N.01
Gennaio/Febbraio 2014

I giovani tra esodo ed esotico

La ricerca di Neverland, la mitica “isola che non c’è” di Peter Pan, ci offre le coordinate per inseguire le domande e le ragioni che animano tantissimi giovani desiderosi di realizzare i propri sogni. Purtroppo non basta “la seconda stella a destra e poi dritto fino al mattino”, considerato che internet, con un click, ci porta “il cielo in un video”, obbligando il cammino e l’esplorazione a singolari rac­conti dell’era Guttemberg.
Nonostante l’evidente cambiamento culturale che ha modificato le categorie di spazio e tempo, i giovani continuano a sognare, a “guardare le stelle”, perché si avverino i loro desideri, a muoversi, come pellegrini o nomadi, lungo le traiettorie che portano all’utopia di una realtà più corrispondente alle proprie aspirazioni.
Vorremmo, attraverso il metaforico viaggio di Peter Pan verso Neverland, poter cogliere alcune tendenze giovanili che esprimono e realizzano la voglia di evasione o la semplice chimera di un tenta­tivo di riscatto, un approdo esotico o un esodo verso la libertà.
L’attuale ambiente culturale, definito come spazio della liquidità o del nichilismo, dove sembra che i giovani siano invasi dall’indif­ferenza e dalla noia, l’immediatezza della comunicazione digitale svela un superamento delle analisi pessimistiche e rintraccia, lungo i tragitti delle “navigazioni” digitali, nel vasto mare dello spazio dei social network, l’indefinito desiderio di andare oltre, di sconfinare al di là degli steccati che imprigionano e riducono le prospettive socioculturali. I giovani hanno delle prospettive? I loro sguardi hanno la profondità della lungimiranza? Solo una vita “prospettica” permet­te di progettare e compiere delle scelte di felicità e, per esercitare l’arte della prospettiva, bisogna allenarsi a guardare molto lontano, ad andare oltre l’immanente, a varcare i confini, tante volte, anche della realtà, insomma, a sconfinare, sognando Neverland.

1. Voglia di evasione o desiderio di fuga?
Una consistente letteratura sociologica, attraverso le pubblica­zioni di diverse indagini sui giovani, mette in risalto le loro ten­denze e gli andamenti rispetto ai grandi temi della cultura contem­poranea, quasi a voler offrire una foto completa ed esaustiva per il richiedente, che pensa di risolvere, in questo modo, il proprio im­pegno educativo nei confronti delle nuove generazioni. Prendendo le mosse dal termine “tendenza” si capisce subito che questi scatti analitici contengono in sé un dinamismo che muove il giovane verso delle mete. Tra le tendenze più accertate vi è quella dell’e­vasione, come atteggiamento di chi desidera andare oltre l’appar­tenenza sociale e culturale. Il giovane di oggi si muove tantissimo, e non solo per il semplice gusto di una vacanza, bensì per realiz­zare il proprio sogno, inseguendo, quando gli si offre la possibilità, l’opportunità, l’occasione per realizzarsi. Provando a descrivere le mappe migratorie dei giovani possiamo segnalarne alcune che, ol­tre a precisare i percorsi e gli interessi fondali del processo evasivo, definiscono i differenti “stormi” migratori. L’immagine dello stor­mo ci ritorna utile per le dinamiche che specificano il flusso e, so­prattutto, per sottolineare che i giovani, anche nei viaggi, seguono un flusso, si trascinano vicendevolmente, creando, appunto, delle tendenze.
Nel rintracciare le tendenze di questa volubile mobilità, incon­triamo i cybernautici, quelli che “navigano” attraverso le bande larghe di Internet. Costantemente connessi, digitano da qualsiasi strumento informatico le proprie richieste, interrogando gli indici dei motori di ricerca, per afferrare last minute un viaggio in offerta, una proposta di lavoro, una chance di vita o, semplicemente, un blog dove “dire la propria”. A questi, navigatori dell’etere, seguono i giovani che scelgono di studiare all’estero: la scelta della città, la soluzione abitativa, il periodo e anche l’organizzazione del proprio tempo, sono interessanti per capire come la tendenza all’evasio­ne si concretizza e si organizza intorno ai “miti” della letteratura studentesca. Spesso, infatti, queste esperienze possono essere delle opportunità per svoltare o semplicemente delle credibili possibilità per “svignarsela” e stare lontano dai propri registri familiari. Rima­nendo nell’ambito del lavoro, molti sono i giovani che tentano la fortuna all’estero, inseguendo il miraggio de l’étranger. All’estero si può ottenere molto di più che nel proprio Paese, perché da sco­nosciuti si fa ciò che tra conoscenti non si oserebbe mai fare. Que­sto genere di tendenza, molto sviluppata negli ultimi anni, grazie anche a internet, rivela alcune dinamiche interessanti per quanto riguarda l’autocomprensione del giovane e del suo progetto di vita. Pensando al giovane Chris del film Into the wild osserviamo ancora, nello scenario della celebrazione della libertà e della ricerca di sé, quei giovani che percorrono le rotte dei pellegrini medievali, da Santiago de Compostela, alla via Francigena, per spingersi fino a Gerusalemme. Che cosa cercano? Chi incontrano? Perché lascia­no tutto alle spalle e intraprendono un pellegrinaggio? Il fascino del cammino e le domande che portano nella propria bisaccia da pellegrino consentono un’interruzione della routine quotidiana e fissano veri e propri punti di non ritorno, da cui il giovane riparte per il suo cammino esistenziale.
Continuando l’elenco delle evasioni giovanili non possiamo tra­scurare e ignorare le fughe “fittizie” dei viaggi “sotto effetto”: sin­golari evasioni dalla consapevolezza del proprio “io”, provocate da stupefacenti, alcool e rimbombante musica che “ti entra dentro”. Trattasi di un contesto particolare, privo di qualsiasi logica catartica, se non quella del dimenticarsi dei propri problemi.
A sostegno dell’impegnativo desiderio di evasione c’è anche l’angosciante persecuzione dell’invito a “concludere qualcosa” nel­la vita, conseguenza di una società sempre più avara in spazi e op­portunità lavorative per il mondo giovanile. Questa contraddizio­ne, forse, è la causa principale o il paradigma interpretativo di un fenomeno vasto e sfuggente, in cui l’evasione è tendenza, ovvero tensione verso un compimento, quello di una scelta di libertà, che si dovrebbe compiere nell’affermazione della propria identità.
Le categorie degli “evasori” o degli “evasi”, finora presentati, esprimono un contesto giovanile inquieto, cioè non fermo, non stabilito, ma continuamente in movimento, in tensione tra la con­statazione dell’insoddisfazione e l’utopia dell’oltre, dell’andare al­trove. Cogliamo, però, in questa tensione evolutiva, alcune dina­miche che ci permettono di intravedere, nel vortice dei movimenti giovanili, il senso, ma anche il cambiamento culturale che si è generato in questa epoca digitale. Innanzitutto bisogna riconosce­re la dinamica della “ricerca sconfinata”, i cui campi di attenzione vanno molto oltre l’orizzonte possibile del percepibile sensoriale. Il giovane di oggi non ha più paura delle distanze, non si blocca di fronte a ciò, che pur essendo lontano fisicamente, si rende pros­simo attraverso internet. La facilità con cui i campi di ricerca si estendono oltre le posizioni dell’immediato, del raggiungibile, del familiare e conosciuto, mette in risalto un’incredibile realtà che nei racconti di Marco Polo suscitava stupore e nostalgia, mentre oggi è scontato, normale e facile da realizzare: la globalizzazione. Il giovane di oggi ricerca luoghi e situazioni da realizzare nello spazio della globalità cui consegue una molteplicità di risposte cul­turali per la realizzazione del proprio sogno. Infinite risposte che alimentano non la fantasia ma l’alternativa. Ed è proprio l’alter­nativa a sostenere l’evasione, a rendere tutto provvisorio e incom­piuto, a strutturare società e culture “nevrotiche” e “depresse”, dove la frammentazione e la complementarietà rischia sempre di più di spersonalizzare il giovane, risucchiandolo nell’emotivo, nel superficiale e nel vago. Il deserto dell’aridità motivazionale non si attraversa vagando, per tentativi, tra la vastità delle alternative, ma fissando mete da conseguire, progetti da compiere, sogni da realizzare.
Una ricerca senza attesa, non alimentata dal desiderio, è svuo­tata dello spazio, della distanza, del tempo, riducendosi a consumo superfluo, a discapito del gusto del bello. In un mondo di alternative non ci si concentra sul proprio desiderio da realizzare, ma su ciò che ci viene proposto. Per questo motivo i giovani, nonostante abbiamo tutto, sono tristi! Sono stati espropriati del gusto della conquista, della fatica dell’allenamento, dell’impegno a lungo termine, dell’io che si evolve, crescendo e maturando attraverso le età della vita.
La ricerca dell’alternativa struttura le dinamiche dell’evasione giovanile aprendosi al fenomeno della distrazione come fuga, come voglia di scappare lontano, verso un incognito che rende scono­sciuto, nuovo, “resettato”. È interessante leggere i racconti di quei giovani che, narrandosi sulle bacheche di Facebook, affermano di voler ricominciare tutto “da capo”, come se questa fosse la soluzio­ne al proprio fallimento. Anche la cancellazione del proprio profilo digitale, purtroppo, lascia il segno del passaggio, non si potrà mai distruggerlo completamente. Eppure si affida sempre di più all’az­zeramento della propria esperienza la modalità di risolvere le pro­blematiche esistenziali, sociali e spirituali. Stiamo assistendo ad una società che rifiuta la memoria del passato, sempre più schiacciata solo sul presente, senza prospettive di senso, in un costante affi­damento ad un’ulteriore alternativa. Evidentemente le potenzialità dei giovani, in questo smarrimento decisionale, sfuggono al princi­pio di stabilità, creando diffidenza e presunzione nel mondo degli adulti, i quali, appropriandosi del loro ruolo sociale, impediscono la trasmissione del “potere” ai giovani.
Una sorta di “sconnessione” intergenerazionale che fa emergere il fenomeno dell’oltranza, ovvero il desiderio di novità, di attrazione per l’oltre, per tutto ciò che sembra altro e alternativo. Potremmo definire il fenomeno dell’oltranza l’alternativa “esotica” all’esodo intergenerazionale, ostacolato, purtroppo, da una tirannia faraoni­ca di mancanza di fiducia da parte degli adulti di oggi.

2. Sul ciglio del burrone: tra dipendenza e differenza
La descrizione della mobilità giovanile ha rilevato un fenomeno connaturale all’esperienza stessa della giovinezza. Nell’evasione si realizzano l’esito della “ribellione” alla sottomissione dell’adulto e l’affermazione della propria consapevolezza d’indipendenza, quindi di “adultità”. Il termine giovane, etimologicamente, significa aiutan­te, riferito soprattutto agli aiutanti delle botteghe artigianali, ai figli dei contadini, appunto i giovani dipendenti e sottomessi alla pote­stà di un padre, di un maestro, di un capo. Lo scontro con l’adulto costituisce il vero passaggio alla maturità ed esso si compie proprio con l’evasione della sua condizione servile, fuggendo, appunto, il legame e lo spazio della sottomissione. La fuga verso la libertà e l’af­fermazione della propria identità hanno ispirato la letteratura, l’arte, la musica e la filosofia di ogni epoca storica, fino ai nostri giorni, esprimendo il disagio e la bellezza di rompere con i legami, con tutto quello che costringeva i sogni rivelatori della propria corrispondenza identitaria a rimanere chiusi nello scrigno dei desideri e nelle “pri­gioni” delle delusioni giovanili. Un’immagine più volte utilizzata per descrivere, in maniera plastica, il punto di confine della decisione è quella del ciglio del burrone, dove i giovani dovrebbero prendere in mano la propria vita e dare inizio all’autodeterminazione. Di fronte al salto, che rappresenta il momento del decidersi per l’indipenden­za, le emozioni che si manifestano sono la paura del dopo, la no­stalgia della sicurezza, la solitudine del viandante, ma anche la gioia della libertà e il brivido della sfida. Jovanotti, noto cantautore, così interpreta la sensazione di fronte al burrone:

«Forse fa male eppure mi va
di stare collegato
di vivere di un fiato
di stendermi sopra al burrone
di guardare giù
la vertigine non è
paura di cadere
ma voglia di volare»1.

Nel gergo dei giovani si usa spesso il termine vertigine proprio per indicare le sensazioni e le emozioni che alcune esperienze di libertà producono. Sappiamo, però, come questi sforzi non sempre riescono nel loro intento perché la dimensione orientativa dell’ol­tranza esige delle coordinate, delle mete da conseguire, dei termini fissi, proprio per questo all’evasione, come atteggiamento di fuga dai legami, corrisponde il desiderio del ritorno al punto centrale della propria esistenza, “all’ombelico del mondo”, dove – come af­ferma sempre Jovanotti – «c’è il pozzo dell’immaginazione, dove convergono le esperienze e si trasformano in espressione, dove la vita si fa preziosa e il nostro amore diventa azioni, centro nevralgico dell’universo, da qui parte ogni nuova via»2.
Sarebbe interessante scorgere dai racconti dei giovani, che rien­trano dalle loro “evasioni”, la descrizione dei legami, rivelatori del profondo senso d’appartenenza dell’essere umano; ogni persona ha bisogno, per essere stabile nella vita, di radici, di familiarità, di una propria casa. Il ritorno è la metafora della rigenerazione e della riappropriazione del proprio “io”, la redenzione dello smar­rimento e dell’infelicità, la definizione dell’essenziale, il cui com­pimento trova nei viaggi di rientro il desiderio del ritrovamento e nelle partenze la nostalgia della separazione. È possibile, proprio ripercorrendo le trame di queste narrazioni, i cui testi fotografici o scritti sono affidati spesso alle bacheche dei nuovi diari perso­nali, i social network, intravedere la dimensione vocazionale della mobilità giovanile, che richiede un ascolto dettagliato e prospetti­co e la riformulazione del fenomeno stesso dell’oltranza giovanile in termini propositivi. Il giovane, pellegrino o nomade, secondo il percorso che compie, è chiamato innanzitutto a confrontarsi con la discontinuità della lontananza e della nuova realtà cui approda, per assumere la novità della condizione che si è determinata. A sostenere questo cambiamento radicale della vita ci possono essere delle forti ragioni; forza e appoggio sono lo scopo che può sorregge­re la realizzazione del proprio essere, come ci dimostra il commen­to di questo giovane anonimo dell’Istituto Mellon: «Quando si parla di futuro si parla di novità, di speranze, di sogni. Ogni qualvolta uno pensa ad una meta da raggiungere può essere un sogno nascosto come diventare astronauta, calciatore; oppure può essere un obiettivo come sposarsi e avere una famiglia o viaggiare per il mondo. Insomma, di mete ne esistono di tutti i tipi, diverse da persona a persona. Ed è qui che per raggiungere la meta autoimposta entra in gioco il futuro. Il futuro visto come un viaggio faticoso e tortuoso, pieno di sacrifici, dove si vede chi è veramente determi­nato ad arrivare alla meta e chi molla alla prima difficoltà. Diciamo che questo viaggio serve per “testare” la determinazione della persona ad arri­vare al proprio scopo. Anche se però il viaggio può essere difficile e, in certi versi, impossibile; arrivare alla meta significa sentirsi finalmente realizzati scoprendo il vero se stesso»3.
La discontinuità specifica una differenza non solo culturale e so­ciale, ma anche identitaria; facilita l’uscita da sé per manifestare il vero “io”, nel quale si avverte l’affermazione del proprio carat­tere e della propria maturità. Questa fase singolare della mobilità andrebbe valorizzata nella riflessione sui processi educativi, perché evidenzia il vero snodo della questione circa i passaggi evolutivi della crescita umana. In questa esperienza di rottura la dipendenza si frantuma per generare la differenza, in altre parole la sottrazione dall’indifferenza e dalla subordinazione nichilistica del giovane. Il punto debole di questa dinamica educativa è il controllo parentale, che si prolunga all’inverosimile fino a scatenare nei giovani stati di ansia, crisi di panico e ripiegamenti personali, le cui manifestazioni ben conoscono strade di evasioni “fuori dal controllo”, che danno origine a dipendenza, quindi a soppressione e annullamento del­la persona. Decidersi per il proprio futuro rimane il presupposto fondamentale per innescare un processo di crescita significativo, aperto alle possibilità che fanno dell’oltre non un alternativa alla situazione intrinseca del qui ed ora, ma uno slancio fiducioso per intraprendere un cammino di realizzazione e affermazione della propria soggettività. Per far emergere i termini che chiariscono gli orientamenti educativi delle giovani generazioni risulta appropriato un ascolto del giovane stesso; percepire come egli si interpreta e si comprende in riferimento alle sue esperienze di mobilità, fissando un vocabolario comune per strutturare un dibattito utile per la sua crescita e non un varco alle incomprensioni e rotture, che, il più delle volte, allontanano definitivamente, senza un ritorno alle radi­ci, fondamentale per la solidità della persona stessa.
Al riscatto della soggettività, che si concretizza quando il giova­ne esce dalla sua condizione di “aiutante”, segue il recupero della prossimità, della vicinanza da lontano, vitale per colmare il senso di abbandono che consegue al distacco dalle sicurezze della famiglia, del tutto garantito. Il ricorso ai nuovi mezzi di comunicazione aiuta in questa “prossimità affettiva” e “migrare” nell’ambiente o spazio digitale, nuova frontiera delle relazioni educative, tenendo conto delle dinamiche relazionali che ivi si determinano, costituisce un ponte tra le generazioni. Se lo scontro generazionale decide la ma­turità del soggetto, la comunicazione e la prossimità guadagnano il passaggio all’età adulta; uno scarto intergenerazionale, dato dal divario comunicativo, diventa un altro smarrimento dell’esperienza della mobilità, poiché interromperebbe lo scambio affettivo di cui certe lontananze necessitano per mantenere saldi i legami e l’iden­tità. L’esperienza da straniero, per essere feconda e redditizia per lo sviluppo del giovane, non deve trasformarsi in occasione di estra­neità, emarginazione ed estromissione. L’appartenenza e l’identità elaborano la differenza tra evasione ed esodo, tra nomade e pelle­grino, tra fuga e partenza.

Conclusione
Seguendo le rotte mutevoli e discontinue dei giovani in movi­mento è ancora possibile parlare di attesa, desiderio, ricerca e pro­getto di vita? Dove ci conducono le traiettorie contemporanee della loro mobilità? Quali prospettive educative e spirituali si definisco­no nell’orizzonte dell’oltranza? In che modo la mobilità influisce e caratterizza la vita vocazionale e decisionale di un giovane? Come possiamo evitare che i viaggi dei giovani non siano degli allontana­menti dalle proprie responsabilità, ma un’esperienza da raccontare a qualcuno, che al ritorno lo sta attendendo e lo ha seguito da lon­tano?
L’immediatezza comunicativa ha ridotto lo spazio dell’attesa all’input, ma non ha colmato l’ansia e la preoccupazione di un geni­tore, che, nonostante la sua possibilità di raggiungere il figlio ovun­que si trovi, non smette di considerarlo il proprio bambino. Assunto così, il fenomeno educativo della mobilità, come passaggio all’età adulta, rimane un immenso e, forse, sconosciuto scenario di azioni in cui ogni giovane “spicca il volo”, dipananosi tra sospese attese di realizzazione e cadute vertiginose di delusione. Cogliere nella con­traddizione di quest’immagine il chiarimento del risvolto riuscito dell’esperienza significa affermare il legame profondo e autentico con il proprio centro gravitazionale, dove converge ogni emozio­ne, ogni esperienza, tutta l’esistenza dell’uomo. Quando manca un centro verso cui rivolgersi e confluire sopraggiungono esclusiva­mente lo smarrimento e il vagare, senza spazio ad un approdo dove dimorare. Il giovane, che si muove da una parte all’altra del mondo, in tutte le sue esperienze belle e brutte, rilevanti e deludenti, in fuga o verso una direzione, la certezza di una dimora, anche lonta­no chilometri dal luogo fisico dove si trova, gli assicura un senso di appartenenza e di individualità capace di riconsegnarlo sempre alla sua identità. Anche dopo aver navigato per moltissime ore attraver­so le rotte mediali, c’è sempre il momento del ritorno a casa, proprio quando si stacca il sistema connesso alla Rete che chiude ogni colle­gamento digitale, per restituirci alle relazioni fisiche.
È stupefacente come il viaggio fantastico di Peter Pan verso Ne­verland possa custodire il segreto della felicità, che attraverso i sogni e le fughe immaginarie rivelano al giovane la rotta verso cui pun­tare: la realizzazione di sé. Il coraggio di intraprendere questo viag­gio, a volte, richiede la spinta dell’amore, la passione educativa, il sacrificio della separazione e la fiducia nella persona, atteggiamenti determinanti perché il proprio figlio diventi grande e non rimanga imprigionato nel complesso di Peter Pan. Forse alle rotte dell’im­maginazione manca l’audacia del piccolo Principe di Saint Exupé­ry che, ascoltando l’amica volpe ormai addomesticata, si sentì dire: «L’essenziale è invisibile agli occhi», perché il progetto della vita deve sconfinare oltre gli orizzonti ridotti della paura di uscire di casa per intraprendere l’esodo pasquale della liberazione dalla schiavitù della dipendenza, della giovinezza, della sottomissione quale sem­plice aiutante.
Si diventa maturi, adulti, quando si genera, quando, firmando con il proprio nome le azioni dell’esistenza, si sottoscrive la propria autorialità, cioè quando si riconosce la paternità. Potremmo affer­mare che la mobilità dei giovani porta in sé un progetto di paternità, che fa rivendicare al figlio l’eredità che gli spetta, per investirla nella sua esperienza di paternità. È forse questo il motivo per cui oggi c’è crisi di paternità? Manca o sfugge un patrimonio da ereditare? L’oltranza del viaggio, però, ha bisogno di un contributo da mettere nella bisaccia del viandante, se non si vuole emarginare il giovane lungo le strade del mondo ad elemosinare e quindi a fermarsi senza alcuna possibilità di andare avanti e neanche di ritornare a casa. Nella mobilità emerge senza alcuna pretesa di riconoscimento il de­siderio di essere padre, autore, creatore e realizzatore del proprio sogno.

NOTE
1 Jovanotti, Mi fido di te.
2 Jovanotti, L’ombelico del mondo.
3 Anonimo – Istituto Mellon. http://www.ipensieri.it/siti-meeting/2013/pensieri.php?tema=viaggio&id=6