo sulla volta della Cappella Sistina. Sì, Dio non solo ci crea, ma ci rinnova continuamente con la forza vitale del suo amore, come si esprime la liturgia:
“O Dio, che in modo mirabile ci hai creati a tua immagine e in modo più mirabile ci hai rinnovati e redenti…” (Messale Romano, Veglia pasquale, orazione dopo la I lettura).
Nei momenti in cui, più di ogni altro, facciamo l’esperienza del peso della nostra fragilità e dei nostri peccati, e, per questo, vorremmo fuggire dalla presenza del Signore, proprio in quei momenti siamo chiamati ad abbandonarci con fiducia in lui, a sentirci avvolti dalla sua misericordia, illuminati dal suo volto e sollevati dalla sua mano.
“Se vuoi un consiglio, rifugiati presso di lui, quando vuoi da lui fuggire. Rifugiati presso di lui con fiducia, e non già sottrarti al suo sguardo: non lo potresti fare, mentre puoi a lui aprire con fiducia il tuo cuore. Digli dunque: Tu sei il mio rifugio (Sal 32, 7); troverà allora alimento in te quell’amore che solo porta alla vita.” (S. Agostino, Discorso 6, 3).
Il Vangelo ci ha conservato il ricordo grato di persone che, spinte da una grande fiducia nel Signore, sono state toccate dalla sua mano e sono guarite: il lebbroso vide la sua pelle ringiovanire (Mt 8, 3); la suocera di Pietro, liberata dalla febbre, si mise a servirlo (Mt 8, 14-15); l’emoroissa sentì un brivido attraversare il suo corpo e il flusso di sangue immediatamente si arrestò (Mt 9, 20-22); la figlia del capo ritornò in vita, suscitando lo stupore degli astanti (Mt 9, 18-19.23-26); i due ciechi riacquistarono la vista (Mt 9, 27-31); l’uomo presente nella sinagoga sentì affluire il sangue nella sua mano inaridita (Mt 12, 9-14)… l’elenco potrebbe continuare ancora per molto!
Chi di noi non ne ha fatto l’esperienza nella sua vita? Come il vasaio, quando vede rovinarsi un vaso che sta modellando, con la stessa creta ne fa uno nuovo (Ger 18, 3-4), così agisce il Signore con noi. Non si ferma dinanzi a nulla, neppure dinanzi al nostro peccato.
“Hai perduto fiducia in te stesso? Spera nel Signore. Sei turbato per te? Spera nel Signore, che ti ha scelto prima della creazione del mondo, ti ha predestinato, ti ha chiamato, ti ha reso giusto da empio, ti ha promesso una gloria eterna, ha subito per te una morte ingiusta, ha versato per te il suo sangue, ti ha trasferito in se stesso, dicendo: La mia anima è turbata. Appartieni a lui e temi? E ti potrà nuocere in qualche modo il mondo, per la cui salvezza egli morì, quel mondo che da lui fu creato? Appartieni a lui e temi? Se Dio è per noi, chi sarà contro di noi? Egli che non ha risparmiato il proprio Figlio, ma lo ha dato per tutti noi, come non ci donerà ogni cosa insieme con lui? Supera i turbamenti, non assecondare l’amore del mondo. Provoca, lusinga, insidia: non a quello fiducia, a Cristo fedeltà” (S. Agostino, Discorso 305, 4).
Dinanzi a tanta bontà non ci restano che lo stupore e la gratitudine. La liturgia ci aiuta a trovare le parole più consone per esprimere i nostri sentimenti:
“Noi ti benediciamo, Dio onnipotente Signore del cielo e della terra, per Gesù Cristo tuo Figlio venuto nel tuo nome: egli è la mano che tendi ai peccatori, la parola che ci salva, la via che ci guida alla pace. Tutti ci siamo allontanati da te, ma tu stesso, o Dio nostro Padre, ti sei fatto vicino ad ogni uomo; con il sacrificio del tuo Cristo, consegnato alla morte per noi, ci riconduci al tuo amore, perché anche noi ci doniamo ai nostri fratelli” (Messale Romano, Preghiera eucaristica II).
Ripensando al nostro cammino, facciamo nostri i sentimenti del salmista, che così si esprime: “Il Signore fa sicuri i passi dell’uomo e segue con amore il suo cammino. Se cade, non rimane a terra, perché il Signore lo tiene per mano” (Sal 37, 23-24).
Ho trovato Davide, mio servo, con il mio santo olio l’ho consacrato; la mia mano è il suo sostegno, il mio braccio la sua forza. (Sal 89, 21-22)
Dalla mano del Signore giungono a noi i suoi innumerevoli e inattesi doni. Il più delle volte, però, questi doni non arrivano a noi direttamente, ma attraverso le mani di altri fratelli: in questo modo il Signore ci coinvolge nel suo dinamismo d’amore e ci provoca ad abbattere il muro dell’indifferenza e dell’egoismo e a creare, invece, una rete di solidarietà fraterna. I racconti evangelici della moltiplicazione dei pani attirano la nostra attenzione sul percorso fatto quel giorno da quei cinque pani e due pesci: dal ragazzo sono arrivati al Signore, passando attraverso le mani degli apostoli; dal Signore sono donati a tutti i presenti, passando nuovamente attraverso le mani degli apostoli. In questo viaggio di “andata e ritorno” il pane non è rimasto più lo stesso: si è arricchito della generosità del ragazzo, della perplessità iniziale degli apostoli, della carità del Signore, dello stupore degli apostoli che distribuivano in abbondanza il pane a tutti. Ecco il miracolo dell’amore: suscita la generosità, vince le resistenze, testimonia la vicinanza di Dio e provoca la condivisione. È la stessa logica nella quale ci invita ad entrare la liturgia quando presentiamo i doni all’altare e ci fa riconoscere che i doni vengono da Dio, ma profumano di terra e sono arricchiti anche del lavoro dell’uomo; li presentiamo al Signore perché nessuno li consideri sua proprietà privata, ma li riceva nuovamente in dono dal Signore per condividerli generosamente con i fratelli. “La tua mano non sia tesa per prendere e chiusa invece nel restituire” (Sir 4, 31). Le mani devono restare sempre aperte, non solo per ricevere, ma anche per condividere con i fratelli quello che riceviamo dal Signore.
In quest’ottica ci piace, ora, fermare la nostra attenzione su quelle mani raffigurate nel poster e intravedere in esse le mani dei presbiteri, dei consacrati e degli sposi; mani di cui il Signore si serve per arricchire la Chiesa e l’umanità.
Nel rito dell’ordinazione presbiterale, il vescovo impone le mani sull’ordinando e, dopo di lui, fanno altrettanto i presbiteri presenti. Questo gesto antichissimo «esprime la volontà del Signore di prendere possesso del presbitero, dicendogli: “Tu mi appartieni”. Ma con ciò ha anche detto: “Tu stai sotto la protezione delle mie mani. Tu stai sotto la protezione del mio cuore. Tu sei custodito nel cavo delle mie mani e proprio così ti trovi nella vastità del mio amore. Rimani nello spazio delle mie mani e dammi le tue”» (Benedetto XVI, Omelia del Giovedì santo del 2006).
Un gesto, questo, che può essere compreso appieno alla luce delle parole del Signore:
«“Non vi chiamo più servi, perché il servo non sa quello che fa il padrone; ma vi ho chiamati amici, perché tutto ciò che ho udito dal Padre l’ho fatto conoscere a voi” (Gv 15, 15). Non vi chiamo più servi, ma amici: in queste parole si potrebbe addirittura vedere l’istituzione del sacerdozio. Il Signore ci rende suoi amici: ci affida tutto; ci affida se stesso, così che possiamo parlare con il suo Io – in persona Christi capitis. Che fiducia!». (Benedetto XVI, Omelia del Giovedì santo del 2006)
In seguito, il vescovo compie un altro gesto estremamente eloquente: unge le mani del presbitero con il Crisma.
«Perché proprio le mani? La mano dell’uomo è lo strumento del suo agire, è il simbolo della sua capacità di affrontare il mondo, appunto di “prenderlo in mano”. Il Signore ci ha imposto le mani e vuole ora le nostre mani affinché, nel mondo, diventino le sue. Vuole che non siano più strumenti per prendere le cose, gli uomini, il mondo per noi, per ridurlo in nostro possesso, ma che invece trasmettano il suo tocco divino, ponendosi a servizio del suo amore. Vuole che siano strumenti del servire e quindi espressione della missione dell’intera persona che si fa garante di lui e lo porta agli uomini. Se le mani dell’uomo rappresentano simbolicamente le sue facoltà e, generalmente, la tecnica come potere di disporre del mondo, allora le mani unte devono essere un segno della sua capacità di donare, della creatività nel plasmare il mondo con l’amore – e per questo, senz’altro, abbiamo bisogno dello Spirito Santo» . (Benedetto XVI, Omelia del Giovedì santo del 2006)
Il Crisma, che impregna in profondità le mani del presbitero, continuerà a profumare del “buon profumo di Cristo” tutto ciò che quelle mani toccheranno. È necessario che quelle mani non trattengano nulla per sé, ma si preoccupino solo di accompagnare i fratelli all’incontro con Cristo.
C’è, infine, un ultimo gesto che compie il novello presbitero: mette le sue mani in quelle del vescovo promettendo a lui e ai suoi successori obbedienza e rispetto. Quelle mani che si consegnano e si accolgono reciprocamente esprimono la disponibilità piena del presbitero a mettere la propria vita nelle mani della Chiesa, rendendosi pronto ad andare lì dove lo richiedono le necessità dei fratelli, e ad agire in piena comunione con il vescovo e gli altri presbiteri.
“Chi obbedisce ha la garanzia di essere davvero in missione, alla sequela del Signore e non alla rincorsa dei propri desideri o delle proprie aspettative. E così è possibile sapersi condotti dallo Spirito del Signore e sostenuti, anche in mezzo a grandi difficoltà, dalla sua mano sicura (cf At 20, 22-23)” (VC 92).
Sarai una magnifica corona nella mano del Signore, un diadema regale nella palma del tuo Dio
(Is 62, 3)
Quelle due mani raffigurate sul poster richiamano le tante mani di consacrati che lungo i secoli, e ancora oggi, accolgono, consolano, curano, accarezzano, accompagnano, sostengono… i più deboli e poveri dell’umanità. La loro missione
«è ricordare che tutti i cristiani sono convocati dalla Parola per vivere della Parola e restare sotto la sua signoria. Spetta pertanto in particolare ai religiosi e alle religiose “tener viva nei battezzati la consapevolezza dei valori fondamentali del Vangelo” (VC 33). Così facendo, la loro testimonianza infonde alla Chiesa “un prezioso impulso verso una sempre maggiore coerenza evangelica” (ivi, 3) ed anzi, potremmo dire, è una “eloquente, anche se spesso silenziosa, predicazione del Vangelo” (ivi, 25)». (Benedetto XVI, Discorso ai Religiosi e religiose, 2 febbraio 2008)
Proprio perché totalmente consacrati a Dio, sono, per questo, pienamente disponibili per i fratelli: la storia della nostra società è attraversata da questi operai silenziosi della carità che, piegandosi sulle povertà e sulle sofferenze dei fratelli, hanno dato un volto più umano e fraterno alla nostra Terra.
La loro presenza ha profumato di carità i luoghi più diversi: gli ospedali, gli orfanotrofi, le comunità di recupero, le scuole, le parrocchie, le famiglie, le terre di missione… Essi si sono fidati di Dio e, per questo, si sono affidati a chi più aveva bisogno. Sono riusciti a rompere la logica del sospetto, dell’egoismo, dell’avere, del successo, dell’interesse… mettendo in circolazione e rendendo tangibile la logica della carità evangelica.
Come quel profumo consumato da Maria a Betania (Gv 12, 1-8), la vita consacrata è una vita donata, “sparsa” generosamente senza calcolo, che non ha nessun’altra utilità se non di profumare i piedi del Signore, profumando contemporaneamente tutta la casa dove lui e noi viviamo.
«Come i tre apostoli nell’episodio della Trasfigurazione, le persone consacrate sanno per esperienza che non sempre la loro vita è illuminata da quel fervore sensibile che fa esclamare: “È bello per noi stare qui” (Mt 17, 4). È però sempre una vita “toccata” dalla mano di Cristo, raggiunta dalla sua voce, sorretta dalla sua grazia. “Alzatevi e non temete”. Questo incoraggiamento del Maestro è indirizzato, ovviamente, ad ogni cristiano. Ma a maggior ragione esso vale per chi è stato chiamato a “lasciare tutto” e, dunque, a “rischiare tutto” per Cristo. Ciò vale in modo speciale ogni qualvolta, col Maestro, si scende dal “monte” per imboccare la strada che dal Tabor porta al Calvario» (VC 40).
Vivi lieto con la sposa della tua gioventù (Pr 5, 18)
La difficoltà che molti sposi incontrano è quella di non meravigliarsi più del dono reciproco e di non rimanere sorpresi dal fatto che l’altro lo ami. Questo è positivo, quando è segno di una consuetudine diventata quotidianità; non lo è affatto quando esprime un possesso acquisito, l’idea che l’altro ormai “è mio e basta”. Invece, bisogna scoprire che l’altro è sempre e continuamente dono, dono immeritato, dono che suscita meraviglia, sorpresa, gioia nel ritrovarlo ogni volta.
Darsi la mano destra e promettersi fedeltà per tutta la vita costituisce il momento centrale della celebrazione del sacramento del matrimonio. Camminare insieme, dandosi la mano, è l’immagine più eloquente per dire la reciproca fiducia che deve animare gli sposi e deve manifestarsi nei piccoli gesti quotidiani di fiducia e di fedeltà. Il matrimonio cristiano è un quotidiano accogliersi e donarsi l’un l’altro in Cristo. Da lui gli sposi sono chiamati ad attingere quella carità che li renderà capaci di amarsi l’un l’altro come lui ha amato noi: fino al dono totale della vita.
I coniugi, con la loro vita, annunciano a tutti la bella notizia dell’amore “in Cristo”: quello umile, che non si stanca di ricominciare ogni mattina, capace di fiducia, di sacrificio; l’amore di un uomo e di una donna che sanno ridirselo ogni giorno, fino all’ultimo giorno. L’uomo e la donna che credono hanno il compito di infondere fiducia nell’amore di Cristo: credere nell’amore di Cristo vuol dire credere che l’amore di Cristo è vivibile, è sperimentabile, è realizzabile, è una realtà alla nostra portata. Non bastano le parole per questo.
Un amore, quello degli sposi, non destinato a restare nell’ambito ristretto della relazione a due, ma chiamato ad aprirsi al dono della vita, quella dei figli, e quella di chi ha bisogno di gesti concreti di attenzione e di solidarietà: gli anziani, gli ammalati, i poveri…
“Il cammino dei coniugi sarà dunque facilitato se, nella stima della dottrina della Chiesa e nella fiducia verso la grazia di Cristo, aiutati ed accompagnati dai pastori d’anime e dall’intera comunità ecclesiale, essi sapranno scoprire e sperimentare il valore di liberazione e di promozione dell’amore autentico, che il Vangelo offre ed il comandamento del Signore propone” (FC 34).
E tu, giovane, fidati di lui e affidati a lui
Dinanzi alle scelte definitive e totalmente coinvolgenti, è facile lasciarsi prendere dal timore e rimandare all’infinito la decisione. Si vorrebbe…, ma si ha paura di fallire, di non farcela, di non essere preparati, di perdere la libertà… Si richiede un atto di fiducia! Anche tu, giovane, ripensando ai tanti momenti della tua vita in cui hai potuto sperimentare personalmente la vicinanza e l’aiuto del Signore, dovresti poter esclamare con S. Paolo: Io so a chi ho dato la mia fiducia!
L’Apostolo ha dato fiducia al Signore, perché ha sperimentato come il Signore abbia avuto continuamente fiducia in lui.
«Paolo, infatti, considera la sua vocazione come una manifestazione di fiducia da parte di Dio ed esprime sentimenti di apprezzamento e senso di responsabilità. Fin dalla sua lettera più antica, la prima ai Tessalonicesi, Paolo dice che il vangelo gli è stato affidato da Dio (1Ts 2, 4); lo ripete nella lettera ai Galati, paragonando la propria vocazione a quella di Pietro: “A me – scrive – è stato affidato il Vangelo per i non circoncisi, come a Pietro quello per i circoncisi” (Gal 2, 7); l’espressione torna ancora nella 1Tm con termini più solenni: “Il vangelo della gloria del beato Dio è stato affidato a me” (1Tm 1, 1). In tutti questi testi possiamo sentire l’emozione di Paolo davanti a questo fatto sorprendente: la fiducia di Dio verso una povera creatura! Dio che affida un tesoro tanto prezioso ad un uomo fragile, debole!» . (A. Vanhoye, La vocazione in San Paolo, Rogate, 1985 Roma, pp. 30-31)
Ricorda, giovane, che sei incerto e timoroso nel rispondere alla voce che ti chiama, «la nostra radicale appartenenza a Cristo e il fatto che “siamo in lui” deve infonderci un atteggiamento di totale fiducia e di immensa gioia. In definitiva, infatti, dobbiamo esclamare con san Paolo: “Se Dio è per noi, chi sarà contro di noi?” (Rm 8, 31). E la risposta è che niente e nessuno “potrà mai separarci dall’amore di Dio che è in Cristo Gesù, nostro Signore” (Rm 8, 39). La nostra vita cristiana, dunque, poggia sulla roccia più stabile e sicura che si possa immaginare. E da essa traiamo tutta la nostra energia, come scrive appunto l’Apostolo: “Tutto posso in colui che mi dà la forza” (Fi1 4,13)». (Benedetto XVI, Udienza dell’8 novembre 2006)
Vorrei affidarti, concludendo, alla testimonianza di don Tonino Bello, un vescovo che si è speso fino all’ultimo respiro per i più poveri, per gli emarginati, per i sofferenti, per la pace. Ascolta dalla sua viva voce cosa ha da dire a te, carissimo giovane:
“Vocazione. È la parola che dovresti amare di più, perché è il segno di quanto sei importante agli occhi di Dio. È l’indice di gradimento, presso di lui, della tua fragile vita. Sì, perché se ti chiama vuol dire che ti ama. Gli stai a cuore, non c’è dubbio. In una turba sterminata di gente, risuona un nome: il tuo. Stupore generale! A te non ci aveva pensato nessuno. Lui sì! Davanti ai microfoni della storia, ti affida un compito su misura… per lui! Sì, per lui, non per te. Più che una missione sembra una scommessa. Ha scritto t’amo, sulla roccia non sulla sabbia, come nelle vecchie canzoni. E accanto ci ha messo il tuo nome. Forse l’ha sognato di notte, nella tua notte. Alleluia! Puoi dire a tutti: non si è vergognato di me!”.