N.03
Maggio/Giugno 2014

Papa Francesco: la prossimità di Dio

"Misericordiando"

Papa Francesco, nel suo modo di fare e di essere, vive con tutta la sua persona il profondo desiderio di ridurre sempre più le distanze tra l’uomo e Dio. E soprattutto al più povero, al più abbandonato, a colui che vive solitudine e emarginazione sembra dire, con tutto sé stesso: su di te veglia l’Assoluto. In questo modo Papa Francesco diventa strumento e presenza di Dio che si fa vicino, prossimo, che ci ricorda, ci porta nel cuore, guarisce le nostre ferite, si prende cura di noi, vive la compassione.
Per Papa Francesco è importante la persona. Nei suoi incontri, a cui partecipano migliaia di persone, il suo sguardo cerca “unicità”, è lui che ti cerca, che si fa vicino, che scruta il cuore. Come è possibile vivere questo? In questi mesi di pontificato ha continuamente fatto ascoltare la voce di Dio e il grido di ogni uomo. Papa Francesco ren­de bello e attraente l’incontro con Dio in Gesù perché mediato dalla sua presenza di testimone semplice, vicino alla gente.
Allora, come si esprime lo stupore, l’incanto, la meraviglia di un Dio che si fa vicino, che esprime la tenerezza di un padre e di una madre?

Prossimità2
Prossimità: parola che disarma perché diminuisce la distanza, scal­da il cuore e rende possibile l’incontro. La prossimità esprime vici­nanza, misericordia, perdono perché tutti abbiamo bisogno di qual­cuno che ci sia vicino, che ci guardi con speranza e ci doni futuro.
Esprimiamo le azioni della prossimità di Dio in Gesù: Io “…mi ricordo di te”, “…vengo a cercarti”, “…vengo ad abitare con te”, “mi prendo cura di te”, “…ti do vita in abbondanza”, e “…ho compas­sione di te”.

1. «Io… mi ricordo di te»
«Ricordatevi come vi parlò, quando era ancora in Galilea (…). Ed esse si ricordarono delle sue parole». Questo è l’invito a fare me­moria dell’incontro con Gesù, delle sue parole, dei suoi gesti, della sua vita; ed è proprio questo ricordare con amore l’esperienza con il Maestro che conduce le donne a superare ogni timore e a portare l’annuncio della Risurrezione agli Apostoli e a tutti gli altri. Fare memoria di quello che Dio ha fatto e fa per me, per noi, fare memo­ria del cammino percorso; e questo spalanca il cuore alla speranza per il futuro. Impariamo a fare memoria di quello che Dio ha fatto nella nostra vita!»3.
Un verbo “vocazionale” significativo è ricordare (portare nel cuo­re) e prima di essere qualcosa che appartiene all’uomo è prerogati­va di Dio. “Dio ricorda”, sempre, non dimentica nessuno di quelli che ha creato; è Padre, sempre in attesa, vigile e amorevole, di veder rinascere nel cuore del figlio il desiderio del ritorno a casa.
E quando riconosce quel desiderio, anche semplicemente accennato, su­bito gli è accanto»4. Ricordare allora è fondamentale, è l’approccio alla chiamata per far memoria e così scoprire i passi di Dio nella storia di un giovane. Un educatore è chiamato a mettersi al suo fianco, ad aiutarlo, a far memoria dell’incontro con Gesù, di tutto ciò che egli ha compiuto nella sua vita e nella sua storia.
È lo stesso atteggiamento che Gesù ha avuto con i suoi discepoli: li ha guariti dalle loro paure, dai loro freni, per narrare agli altri la gioia del Cristo risorto.

2. «Io… vengo a cercarti»
«Alcuni credono che la fede e la salvezza vengano col nostro sforzo di guardare, di cercare il Signore. Invece è il contrario: tu sei salvo quando il Signore ti cerca. Quando lui ti guarda e tu ti lasci guardare e cercare. Il Signore ti cerca per primo» (…).
«Non solo l’inizio della fede è opera del Signore. Anche il rimanere in essa. Così l’apostolo prediletto, Giovanni, rappresenta chi attende di essere amato, e rimane per grazia, e non per sforzo, in quest’attesa. In lui appare evidente che “se non si è prima amati non si può né amare né seguire“»5.
È consolante e pacificante avere consapevolezza che è Dio che ci cerca, che ci viene incontro. Papa Francesco ci ricorda che punto di forza della nostra fede è l’iniziativa di Dio nei nostri confronti. La fede nasce nell’uomo quando egli fa memoria di tutto ciò che Dio fa per lui. Noi, purtroppo, abituati a dover meritare in qualsiasi ambito della nostra vita, pensiamo di dover meritare anche Dio.
Con Dio non è così! È lui che ti cerca e ti guarda, il fine del suo amore è l’uomo. Pensiamo per un attimo agli amici di Gesù: pove­ri, peccatori, pubblicani e prostitute. Quali meriti potevano vantare presso Dio? Nessuno! Eppure l’incontro con Gesù li cambia fino a trasformare la loro vita, la loro esistenza. Dio non si merita, non si raggiunge solo con i nostri sforzi o con le nostre elucubrazioni. È decisivo l’incontro con lui, l’esperienza del suo amore. E Papa Fran­cesco è un interprete perfetto dello sguardo di Dio su ogni uomo.
È impagabile la gioia di essere raggiunto da uno sguardo che ti fa sentire amato, proprio come Giovanni, il discepolo amato che riposa sul petto di Gesù e ne ascolta i battiti del cuore. Giovanni ci indica la strada per riconoscere e accogliere l’amore di Dio. Amore che viene donato a tutti, senza distinzione. Perché reclamare quindi un dono che abbiamo già?
L’amore di Dio che aveva cercato Giovanni e continuava ad at­trarlo irresistibilmente, ora cerca me, parla di me… parla a me.

3. «Io… vengo ad abitare con te»
«Dio ha voluto condividere la nostra condizione umana al pun­to da farsi una cosa sola con noi nella persona di Gesù, che è vero uomo e vero Dio. Ma c’è qualcosa di ancora più sorprendente. La presenza di Dio in mezzo all’umanità non si è attuata in un mondo ideale, idilliaco, ma in questo mondo reale, segnato da tante cose buone e cattive, segnato da divisioni, malvagità, povertà, prepo­tenze e guerre. Egli ha scelto di abitare la nostra storia così com’è, con tutto il peso dei suoi limiti e dei suoi drammi. Così facendo ha dimostrato in modo insuperabile la sua inclinazione misericordiosa e ricolma di amore verso le creature umane. Egli è il Dio-con-noi; Gesù è Dio-con-noi»6.
Dio non solo ci cerca, ma viene ad abitare in mezzo a noi. La sua meravigliosa iniziativa, il suo dono, è Dio con noi, è Gesù con noi. Con l’umanità di Gesù inizia un legame molto più forte, stretto, che nessuno può sciogliere. È l’inizio di una dichiarazione di amore che mai potrà essere cancellata perché lui vive in noi, noi che siamo sua stessa immagine e somiglianza.
Il Natale, di cui facciamo memoria ogni anno, rende presente e attuale questo evento. Gesù è Dio con noi da sempre e per sempre, con noi nelle sofferenze e nei dolori della storia, perché lui ha abi­tato la nostra storia, la nostra umanità. In lui ogni uomo che soffre, che dispera, non è più solo a portare la propria sofferenza, il proprio dolore. È venuto a liberarci dalla nostra più grande paura: la morte, perché Gesù ha abitato anche questa ultima frontiera che nessuno era riuscito a oltrepassare.
Gesù, Dio con noi, per farci comprendere sempre più la prossi­mità, la scommessa di una vicinanza, che è la “carne di ogni uomo”.

4. «Io… mi prendo cura di te»
«Un’opera che Gesù realizza come un artigiano, come un operaio. A me l’immagine che viene in mente è quella dell’infermiere o dell’infermiera, che in un ospedale guarisce le ferite una a una, ma con le sue mani. Dio si immischia nelle nostre miserie, si avvicina alle nostre piaghe e le guarisce con le sue mani; e per avere mani si è fatto uomo. È un lavoro di Gesù, personale: un uomo ha commesso il peccato, un uomo viene a guarirlo». Perché «Dio non ci salva soltanto mediante un decreto, con una legge; ci salva con tenerezza, ci salva con carezze, ci salva con la sua vita per noi»7.
Solo nella prossimità, nella vicinanza, quando si accorciano le di­stanze tra l’uomo e Dio, è possibile la cura, l’empatia, la compassio­ne. Il nostro Dio in Gesù è colui che si china sulle ferite dell’uomo, che veglia nelle sue notti insonni, fa sentire tutta la sua tenerezza. L’immagine del Papa che parla della Chiesa come di un ospedale da campo, e di ogni cristiano come di un infermiere, dice molto su quanto sia decisivo esprimere questa prossimità scaldando il cuore delle persone, e saper dialogare, scendendo nella loro notte, per camminare con Dio.
Solo così si può entrare nel mistero di ogni uomo. Dio, in Gesù, si prende cura di ogni uomo. Ognuno di noi è lo sguardo di Dio che esprime tutta la sua tenerezza, è la mano di Dio per far giungere una carezza, è il suo passo veloce per accorciare la distanza e vivere la prossimità. È la cura che Dio in Gesù desidera per ognuno di noi, con gesti e parole che nascono dal cuore.

5. «Io… ti do vita in abbondanza»
«E io dico a te: se tu hai un peso sulla tua coscienza, se tu hai vergogna di tante cose che hai commesso, fermati un po’, non spaventarti. Pensa che qualcuno ti aspetta perché mai ha smesso di ricordarti; e questo qualcuno è tuo Padre, è Dio che ti aspetta! Arrampicati, come ha fatto Zaccheo, sali sull’albero della voglia di essere perdonato; io ti assicuro che non sarai deluso. Gesù è misericordioso e mai si stanca di perdonare! Ricordatelo bene, così è Gesù»8.
In questo anno di pontificato Papa Francesco ha posto nel cuore di ogni uomo la misericordia, di cui forse avevamo dimenticato il significato. Ha fatto risuonare questa parola con tutta la sua forza semantica.
È parola che, così come è pronunciata da lui, non ti fa più sentire solo e abbandonato, ripiegato su te stesso, schiacciato dal tuo peccato. Misericordia, la scomposizione del termine ci apre un orizzonte sconfinato di significati: “miser – cor – dare”, portare nel cuore il misero, il piccolo, colui che non ce la fa, soprattutto il pec­catore. Nella nostra società, di solito, siamo portati a scartare perso­ne così, a non tenerle per nulla in considerazione. Papa Francesco le pone sopra a tutto, nel cuore di Dio.
Ha fatto il giro del mondo l’aneddoto di Papa Francesco che “ruba” il crocifisso del rosario durante la visita alla salma del suo padre confessore (un sacerdote sacramentino di Buenos Aires che aveva cura in modo particolare per il sacramento della riconcilia­zione). È bella la preghiera che gli rivolge: «Donami metà della tua misericordia».
Che ognuno di noi, quando incontra una persona misericordio­sa, caritatevole, innamorata di Dio e dell’uomo, possa far nascere questa preghiera nel proprio cuore, “fammi essere come te per donare vita in abbondanza!”.

6. «Io… ho compassione di te»
«C’era una volta un re che aveva una figlia di grande bellezza e straordinaria intelligenza. La principessa soffriva però di una mi­steriosa malattia. Man mano che cresceva, si indebolivano le sue braccia e le sue gambe, mentre vista e udito si affievolivano. Molti medici avevano invano tentato di curarla. Un giorno arrivò a corte un vecchio, del quale si diceva che conoscesse il segreto della vita. Tutti i cortigiani si affrettarono a chiedergli di aiutare la principes­sa malata. Il vecchio diede alla fanciulla un cestino di vimini, con un coperchio chiuso, e disse: “Prendilo e abbine cura. Ti guarirà”. Piena di gioia e attesa, la principessa aprì il coperchio, ma quello che vide la sbalordì dolorosamente. Nel cestino giaceva infatti un bambino, devastato dalla malattia, ancor più miserabile e sofferen­te di lei. La principessa lasciò crescere nel suo cuore la compassio­ne. Nonostante i dolori prese in braccio il bambino e cominciò a curarlo. Passarono i mesi: la principessa non aveva occhi che per il bambino. Lo nutriva, lo accarezzava, gli sorrideva. Lo vegliava di notte, gli parlava teneramente. Anche se tutto questo le costava una fatica intensa e dolorosa. Quasi sette anni dopo, accadde qual­cosa di incredibile. Un mattino, il bambino cominciò a sorridere e a camminare. La principessa lo prese in braccio e cominciò a danzare, ridendo e cantando. Leggera e bellissima come non era più da gran tempo. Senza accorgersene era guarita anche lei»9.
Questa storia è un invito a esserci in ogni situazione della vita, a scoprire che Dio è vicino a noi.
Non dimentichiamo che se a noi è dato di andare incontro agli altri è perché prima un Altro ci è venuto incontro, e se viviamo la misericordia, la compassione, la prossimità, senza accorgerci siamo guariti da ogni male.
È comunque un’esperienza stimolante che ci fa vivere il rappor­to con gli altri e suscitare la prossimità anche là “dove non c’è”. 

NOTE
1 Un giorno Bergoglio, commentando il suo motto: “Miserando atque eligendo”, ha detto che gli piace tradurlo in “misericordiando”. Un gerundio che in italiano non esiste, che però profuma di perdono, di braccia aperte, di gioia, che, non a caso, in spagnolo si traduce alegrìa. Una parola nuova per arricchire quel dizionario della vita che, grazie a Francesco, sta portando aria fresca alla Chiesa e al mondo.
2 «È un criterio pastorale che vorrei sottolineare tanto: la vicinanza, la prossimità», Papa Francesco al Clero di Roma (6 marzo 2014).
3 Francesco, Omelia alla Veglia Pasquale (30 marzo 2013).
4 Francesco, Omelia alla Veglia Pasquale (30 marzo 2013).
5 J.M. Bergoglio nell’introduzione al libro di don Giacomo Tantardini, Il tempo della Chiesa secondo Agostino. Seguire e rimanere in attesa. La felicità in speranza, Città Nuova, Roma 2009.
6 Francesco, Angelus (18.12.2013).
7 Francesco, Omelia S. Marta (22 ottobre).
8 Francesco, Angelus (3 novembre 2013).
9 B. Ferrero, 365 storie per l’anima, Elledici, Leumann (TO) 2007.