N.06
Novembre/Dicembre 2017

«Che cosa cercate?» (Gv 1,38): sulle orme del discepolo amato

Il XV Sinodo dei Vescovi (Roma, 7-28 ottobre 2018) ha come tema: “I giovani, la fede e il discernimento vocazionale”1. Si tratta di un evento che si colloca nel cammino odierno della Chiesa universale e mette in luce il ruolo del mondo giovanile, che è allo stesso tempo soggetto e destinatario della proposta evangelica. Dopo aver riflettuto sul dinamismo della Nuova Evangelizzazione (cf Evangelii gaudium) e sul protagonismo della Famiglia nel progetto di Dio (cf Amoris laetitia), l’attenzione è posta sui Giovani, che interpellano la dimensione generativa della comunità ecclesiale, chiamata ad accompagnare e orientare le nuove generazioni verso il futuro2.

L’icona scelta per il cammino del Sinodo è l’immagine giovannea del “discepolo amato”3. Senza entrare nel merito del dibattito esegetico relativo all’identificazione di questa figura giovannea4, la nostra attenzione si focalizza sull’itinerario teologico-narrativo del Quarto Vangelo e segnatamente sul motivo del “discernimento vocazionale” che caratterizza l’esistenza del discepolo. Nello sviluppo “rivelativo” della missione di Gesù Cristo secondo il Vangelo giovanneo si possono individuare cinque tappe che segnano il progressivo cammino di discernimento con importanti applicazioni teologiche e pastorali5.

Le tappe sono così tematizzate: 1) «Che cosa cercate?» (Gv 1,38): sulle orme del discepolo amato; 2) Il discepolo amato nel cuore di Cristo (Gv 13,23); 3) Il discepolo amato sotto la croce (Gv 19,25-37); 4) «Vide e credette» (Gv 20,1-10): la fede del discepolo amato; 5) «È il Signore» (Gv 21,7): il discepolo amato e la testimonianza che resta.

1.All’inizio la “testimonianza vocazionale”

Nell’introdurci al racconto giovanneo riguardante il “discepolato” va rivelata l’importanza narrativa e teologica del tema della “testimonianza” (martyría)6. Fin dal Prologo (Gv 1,1-18) la testimonianza è attribuita a Giovanni Battista ed evoca due aspetti strettamente collegati: l’esperienza diretta del testimone oculare e la sua capacità di generare un incontro tra l’evento testimoniato e la comunità.

È quanto accade nella scena iniziale del quarto Vangelo (Gv 1,35-42), dove due giovani, Andrea e un suo compagno, decidono di seguire Gesù, da poco battezzato nel Giordano da Giovanni (cf Gv 1,29-34). In Gv 1,35-42 si presenta la chiamata dei primi due discepoli, a cui è associata la figura di Simon Pietro (vv. 35-42) e nei vv. 43-51 si riporta una seconda testimonianza vocazionale che coinvolge altri discepoli (vv. 43-51). È facile individuare nel brano giovanneo due scene parallele (vv. 35-42; 43-51) che culminano nella professione di fede di Natanaele (v. 49).

 2. Che cosa cercate?

La scena descritta in Gv 1,35-42 si compone di due atti: l’incontro tra Gesù e i primi due giovani che lo seguono e rimangono presso di lui (vv. 35-40) e l’incontro tra Gesù e Simone, condotto dal fratello Andrea (vv. 41-42). Il testo recita:

«Il giorno dopo Giovanni stava ancora là con due dei suoi discepoli e, fissando lo sguardo su Gesù che passava, disse: “Ecco l’agnello di Dio!”. E i suoi due discepoli, sentendolo parlare così, seguirono Gesù. Gesù allora si voltò e, osservando che essi lo seguivano, disse loro: “Che cosa cercate?”. Gli risposero: “Rabbì – che, tradotto, significa Maestro –, dove dimori?”. Disse loro: “Venite e vedrete”. Andarono dunque e videro dove egli dimorava e quel giorno rimasero con lui; erano circa le quattro del pomeriggio. Uno dei due che avevano udito le parole di Giovanni e lo avevano seguito, era Andrea, fratello di Simon Pietro. Egli incontrò per primo suo fratello Simone e gli disse: “Abbiamo trovato il Messia” – che si traduce Cristo – e lo condusse da Gesù. Fissando lo sguardo su di lui, Gesù disse: “Tu sei Simone, il figlio di Giovanni; sarai chiamato Cefa” – che significa Pietro» (Gv 1,35-42).

La prima parte del brano evidenzia la relazione tra chiamata dei primi discepoli e testimonianza messianica del Battista. I verbi impiegati sono molto espressivi: Giovanni «fissa lo sguardo (emblépsas) su Gesù che passa» (v. 42)7. Si indica l’atto di guardare con attenzione, penetrando nell’intimo dell’animo (emblépein), a cui segue la rivelazione: «Ecco l’agnello di Dio» (1,29) che prepara la sequela di Cristo. I due discepoli si mettono «a seguire» (ēkoloúthēsan) Gesù dopo aver ricevuto la testimonianza di Giovanni.

La sequela iniziale esprime il desiderio di incontrare Gesù, di sperimentare la sua amicizia, di “condividere” la sua novità.

Nel rapido dialogo emerge il bisogno di “incontrare” una persona speciale, capace di aprire il segreto della vita. Tale “desiderio” si trasforma in sequela (cf Mc 2,15; Mt 9,9; Lc 5,27s.).

La domanda che il Signore rivolge loro ha un profondo valore teologico ed intimo: «Che cosa cercate?» (ti zēteîte: v. 38). Questa prima espressione di Gesù nel quarto Vangelo possiede un valore programmatico: la narrazione giovannea indica nel lettore la ricerca della persona divina, come suggerisce l’analoga espressione in Gv 18,4.6 (nel contesto del tradimento) e Gv 21,15 (nel contesto delle apparizioni post-pasquali). Alla richiesta dei due discepoli che chiedono: «Maestro, dove dimori?» (rabbí, poû méneis) segue la risposta del Signore: «Venite e vedrete» (érchesthe kaì ópsesthe). La risposta invito di Gesù indica il percorso spirituale che i due discepoli sono chiamati a fare: un’esperienza personale con l’intimità di Cristo “dimorando” presso di lui. Si tratta del momento culminante dell’avventura vocazionale dei primi due giovani, evento che è rimasto così impresso nella memoria di Andrea e Giovanni da ricordare perfino l’ora (v. 39). Il “dimorare” (ménein) non esprime una mera descrizione locale, ma implica una relazione esistenziale e profonda, che segna l’inizio di una trasformazione interiore dei discepoli.

Nei vv. 41-42 l’esperienza di discepolato si traduce in testimonianza coinvolgente: Andrea narra l’esperienza a Simone, suo fratello, e lo conduce dal Signore. A differenza dei Vangeli sinottici, l’autore giovanneo colloca il primo incontro tra Gesù e Simone in questo contesto relazionale: Gesù «fissa lo sguardo» su Simone e ne definisce l’identità, mutandone il nome: «Tu sei Simone, il figlio di Giovanni; sarai chiamato Cefa». Pietro sarà la roccia e il fondamento su cui Cristo edificherà la sua Chiesa. La chiamata di Simone, come quella dei primi due discepoli, nasce anche in questo caso dalla testimonianza dell’esperienza vissuta nella fede.

3. Stupore, ammirazione, atto di fede

Il dinamismo spirituale del primo incontro si comprende ancora meglio nello sviluppo del capitolo. La seconda scena (vv. 43-51) descrive la chiamata di Filippo, che svolge, come Andrea, un ruolo testimoniale nei riguardi di Natanaele8. A fronte dell’incredulità di Natanaele (v. 46), viene riportato un singolare dialogo con Gesù che provoca un’entusiastica reazione di fede del discepolo: «Rabbì, tu sei veramente il figlio di Dio, tu sei il re d’Israele» (v. 49). Partendo per la Galilea, il Signore prende l’iniziativa di chiamare alla sequela Filippo, originario di Betsaida. Come Andrea e Giovanni, Filippo decide di porsi al seguito di Gesù. Il suo coinvolgimento con Cristo è tanto forte da spingerlo a testimoniare la propria esperienza a Natanaele: «Abbiamo trovato colui del quale hanno scritto Mosè, nella Legge, e i Profeti: Gesù, il figlio di Giuseppe, di Nazaret» (v. 45).

L’evangelista delinea gradualmente la figura di Cristo inserendola non solo nel presente storico dei suoi discepoli, ma anche nella tradizione scritturistica («Mosè e i profeti») delle attese di Israele.

La prima reazione di Natanaele è ispirata allo scetticismo, poiché la patria del messia non può essere Nazaret, un umile villaggio della Galilea. Allo stesso tempo Natanaele vive il desiderio di incontrare Cristo e si dirige verso di lui. Gesù lo precede con un’affermazione imprevista: «Ecco davvero un Israelita in cui non c’è falsità» (v. 47). Natanaele è chiamato a passare da una precomprensione formale delle Scritture a un incontro personale con il mistero del Figlio di Dio. Parlando al cuore, Gesù mostra di conoscere la sua intimità e ne svela tutto il desiderio di verità. Il “conoscere” preveniente del Signore apre ad un’amicizia profonda, evidenziando la tenerezza della relazione interpersonale. L’intimità spirituale con Cristo non va interpretata come un atto di violenza nel cuore del discepolo, ma come apertura e disponibilità a un incontro di fede. Dal cuore autentico di Nicodemo sgorga la stupenda professione di fede: «Rabbì, tu sei il Figlio di Dio, tu sei il re d’Israele!» (v. 49; cf 2Sam 7,12-14).

4. Da sogno all’incontro

La narrazione culmina in una rivelazione programmatica di Gesù nei riguardi dei suoi discepoli (vv. 50-51). La comunione fraterna con Cristo non si limita a un’amicizia tra intimi, ma si apre all’annuncio e alla testimonianza “universale”. La rivelazione di Gesù aumenta lo stupore di Natanaele e degli altri discepoli: «In verità, in verità io vi dico: vedrete il cielo aperto e gli angeli di Dio salire e scendere sopra il Figlio dell’uomo» (v. 51). Il lettore può leggere in queste parole un messaggio programmatico della missione di Cristo e della Chiesa. I credenti sono chiamati a vivere la sequela di Gesù aprendosi ad un “mistero più grande” che collega il cielo e la terra, che determina il destino dell’umanità.

La rivelazione cristologica va compresa alla luce dell’antico racconto del sogno di Giacobbe (cf Gen 28,10-17). Nel corso della sua faticosa esistenza, il patriarca vede il cielo aperto e una scala che scende verso la terra sulla quale vi sono gli angeli di Dio. Il simbolismo contenuto nella visione propone l’idea della “casa di Dio” e della “porta del cielo”, esperienze mistiche che schiudono davanti a Giacobbe il progetto della volontà celeste per la sua discendenza. Da parte sua Gesù ha adattato la visione di Giacobbe reinterpretandola in senso cristologico: non è più una scala a sostenere il collegamento tra la sfera celeste e il mondo terreno, ma è il “Figlio dell’uomo”, l’unico efficace mediatore tra il mistero di Dio e la realtà del mondo. Nella sua umanità incarnata, Gesù Cristo compie definitivamente le attese messianiche e rende presente e operante l’opera salvifica di Dio. I discepoli sono chiamati a conformare la loro esistenza alla luce dell’incontro con Cristo, divenendo progressivamente annunciatori del Vangelo9.

5. Prospettive teologico-pastorali

Gli elementi emersi suggeriscono alcune prospettive, che possono essere declinate nella comprensione del metodo pastorale e del discernimento vocazionale.

– Una prima prospettiva è costituita dal motivo dominante della “testimonianza”, che collega l’intera narrazione. La credibilità della testimonianza del Figlio, introdotta dal Battista, genera il desiderio dell’incontro personale con i discepoli e la conseguente decisione di “seguire Cristo”. La straordinaria figura del Battista rappresenta la prima importante mediazione di un incontro, che schiude il desiderio di uscire da se stessi e di cercare l’incontro con il Messia.

– Una seconda prospettiva è costituita dalla dinamica dell’incontro con Cristo, caratterizzata dal desiderio intimo e dalla “ricerca libera e aperta”. Il cuore dei primi discepoli si dilata di fronte al futuro e si prepara a una novità inattesa. Dal racconto giovanneo si coglie il bisogno di senso dei primi discepoli, la necessità di poter dare una risposta alle attese messianiche, mettendo in gioco la loro stessa esistenza. Da qui nasce la scelta vitale della sequela: decidere di seguire Cristo significa passare dall’idealità alla concretezza del cammino. Nell’immagine dell’”Agnello di Dio” si cela il mistero pasquale, che comporta un esodo da se stesso, verso la “terra promessa”.

– Una terza prospettiva è segnata dal dialogo liberante e accogliente di Cristo: «Che cercate? – Venite e vedrete». È il momento delicato del primo incontro. Esso segna l’ingresso in una nuova esperienza, fatta di volti e di storie nuove. L’evangelista sottolinea la dimensione esperienziale del “dimorare” con Gesù, evitando di riportare discorsi e contenuti. Più che un’idea, i discepoli incontrano una persona storica, concreta, reale, capace di accogliere e di condividere le loro stesse attese e il loro destino.

– Una quarta prospettiva è generata dal dinamismo della testimonianza che diventa annuncio universale. Due discepoli interpretano questo motivo: Andrea, che conduce Simone da Gesù, e Filippo. Quest’ultimo, chiamato direttamente dal Signore alla sequela, assimila a tal punto l’intimità del suo incontro irrepetibile con Cristo da non riuscire più a trattenere l’annuncio (Gv 1,45). Il discepolo, capace di vivere la novità del cambiamento, diventa inevitabilmente “missionario”, per la forza intrinseca dell’incontro con l’Amore che cambia la vita. Annota a proposito Papa Francesco:

«Ogni cristiano è missionario nella misura in cui si è incontrato con l’amore di Dio in Cristo Gesù; non diciamo più che siamo “discepoli” e “missionari”, ma che siamo sempre “discepoli-missionari”. Se non siamo convinti, guardiamo ai primi discepoli, che immediatamente dopo aver conosciuto lo sguardo di Gesù, andavano a proclamarlo pieni di gioia: “Abbiamo incontrato il Messia” (Gv 1,41)»10.

– Una quinta prospettiva è data dalla dimensione “comunitaria” dell’esperienza vocazionale. L’incontro con Cristo non può assumere un carattere autoreferenziale e intimistico. La comunità non è mai vista come una setta chiusa nel proprio mondo ideologico, bensì come una “famiglia” che ascolta la Parola, accoglie in uno stile di comunione e annuncia con trasparenza e verità l’amore salvifico che Dio riserva personalmente per ciascuno11.

Conclusione

La pagina giovannea conferma la sua attualità nell’odierno cammino ecclesiale. La fede implica un dinamismo transitivo in grado di riassumere l’esperienza del passato e di trasformarla in dono e annuncio. A maggior ragione la risposta alle domande della vita dei giovani non può prescindere dal “fondamento primo” dell’amore, che ha fatto storia nell’esistenza di ciascun credente e che continua a incrociare la strada dell’incontro tra Dio e l’uomo. Dalla gioia di questo incontro vitale si determina il movimento interiore del discernimento e allo stesso tempo si attiva il desiderio di annunciare il Vangelo ai confini del mondo.

Restano illuminanti le parole di Papa Francesco circa la novità dell’evangelizzazione, che presuppone la “memoria grata” dell’incontro con Cristo:

«La gioia evangelizzatrice brilla sempre sullo sfondo della memoria grata: è una grazia che abbiamo bisogno di chiedere. Gli Apostoli mai dimenticarono il momento in cui Gesù toccò loro il cuore: “Erano circa le quattro del pomeriggio” (Gv 1,39)»12.

 

NOTE

1 Cf Sinodo dei Vescovi, XV Assemblea generale ordinaria, I giovani la fede e il discernimento vocazionale. Documento preparatorio, LEV, Città del Vaticano 2017.
2 «In continuità con questo cammino, attraverso un nuovo percorso sinodale sul tema: “I giovani, la fede e il discernimento vocazionale”, la Chiesa ha deciso di interrogarsi su come accompagnare i giovani a riconoscere e accogliere la chiamata all’amore e alla vita in pienezza, e anche di chiedere ai giovani stessi di aiutarla a identificare le modalità oggi più efficaci per annunciare la Buona Notizia» (ivi, 3-4).
3 Cf «il discepolo che amava» (tón mathētn ón ēgápa): Gv 13,23; 18,15-16; 19,26; 20,2; 21,7.20.24.
4 Dell’ampia letteratura sul tema ci limitiamo a segnalare: G. Segalla, Il discepolo che Gesù amava, cancellato dalla storia, in «Rivista Biblica Italiana» 37 (1989), pp. 351-363; V. Mannucci, Giovanni. Il Vangelo narrante, Dehoniane, Bologna 1997, pp. 230-242; R. VIGNOLO, Personaggi del Quarto Vangelo. Figure della fede in San Giovanni, Glossa, Milano 1998, pp. 192-202; A. MARCHADOUR, I personaggi del Vangelo di Giovanni. Specchio per una cristologia narrativa, Dehoniane, Bologna 2007, pp. 191-198.
5 Cf SINODO DEI VESCOVI, XV ASSEMBLEA GENERALE ORDINARIA, I giovani la fede e il discernimento vocazionale, 7-9.
6 Cf R. VIGNOLO, La dottrina della testimonianza in Giovanni, in G. ANGELINI – S. UBBIALI (a cura di), La testimonianza cristiana e testimonianza di Gesù alla verità, (Quodlibet 22) Glossa, Milano 2007, pp. 171-206; IDEM, Il doppio letterario tra Giovanni Battista e il discepolo amato. Un approccio narrativo, in «Credere oggi» 137 (2003), pp. 83-108: G. DE VIRGILIO, Teologia biblica del Nuovo Testamento (Studi Religiosi), Messaggero, Padova 2016, pp. 481-486.
7 Cf G. Zevini, I primi discepoli seguono Gesù (Gv 1,35-51), in «Parola Spirito e Vita» 2 (1980), pp. 140-153.
8 Ritroviamo il prototipo del discepolo, che diventa, a sua volta, testimone e annunciatore del mistero di Cristo in Mt 8,22; 9,9; Mc 2,14; 10,21; Lc 9,59.
9 Commenta Moloney: «I primi discepoli volevano comprendere Gesù secondo le categorie proprie del loro contesto religioso, nazionale e sociale. Il prologo, la testimonianza del Battista e la promessa di Gesù ci dicono che esse devono essere trascese. La promessa di Gesù nei vv. 50-51 ci chiede di riconoscere i limiti delle nostre speranze, dei nostri desideri e dei nostri progetti, e di permettere che il cielo si apra sopra di noi. Ci si chiede di essere uomini di fede, che non fanno prevalere i propri modi di pensare e di agire su quelli di Dio. Questa è la provocazione suprema della chiamata al discepolato: noi vedremo cose più grandi quando saremo capaci di riconoscere in Gesù il dono di Dio e di plasmare le nostre vite e le nostre attese in accordo con il punto di vista di Dio» F.J. Moloney, Una comunità di discepoli chiamati alla fede, in A. Strus – R. Vicent (edd.), Parola di Dio e comunità religiosa, LDC, Leumann – To, 2003, p. 195).
10 Papa Francesco, Evangelii gaudium. Esortazione apostolica (23.11.2013), n. 120.
11 Cf ivi, n. 264.
12 Ivi, n. 13.