N.01
Gennaio/Febbraio 2015

In comunione per una pastorale vocazionale unitaria

Ad una attenta considerazione, il tema affidato può essere sviluppato a partire da due prospettive: quella teologico-pastorale fondamentale, che offre uno sguardo generale e strutturale, e quella invece teologico-pastorale speciale, che si interessa dei soggetti e dei concreti processi messi in atto dalle comunità ecclesiali. Il taglio qui offerto è di tipo teologico-pastorale fondamentale.
Questa scelta comporta l’assunzione di più chiavi di lettura: innanzitutto, un primo sguardo a partire dall’impostazione generale della pastorale diocesana, poi un altro a partire dal rapporto tra il principio “vocazione” e la pastorale della Chiesa e infine una precisazione sui diversi settori della pastorale vocazionale.

1. La pastorale diocesana
Iniziamo dalla prima prospettiva. All’interno della strutturazione pastorale di una diocesi si possono distinguere tre tipi di pastorali: di area, di settore e trasversali.
Le pastorali di area sono più o meno riferibili ai tria munera: profezia, sacerdozio, regalità, che hanno visto un certo successo nella scena ecclesiale italiana degli ultimi decenni. Questi munera sono stati generalmente tradotti, nell’ordinario linguaggio pastorale, nelle aree dell’evangelizzazione/catechesi, della liturgia e della carità.
Sia a livello diocesano sia a livello nazionale, e già da tempo, si è cercato di coordinare, in prospettiva comunionale, tutte le pastorali di settore all’interno di queste grandi aree. Molte curie diocesane hanno così diviso/articolato i loro uffici pastorali, tenendo appunto presente questa distinzione pastorale delle tre aree. E tuttavia, se si fa memoria di quanto detto a Verona dieci anni fa, in occasione dell’ultimo Convegno delle Chiese d’Italia, si è esercitata una seria critica nei confronti di questa impostazione. Pur vedendola, infatti, ben fondata dal punto di vista teologico, non la si è ritenuta più adeguata all’attuale situazione pastorale, perché troppo centrata sull’articolazione interna della Chiesa piuttosto che sulla concretezza esistenziale dei destinatari dell’azione pastorale della stessa Chiesa. L’individuazione dei cinque ambiti di vita voleva essere, allora, la concreta proposta alternativa ai tria munera.
In effetti, l’intenzione di Verona era appunto buona: passare dalla Chiesa della proposta, una proposta bella e confezionata, strutturalmente ben salda e articolata, alla Chiesa della risposta, che si assume responsabilmente le concrete situazioni di vita dell’uomo di oggi e sulla base di questa responsabilità pensa la sua pastorale.
Una proposta, quella di Verona, che aveva il sapore di una “rivoluzione” – si passi il termine – di tipo copernicano, perché prevedeva il passaggio dall’io ecclesiale, in fondo solitario nell’esercizio della sua soggettualità teologica e pastorale, all’alterità del tu dei cosiddetti “destinatari”, che così diventavano in effetti soggetti da cui far partire ogni azione pastorale della Chiesa. In questo modo si pensava ad un modello di pastorale che teneva strettamente conto della relazione con l’altro, evitando quindi «il rischio del ripiegamento.
Vi è qui un’idea di pastorale legata ad un’idea di Chiesa estroversa, compromessa con il territorio e la cultura del luogo e le speranze dell’uomo concreto»1. A distanza di un decennio da quelle riflessioni e proposte di Verona, si sta raccogliendo ben poco. Un’ulteriore conferma della natura epocale, e quindi molto difficile da attuare, che il passaggio aveva richiesto.
Per quanto riguarda le pastorali di settore, il concetto è ben noto. Si tratta, infatti, di pastorali che hanno per oggetto un particolare “segmento” della vita – bambini, giovani, adulti, ammalati, scuola, tempo libero, ospedali, ecc. – che la Chiesa vuole servire. In queste pastorali sono coinvolti, già come primi soggetti di esse, gli operatori dell’ambito specifico d’intervento, si fanno studi socio-psicologici di settore per acquisire specifiche competenze, si sviluppano progettualità pastorali sulla base delle idee individuate e delle risorse messe in campo. Queste pastorali dicono la loro specifica competenza all’interno dell’oggetto che li costituisce, ma hanno bisogno di essere contestualizzate nel quadro più ampio della pastorale generale.
All’interno di queste pastorali di settore, qualche volta, sono state poste in elenco anche la pastorale vocazionale e/o il Centro Diocesano Vocazioni. Dal punto di vista teorico sembra che questa scelta sia sbagliata, perché la natura specifica della pastorale vocazionale appartiene alle pastorali trasversali. Ma cosa sono le pastorali trasversali? Cosa s’intende con questo termine?
L’idea che esprime l’espressione “pastorale trasversale” è legata all’individuazione appunto trasversale che si ritrova nell’oggetto di cui si occupa una specifica pastorale. Ci si rende conto cioè che la natura dell’oggetto di cui si occupa una pastorale non è restringibile a quel “segmento” di cui si occupavano le pastorali di settore, ma riesce a permeare, ad animare tutta una serie di settori di pastorale. È come se si entrasse in contatto con una qualità pastorale, un’anima, che si vuole riscontrare nei diversi oggetti delle pastorali di settore. Se alle pastorali trasversali è allora affidato il compito di essere in un certo senso “anima” di tutte le altre pastorali di settore, allora si deve svolgere un’ulteriore delicata riflessione. L’unità delle pastorali di settore di una diocesi non può essere affidata in prima battuta a meri criteri di organizzazione della stessa, come se l’unità della pastorale fosse un obiettivo tecnico-efficientistico da perseguire2. Sia ben inteso, questo non comporta per converso la teorizzazione o l’accettazione supina della disorganizzazione. Comporta, piuttosto, che l’unità pastorale di una Chiesa locale – prima ancora che il coordinamento delle azioni pastorali, che è altra cosa rispetto all’unità pastorale, anche se sovente viene scambiata con questa – sia pensata in termini di comunione e perciò stesso sia considerata innanzitutto come un fattore teologico che pertiene in prima battuta al dono di Dio. Questa unità-comunione si presenta con una forte caratura escatologica, che va vissuta e favorita non solo attraverso alcuni “luoghi” personali, come le figure sacramentali/ ministeriali (vescovo e presbiteri), ma anche attraverso alcune idee e azioni pastorali, portatrici di benefiche tensioni verso la stessa unità.
Se si parla, allora, come in questo articolo, di vocazione, s’intende questa non come un preciso segmento della vita, un oggetto cioè preciso e circostanziato che viene identificato con uno stato di vita o con un’età o con una situazione esistenziale, ma piuttosto con un qualcosa che sta dentro e accompagna – nel suo modo specifico – tutte le azioni umane e pastorali poste in atto dalla Chiesa e dai singoli credenti. In questo senso, la vocazione e quindi anche la pastorale vocazionale sono trasversali3.
Altre pastorali trasversali sono la pastorale missionaria4 e la caritas. Sebbene quest’ultima, infatti, sia stata comunemente considerata come una pastorale di area, tuttavia essa, sia in forza di una comprensione teologica sia in forza di una sua costante autocomprensione, si è sempre capita non tanto come un coordinamento tecnico delle iniziative di carità e di volontariato della Chiesa, ma piuttosto come un’animazione globale alla carità, rivolta a tutte le comunità ecclesiali che insistono nel territorio diocesano. Come ben si vede, l’uso del termine “animazione” e la sua caratteristica di globalità fanno rilevare il carattere trasversale di essa e la sua analogia con la pastorale vocazionale5.
In questo senso, il compito di “anima” delle pastorali trasversali, e quindi della pastorale vocazionale, è in ordine al riconoscimento del dono dell’unità e alla sua costruzione come compito ecclesiale. La pastorale vocazionale si pone, perciò, in un fecondo scambio di dare e ricevere con tutte le altre pastorali perché così costruisce l’unità della Chiesa a partire dall’unità della persona. Come, infatti, la pastorale vocazionale contribuisce all’unità della persona attraverso il tema specifico della vocazione, così contribuisce all’unità della Chiesa e delle pastorali della Chiesa attraverso il dono della riflessione/azione sulla vocazione, che pone la stessa Chiesa nella dinamica della responsabilità nei confronti della chiamata di Dio.
È questa chiamata che pone allora in essere la stessa Chiesa come atto di responsabilità. Senza la chiamata di Dio non esiste infatti la Chiesa. Grazie a questa chiamata la Chiesa esiste in quanto si costituisce responsabile nei confronti di essa. Una Chiesa che non abbia più autoconsapevolezza di essere Chiesa in quanto continuamente chiamata, scade al livello di una semplice istituzione umana con cui s’identifica, con tutti i giochi di potere e di sussistenza tipici della struttura istituzionale.
L’unità della Chiesa e delle sue pastorali è allora affare troppo grande perché possa essere affidata a semplici esortazioni o, peggio ancora, a mere organizzazioni e tecnologie. Essa trova il suo spazio adeguato nella dinamica di chiamata e risposta, caratterizzante a tutt’oggi la struttura di alleanza che la vocazione porta permanentemente in sé. In questo senso, la vocazione – così come la missione e la caritas, ognuna di loro in forza della propria specificità – è il principio di autogenesi permanente della Chiesa.

2. L’inserimento del principio “vocazione” nella pastorale ordinaria in vista di una pastorale vocazionale unitaria
È fin troppo scontato pensare alla Chiesa a partire dalla radice etimologica greca del termine “ekklesia”: convocazione/assemblea dei chiamati. Non è sempre scontato invece approfondire il senso di questa chiamata e il suo valore di ecclesiogenesi permanente. Detto in altri termini, se la Chiesa esiste in forza di questo suo essere chiamata, convocata da Dio, la chiamata non può essere un evento solo puntuale che si colloca con assoluta precisione nella storia della salvezza, ma che una volta compiuto dà corso ad una esistenza della Chiesa che si svolge autonoma rispetto alla chiamata stessa e quindi con criteri altri. Se si abbandona questa prospettiva, solo puntuale storica, e si ragiona in termini di chiamata permanente da parte di Dio, si può invece pensare che la Chiesa continua ad esistere perché sta rispondendo di sì alla chiamata che Dio oggi le sta rivolgendo.
L’esistenza della Chiesa è allora appesa al filo robusto della responsabilità della risposta alla chiamata di Dio. Così si può parlare di processo di ecclesiogenesi permanente legato al dinamismo teologico e Quando dal livello ecclesiologico si passa al livello della specifican riflessione sulla vocazione personale, il problema che si pone – già dal punto di vista teologico prima ancora che pratico – è come intendere il senso di questa chiamata nei confronti del soggetto, se cioè essa vada anche qui intesa in senso solo puntuale e storico oppure in senso permanente, tale da poter affermare che ci si ritrova di fronte alla stessa chiamata pur non essendo questa uguale in tutto e per tutto alla chiamata precedente. Il problema è appunto eologico perché investe la visione di Dio, in stretta analogia con il grande tema teologico della Parola. Se il Salmo 95 ci chiede di ascoltare oggi la sua voce, è perché Egli oggi parla a ciascun uomo e non ripete pedissequamente le cose già dette prima alla stessa persona, perché già il suo parlare è un fare nuove oggi tutte le cose ed un imprimere il dinamismo della risurrezione a tutti i nostri personali processi del morire. E così la Parola di Dio risulta rivelazione della verità della Pasqua. Come, allora, si ha ben ragione di affermare che da una parte Dio ha parlato puntualmente ad alcuni uomini e donne in precise situazioni storiche e che la sua Parola è stata fissata nella sacra Scrittura, il cui canone è definitivamente chiuso, e dall’altra parte Dio continua a parlare ancora oggi sia ai credenti spirituale della chiamata di Dio e della risposta della Chiesa. in Gesù Cristo sia a tutti gli uomini6, così si deve pensare qualcosa di simile per la chiamata. Anch’essa è puntuale e storica e tuttavia non avviene una sola volta per sempre. Dio infatti non smette di intessere con lo stesso uomo e con la stessa donna un dialogo che comporta il gioco della reciprocità tra l’invito della sua chiamata e la risposta umana.
È questo dinamismo permanente, intrinseco alla chiamata, che va approfondito dal punto di vista della teologia spirituale e della teologia pastorale, di discipline quindi teologico-pratiche che ricercano in quanto tali la verità facendo sintesi tra l’approccio teologico-biblico e teologico-sistematico e quello delle scienze umane.
Il problema è così non solamente teologico, ma teologico-pratico, perché comporta un’attenta considerazione unitaria tra la tessitura spirituale, del rapporto tra Dio e l’uomo, e quella pastorale, di come cioè rintracciare nelle concrete figure ecclesiali, sia ministeriali sia comunitarie, la logica dell’incarnazione. Solo dall’intreccio di questi due livelli e dalla loro considerazione unitaria può emergere finalmente un’interpretazione teologica della vocazione di ciascun credente. Interpretazione teologica che – è ovvio – rimane sempre esposta all’ordine del rischio, insito nello stesso concetto di interpretazione di fede. D’altronde, solo così essa non cede alle lusinghe dell’idolatria della certezza.
Se si ragiona in questo modo, vale la pena intendere la pastorale vocazionale come una delle anime della pastorale ordinaria7 e far sì che questo approccio diventi il fondamento del “salto di qualità”8 della pastorale vocazionale.
L’inserimento del CDV nella pastorale ordinaria9 implica, perciò, che non si faccia, da parte degli operatori e degli animatori vocazionali, solamente un discorso generico sulla vocazione, ripetendo una serie di dati biblici e spirituali ben noti. Ci si ritroverebbe alla fine davanti ad un’ulteriore esortazione, più o meno “spirituale”, di cui si fa volentieri a meno. Il problema è, invece, legato a quello che si diceva poco prima sulla chiamata intesa come dono intrinsecamente e dinamicamente permanente al credente. La competenza dell’operatore e/o animatore vocazionale sarà allora quella di offrire alle singole persone, ma anche alle comunità ecclesiali nelle loro articolate compagini, l’interpretazione vocazionale – e quindi teologico pratica sia in termini spirituali sia in termini pastorali – della loro esistenza personale e dell’esercizio del loro ministero nel dispiegarsi delle loro fasi di vita. Se quindi l’operatore deve attingere alle verità offerte sia dalla teologia sia dalle scienze umane, questa operazione non implica la chiusura della sua azione pastorale al segmento di vita del destinatario della sua stessa azione pastorale. L’operatore vocazionale è chiamato invece, assieme al destinatario-soggetto della sua azione, a tentare un’interpretazione unitaria della vocazione come fattore che unisce e dà senso a tutta la vita.
Questo modo d’intendere l’intervento della pastorale vocazionale permette la fuoriuscita definitiva della stessa pastorale vocazionale dalla vecchia tentazione di essere una pastorale di reclutamento, il cui fondamento teologico era la chiamata intesa come evento solo puntuale.
Questo allontana ancora la possibile deriva psicologizzante di tanti interventi di pastorale vocazionale, perché obbliga gli operatori vocazionali a costruire un’ipotesi ed un’interpretazione teologica che tenga conto dei dati veritativi offerti dalle scienze umane, ma che sia nel contempo capace di integrarli all’interno di una prospettiva teologico-pratica.
Non basta pertanto un approccio interdisciplinare se poi non si è capaci di farlo evolvere in un reale approccio transdisciplinare. Si comprende bene, allora, la necessità di una feconda collaborazione tra teologi spirituali e teologi pastorali in vista della creazione di questa competenza dell’operatore vocazionale.
In questione è allora l’approfondimento del “principio vocazione”, inteso come dono che chiede la scelta e l’impegno della responsabilità verso la quale esprimere una costante attenzione pastorale che diventa vigilanza spirituale.

3. I settori della pastorale vocazionale alla luce della pastorale vocazionale unitaria
Se si considera ora, nell’ambito delle nostre prassi pastorali, l’esistenza di fatto di diverse pastorali vocazionali, che sono pensate quasi come settori dell’unica pastorale vocazionale, si rende necessaria una breve precisazione.
Bisogna infatti chiedersi: perché esistono queste diverse pastorali vocazionali?
All’inizio il problema era sicuramente quello di superare il clericalismo della vecchia pastorale vocazionale, che finalizzava il tutto alla ricerca di nuovi preti e, qualche volta, di suore. L’inserimento di questi settori della pastorale vocazionale permetteva allora di non parlare solo dei preti, dei frati e delle suore, ma di tutte le altre componenti del popolo santo di Dio. E così si è sentito il bisogno di articolare l’unica pastorale vocazionale in specifici settori vocazionali che s’interessavano anche delle vocazioni di speciale consacrazione, dei giovani, delle famiglie…10 Questa diversificazione dell’unica pastorale vocazionale veniva inoltre giustificata in forza dell’esistenza di diversi destinatari e/o situazioni di vita e sarebbe stata la manifestazione evidente dello sforzo di rendere concreta una pastorale vocazionale, che altrimenti avrebbe sofferto di genericismo.
A fronte, però, dell’esistenza di diverse o diversificate pastorali vocazionali, c’è da chiedersi se tale pratica non riconduca, in fondo e ancora una volta, la pastorale vocazionale a pastorale di settore, riducendola ad una pastorale che tenta di dare risposte concrete alle diverse problematiche inerenti a quei singoli settori. Se così fosse, essa tradirebbe la sua natura trasversale, di anima unitaria della pastorale.
Se si vuole allora pervenire ad una autentica pastorale vocazionale unitaria, bisogna evitare la specializzazione settorializzata degli operatori vocazionali e fare in modo che questi rendano il loro servizio all’interno dei diversi settori della pastorale, portando avanti un discorso unitario, strettamente legato al tema della vocazione inteso nella sua specifica valenza teologico-esistenziale, così come già detto sopra nel precedente paragrafo.
Ci si ricordi, infatti, che la prima e fondamentale accezione della pastorale vocazionale unitaria è quella comunionale. Solo in seconda battuta vi è l’accezione struttural-organizzativa. 

NOTE
1 C. Torcivia, La Parola edifica la comunità. Un percorso di teologia pastorale, Il pozzo di Giacobbe, Trapani 2008, p. 104.
2 Papa Francesco mette a fuoco un’idea analoga, quando non fa coincidere la riforma delle diverse strutture ecclesiastiche con un semplice problema di miglior funzionamento, più o meno amministrativo, di esse, ma piuttosto con la conversione pastorale in chiave missionaria, della Chiesa in uscita (cf Evangelii Gaudium, nn. 27-33).
3 Nello specifico caso, poi, della vocazione/pastorale vocazionale, risulta utile ricordare sia la propria caratteristica fondativa, dovuta al fatto che offre le motivazioni profonde dell’azione umana-cristiana in termini di causa e di fine, sia la caratteristica performativa, concernente il fatto che spinge intrinsecamente all’azione, rafforzando le motivazioni di base e le debolezze esistenziali, in cui s’incorre nel corso della vita.
4 È idea teologica e teologico-pastorale ormai ben nota che la missione non è più un capitolo più o meno attuativo della ecclesiologia, ma piuttosto il suo punto di partenza. Tutto questo si riflette in una attuale e sana concezione di pastorale, che vede nella missionarietà una caratteristica intrinseca e nativa di tutto l’agire pastorale. Recentemente Papa Francesco ha voluto sottolineare con forza questa centralità ecclesiologica e pastorale della missione sia radicandola nella formula ecclesiologica sintetica di «comunità di discepoli missionari […] comunità evangelizzatrice» (EG 24) sia vedendola come «paradigma di ogni opera della Chiesa» (EG 15). Su questo egli fonda l’attuale necessità improrogabile della conversione pastorale che permetta il passaggio da una pastorale di conservazione ad una missionaria, da una Chiesa rinchiusa in se stessa e nelle sue problematiche interne ad una «Chiesa in uscita» (EG 24) verso ogni «periferia esistenziale» (Papa Francesco, Conversione pastorale, in «Il Regno/documenti» LVIII(2013/15), p. 472). Per un approfondimento di questa importante problematica cf C. Torcivia, Per una criteriologia teologico-pastorale della dottrina teologica e dell’agire pastorale, in G. Alcamo (a cura di), La catechesi educa alla gioia evangelica. Riflessioni teologico-pastorali a partire dall’Esortazione Evangelii Gaudium, Paoline, Milano 2014, pp. 113-135.
5 Questa riflessione sulla trasversalità della pastorale vocazionale la devo ai colloqui personali che ho avuto con p. Pino Puglisi, ormai riconosciuto beato dalla Chiesa, negli anni 1986-1995, quando ero responsabile della pastorale giovanile diocesana. Egli era un convinto assertore di questa caratteristica ed ecco perché ricercava fattive collaborazioni con tutte le altre pastorali diocesane.
6 Il noto teologo fondamentale Christoph Theobald distingue a tal proposito tra il termine “Rivelazione” e l’espressione “Parola di Dio”. Se è vero che la Scrittura attesta la Rivelazione e mostra così il suo carattere ispirato, è dall’altro lato vero che la Scrittura mostri il suo carattere ispirante attraverso la scoperta in essa della Parola di Dio per il nostro oggi. Cf C. Theobald, De la bible en théologie, in F. Mies (ed.), Bible et théologie. L’intelligence de la foi, PUN – Lessius, Namur – Bruxelles 2006, pp. 67-68.
7 In questo bel clima ecclesiale in cui si sottolinea con forza l’importanza nativa della missionarietà in ordine alla conversione pastorale, bisogna distinguere la pastorale di conservazione dalla pastorale ordinaria. La conversione pastorale, tanto invocata già fin dai tempi di Giovanni Paolo II, importa un deciso cambiamento da una pastorale di conservazione ad una decisamente missionaria. La pastorale ordinaria è legata a quelle azioni pastorali inerenti all’evangelizzazione, alla liturgia e alla carità, che possono essere pensate e vissute o con una mentalità di pastorale di conservazione, e quindi di mantenimento dello status quo, oppure con una mentalità di pastorale missionaria. Per lo sviluppo di questo tema cf C. Torcivia, E se domani… Oltre le paure di un cristianesimo nostalgico, Il pozzo di Giacobbe, Trapani 2013.
8 Giovanni Paolo II, Discorso ai partecipanti al Congresso delle vocazioni in Europa, in «L’Osservatore Romano» 11/05/97, p. 4. Per un agile commento pastorale a questa espressione cf C. Quaranta, Aspetti pastorali: l’azione pastorale per le vocazioni, in «Vocazioni» XX(2003/5), pp. 38-49, in particolare pp. 40-43.
9 Cf A. Ladisa, La pastorale vocazionale è la vocazione della pastorale oggi, in «Vocazioni» XXIV(2007/2), pp. 30-45.
10 Questo rapporto intrinseco tra i diversi settori della pastorale vocazionale e il compito della pastorale vocazionale di suscitare vocazioni sia alla vita consacrata sia al ministero ordinato viene ancora una volta confermato – con una mentalità purtroppo antiquata, di fondazione e di finalizzazione cioè dell’animazione vocazionale generale in vista delle vocazioni alla vita consacrata e al ministero ordinato – da un recente articolo di cui si riporta di seguito un significativo stralcio: «Al fine di rendere possibile la scelta vocazionale della vita consacrata o del ministero ordinato, la pastorale vocazionale deve necessariamente proporre e accompagnare un itinerario di fede che sia, per sua natura, comprensione ed esperienza di tutto il fatto vocazionale. La pastorale vocazionale, cioè, avendo come obiettivo l’animazione del popolo di Dio perché maturino in esso tutti i germi di vocazione consacrata e sacerdotale che a piene mani il Signore elargisce alla sua Chiesa, non può prescindere, nel suo servizio, dalla tematica vocazionale nella sua complessità teologica ed esistenziale. Così essa è “dentro” tutta la pastorale, ne autentica l’azione e chiede costante attenzione. La pastorale vocazionale finisce, così, per divenire “unitaria” in quanto: coinvolge tutta l’azione ecclesiale, riguarda tutti, s’interessa di tutte le vocazioni ordinate e di speciale consacrazione, percorre tutte le vie della pastorale ordinaria» (La pastorale vocazionale unitaria e il Centro Diocesano Vocazioni, in «Vocazioni» XXIV(2007/5), pp. 22).