N.06
Novembre/Dicembre 2014

Il selfie di Papa Francesco con i giovani è un segno di grande autorevolezza

L'autorevolezza è la forza dell'amore

Il prestigio, la stima, l’autorità di cui gode Papa Francesco gli deriva dalle sue indubbie capacità e qualità. Infatti molte persone desiderano vederlo, toccarlo, salutarlo, parlargli anche solo per un momento… Chi non vorrebbe ricevere una sua telefonata? Chi tra i giovani non vorrebbe fare un selfie insieme a lui? O confidargli le proprie sofferenze, incertezze, i dubbi e tutto ciò che c’è nel profondo del cuore?
Perché questo Papa suscita nelle persone simpatia, affetto, vicinanza, desideri?
Con Papa Francesco, con le sue omelie, i suoi discorsi e le sue udienze, si ha l’impressione di avere un colloquio personale, uno sguardo sulla propria vita, le sue battute a braccio lasciano spesso una impronta interiore2. È sorprendente come le sue parole vengano ricordate; mi è capitato più volte di ascoltare persone molto semplici che ripetono a memoria ciò che lui ha detto. 

Autorità – autorevolezza
Con le sue parole e con i gesti Papa Francesco esprime autorevolezza3.
Perché è autorevole? E qual è il segreto di tanta autorevolezza?
Soffermiamoci sul significato che questa parola assume nel linguaggio di Papa Francesco: certamente ci darà la possibilità di conoscere significati nuovi, accessibili e comprensibili per tutti. 

Autorità è ciò che proviene dall’essere
«Occorre confrontarsi con Gesù, direi, nella concretezza e ruvidezza della sua vicenda, così come ci è narrata soprattutto dal più antico dei Vangeli, quello di Marco. Si costata allora che lo “scandalo” che la parola e la prassi di Gesù provocano attorno a lui derivano dalla sua straordinaria “autorità”: una parola, questa, attestata fin dal Vangelo di Marco, ma che non è facile rendere bene in italiano. La parola greca è “exousia”, che alla lettera rimanda a ciò che “proviene dall’essere” che si è. Non si tratta di qualcosa di esteriore o di forzato, dunque, ma di qualcosa che emana da dentro e che si impone da sé. Gesù in effetti colpisce, spiazza, innova a partire egli stesso lo dice dal suo rapporto con Dio, chiamato familiarmente Abbà, il quale gli consegna questa “autorità” perché egli la spenda a favore degli uomini»4.

Perché le nostre parole spesso perdono l’autorità che dovrebbero avere e diventano parole di circostanza che nessuno ascolta? È doveroso, allora, il confronto con Gesù, l’unico che può riconsegnare valore e autorità alle nostre stanche parole. Il segreto è nel binomio parola e vita, egli parla con autorità e allo stesso tempo agisce, crede profondamente in quel che dice.
Ed è proprio questo il miracolo che noi possiamo rinnovare per restituire un senso e una consistenza alle tante parole che scambiamo ogni giorno. Papa Francesco ci illumina ancora affermando che l’autorità di Gesù proviene dal suo essere più profondo, in un continuo colloquio di amore con il Padre.
Gesù attinge ogni parola dal Padre, ascolta ogni battito del suo cuore e dà voce alla sua parola in un’esperienza, in un mistero d’amore che noi cogliamo in piccoli frammenti.
Tutti sanno il significato di questa parola ebraica Abbà = “Padre”: è qui racchiuso il segreto della sua autorità, qui c’è tutta la confidenza, la fiducia e l’abbandono di Gesù verso il Padre. Questa è l’origine, la sorgente; la sua parola ha ancora più autorevolezza e forza perché non la tiene per sé, ma ne fa dono agli altri, che possono fare esperienza di una parola “Altra”.
E a questa Parola non si può rimanere indifferenti perché è parola che porta a una scelta, parola che risulta decisiva per la vita della persona, che scruta il suo essere più profondo, perché proviene da Dio. 

Autorità è il potere del servire
«Gesù predica “come uno che ha autorità”, guarisce, chiama i discepoli a seguirlo, perdona… cose tutte che, nell’Antico Testamento, sono di Dio e soltanto di Dio. La domanda che più volte ritorna nel Vangelo di Marco: “Chi è costui che…?”, e che riguarda l’identità di Gesù, nasce dalla constatazione di una autorità diversa da quella del mondo, un’autorità che non è finalizzata ad esercitare un potere sugli altri, ma a servirli, a dare loro libertà e pienezza di vita. E questo sino al punto di mettere in gioco la propria stessa vita, sino a sperimentare l’incomprensione, il tradimento, il rifiuto, sino a essere condannato a morte, sino a piombare nello stato di abbandono sulla croce. Ma Gesù resta fedele a Dio, sino alla fine»5.

Mi piace pensare a Gesù come colui che rende visibile il volto del Padre, che manifesta il Padre agli uomini, tanto da essere sua trasparenza. Gesù è portatore di una forza che viene da Dio che sana, guarisce, libera, perdona, fa risorgere. E queste azioni, che sono solo di Dio, interpellano l’uomo e pongono domande: chi è Gesù di Nazaret?6
Come può un uomo mortale essere Dio, compiere azioni di Dio?
Comprendo solo ora il disorientamento e lo smarrimento di quelle persone che non sanno riconoscere l’origine di questi gesti di amore. L’autorità che vive Gesù non è il potere che hanno gli uomini, il potere di dominare che viene dalla posizione o dal ruolo e che spesso opprime, ma è il potere del servizio, del dono, dello sguardo di Gesù che si china, si abbassa per lavare i piedi. È il potere che deriva dalla coerenza di vita.
«Nessun uomo ha parlato come costui»7 affermano le guardie, nessuno rimane indifferente davanti alla sua parola detta con autorità. Certo, colui che ha l’autorevolezza della parola, della parola definitiva, e non la impone, è “disarmato” egli stesso, tanto da lasciare libero l’uomo di rifiutare, tradire, condannare, crocifiggere una Parola così autorevole. Quanto potere ha la libertà dell’uomo! 

Autorità è creare legami e partecipare
«Cosa vuol dire essere autorità in un mondo che lascia i giovani “infinitamente soli” e in preda a “proposte di consumo?”»8.

Come rispondere a questa domanda-provocazione di Papa Francesco?
Come educatore anch’io verifico nei giovani questo senso di smarrimento di chi non trova in noi adulti nessun riferimento, nessun testimone di vita. E sono sempre più soli e abbandonati a sé stessi, incapaci di vivere l’interiorità perché non aiutati al confronto con il mondo degli adulti.
Abbiamo gravi responsabilità verso le nuove generazioni. Ma io credo con forza che con la sua parola Gesù possa dare una risposta alle domande dell’uomo, in particolare dei giovani. Sta a noi educatori creare legami, tracciare la strada, fare da guida, consapevoli che per avere autorevolezza bisogna essere nella vita e nella parola ciò che si è nell’intimo perché, per poter intraprendere una vita piena e abbondante, è indispensabile essere sé stessi. 

Autorità è parlare la lingua dello Spirito
«Non sono i corsi accademici a dare autorevolezza ai credenti ma lo Spirito Santo, che è donato anche ai semplici, come quelle “vecchiette” che alle volte “parlano meglio dei teologi»9.

Parlare la lingua dello Spirito, questa è per il Papa la radice dell’identità cristiana.
Qual è l’identità e la credibilità di un credente? Quasi sempre siamo tentati di descriverlo come colui che sa parlare, colui che sa, un sapiente e, perché no, un saccente. Provocazione di Papa Francesco: vecchietta e teologo a confronto. Chi si sarebbe mai sognato di metterli in relazione, anzi in contrapposizione? Siamo ormai abituati a non stupirci più delle affermazioni “colorite” del Papa. Non possiamo fare a meno di ricordarle perché le sue parole ci guariscono dall’essere complicati e, a volte, astrusi, incomprensibili a molti. Che cosa ci può insegnare una vecchietta? A cogliere il linguaggio dello Spirito che è semplicità, purezza, stupore. Il linguaggio delle nonne è quello dei piccoli, ma ogni parola ha il gusto sapienziale perché frutto di esperienze di vita, di saggezza tramandata, di innocenza, di bontà vissuta, che lo stesso Spirito nutre e diffonde. Quanta autorevolezza può dimostrare una vecchietta a chi sa accogliere con il cuore! 

Autorità è la forza dell’amore
«Il Signore non si preoccupa di quanti lo seguono, non gli “passa per la testa, per esempio, di fare un censimento” per vedere se “è cresciuta la Chiesa… no! Lui parla, predica, ama, accompagna, fa la strada con la gente, mite e umile”. E parla con autorità, cioè con “la forza dell’amore”»10.

È per me sorprendente vedere come Gesù vive la libertà nei confronti dell’uomo, delle cose, della realtà. Non si preoccupa di quanti lo seguono, non li conta, non fa sondaggi di opinione o bilanci di sorta. Gesù investe tutto sé stesso su ciò che è essenziale: l’amore per la gente, l’attenzione ai problemi delle persone. Gesù non distoglie lo sguardo dalle sue creature, è particolarmente attento all’uomo, si prende cura di lui.
Parlare con autorità è avere consapevolezza dell’esistenza di un “centro” in cui tutto ruota e si ritrova: l’amore. Non esiste parola più inflazionata, tradita nel suo significato più profondo, vilipesa, ma non per chi la vive come Gesù che è la vera forza dell’amore. 

Autorità è porsi sotto lo sguardo di Dio
«…abbiamo bisogno di uno che ci sorvegli dall’alto; abbiamo bisogno di uno che ci guardi con l’ampiezza del cuore di Dio; non ci serve un manager, un amministratore delegato di un’azienda, e nemmeno uno che stia al livello delle nostre pochezze o piccole pretese. Ci serve uno che sappia alzarsi all’altezza dello sguardo di Dio su di noi per guidarci verso di Lui. Solo nello sguardo di Dio c’è il futuro per noi»11.

Di solito ha autorità chi sta in alto, ai vertici, chi conta, chi dispone e gestisce le cose e le persone. Nel nostro mondo l’autorità fa capo ai manager e tanto più grande è la loro autorità, tanto più sono distanti dalla gente comune, irraggiungibili. Papa Francesco ci parla invece di qualcuno, Gesù, che sta in alto, ma che ci sorveglia, ci custodisce. Che ha grande autorità e dona, tocca il cuore, ci fa scoprire lo sguardo di Dio.

Autorità è essere nelle mani di Dio
«Quando però ci riconosciamo peccatori, Dio ci riempie della sua misericordia e del suo amore. E ci perdona, ci perdona sempre. Ed è proprio questo che ci fa crescere come popolo di Dio, come Chiesa: non è la nostra bravura, non sono i nostri meriti, siamo poca cosa noi, non è quello, ma è l’esperienza quotidiana di quanto il Signore ci vuole bene e si prende cura di noi. È questo che ci fa sentire davvero suoi, nelle sue mani, e ci fa crescere nella comunione con Lui e tra di noi. Essere Chiesa è sentirsi nelle mani di Dio che è Padre e ci ama, ci accarezza, ci aspetta, ci fa sentire la Sua tenerezza. E questo è molto bello»12.

Riconoscersi peccatori… chissà perché il Papa insiste molto su questo aspetto. Forse perché è consapevole che l’uomo può compiere molti errori; soprattutto chi ha autorità, chi ricopre un ruolo di guida. Riconoscersi peccatori, allora, è il modo per riscoprirsi nella più profonda identità, perché significa dare un nome al peccato, identificarlo per superarlo e riappropriarsi così della propria interiorità, scoprire quanto il Signore ci ama e si prende cura di noi.
Papa Francesco, giovane provinciale dei gesuiti, ammette di aver commesso diversi errori e prima di diventare vescovo, ha attraversato una crisi spirituale e ha superato questo periodo imparando ad affidarsi a Dio: «Ho la sensazione di essere nelle mani di qualcun altro, come se Dio mi stesse prendendo per mano». Che bello essere presi per mano da Dio, scompare la paura, nasce la fiducia, si percorrono le vie di Dio, si diventa compagni di strada e ci si scopre chi-amati.

Ascoltiamo questa storia semplice ricca di saggezza:
«Un’insegnante chiese agli scolari della sua prima elementare di disegnare qualcosa per cui sentissero di ringraziare il Signore. Pensò quanto poco di cui essere grati in realtà avessero questi bambini provenienti da quartieri poveri. Ma sapeva che quasi tutti avrebbero disegnato panettoni o tavole imbandite.
L’insegnante fu colta di sorpresa dal disegno consegnato da Tino: una semplice mano disegnata in maniera infantile. Ma la mano di chi?
La classe rimase affascinata dall’immagine astratta. “Secondo me è la mano di Dio che ci porta da mangiare” disse un bambino. “Un contadino” disse un altro, “perché alleva i polli e le patatine fritte”.
Mentre gli altri erano al lavoro, l’insegnante si chinò sul banco di Tino e domandò di chi fosse la mano. “È la tua mano, maestra” mormorò il bambino. Si rammentò che tutte le sere prendeva per mano Tino, che era il più piccolo e lo accompagnava all’uscita. Lo faceva anche con altri bambini, ma per Tino voleva dire molto»13.

Abbiamo mai pensato al potere immenso delle nostre mani?
Ecco, il segno di tanta autorevolezza è svelato da un bambino. Come sempre il Signore ci stupisce e meraviglia perché, per manifestarsi, sceglie le piccole cose quotidiane, lo stupore infantile… “il sussurro di una brezza leggera”.

 

NOTE
1 Il Papa non disdegna di farsi il selfie con alcuni giovani della diocesi di Piacenza, non è rimasto imbarazzato a porsi dalla loro parte, fianco a fianco, per farsi l’autoscatto. È entusiasmante questo suo desiderio di condividere la vita dei giovani.
2 Dal Papa non si viene solo interpellati, ma anche invitati ad agire, a mettersi in discussione, a cambiare la propria vita.
3 Papa Francesco cammina le parole e quindi i suoi passi parlano. Con autorevolezza, credibilità, forza e libertà.
4 Risposta di Papa Francesco alla lettera di Eugenio Scalfari su «La Repubblica», 4 settembre 2013.
5 Risposta di Papa Francesco alla lettera di Eugenio Scalfari su «la Repubblica», 4 settembre 2013.
6 Domanda che interessa sempre anche a noi, perché Cristo è il cuore della nostra fede.
7 Gv 7,46.
8 Papa Francesco, Disciplina e passione, le sfide oggi per chi deve educare, Bompiani, Milano 2013.
9 Papa Francesco, Omelia S. Marta, 2 settembre 2014.
10 Papa Francesco, Omelia S. Marta, 2 maggio 2014.
11 Papa Francesco, Discorso alla riunione della Congregazione per i Vescovi, 27 febbraio 2014.
12 Papa Francesco, Udienza generale, 18 giugno 2014.
13 B. Ferrero, A volte basta un raggio di sole, Elledici, Torino 2009.