N.03
Maggio/Giugno 2020

Il buon pastore

di Alessandra Giovannoni

Il buon pastore

Nel Vangelo secondo Giovanni, al cap. 10, Gesù definisce se stesso come il “buon pastore”. In realtà l’aggettivo “buono” – utilizzato nella traduzione italiana – non è sufficiente a rendere il significato profondo del ruolo pastorale di Gesù. Infatti, il termine greco impiegato dall’evangelista Giovanni è “kalos” – letteralmente “bello” – e racchiude diversi significati: bello non solo in rapporto al senso estetico, ma anche in relazione all’utilità, alla nobiltà d’animo, al senso morale, e così via. Dal brano evangelico si desume con precisione che Gesù è il bel/buon pastore perché offre la vita per le sue pecore. In tal senso, dunque, sarebbe più corretto definire Gesù il “pastore autentico”, perché con l’offerta gratuita della propria vita ha salvato l’umanità.

La prima cosa che balza agli occhi, nell’acquarello di Alessandra Giovannoni, è il modo con cui l’artista ha scelto di rappresentare le fattezze di Gesù pastore: una sagoma di macchie prevalentemente scure. In ossequio alla pagina giovannea (cf. Gv 10), questa scelta – che occulta i dettagli della figura di Gesù – sembra voler indicare che, rispetto alla vista, e dunque al fatto che Dio Padre si sia reso “visibile” grazie all’Incarnazione del Figlio Gesù, è il senso dell’udito che deve prevalere, e più specificamente la capacità di ascolto. Le pecore, infatti, seguono il pastore non tanto perché lo vedono, ma perché ne riconoscono la voce e l’ascoltano. Fuori metafora, questo è l’elemento fondante, la caratteristica principale del discepolo, il quale aderisce a Gesù e si pone alla sua sequela attraverso l’ascolto umile e obbediente della sua parola.

Nell’immagine della Giovannoni, Gesù pastore porta in braccio una pecorella o un agnello. Il nostro sguardo è attirato sia dal forte contrasto tra il bianco di quest’ultimo e il nero della silhouette del pastore sia dalla posizione centrale occupata dall’agnello. È come se la figura del pastore scomparisse dietro di esso e fungesse solo da sostegno a ciò che è posto sotto i riflettori, l’agnello appunto. Ancora una volta, quest’ultimo rappresenta il credente che ha posto la sua fiducia in Gesù pastore e a lui si affida docilmente, «come un bimbo svezzato in braccio a sua madre» (Salmo 131,2c).

Il fatto, poi, che l’agnello sia tenuto in braccio, indica che nel momento del bisogno – quando cioè il credente sperimenta il bisogno di essere aiutato – Gesù è pronto a farsi carico di lui e a prendersene cura. È interessante, al riguardo, notare come all’altezza del torace del pastore, e più precisamente dalla zona del cuore, affiori un barlume rosso-violaceo. Come non pensare che l’artista abbia voluto alludere al cuore di Gesù, un cuore «mite e umile» (cf. Mt 11,29), un cuore che arde di compassione e di amore incommensurabile per le sue pecorelle, soprattutto se deboli e bisognose di cure? Da quell’abbraccio traspare, infatti, una prossimità fatta di tenerezza e di intima affettuosità.

Inoltre, il credente che osserva questa rappresentazione non può fare a meno di pensare al simbolismo racchiuso nell’agnello che il pastore porta in braccio. Nel Vangelo, infatti, Gesù è anche identificato con l’agnello di Dio (cf. Gv 1,29.35), cioè come colui che prende il posto dell’agnello del sacrificio pasquale (cf. Gv 19,36). Si tratta, ovviamente, di una chiara allusione alla sua morte di croce. In questa prospettiva, Gesù pastore abbraccia e stringe a sé il suo destino – plasticamente raffigurato dall’agnello – indicando in tal modo la sua piena disponibilità a farsi carne immolata per la salvezza degli uomini.

Va osservato, ancora, che la figura di Gesù pastore non appare per nulla statica. Al contrario, sembra essere in movimento, come se, assieme al gregge, stesse percorrendo un tratturo attraverso dei campi di grano, simboleggiati dalle chiazze giallo-ocra che fanno da fondale. Indubbiamente c’è molta poesia in questa interpretazione, quella poesia, però, che anche quando è figlia dell’immaginazione, tende a descrivere la bellezza e la misteriosità della realtà. Qui, giocando con gli spazi e la luce, mostra, attraverso il profilo del pastore, la presenza attiva del Signore nella vita quotidiana degli uomini, espressa in questo caso dall’agricoltura e dalla pastorizia, un tempo entrambe molto diffuse. Di fatto, la compassione del “pastore autentico”, colui che ha dato la sua vita per noi, si innerva in ogni ambito del nostro vivere; lì ci raggiunge per ravvivare la nostra speranza e per rinnovare l’energia del nostro cuore con il suo abbraccio misericordioso.

Infine, va sottolineato che il pastore Gesù, il “pastore autentico”, cammina davanti alle sue pecore, apre cioè la strada a noi credenti, attirandoci con il suo esempio e conducendoci verso un “oltre” senza confini, al di là di quei recinti e steccati con cui spesso tendiamo a delimitare l’orizzonte della nostra vita, chiudendoci alla novità con cui Dio ci viene sempre incontro. Gesù, al contrario, ci pasce di libertà e di futuro, e per ciò stesso ci spalanca orizzonti inediti, forieri di vita nuova, perché lui è «il solo pastore che per i cieli ci fa camminare» (D. M. Turoldo).

 

Se ti è piaciuto questo approfondimento, leggi anche l’articolo Parola di Dio, fontana inesauribile!