N.02
Marzo/Aprile 2020
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Una Parola ha rotto il silenzio

Ogni chiamata di Dio è accompagnata da una Parola, spesso è l’inizio di tutto. I racconti biblici delle vocazioni dei profeti e le storie dei grandi santi ci dicono che tutto è cominciato dall’ascolto di una parola, quella in grado di rendere straordinaria l’ordinarietà della vita. Ne è testimone Sant’Agostino che dice: «Hai trafitto il mio cuore con la tua parola» dalla quale è seguita la sua grande e splendida conversione.

Louis Bouyer, in questo testo tratto da un suo libro, ci parla dell’importanza dell’ascolto della Parola, di quella voce che ci spinge a seguire l’Amato.

 

 

 

Una parola ha rotto il silenzio e ci ha ridestato dalla grigia solitudine nella quale il nostro essere, perso in mezzo alle cose, si era assopito. Questa parola esige una risposta, una risposta che è sforzo incessante di rimettersi in ascolto, di comprendere meglio la chiamata, di continuare a tendere l’orecchio per ascoltarla e rispondere costantemente. Si pensi al piccolo Samuele addormentato nel tempio. Risuona una voce, una voce che si rivolge a lui personalmente. Una voce che non dice altro che il suo nome: “Samuele!”. E il bambino esclama: “Parla, perché il tuo servo ti scolta” (1Sam 3,10). Pensiamo ad Antonio, il padre dei monaci. È in chiesa. Si legge il vangelo. Egli ascolta la parola di Cristo: “Se qualcuno vuol venire dietro a me rinneghi se stesso, prenda la sua croce e mi segua” (Mt 16,24); subito comprende che non è una parola detta la vento, che è per qualcuno in particolare che chi l’ha proferita ha parlato, che è Dio quello che ha parlato e che è proprio a lui che si è rivolto. Immediatamente risponde alla chiamata e fa quello che ha appena sentito. […]

Una parola di Dio, la parola che annuncia il vangelo, un giorno è penetrata nel nostro cuore. Improvvisamente abbiamo compreso di essere noi i chiamati. E siamo partiti alla ricerca di colui che chiamava, invocandolo a nostra volta, invocandolo con un grido, in cui mettevamo tutto il nostro cuore, tutta la nostra vita nella nostra voce.

Il Cantico dei cantici è il poema e il dramma di questa chiamata e di questa risposta. La voce dell’amato ha attraversato la notte, e questa voce non può più essere dimenticata, l’amata non riesce più a pensare ad altro. Delizioso e intollerabile ricordo! Delizioso, perché questa parola fugace, la semplice inflessione della voce, era promessa di una gioia che sorpassa ogni altra gioia. Intollerabile, perché non c’è più possibilità, con questo ricordo nel cuore, di ritrovare la pace. Impossibile non partire, non lasciare tutto per cercare, trovare, ritrovare la presenza che quella parola attesta. Per un istante l’amato è stato vicinissimo. Più nulla potrebbe mettere in dubbio la sua presenza per colei che è stata risvegliata dalla sua voce. Essa continua a sentire quella voce nel ricordo. Ma vuole risentirla non più nell’evocazione della memoria: vuole risentirla qui e ora, e per sempre!

 

 

[Louis Bouyer, Il senso della vita monastica, ed. Qiqajon, pp. 28-29]