La grammatica della fede della speranza alla luce dei messaggi dei Papi nel 50° anniversario delle GMPV
La relazione che mi è stato chiesto di svolgere si intitola: “La grammatica della fede e della Speranza alla luce dei messaggi dei Papi, nel 50o anniversario delle GMRV“. Nella sua introduzione al libro Messaggi per le Vocazioni, Mons. Giuseppe Pittau descrive i messaggi per la Giornata Mondiale di Preghiera per le Vocazioni
«come una piccola enciclopedia sulla teologia e sulla pastorale delle vocazioni»1. Non solo, ma a leggere e meditare questi messaggi non si può non essere consapevoli del carattere eccezionale dei papi che li hanno proposti a noi. La vita di ciascuno è di per sé un forte messaggio sul tema della vocazione.
Nel mio breve contributo, sono ben cosciente che non posso presentare tutta la ricchezza di questi messaggi. Nell’affrontare il mio compito, però, sono stato guidato da un’osservazione fatta ancora una volta da Mons. Pittau. Egli scrive che «i grandi temi del Concilio sulla Chiesa» si trovano in tutti i messaggi2. Su questa
base, mi propongo di riunire la multiforme ricchezza degli insegnamenti del Magistero pontificio in tre categorie che sono state di rilievo nel Concilio Vaticano II (un evento che ciascuno dei tre papi qui considerati ha sperimentato personalmente e profondamente), e che sono come le chiavi di lettura per la dimensione teologica, pastorale e spirituale di una vocazione. Queste tre chiavi sono: mistero, comunione e missione. Nell’Esortazione Apostolica Pastores dabo vobis, n. 12, il papa Giovanni Paolo II ha parlato di questi tre cardini come «sintesi della dottrina conciliare sulla Chiesa».
Prima di passare al cuore della mia presentazione, vorrei chiarire un punto. Il tema della vocazione riguarda ogni essere umano e, in particolare, ogni cristiano battezzato. In definitiva, ogni persona trova la sua vera identità proprio nel «dono di sé», come si legge nel n. 24 della Gaudium et spes, e questo è il cuore di ogni vocazione. Molti dei messaggi sottolineano questo aspetto: il messaggio del 2001, per esempio, afferma che «ogni vita è vocazione». Il messaggio del 1971 parla della «vocazione comune ad essere cristiani» nella quale «ciascuno di noi è chiamato a svolgere una particolare funzione per la realizzazione del disegno di Dio» (Rm 12,4-8; 1Cor 12,4ss.). Tutti i cristiani sono chiamati ad aiutarsi reciprocamente a scoprire e ad attualizzare la propria vocazione3. Giovanni Paolo II scrive: «La scoperta che ciascun uomo e donna ha il suo posto nel cuore di Dio e nella storia dell’umanità costituisce il punto di partenza per una nuova cultura vocazionale»4.
Per la maggior parte i messaggi sono concentrati sulle vocazioni al ministero ordinato, alla vita consacrata (sia essa la vita consacrata degli ordini religiosi di antica tradizione o la vita consacrata nei consigli evangelici in nuove forme di consacrazione) e al servizio missionario (sia esso laico o ordinato). Come commenta papa Benedetto nel messaggio per il 2005: «In verità, Dio ha sempre scelto alcune persone per collaborare in maniera più diretta con Lui alla realizzazione del suo disegno salvifico». Gli esempi sono molti e sono indicati nei messaggi: Mosè e Aronne, Pietro e Maria, Natanaele e Paolo, il Curato d’Ars e John Henry Newman, San Giovanni della Croce e Sant’Agostino. I messaggi propongono questo tipo di vocazioni, cioè, le chiamate per collaborare in maniera più diretta con Dio. Anche se, ovviamente, ciò che si afferma su questo tema vale anche analogamente per tutte le vocazioni.
Con queste osservazioni introduttive, vogliamo ora iniziare il nostro lavoro. Il primo punto è l’insegnamento dei papi sulla vocazione, rispetto al mistero di Dio.
- La Vocazione nasce nel “mistero” di Dio
1.1 La Preghiera
La prima parola del primo messaggio trasmesso via radio nel 1964 è “pregare”. È l’invocazione suggerita da Gesù Cristo stesso nella frase che ritorna come un ritornello durante tutti questi messaggi: «Pregate dunque il padrone della messe perché mandi operai nella sua messe» (Mt 9,37-8). Come afferma Benedetto XVI nel messaggio del 2013, il Servo di Dio, Paolo VI, istituì la Giornata di preghiera durante il Concilio come un’«invocazione corale a Dio Padre». Sì, la vocazione è una grazia; radicata in una “storia d’amore” che comincia non con noi, ma nel mistero di Dio che è venuto tra noi in Gesù Cristo. Da tutta l’eternità Dio ha pensato a ciascuno di noi in vista di una parola specifica che vuole annunciare agli uomini secondo il suo piano salvifico centrato in Gesù Cristo. Nella Lettera agli Efesini leggiamo: «Benedetto sia Dio, Padre del Signore nostro Gesù Cristo, che ci ha benedetti […] in Cristo. In lui ci ha scelti prima della creazione del mondo, per essere santi e immacolati al suo cospetto nella carità […] poiché egli ci ha fatto conoscere il mistero della sua volontà […] il disegno cioè di ricapitolare in Cristo tutte le cose, quelle del cielo, come quelle della terra (Ef 1,3- 4.9-10).
I papi ci invitano a più riprese a meditare sul modo con il quale, nella sua vita terrena, Gesù prende l’iniziativa di chiamare le persone a scoprire la loro più vera identità nel seguirlo. Si evidenzia questo nella chiamata dei primi discepoli, Andrea, Pietro, Giacomo e Giovanni. Dobbiamo pregare perché, anche ai nostri giorni, Gesù continui a chiamare e perché molti rispondano. In tutti i messaggi siamo sollecitati a pregare con fiducia per questo scopo. Nel 2009, il tema del messaggio è stato intitolato: La fiducia nell’iniziativa di Dio e la risposta umana. I papi ci incoraggiano a riconoscere che non siamo stranieri e disperati perché Dio è lontano, anzi, siamo persone di fede che credono nella promessa di Gesù: «Egli ce lo ha promesso, e la sua promessa non può essere vana: fino alla fine dei tempi, fino in capo al mondo, egli andrà in cerca delle anime di buona volontà»5 perché collaborino con Lui promuovendo il suo progetto di portare all’unità tutta l’umanità in un’unica famiglia. Quando Dio fa una promessa «non ci inganna»6. Benedetto XVI afferma: «La speranza è attesa di qualcosa di positivo per il futuro, ma che al tempo stesso deve sostenere il nostro presente, segnato non di rado da insoddisfazioni e insuccessi. Dove si fonda la nostra speranza?… la fedeltà di Dio all’alleanza… fedeltà di Dio che è giunta a sigillare la nuova ed eterna alleanza con l’uomo, attraverso il sangue del suo Figlio, morto e risorto per la nostra salvezza… Dio non ci lascia mai soli ed è fedele alla parola data. Per questo motivo, in ogni situazione felice e sfavorevole, possiamo nutrire una solida speranza… Avere speranza equivale, dunque, a confidare nel Dio fedele, che mantiene le promesse dell’alleanza. Fede e speranza sono pertanto strettamente unite»7. Già nella Prima Lettera di Giovanni leggiamo: «Noi abbiamo conosciuto e creduto l’amore che Dio ha in noi» (1Gv 4,16). Nella preghiera che Gesù ha rivolto al Padre la notte prima di morire, secondo come si presenta a noi nella preghiera sacerdotale nel quarto Vangelo, vediamo che il piano di Dio per ogni persona è abbracciato nell’ambito del dialogo divino dell’amore: «Io prego per loro […] Come tu mi hai mandato nel mondo, anch’io li ho mandati nel mondo; per loro io consacro me stesso […] Non prego solo per questi, ma anche per quelli che per la loro parola crederanno in me; perché tutti siano una sola cosa. Come tu, Padre, sei in me e io in te, siano anch’essi in noi una cosa sola, perché il mondo creda che tu mi hai mandato» (Gv 17,9.17-21)8. Si tratta di credere al “dialogo vocazionale” tra la libera iniziativa del Padre e la fiduciosa risposta del Cristo9. Dio è fedele all’alleanza. Di fronte al calo delle vocazioni in alcune parti del mondo, i papi ci invitano ad avere fede e speranza. Bisogna evitare alcuni atteggiamenti negativi, lo scoraggiamento e anche il pessimismo. Giovanni Paolo II ha sottolineato, in particolare, la presenza e l’assistenza del Cristo Risorto10. Possiamo contare sulla promessa di Gesù: «In verità vi dico ancora: se due di voi sopra la terra si accorderanno per domandare qualunque cosa, il Padre mio che è nei cieli ve la concederà. Perché dove sono due o tre riuniti nel mio nome, io sono in mezzo a loro» (Mt 18,19-20). Il nostro «pregare, chiamare e rispondere» (i tre “passaparola” per la pastorale vocazionale indicati da Giovanni Paolo II nel suo primo messaggio) devono realizzarsi in questo orizzonte di speranza.
1.2 La Vita
Riconoscendo che la vocazione è nata nel mistero di Dio che si è incarnato tra noi, i papi ci invitano a contemplare la bellezza della vita che la vocazione offre. I primi discepoli erano affascinati dalla nuova vita che si era aperta loro, quando, dopo la loro conversione, avevano voluto seguire la loro chiamata. Tutto diventa secondario rispetto alla nuova chiamata.
Nel suo messaggio del 2006, Benedetto XVI ci ricorda che il peso di due millenni di storia rende difficile per noi percepire la novità di questa vita, la vita che procede dal «mistero affascinante dell’adozione divina» che si è aperta per noi, sia collettivamente che individualmente, in Gesù Cristo: «La prospettiva è davvero affascinante: siamo chiamati a vivere da fratelli e sorelle di Gesù, a sentirci ed essere in comunione con lui, vero Dio e vero uomo, partecipi della natura divina (cf 2Pt 1,4) – figli e figlie nel Figlio. È un dono che capovolge ogni idea e progetto esclusivamente umani». Abbiamo bisogno di andare contro la tendenza «di sentirci autosufficienti fino a chiuderci al misterioso piano di Dio nei nostri confronti». Per questo, più volte Benedetto parla di “stupore” davanti all’opera della provvidenza di Dio e al dono della vita nuova che riceviamo da Lui.
Papa Giovanni Paolo II ha spesso ricordato che la Giornata Mondiale delle Vocazioni si verifica tra la Pasqua e la Pentecoste, un tempo liturgico in cui ci vengono presentati il profilo di Cristo Risorto e quello del Buon Pastore, che ci chiama ad una nuova vita. La vocazione è, come sottolineava il Papa, una «chiamata alla vita: a riceverla e a donarla»11. Ed è questo che hanno scoperto quelli che hanno incontrato Gesù. In lui troviamo la Vita divina («in lui era la vita», cf Gv 1,4) e la vita si unisce attorno a Lui e al Regno. Ecco perché, come dice Paolo VI: «La vocazione […] nessuna cosa, nessun piacere, nessun amore la può superare»12.
Benedetto XVI descrive così la chiamata alla vita: «Come avvenne nel corso della sua esistenza terrena, anche oggi Gesù, il Risorto, passa lungo le strade della nostra vita, e ci vede immersi nelle nostre
attività, con i nostri desideri e i nostri bisogni. Proprio nel quotidiano continua a rivolgerci la sua parola; ci chiama a realizzare la nostra vita con Lui, il solo capace di appagare la nostra sete di speranza. Egli Vivente nella comunità di discepoli che è la Chiesa, anche oggi chiama a seguirlo. E questo appello può giungere in qualsiasi momento. Per accogliere questo invito, occorre non scegliere più da sé il proprio cammino. Seguirlo significa… metterlo al primo posto rispetto a tutto ciò che fa parte della nostra vita: alla famiglia, al lavoro, agli interessi personali, a se stessi».
1.3 La Libertà
Siccome una vocazione nasce nel mistero di Dio venuto in mezzo a noi e la vita che si dà in offerta è meravigliosa, esiste anche la misteriosa natura della nostra risposta ad una vocazione. L’esemplare forma di risposta si trova quando, come afferma papa Benedetto nel messaggio per il 2007, «alcuni pescatori di Galilea, incontrato Gesù, si lasciarono conquistare dal suo sguardo, dalla sua voce ed accolsero questo pressante suo invito: “Seguitemi, vi farò diventare pescatori di uomini!”» (Mc 1,17; cf Mt 4,19). In questo “lasciarsi conquistare” arriviamo ad un tema che viene spesso riferito nei messaggi – il tema della libertà. I papi ci aiutano a contemplare la grande e tremenda dignità della nostra condizione umana. Noi non “dobbiamo” dire “sì” a Dio. La dignità della nostra libertà cristiana è che “possiamo” dire di sì. La libertà è la base essenziale di ogni vocazione13.
Lo Spirito del Padre e di Gesù continua certamente a far risuonare dentro ogni persona le chiamate più personali a ciò che Paolo VI definisce «un’avventura d’amore divino». Come il grande missionario Paolo dice: «E a ciascuno è data una manifestazione particolare dello Spirito per l’utilità comune […] Ma tutte queste cose è l’unico ed il medesimo Spirito che le opera, distribuendole a ciascuno come vuole» (1Cor 12,7-11).
Ci sono tante difficoltà per chi vuole rispondere liberamente alla chiamata. I papi sono ben consapevoli di questo e ne indicano diverse sfide: il mondo della religione non esercita più il fascino come faceva una volta; invece, in un certo senso, è incomprensibile per la psicologia dei giovani14; c’è la questione della stessa Chiesa nel suo permanente contrasto tra l’ideale e la realtà. Purtroppo, gli scandali
degli ultimi anni hanno fatto aumentare questa sfida; oggi esiste una diffusa mentalità che favorisce il disimpegno personale e, per questo, oggi serve un grande coraggio personale ancora più di prima per andare contro corrente15. Tra le tante cause della crisi vocazionale, i papi indicano la crisi del credere, dello sperare e dell’amare. Ogni vocazione nasce dalla fede, vive di fede e persevera per la fede. Sicuramente, «nessuno segue un estraneo; nessuno offre la sua vita per uno sconosciuto»16. È necessaria l’educazione alla fede che implica sempre la speranza17.
Ed è altrettanto vero che è necessaria anche l’educazione all’amore. Ogni vocazione è un atto di amore come risposta a Colui che domanda: «Mi ami?», «Mi ami tu più di costoro?» (Gv 21,15.17). Senza conoscere la logica della fede che opera mediante la carità, senza essere formati nella misura più alta dell’amore, i giovani chiedono: «E che valga la pena?» Paolo VI domanda: «C’è forse crisi di amore, prima di esserci crisi di vocazioni?»18. I giovani devono essere aiutati a capire che i valori positivi dell’amore umano, la ricchezza, il successo professionale, il piacere ed il potere sono di per sé buone cose, ma non sono lo scopo ultimo; e quindi, i giovani devono essere aiutati ad abbandonarsi alla chiamata al massimo amore, Dio, e in lui servire Gesù Cristo nel loro prossimo.
1.4 Servono condizioni favorevoli ad ascoltare la Voce
La vocazione è nata nel mistero e la risposta è data nella libertà. Oggi ci sono certamente problemi e questioni preoccupanti, specialmente in alcune regioni della Chiesa, ma nel suo messaggio del 1970 papa Paolo VI afferma che la causa della crisi va ricercata in noi stessi piuttosto che nei giovani! Con la crisi del consumismo e la crisi di ideali, molti giovani sono alla ricerca di uno stile autentico della vita. Questo è un terreno fertile per aprire un discorso sul tema della vocazione. I papi ci sollecitano ad aprirci alla creatività dell’amore e a nuove strade per accogliere i giovani che sono in ricerca, anche utilizzando intelligentemente i moderni mezzi di comunicazione sociale per far passare a loro il messaggio: «Aprite i vostri cuori a Cristo». I messaggi propongono che è necessario aiutare le persone ad orientare i loro “sensi spirituali” (cioè, “udire” la voce, “vedere” la bellezza, sviluppare il “gusto” di aiutare altri e servire la Chiesa) alla chiamata e alla bellezza di una vocazione19. Per raggiungere questo scopo, bisogna proporre ai giovani i mezzi classici che contribuiscono alla promozione della vita spirituale che facilita la scoperta della vocazione: l’ascolto della Parola di Dio, la partecipazione ai sacramenti, specialmente l’Eucaristia e il sacramento della penitenza, la preghiera personale e liturgica, la direzione spirituale, l’amore per la Vergine Maria e le pratiche ascetiche20. Nel corso di questi messaggi, i papi sottolineano la necessità di creare alcune condizioni favorevoli perché i giovani percepiscano la loro vocazione21. Attingendo a diverse osservazioni fatte dai Pontefici, si delineano due vie principali che conducono alla programmazione che è necessaria per la pastorale vocazionale: la via della comunione e la via della missione.
- Discernimento lungo la via di Comunione
2.1 Rinnovare il tessuto ecclesiale
Tutta la Chiesa è chiamata a rinnovare l’ambiente dove le vocazioni possano nascere e crescere22. Già nel 1972, Paolo VI ha sottolineato che la via della comunione è importante perché la sensibilità comunitaria è molto viva nel mondo di oggi. Giovanni Paolo II ha detto che bisogna rifare il tessuto cristiano delle comunità ecclesiali alla luce dell’ecclesiologia di comunione23. Questo significa rinnovare
la vita di comunione all’interno della Chiesa ad ogni livello, dalla famiglia – che Giovanni Crisostomo chiama «chiesa domestica», definita «primo seminario» nel messaggio del 1994 e «scuola permanente della civiltà dell’amore» nel messaggio 1998 – alla Chiesa locale – tema principale del messaggio del 2011 –: dalla comunità parrocchiale alla scuola. Dal momento che «la Chiesa è nata per vivere e per dare la vita»24, tutte le espressioni della vita della Chiesa devono assicurarsi che stanno generando la vita di comunione che Gesù è venuto a dare in abbondanza25.
La vita di comunione è caratterizzata dal “ritmo” del “ricevere-donare” che non è altro che partecipazione alla vita divina26. Nel messaggio del 2003 Giovanni Paolo II ha affermato: «Quando le
relazioni interpersonali sono ispirate al servizio reciproco, si crea un mondo nuovo, ed in esso si sviluppa un’autentica cultura vocazionale». Questo è importante nella creazione di «una chiesa per i giovani»27. Il primo passo essenziale nella promozione delle vocazioni, dunque, è garantire che la vocazione cristiana, fondata sul battesimo, sulla cresima e sull’Eucaristia, diventi sempre più viva e perfettamente cristiana (cf Mt 5,48)28. È una rinnovata scoperta del Vangelo: «Una comunità che non vive generosamente secondo il Vangelo non può essere che una comunità povera di vocazioni»29.
Solo la vita genera la vita, come viene intitolato il messaggio del 1982. Tutti sono chiamati ad essere testimoni della gioia e della pienezza che derivano dal vivere in comunione con Cristo e l’uno per l’altro alla luce del Vangelo. Soprattutto, quelli che già vivono una speciale vocazione – un prete, una persona consacrata o un missionario – tutti sono chiamati a lasciarsi attrarre e conquistare dalla vocazione, vivendo autenticamente la loro chiamata in comunione e, per questo, capaci di affascinare ed attrarre gli altri.
2.2 Le dimensioni soggettive ed oggettive della vocazione
In tanti messaggi si rileva un tema che spiega perché la vita vissuta in comunione con altri facilita la segnalazione della “voce” di Dio. Ogni vocazione è segnata da due aspetti30: da un lato, c’è la parte “interiore” o soggettiva della voce dentro di noi, cioè quella dello Spirito Santo, la “voce silenziosa” che si sente nella profondità di ogni persona. Dall’altro lato, ci sono momenti di “folgorazione”, dove uno sente dentro di sé ed in un modo intimo, una chiamata. Seguono, funzionando a mo’ di altoparlante, gli aiuti che fanno sentire quella voce attraverso strumenti “esterni” o mezzi umani, sociali e concreti utilizzati dalla Chiesa, come sono la Parola di Dio proclamata, la gerarchia, la chiamata diretta, i colloqui privati e l’incoraggiamento della famiglia31.
In una cultura che spesso mette in evidenza il soggettivo e la dimensione “sentita” delle scelte, è indispensabile che venga richiamato l’aspetto obiettivo, cioè la dimensione esterna della chiamata. La vocazione non è solo il frutto di un nostro sentimento interiore. Essa viene anche da fuori di noi stessi. La vocazione viene proposta, sollecitata, analizzata, confermata, aiutata nel discernimento dalla sua interazione con altri. Se la vita di comunione è realmente viva, essa stessa crea il terreno dove la chiamata diventa chiara e le difficoltà vengono superate. In poche parole, dove è più facile dire “sì”.
Nel messaggio del 2007, papa Benedetto XVI afferma: «Questa intensa comunione favorisce il fiorire di generose vocazioni al servizio della Chiesa: il cuore del credente, ripieno di amore divino, è spinto a dedicarsi totalmente alla causa del Regno. Per promuovere le vocazioni è dunque importante una pastorale attenta al mistero della Chiesa-comunione, perché chi vive in una comunità ecclesiale concorde, corresponsabile, premurosa, impara certamente più facilmente a discernere la chiamata del Signore»32.
2.3 Essere e Parlare. I Colloqui personali
Nell’approfondimento del contributo della vita di comunione alla pastorale vocazionale, possiamo segnalare un duplice compito che ne deriva: “essere” e “parlare”.
Tutti siamo chiamati ad “essere” o “testimoniare” con la nostra vita la nuova vita di comunione che si è aperta in Gesù Cristo. Se i giovani non vedono questa vita, non potranno mai percepire la chiamata. Nel messaggio del 2010, Benedetto XVI afferma: «La testimonianza suscita vocazioni». Dobbiamo costantemente essere evangelizzati come dobbiamo pure evangelizzare33. Alla luce dell’ecclesiologia di comunione, la comunione necessita di una conversione ministeriale che porti alla collaborazione tra i pastori e fra i pastori ed i fedeli laici.Dobbiamo anche “parlare” della vita di comunione. «Siate una comunità che chiama», ha scritto Giovanni Paolo II nel suo messaggio del 1986, indicando la necessità di passare da una pastorale “d’attesa” ad una “pastorale di proposta”. Sono sempre attuali, anche nel campo vocazionale, le parole del grande missionario Paolo, nel parlare della salvezza che viene dal Signore: «E come potranno sentirne parlare senza uno che lo annunzi?» (Rm 10,14). Un rettore di un seminario tedesco disse una volta: «Ci sono molti Samuele, ma pochi Eli!». Questi messaggi ci spronano a parlare. Avere il coraggio di aprire il tema della vocazione con una persona è un segno di stima per quella persona e può essere un vero momento di grazia per la sua vita. II “colloquio personale” come sottolinea papa Paolo VI, è uno strumento importante nella cura delle vocazioni. Fa parte della logica del “cor ad cor loquitur” proveniente dall’ordine della carità dove non va dimenticato che «ciascuno è una persona» che è degna del nostro amore34. Dobbiamo sviluppare sempre di più questi colloqui personali con i giovani per aiutarli a fare buone scelte. Nel suo ultimo messaggio papa Giovanni Paolo II ha voluto dire che è necessario ed urgente impostare una vasta e capillare pastorale delle vocazioni, basata sui contatti personali. Anche i seminaristi devono essere fra i coetanei i primi animatori di vocazioni comunicando ad altri la loro scoperta della chiamata35.
Alcuni dei passaggi più belli in questi messaggi annuali li incontriamo quando i papi scrivono direttamente ai giovani. Varrebbe la pena di metterli insieme, pubblicando una selezione di alcuni di
questi testi straordinariamente personali e incisivi.
- Camminando Insieme in Missione
3.1 Costruire e sollecitare la generosità dei giovani
La seconda via principale per la pastorale vocazionale indicata dai messaggi annuali è quella della missione. La vita che nasce in Dio, che è vissuta e comunicata nella comunità, è destinata a raggiungere
tutti. I messaggi indicano che le vocazioni sono proposte attraverso la promozione dell’educazione alla fede, che sollecita i giovani a guardare verso l’esterno anziché richiudersi nel loro piccolo mondo. Fa parte di questa educazione, come spiega Benedetto XVI nel 2008, insegnare ai giovani a saper correre “i rischi” per la causa del Vangelo ed essere costruttori di un mondo nuovo, quello che la fede propone.
Nel messaggio del 2003 si legge che «nonostante certe spinte contrarie, pur presenti nella mentalità odierna, c’è nel cuore di molti giovani una naturale disposizione ad aprirsi all’altro, specie al più bisognoso»36. I giovani di oggi non vogliono parole, ma fatti. Desiderano costruire un mondo nuovo. Tocca a noi costruire su questa dinamica giovanile ed aiutare i giovani ad impegnarsi nei progetti missionari.
Le famiglie possono suscitare quest’ambiente e «comunicare il gusto di aiutare il prossimo e di servire la Chiesa» e «coltivare le buone disposizioni ad accogliere e a seguire la volontà del Signore»37. La scuola cattolica, spiegando le motivazioni per rispondere di sì ad una speciale vocazione, deve favorire le esperienze e creare un ambiente ricco di fede, dando così un contributo pregiato alla scelta vocazionale, «fornendo motivazioni, favorendo esperienze e creando un ambiente di fede, di generosità e di servizio, che può liberare i giovani da quei condizionamenti che fanno apparire “insipiente” o impossibile la risposta alla chiamata di Cristo»38.
Su un livello sociologico-religioso, sarà conveniente che i giovani ascoltino il grido dell’umanità, che li spinge a cercare un modo per rispondervi. È essenziale che i giovani siano formati a sentire il grido dei poveri, dei sofferenti e degli ammalati in attesa di qualcuno che si interessi di loro; il grido di coloro che sono amareggiati e cercano la consolazione, il grido di chi ha fame e cerca di essere sfamato. Paolo VI chiama «sinfonia della vocazione» l’insieme di queste grida39. I valori della solidarietà, della fratellanza e la sacralità della vita sbocciano dall’avvicinamento a quanti sono bisognosi. Giovanni Paolo II afferma nel messaggio del 2003: «La diakonia è un vero e proprio itinerario pastorale vocazionale», cioè, aiuta le
persone a capire meglio la loro vocazione40. I giovani cominciano a capire che, quando si tratta di rispondere in modo adeguato, «la vita dev’essere consacrata a qualcosa di grande»41.
3.2 Aiutare i giovani a leggere “i segnali dello Spirito”
Coinvolgere i giovani nella missione apostolica è già una cosa buona, ma bisogna andare oltre. Ci vogliono persone che si impegnano nella vita apostolica e missionaria per tutta la loro vita! Ecco perché, come ricordava Paolo VI, i giovani devono arrivare al livello psicologico-religioso e leggere i «segnali più misteriosi dello Spirito» che indicano la chiamata alla santità42.
I giovani non possono farlo da soli. Per questo occorre un “carisma”43. Hanno bisogno di un cammino comunitario di fede che li aiuti a colmare il divario tra fede e vita, tra fede e cultura. I giovani devono essere aiutati a vedere che «il mondo non può essere trasfigurato e offerto a Dio senza lo spirito delle beatitudini»44. Bisogna presentare ai giovani la grande vocazione missionaria che ha sempre bisogno di «donazioni radicali e totali, di impulsi nuovi e arditi»45.
3.3 Chiamata radicale al servizio come Volontari della Croce
Per accompagnare i giovani nel cammino di discernimento vocazionale è essenziale far fare loro l’esperienza di essere «volontari della Croce e della Gloria di Cristo»46. Gesù che attrae i discepoli è il
“Gesù servo” che ha preso la forma di un servo (Fil 2,7-8) e ha dato la sua vita per gli altri. Il Buon Pastore ha detto: «Io offro la mia vita, offro me stesso» (Gv 10,17ss.). Come leggiamo nella Lettera agli Efesini, Gesù ha offerto la sua vita al servizio della Chiesa: «Cristo ha amato la Chiesa e ha dato se stesso per lei» (Ef 5,25). È nel seguire la chiamata a servire, imitando il Crocifisso, che i giovani scoprono la loro vera identità in una sorte di morte e risurrezione che ogni chiamata alla missione comporta, nel servizio generoso a Dio e al prossimo.
In definitiva, è nell’amare il Cristo crocifisso che si comincia a capire che c’è una logica che conduce verso nuove direzioni, che prima non immaginavano. «In verità, in verità ti dico: quando eri più giovane ti cingevi la veste da solo, e andavi dove volevi; ma quando sarai vecchio tenderai le tue mani, e un altro ti cingerà la veste e ti porterà dove tu non vuoi» (Gv 21,28). Rispondendo sì a questa logica, nascosta in Cristo, si trova la vera libertà e la felicità.
Conclusione
Arriviamo alla conclusione. Prendendo spunto da quanto il Santo Padre, Benedetto XVI, afferma nel messaggio per 2013, chi si impegna nella pastorale vocazionale svolge un compito importante nella Chiesa che, oltretutto, dà speranza. Così afferma il Papa: «Quando un discepolo di Gesù accoglie la divina chiamata per dedicarsi al ministero sacerdotale o alla vita consacrata, si manifesta uno dei frutti più maturi della comunità cristiana, che aiuta a guardare con particolare fiducia e speranza al futuro della Chiesa e al suo impegno di evangelizzazione».
È inutile negare che i lettori dei messaggi dei papi per la Giornata Mondiale di Preghiera per le Vocazioni sentano la “preoccupazione” dei papi: c’è bisogno urgentemente di vocazioni al ministero
ordinato, alla vita consacrata e alla vita missionaria. La pastorale vocazionale è uno dei compiti più importanti per la Chiesa. I preti sono essenziali alla struttura della Chiesa voluta da Cristo («Come il Padre ha mandato me, anch’io mando voi», Gv 20,21). È pure molto importante avere uomini e donne consacrati che vivono i consigli evangelici perché tutti sono poveri in assenza di coloro che indicano l’eterno. Il mandato missionario della Chiesa richiede profondamente queste vocazioni.
L’invito all’azione che proviene da questi messaggi è rivolto a tutta la Chiesa, ma soprattutto ai vescovi, presbiteri, consacrati e consacrate e agli educatori. Nel suo messaggio del 2005 (scritto nell’agosto 2004), Giovanni Paolo II ha concluso dicendo: «I giovani hanno bisogno di Cristo, ma sanno anche che Cristo ha voluto aver bisogno di loro». In definitiva, i messaggi rivolgono una parola molto personale ad ogni vescovo, presbitero, uomo e donna consacrata e missionaria: offrire la loro testimonianza personale. Che le nostre storie di vocazione siano per tanti segno della speranza fondata sulla fede. Molti sono in attesa di sentire la nostra storia e il fascino che abbiamo vissuto nel seguire la vocazione perché, come ha detto papa Benedetto XVI ai giovani di Madrid: «Che bello sapere che Gesù ti cerca, fissa il suo sguardo su di te, e con la sua voce inconfondibile dice anche a te: “Seguimi!”» (cf Mc 2,14).
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