N.01
Gennaio/Febbraio 2015

La profezia vocazionale del Concilio Vaticano II

La ricorrenza “cinquantenaria” della promulgazione della Lumen gentium (21 novembre 1964 // 2014) rappresenta un’occasione propizia per riflettere sul cap. V, «L’universale vocazione alla santità nella Chiesa», e approfondire la ricchezza della chiamata alla santità nella Chiesa, «madre e grembo di tutte le vocazioni»1.

1. Retrospettiva
È importante richiamare alla memoria il faticoso itinerario che ha caratterizzato la genesi della Lumen gentium e segnatamente il cap. V2. Ne segnaliamo i passaggi cruciali. Nel periodo che ha preceduto l’apertura del Concilio, la commissione teologica preparatoria (tra giugno 1960 e novembre 1962) ha elaborato un elenco di tredici punti, da cui si ricavò un primo schema formato da undici capitoli, che venne distribuito il 23 novembre 1962 ai padri conciliari.
La risposta dei padri fu critica, sia per la configurazione dei contenuti che per il linguaggio impiegato. Sulla base delle nuove indicazioni, la commissione teologica presentò una nuova versione del documento, articolato in quattro parti: I. «Il mistero della Chiesa»; II. «La costituzione gerarchica della Chiesa»; III. «Il popolo di Dio, con particolare considerazione dei laici»; IV. «La vocazione alla santità nella Chiesa». Il dibattito su questo secondo schema suggerì l’opportunità di aggiungere un altro capitolo: «L’indole escatologica della nostra vocazione e l’unione con la Chiesa celeste» (che corrisponde all’attuale cap. VII). Inoltre i padri deliberarono di non predisporre un documento specifico sulla Vergine Maria, ma di inserire la riflessione mariologica nella stessa costituzione sulla Chiesa (l’attuale cap. VIII). Nella prima parte del cap. III si decise di far precedere la trattazione del popolo di Dio rispetto ai ministeri e agli stati di vita. La seconda parte del cap. III sui «Laici» restò invece nel suo posto. Il cap. IV si occupava originariamente dei «religiosi» e della «vocazione alla santità».
Nella successiva discussione si deliberò di scomporre il capitolo in due parti e di far precedere il tema dell’«universale vocazione alla santità nella Chiesa», inserendo solo dopo la trattazione riguardante la vita religiosa e la sua specifica missione3. In tal modo risulta chiaro come la vita fondata sui «consigli evangelici» non si basa sull’organizzazione gerarchica, ma fa parte della struttura carismatica della Chiesa. In definitiva, l’attuale cap. V, «Universale vocazione alla santità nella Chiesa», è collocato tra il cap. IV, che tratta dei laici, e il cap. VI che presenta la vita religiosa4. Un ulteriore aspetto dell’elaborazione del cap. V ha riguardato lo stile e la formulazione linguistica, che riguardava: «Gli stati di vita nei quali si aspira alla perfezione evangelica». L’attuale formulazione pone l’accento sulla “santità” più che sulla “perfezione”. Tale accentuazione permette di comprendere meglio la relazione di grazia che i credenti sperimentano nell’incontro con Dio, «il solo santo», mentre l’idea di perfezione indica il dinamismo spirituale dal punto di vista ascetico-morale. In tal modo si ha l’idea che lo stato di perfezione (status perfectionis) non è esclusivo della vita consacrata che persegue la via dei consigli evangelici, ma appartiene a tutti i battezzati che partecipano in pienezza alla realizzazione della «vocazione alla santità», ciascuno nel proprio stato di vita. Il cap. V ribadisce che tale vocazione universale avviene «nella Chiesa» (in Ecclesia). Questa accentuazione ricorda che la santità non riguarda solo la sfera individuale, ma si collega necessariamente alla santità di Cristo e della Chiesa, che ne è il corpo. In definitiva, tutti e tre gli stati di vita, i ministri ordinati, i laici e i religiosi hanno le proprie radici nello stesso mistero e sono variamente connessi gli uni agli altri, vivendo l’irrepetibile e unica «vocazione alla santità»5.
Rileggere “oggi” LG V permette di cogliere un triplice aspetto che orienta la comprensione del lettore. Anzitutto l’utilizzazione del concetto-chiave racchiuso nell’espressione «vocazione alla santità»6. È noto il dibattito sull’utilizzazione della categoria di “vocazione” e sulla sua valenza teologico-morale7. Occorre approfondire nella pastorale vocazionale la radice biblica del binomio vocazione-santità, confermata dalla fecondità della prospettiva conciliare8.
Un secondo aspetto riguarda la “totalità” dei credenti, chiamati alla santità («universale vocazione»). Tale sottolineatura pone in evidenza la dimensione antropologica9 ed ecumenica10 della permanente chiamata alla santità, fondata sulla volontà di Dio «che tutti gli uomini siano salvati e arrivino alla conoscenza della verità» (1Tm 2,4). Il terzo aspetto concerne l’identità della Chiesa, la sua missione ad extra e la pastorale vocazionale, il cui rinnovamento è uno degli elementi cruciali del Concilio e del successivo magistero pontificio11.

2. Prospettiva
Diversi studiosi hanno intravisto il LG V una delle chiavi interpretative dell’ecclesiologia conciliare. Annota J. Ratzinger: «Chi vuole capire la logica dell’ecclesiologia conciliare non può trascurare i capitoli IV-VII della costituzione»12. Considerando la retrospettiva e la formazione del capitolo, possiamo cogliere oggi ancora meglio il suo valore “vocazionale” per la Chiesa e per l’uomo del nostro tempo13.
Racchiudo in quattro slogan il messaggio prospettico di LG V per la pastorale vocazionale: a) Con Dio in Cristo; b) Comprendere e amare la Chiesa; c) Vocazione e missione; d) Dono e compito. 

2.1 Con Dio in Cristo
La “santità” esprime anzitutto un attributo di Dio, il solo santo che si rivela all’uomo attraverso il dono dell’Amore. Essa qualifica la natura di Dio, la sua essenza trascendente, il suo essere sempre se stesso. Parlare di santità significa alludere alla vita stessa di Dio nella comunione del suo mistero trinitario. In virtù della sua natura, Dio è fonte e culmine di un processo vivificante e unificante, che muove dal Padre e si realizza nel Figlio, con l’azione dello Spirito Santo. In questo senso la santità è la vita stessa della SS. Trinità riversata in noi e allo stesso tempo il “dinamismo vocazionale” del mistero profondo che unisce Dio all’uomo mediante il battesimo. Per tale ragione, ciò che è esclusivo di Dio costituisce anche la nostra realtà più intima e vera. In Lui “santo”, siamo resi santi anche noi, «conformi all’immagine del Figlio suo» (Rm 8,29). La santità di Dio interpella ogni credente e lo spinge a rispondere, facendo della sua esistenza un “compito vocazionale”. La grazia di Dio è il dono prezioso compiuto nel suo Figlio mediante lo Spirito. Tale dono s’incarna operativamente in ciascun battezzato, a partire dalle doti personali, dallo stile di vita e dai compiti che è chiamato a svolgere. La condizione necessaria per vivere pienamente la santità è rimanere «con Dio in Cristo» (cf Gv 15,9-10). 

2.2 Comprendere e amare la Chiesa
L’invito a «perseguire la santità e la perfezione del proprio stato» (LG, n. 42) è una riscoperta e insieme una riconsegna che il Concilio offre a tutti i battezzati. Secondo la prospettiva teologica della Lumen gentium, la santità di ogni battezzato è ancorata alla santità stessa della Chiesa (communio sanctorum). Per tale ragione è fondamentale riscoprire la comunità ecclesiale come “luogo” in cui si coglie la propria vocazione e si condivide il cammino comunitario della pienezza14. La salvezza non è donata in funzione di una logica “autoreferenziale” ma “comunionale”, che consente di vivere il dono reciproco di se stessi (cf 1Cor 12,7). «La communio sanctorum non va intesa come mera unione di membri santi: la sua santità è invece fondata sulla partecipazione ai beni della salvezza: una comunità, una santità che esiste soltanto a causa della condivisione del bene o “dono” (munus) comune, secondo il primo significato del termine communio»15. In questo senso il cap. V della Lumen gentium ci aiuta a comprendere il mistero della “santità della Chiesa”, così com’è professata nel Credo. Nel confermare la fede nella “Chiesa santa”, si fa riferimento alla sua esistenza in Cristo e nello Spirito (cf 1Cor 12,1-27), ma non si esclude il bisogno di purificazione da ogni peccato e la responsabilità dei battezzati. Tutti hanno il compito di vivere l’appartenenza a Dio come fondamento del proprio cammino di santificazione16. Tale cammino, contrassegnato da diverse vie e mezzi, trova il suo compimento e la sua forza nella vita eucaristica17. In definitiva la tensione alla santità non deve ridursi a forme di ascetismo individuale, ma aprirsi all’esercizio della responsabilità nei confronti dell’intera comunità ecclesiale. Il modo con cui ciascun battezzato vive la propria vocazione alla santità si riverbera su tutti gli altri membri della comunità e di conseguenza, sull’umanizzazione del mondo intero: «è dunque evidente per tutti, che tutti coloro che credono nel Cristo di qualsiasi stato o rango, sono chiamati alla pienezza della vita cristiana e alla perfezione della carità e che tale santità promuove nella stessa società terrena un tenore di vita più umano»18. 

2.3 Vocazione e missione
La chiamata universale alla santità “nella carità” non può che essere al cuore della vita spirituale di ogni credente e di tutta la comunità. L’impiego della categoria “vocazione” con tutta la sua ricchezza biblica e teologica, evoca lo stile liberante, dialogante e profetico dell’agire di Dio nella storia. Nel dinamismo dell’amore trinitario che si estende a tutti va collocata la realtà della vocazione di ogni uomo, sull’esempio del Figlio di Dio che si è incarnato per amore e che ha realizzato nella piena obbedienza al Padre il progetto della salvezza. In Cristo e nella sua “sequela”, il credente trova la strada della santità, conseguenza di un discernimento personale e di una decisione libera di vivere qualitativamente la propria esistenza come prolungamento della stessa missione di Gesù. Emerge oggi l’urgenza di ri-comprendere e attualizzare in tutta la pastorale il valore progettuale della “vocazione” in vista della missione («tutta la pastorale deve essere pensata in prospettiva vocazionale»). In questo senso la “vocazione” deve diventare uno dei temi generatori della proposta pastorale della Chiesa nei prossimi anni. La categoria “vocazione” costituisce un concetto più ampio di quello di missione, poiché comprende la “chiamata alla comunione”, l’esperienza della vita ecclesiale e la progettualità evangelizzatrice. Allo stesso tempo la “comunione” è l’aspetto fondamentale, destinato a durare sempre, mentre la missione ne è una conseguenza ed è limitata all’esistenza terrena. Docile alla fantasia dello Spirito Santo, ogni battezzato interpreta la propria vicenda esistenziale in chiave vocazionale, portando «i frutti dello Spirito per la santificazione» (cf Gal 5,22; Rm 6,22) e invocando continuamente la misericordia di Dio, affinché «rimetta i nostri debiti» (Mt 6,12). 

2.4 Dono e compito
Dalla lettura del cap. V si conferma l’idea che la santità è insieme “dono e compito” affidato ai credenti. È un «dono di grazia» (charis) e di amore (agapē), indicato con diverse espressioni bibliche (giustificazione, adozione filiale, configurazione, somiglianza) che definiscono l’essere umano nella sua relazione di appartenenza a Dio (deiformitas: cf LG, n. 40). Nondimeno la “vocazione alla santità”, in quanto relazione libera e liberante, rimane un appello rivolto nella coscienza della persona, in attesa di risposta. «La santità esige che la persona accolga l’azione di Dio e racchiude in sé lo sforzo (tendere), il dovere di farlo, come sintetizzato nella formula della dottrina cattolica della grazia secondo cui Dio può fare tutto, ma non tutto da solo»19. L’ideale della “perfezione della carità” non è presentato in termini generici e astratti, ma proposto in modo realistico e concreto. Lungi dall’essere un meccanismo automatico, la santità va immaginata come un cammino personale e comunitario di “sequela”, un dinamismo di ascolto e di obbedienza, un impegno d’imitazione e di comunione. Per tale ragione la “vocazione alla santità” deve plasmare l’intera esistenza del singolo credente e della comunità ecclesiale nella sua molteplicità ministeriale. In questi cinquant’anni dalla promulgazione della Lumen gentium il tratto di strada compiuto è notevole. Abbiamo il dovere di proseguire risolutamente in questa direzione, sia sul piano della riflessione teologica che su quella della pastorale vocazionale20. 

Note:
1 Cf gli studi proposti nel numero monografico: Specificità e reciprocità di carismi e ministeri per una comunità cristiana “grembo di tutte le vocazioni”!, in «Vocazioni» 6(2004), pp. 3-95.
2 Cf M. Schlosser, Chiamati alla santità nella Comunione dei Santi. Osservazioni sul quinto capitolo della Lumen gentium, in «Communio» 238(2013), pp. 55-57.
3 Il passaggio dall’«universale vocazione alla santità», che riguarda tutti i battezzati, alla realizzazione propria della vita religiosa è ravvisabile nel collegamento di LG 42,2 che descrive i particolari doni della grazia e introduce al cap. VI. Leggiamo infatti: «Tutti i fedeli del Cristo quindi sono invitati e tenuti a perseguire la santità e la perfezione del proprio stato. Perciò tutti si sforzino di dirigere rettamente i propri affetti, affinché dall’uso delle cose di questo mondo e da un attaccamento alle ricchezze contrario allo spirito della povertà evangelica non siano impediti di tendere alla carità perfetta; ammonisce infatti l’Apostolo: Quelli che usano di questo mondo, non vi ci si arrestino, perché passa la scena di questo mondo (cf 1Cor 7,31)» (LG 42).
4 Nell’aula conciliare ci fu anche la proposta di collocare il tema della «vocazione alla santità» già nel capitolo II, dedicato al «Popolo di Dio», non solo perché questo capitolo offre una fondazione della teologia del laicato, ma soprattutto per la partecipazione di tutti i battezzati al popolo santo di Dio e al «sacerdozio comune» di tutti i fedeli. In tal modo l’«universale vocazione alla santità» è vista in stretta connessione con il tema del «sacerdozio comune» dei battezzati (LG, nn. 10-11). In questa prospettiva vi sono altri testi conciliari che affrontano la questione con accentuazioni diverse: cf Sacrosanctum Concilium, n. 14; Unitatis Redintegratio, n. 4; Apostolicam Actuositatem, nn. 2-3; Ad Gentes, n. 15; Presbyterorum Ordinis, n. 2.
5 M. Schloss er, Chiamati alla santità nella Comunione dei Santi. Osservazioni sul quinto capitolo della Lumen gentium, in «Communio» 238(2013), p. 57: «Diversi Padri conciliari chiesero di ancorare più saldamente la “vocazione alla santità”, già all’inizio, alla teologia della grazia e all’ecclesiologia, evitando di offrire un’esposizione primariamente teologico-morale. Dall’altra partesembrava altrettanto importante fare un adeguato risalto alla responsabilità del cristiano, al suo contribuire alla grazia. Anche qui andava trovato un equilibrio tra la santità sul piano dell’oggettività ontologica, quella donata come grazia, e il conseguente dovere di darle compimento. Non pochi padri (un centinaio) raccomandarono infine di formulare espressamente il nesso tra charitas e “santità” o le altre virtù teologali, in modo che la “santità” non rimanesse troppo sulle generali e da dire qualcosa anche sui singoli stati di vita concreti; una richiesta accolta al n. 41».
6 Tale prospettiva è stata ben tematizzata da T. Vetrali, La santità da categoria di separazione a luogo di unità, in La santità terreno di unità (Quaderni di Studi Ecumenici), a cura di T. Vetrali, Istituto di Studi ecumenici, Venezia 2009, pp. 11-44.
7 Cf E. Masseroni, «Vocazione e vocazioni», in Nuovo Dizionario di Teologia Morale, a cura di F. Compagnoni – G. Piana – S. Privitera, San Paolo, Cinisello Balsamo (MI) 19994, pp. 1498-1505; S. Majorano, Il dialogo vocazionale: iniziativa di Dio e libera risposta dell’uomo, in «Seminarium» 1-2(2006), pp. 247-266; L. Bressan, Sequela o ministero? Vocazione o progetto? Ben al di là di una semplice questione di parole, in «La Scuola Cattolica» 3(2004), pp. 405-424; F. Scanziani, Destino, destinazione, vocazione, in «La Scuola Cattolica» 3(2004), pp. 425-450; D. D’Alessio, ”Va’ dai miei fratelli e dì loro: io salgo al padre mio e padre vostro…”. Riflessione sulla vocazione come “legame” e “testimonianza, in «La Scuola Cattolica» 3(2004), pp. 519-551; F. G. Brambilla, Vocazione della Chiesa e vocazioni nella Chiesa, in «La Scuola Cattolica» 3(2004), pp. 553-576.
8. Impiego teologico morale è resa evidente dalla mole di pubblicazioni sul tema nel periodo postconciliare (cf Dizionario Biblico della Vocazione, a cura di G. De Virgilio, Rogate, Roma 2007).
9 Cf P. Piva, La struttura dell’etica teologica e gli attuali dissensi tra le chiese nella prospettiva di un ecumenismo della santità, in La santità terreno di unità, a cura di T. Vetrali, cit., pp. 103-135.
10 Cf R. Giraldo, Universale vocazione alla santità nella Chiesa, in La santità terreno di unità, cit., pp. 69-86; G. Cereti, La santità nella riflessione ecumenica, in La santità terreno di unità, cit., pp. 87-102.
11 Cf F. Ferrario, Credo la Chiesa santa, in La santità terreno di unità, cit., pp. 45-68.
12 Cf C. Schönborn, Leben für die Kirche. Die Fastenexerzitin des Papstes, Freiburg 1997; J. Ratzinger, Die Ekklesiologie der Kostitution «Lumen gentium», in S.O. Horn – V. Pfnür (a cura di), Weggemeinschaft des Glaidbens. Kirche als Communio. Festgab zum 75. Geburtstag, Ausburg 2002, pp. 107-131 (128).
13 Annota R. Giraldo: «Il tema della santità, per come è trattato nel capitolo quinto della Lumen gentium, andrebbe in qualche modo considerato come il cuore della finalità stessa della chiesa chiamata a portare la santità agli uomini e al mondo tutto» (R. Giraldo, Universale vocazione alla santità nella Chiesa, in op. cit., p. 70).
14 Cf J. Ratzinger, L’ecclesiologia della Costituzione Lumen Gentium, in La Comunione nella Chiesa, San Paolo, Cinisello Balsamo (MI) 2004, pp. 129-161.
15 M. Schlosser, Chiamati alla santità nella Comunione dei Santi. Osservazioni sul quinto capitolo della Lumen gentium, in «Communio» 238(2013), pp. 61-62.
16 Il tema della Chiesa santa e bisognosa di purificazione è richiamato in Lumen gentium, nn. 8; 15; Gaudium et Spes, n. 43; Unitatis Redintegratio, nn. 4.6; cf M. de Salis, Concittadini dei santi e familiari di Dio, pp. 195-206.
17 «”Dio è amore e chi rimane nell’amore, rimane in Dio e Dio in lui” (1Gv 4,16). Dio ha diffuso il suo amore nei nostri cuori per mezzo dello Spirito Santo, che ci fu dato (cf Rm 5,5); perciò il dono primo e più necessario è la carità, con la quale amiamo Dio sopra ogni cosa e il prossimo per amore di lui. Ma perché la carità, come buon seme, cresca e nidifichi, ogni fedele deve ascoltare volentieri la parola di Dio e con l’aiuto della sua grazia compiere con le opere la sua volontà, partecipare frequentemente ai sacramenti, soprattutto all’eucaristia, e alle azioni liturgiche; applicarsi costantemente alla preghiera, all’abnegazione di se stesso, all’attivo servizio dei fratelli e all’esercizio di tutte le virtù» (Lumen gentium, n. 42).
18 Ivi, n. 40.
19 M. Schlosser, cit., p. 63.
20 Cf G. De Virgilio, Bilancio conclusivo, in G. De Virgilio (a cura di), La vocazionale alla santità. Prospettive teologico-morali nel 50° della Lumen gentium. Scritti in onore di T.G. Kennedy CSsR, Rogate, Roma 2014, pp. 167-171.