Aprirsi all’imprevedibilità di Dio
La Provvidenza ha voluto che il 32° Seminario sulla direzione spirituale – che prende ispirazione quest’anno dalla figura del vescovo di Molfetta don Tonino Bello (1935-1993) – si svolgesse nel Salento, sua terra d’origine, proprio nel 24° anniversario della sua morte.
Don Tonino Bello, così vicino a noi nel tempo e così profeticamente eloquente, offre spunti e suggestioni che vanno ben oltre le tematiche inerenti l’accompagnamento vocazionale e personale, essendo stato educatore, parroco e, come vescovo, pastore di una diocesi.
Approfondendo la conoscenza della sua biografia e dei suoi testi, emerge con assoluta evidenza come il suo stile sia stato anticipatore di quello di Papa Francesco, con una singolare sintonia nei contenuti e per il gusto dei gesti profetici. A ben guardare, hanno solo un anno di differenza: don Tonino è nato nel 1935, Papa Bergoglio nel 1936. Quando don Tonino, nel 1957, viene ordinato presbitero, Mario Jorge Bergoglio era ancora nel cammino di formazione, ricevendo l’ordinazione solo nel 1969. Così anche nell’ordinazione episcopale don Tonino precederà di dieci anni – nel 1982 – quella del futuro papa.
1. “Gemma Apuliae”
Papa Paolo VI, due anni dopo la conclusione del Concilio Vaticano II, indirizzò ai vescovi di Francia, Svizzera e Piemonte la lettera apostolica “Gemma Sabaudiae”, in occasione dei 400 anni della nascita di San Francesco di Sales, esprimendo la convinzione che un Concilio ha bisogno di uomini e donne che diano corpo, anima e vita a ciò che i testi conciliari hanno dichiarato. Parafrasando il titolo di quella lettera potremmo dire che don Tonino è “Gemma Apuliae”, o più specificamente “uxentina”, dono di Dio alla Chiesa tutta per dare attuazione fedele e creativa ai dettami conciliari.
2. Ascolto, parole, esercizi: liberare la forza d’urto della Parola
Gli elementi tratti da don Tonino e che faranno da guida in questo Seminario sono: “ascolto dei sogni”, “coraggio di parole scomode”, “esercizi di concretezza”. A ben guardare “ascolto”, “parole”, “esercizi” costituiscono elementi fondamentali dell’educazione alla fede e dell’accompagnamento spirituale. In fondo le grandi guide spirituali sono stati uomini e donne di ascolto, capaci di suscitare una piena apertura del cuore, di rispondere con sapienza alla richiesta di una parola orientatrice e di indicare passi o esercizi concreti per avanzare nel cammino della fede. Don Tonino tutto questo l’ha attuato in una maniera originale e suggestiva.
Ascolto dei sogni: don Tonino invitava a investire sui sogni dei giovani.
Pensiamo al sogno di Salomone, a cui il Signore dice: «Chiedimi ciò che vuoi che io ti conceda» (1Re 3,5). È un sogno che contiene una promessa. Pensiamo al sogno di Giuseppe, sposo di Maria: «Giuseppe, figlio di Davide, non temere di prendere con te Maria, tua sposa» (Mt 1,20). I sogni portano con sé una promessa e una missione, ma hanno anche bisogno di un cammino di interpretazione, di purificazione, di chiarificazione, come vediamo nella vicenda di Giuseppe l’ebreo (cf Gen 37-45, in particolare 37,5-10).
Parole scomode: una parola che genera la vita, ma anche parole scomode. Don Tonino possedeva un indiscusso talento letterario.
La sua abilità con le parole non era compiacimento estetizzante. Le sue parole venivano dalla vita – descritta in tutta la sua lussureggiante ricchezza – e volevano generare vita, mettere in moto decisioni. Erano molto spesso parole “scomode”, ossia profetiche, inviti ad uscire da visioni e comportamenti abituali, per acquistare un orizzonte nuovo, per aprirsi al sogno, cioè al gusto degli orizzonti grandi e della missione/promessa che Dio vuole affidarci.
Esercizi di concretezza: don Tonino parlava con le parole e coi gesti, parole e gesti che colpivano, come vediamo costantemente oggi in Papa Francesco, alla scuola della rivelazione biblica compiuta “gestis verbisque”. Parole e gesti il più delle volte da condividere insieme, come esercizi concreti di vangelo.
Per don Tonino tali parole e tali gesti erano pensati come “sassolini nelle scarpe”, era cioè ben consapevole che molte delle iniziative profetiche che lo Spirito gli suggeriva e che metteva in piedi insieme alla sua gente non erano la ricetta che risolveva i problemi, ma andavano poste per suscitare interrogativi e scrupoli di coscienza, come un invito forte a interrogarsi, a scuotersi, a cercare risposte.
Era il suo stile: rinuncia ai segni del potere, riconoscendo “il potere dei segni”, quelli che hanno il sapore del Vangelo, che liberano la forza d’urto della Parola di Dio.
3. Chiesa “madre” e pedagogia divina
Ciascuno di noi ha già, di fatto, nel cuore tanti volti di persone e specialmente di giovani verso i quali vive una sollecitudine umana, fraterna, una cura evangelica di crescita. Don Tonino ci testimonia un prendersi cura non individualistico, ma ecclesiale, espressione della passione e dell’amore di una Chiesa “madre”, che sente davvero che tutti i giovani sono cari a Dio e per questo unici e speciali.
Tornando alle figure bibliche dei sogni, a quello di Giuseppe l’ebreo, di Salomone, di Giuseppe lo sposo di Maria, è bello pensare che su ogni persona che incontriamo c’è un sogno, una promessa di Dio: non si tratta di arruolare o reclutare per qualcosa che io so già, ma c’è una promessa sulla propria vita da scoprire. E così, pensando al sogno di Giuseppe, sposo di Maria, che vive il sogno innanzitutto come rivelazione di un compito, è bello far scoprire a ogni persona, soprattutto se giovane, di essere atteso e necessario, di non essere al mondo per caso, solo per fare numero.
Dio fa sì che emerga veramente il nostro nome, e non le sue illusorie contraffazioni, quello scritto sulla pietruzza di cui ci parla l’Apocalisse e che scopriremo nell’ultimo giorno (cf Ap 2,17). Tutto ciò è anche molto liberante: non sono io accompagnatore a doverti svelare chi sei, quasi io potessi conoscere in anticipo la tua identità profonda e le scelte che devi fare; ma non sei nemmeno tu a saperlo in anticipo. Se Dio ha un sogno su di noi, non si tratta di qualcosa di assimilabile alle aspettative dei genitori, da cui difendersi. Così, se un sogno fa breccia nella nostra vita, non dobbiamo pensare di poterlo interpretare senza che faccia esplodere le aspettative che noi stessi coltiviamo sul nostro conto.
Don Tonino educa chi incontra a riscoprire Dio non solo come «una specie di superlativo assoluto di tutte le connotazioni positive che si riscontrano nelle creature», dunque il massimo di ogni cosa, bellissimo, perfettissimo, onnipotente, ma come Colui che è imprevedibile, l’inedito, totalmente altro, che ci spiazza tutti i giorni: questa è la pedagogia di Dio1.
È importante che nella Chiesa ci siano educatori e accompagnatori spirituali che accolgono il cammino di ciascuno credendo all’esistenza di una promessa e di un compito e capaci di aiutare ad affidarsi alla promessa e a riconoscere e accogliere il compito. E questo a partire dalla vita stessa, perché la materia prima con cui il Signore parla, interpella e dà forma alla nostra esistenza personale, sono la storia, i limiti, le potenzialità, le esperienze personali. Da questo groviglio fa emergere il sogno e svela il nostro nome unico, lavorandoci come Giuseppe l’ebreo con la sua provvidenza e la sua misericordia, fino all’ultimo respiro.
4. Accompagnare, ossia aprirsi all’imprevedibilità di Dio
Ci piace pensare che il cammino di tutta la Chiesa in preparazione al Sinodo sui giovani sia fatto perché possa essere sempre più una Chiesa davvero ospitale verso le generazioni che crescono, capace di riconoscerne il protagonismo e di aprirsi all’inedito che Dio, attraverso i giovani, vuole immettere nella Chiesa e nella società.
Nel cammino in preparazione alla Pasqua del 1989 don Tonino si inventò di settimana in settimana un commento ai piedi degli apostoli, da quelli di Pietro a quelli di Giuda. E commentando i piedi di Giovanni, «emblema di quel mondo ad alto rischio che si chiama gioventù», scriveva: «Diciamocelo con franchezza: i giovani rappresentano sempre un buon investimento perché sono la misura della nostra capacità di aggregazione e il fiore all’occhiello del nostro ascendente sociale, perché se sul piano economico il loro favore rende in termini di denaro, sul piano religioso il loro consenso paga in termini di immagine. Servire i giovani invece è un’altra cosa: significa considerarli poveri con cui giocare in perdita, non potenziali ricchi da blandire furbescamente in anticipo. Significa ascoltarli, deporre i panneggi del nostro insopportabile paternalismo, cingersi l’asciugatoio della discrezione per andare all’essenziale, far tintinnare nel catino le lacrime della condivisione e non quelle del disappunto per le nostre sicurezze predicatorie messe in crisi; asciugare i loro piedi non come fossero la protesi dei nostri, ma accettando con fiducia che percorrano altri sentieri imprevedibili e comunque non sempre tracciati da noi. Saremo capaci di essere una Chiesa così serva dei giovani da investire tutto sulla fragilità dei sogni?»2. È quanto possiamo augurarci anche tutti noi nel nostro servizio di educatori vocazionali alla scuola di don Tonino Bello.
NOTE
1 A. Bello, Non c’è fedeltà senza rischio. Per una coraggiosa presenza cristiana, San Paolo, Cinisello Balsamo (MI) 2000, pp. 79-81.
2 A. Bello, «I piedi di Giovanni», in Omelie e scritti quaresimali. Scritti di mons. Antonio Bello 2, Mezzina Editore, Molfetta 1994, p. 352.