Tutto in tutti
Appunti di viaggio
Scrivo a te, Amico lontano; forse ricordi il giorno in cui, insieme, camminavamo fianco a fianco, ormai da ore, inerpicandoci verso la cima ambita da tempo. Il passo era costante, l’aria fine e limpida, gli occhi di entrambi all’insù, indovinando la vetta. Tutt’a un tratto – perché la meta ti coglie quasi sempre di sorpresa, in fondo è lei che ti viene incontro – di fronte a noi si era stagliato l’orizzonte, immenso, e sopra di noi soltanto il cielo. Era la cima più alta d’intorno, e così ci sembrava che quasi il mondo intero si potesse cogliere da quell’unico punto, con un solo sguardo. E lì, in un istante, avevamo percepito entrambi che la nostra vita era legata misteriosamente a quel cielo che ci accoglieva in sé, che quell’orizzonte lontano era in noi e noi in quell’orizzonte, che tutte le cose erano unite, in profondità, e che questa unità nascosta si riverberava poi nell’esplosione di varietà di tutte le creature. Ci guardammo in silenzio, cogliendo uno nel cuore dell’altro la stessa visione, la stessa preghiera. Da dove potrà mai venire questa unità, quest’acqua nascosta che scorre nelle falde segrete della terra e tutto disseta e feconda? Com’è che tutto ci appariva così bello, luminoso, gravido di Senso?
Da dove tutto è partito
Ci eravamo incamminati di buon mattino (cf. Sal 119,1-2), quando le prime luci dell’alba si facevano timidamente strada in quel cielo terso d’estate. E lungo il cammino parlavamo della Scrittura – come spesso capitava, del resto: era il libro della natura intorno a noi che ci attirava in quella direzione, e le Scritture, a loro volta, ci svelavano le chiavi per leggere la creazione intera[1].
Nel giorno unico[2], tutto è venuto dalla luce, è così? Sì, ma per cogliere la strada dove abita la luce si deve partire dal suo opposto, cioè dal buio. V’era tenebra sulla superficie dell’abisso. […] E Dio disse: “Sia la luce!”. E la luce fu». Dall’abisso oscuro della libertà imprevedibile di Dio Padre[3], il mondo nasce, viene alla luce. Da dove? Dal nulla, così si dice: non da cose preesistenti. Ma dove potrà mai poggiare questo nulla, se non in Dio stesso? Dio crea a partire da sé, fa uno spazio vuoto in sé, lascia emergere un altro[4]: ma questo non è forse l’amore? Dunque, se si dice che Dio crea dal nulla, si può credere che crea dall’amore[5]. E se Dio è amore, allora anche il nuovo ‘codice genetico’ di tutta la creazione sarà amore. «Aperta la mano dalla chiave dell’amore, le creature vennero alla luce»[6].
Il Padre crea: spira la sua Vita, pronuncia una Parola: dunque le cose vivono in lui e parlano di lui. E Dio vide che la luce era bella – bella perché trasparente, perché non trattiene per sé, ma attraverso di sé illumina un Altro. Ma ecco la prima sorpresa: la luce non è sola! Fin da quel giorno ‘uno’ essa viene creata in relazione alle tenebre, che non vengono annientate dalla luce (Dio è forte come un Agnello, non sopprime nulla, nemmeno ciò che è buio), ma messe in dialogo con la luce. E così anche le tenebre ricevono un nome, una parola – e dunque un senso: Dio chiamò la luce ‘giorno’, mentre le tenebre le chiamò ‘notte’. Così tutto è plurale, fin dal primo giorno, Tutte le cose sono a due a due, una di fronte all’altra, egli non ha fatto nulla d’incompleto. E da quell’unico giorno, ogni cosa è di fronte all’altra, le acque di sotto con quelle di sopra, e poi la terra e il mare, il sole e la luna. Gli animali, quaggiù e lassù. Ogni cosa trova la sua identità in relazione ad un’altra: già si intravede il mistero della Persona[7]!
E poi ecco, arriva lui, il re della creazione, poco meno di un dio. Facciamo l’uomo a nostra immagine, secondo la nostra somiglianza. E saremmo già pronti a correre a quel maschio e femmina li creò: anche qui il plurale, immagine di un Dio in tre Persone! Ma le umili lettere della Scrittura sussultano e ci chiedono di frenare il passo, di respirare a ritmo di poesia: E Dio creò l’uomo a sua immagine: / a immagine di Dio lo creò, / maschio e femmina li creò. Se la prima linea è come un titolo, la seconda e la terza ne dicono due aspetti: a immagine di Dio lo creò, maschio e femmina li creò. È tutto nascosto qui, come in un seme, in queste due battute[8].
Dell’Uomo che è uno e due
Mentre scorre il grande inno della creazione, prima che appaia l’uomo, tutto è fatto secondo la propria specie, tutti secondo la loro specie. Quanti colori, che varietà, quante specie in questo bel mondo – dicono che ogni anno se ne scoprono ancora centinaia di nuove! La vita brulica, esce dalle righe del libro e si riversa nel mondo.
Eppure, ecco la sorpresa: l’ultima creatura, l’Uomo, è diversa. Non è come i germogli, le erbe, gli alberi, e tutti gli esseri viventi che guizzano e brulicano nelle acque. No, l’uomo è creato come uno. A immagine di Dio lo creò. Dio crea un Uomo, a sua immagine. Certo, si sentirà dire, come i pesci e gli uccelli: Fruttificate e moltiplicatevi. Qualcosa ci lega al modo di vita di queste creature. Ma non è scritto: ‘secondo la vostra specie’. «Il lettore attento deve scorgere qui l’indicazione di un ragionamento. L’animale illumina la natura dell’uomo per contrasto: l’animale è molteplice e l’Uomo è uno»[9]. L’Uomo non vive ‘secondo la propria specie’, ma vive a immagine e somiglianza di Dio, e Dio appare inizialmente come uno, nel racconto.
A questo punto, la seconda battuta: maschio e femmina li creò. Ecco che l’Uomo è uno, ma, allo stesso tempo, è due, uno di fronte all’altra. Nella pagina seguente chi scrive ci regalerà uno zoom, ci porterà di nuovo al sesto giorno e descriverà come venne al mondo questa duplicità. Il Signore Dio fa scendere un torpore sull’uomo – è certo un mistero per noi insondabile, l’Altro – toglie una parte all’Uomo e con quella forma la donna e la conduce all’uomo. C’era forse modo migliore per dire che i due sono due e, allo stesso tempo, sono uno? Vedere l’altro di fronte a sé, e allo stesso tempo vedere se stessi: questo farà uscire l’uomo dalla solitudine.
Ora, che cos’è immagine di Dio? Meglio parlare a bassa voce, sul tema[10]: solo un bisbiglio, che tiene insieme queste battute. Adamo ed Eva sono uno e due, allo stesso tempo: due persone, ma con un’unica natura umana: «La donna e l’uomo non sono due esseri umani, ma uno solo», scrive Giovanni Crisostomo. E uno vive in sé e nell’altro, e sente la vita dell’altro come propria, benché fuori da sé. Anche gli animali sono maschio e femmina, eppure non sono a immagine di Dio. Ecco perché: l’immagine di Dio nell’Uomo è questo suo essere ‘uno’ e ‘due’ allo stesso tempo.
Potresti chiedermi: perché una cosa già unita andava divisa? Perché tutto è creato dall’amore, abbiamo detto, e l’amore non c’è mai senza libertà. Siamo soltanto all’inizio del racconto, e tutto è come in un germoglio appena spuntato. Adamo ed Eva si trovano uno di fronte all’altra, ora. Sono già uno, sì, ma non ancora. E ciò che era all’inizio è in realtà il compimento: vorranno unirsi liberamente nell’amore[11]?
Così l’Uomo, a partire da quel seme, dovrà fruttificare e moltiplicarsi, diventare molti. Ma nel cuore ha la chiamata a diventare uno, sì che ogni persona umana che nascerà nel mondo si senta parte di un corpo solo[12].
Tutti e tutto
Il sentiero si fa irto e stretto. Passiamo sotto un costolone roccioso, che nasconde il sole: un leggero brivido ci trapassa, misto di freddo e di timore. Il respiro pesante, le parole si fanno più rare.
Torniamo alla parola iniziale, al comando che Dio dà all’Uomo, appena creato: Fruttificate e moltiplicatevi, riempite la terra e soggiogatela, dominate sui pesci del mare e sugli uccelli del cielo e su ogni essere vivente che striscia sulla terra. L’umanità è chiamata a portare molto frutto, a moltiplicarsi e riempire la terra; ma poi, curiosamente, Dio non comanda nulla, se non questo: l’Uomo dovrà curare il rapporto coi pesci, gli uccelli e i serpenti! Davvero sorprendente: forse a questo punto ci saremmo aspettati qualcosina in più, non è così?
Queste parole ci avvicinano tuttavia alla meta, anche se in maniera nascosta. In che modo? Con questo comando il Signore sta dicendo che tutte le altre creature sono legate alla vita dell’Uomo, sono misteriosamente unite e associate al suo destino, come il corpo è legato al capo. Ecco un bel circolo virtuoso: le cose sono tutte create «per l’utilità degli uomini»[13], e l’uomo è chiamato a dominare le cose secondo Dio – cioè a prendersene cura, col cuore di un padre. Il compito dell’Uomo ha a che fare con la terra, dovrà coltivarla e custodirla, dovrà riempirla ed essere suo signore, dominando sulle altre creature. L’umanità è creata a immagine di Dio, ma allo stesso tempo condivide il sesto giorno con gli animali della terra: ha dunque qualcosa che la distingue dalle altre creature e qualcosa che la unisce. Poco più avanti si dirà qualcosa di simile: l’uomo è fatto da polvere del suolo e dal Respiro di Dio. Tutta la creazione, allora, siccome non può rispondere all’amore di Dio che l’ha creata perché non ha libertà, lo fa attraverso l’Uomo. Ora, se leggiamo di nuovo tutto d’un fiato, appare chiaro: quando l’Uomo sarà due e uno insieme – quando sarà a immagine di Dio –, allora tutto il mondo parteciperà e avrà beneficio da questa unione: le altre creature si lasceranno dominare da chi si ama! Gli animali e le piante, infatti, non conoscono l’unione, perché non sono persone che vivono in sé stesse e nelle altre: potranno essere uniti soltanto attraverso l’Uomo.
Di fronte a questa parola, Adamo ed Eva possono scegliere: signoreggeranno come il Signore, domineranno come il Dominus? Oppure disporranno della creazione secondo il proprio pensiero e il proprio desiderio? E, finché l’Uomo servirà la terra come Dio serve la sua creazione, allora gli animali saranno in pace e non si divoreranno l’un l’altro: A tutti gli animali selvatici, a tutti gli uccelli del cielo e a tutti gli esseri che strisciano sulla terra e nei quali è alito di vita, io do in cibo ogni erba verde[14].
Il veleno della divisione
Però continui a leggere – oppure alzi gli occhi dal libro e ti guardi intorno – e arrivi alla tragedia. Se l’unica chiamata è l’unione dei diversi – unione che coinvolge la creazione intera – ecco che appare il sibilo della divisione. Il Volto di Dio è perduto – un velo nero e minaccioso è steso su di esso – e così tutto si frantuma. L’uomo e la donna, mentre perdono l’altro, perdono sé stessi. E se prima Adamo guardava Eva e vedeva la sua stessa vita vissuta da un’altra (e quanta letizia effondeva nel cuore!), ora il sole si è oscurato, l’occhio si è ammalato, ed Eva diventa un potenziale nemico, dal quale difendersi; Adamo un oggetto di conquista, come Dio, come l’albero.
Da lì, la tragedia dilaga, ed ecco che si perde uno o l’altro capo della corda. L’uomo è chiamato all’unità di persone diverse, sì. Eppure Caino vede il fratello come nemico e lo uccide; può farlo perché Abele, per lui, non è più un altro-sé-stesso. È la differenza senza unità, il due senza l’uno. A Babele l’uomo prova la strada opposta: l’unità senza la differenza, l’uno senza il due; ma entrambe le strade sono un vicolo cieco[15]. E Dio rimette in cammino Caino e l’umanità intera: la strada certo sarà più lunga.
Ma questo non riguarda solo l’Uomo. No, perché nella tragedia che lo ha investito, egli ha coinvolto tutte le creature. Cambia il rapporto dell’uomo con il serpente, con il suolo e con tutto, perché tutto è unito. Avrebbe dovuto dominare ogni essere vivente che striscia sulla terra, ma il serpente riesce a dominarlo con un pensiero nuovo. E a quel punto, come poter dominare l’animale, se ormai è l’animale che, accovacciato alla porta, domina l’Uomo? Il mondo che ci sta intorno, dunque, è bello, ma è graffiato, malato, perché l’Uomo l’ha trascinato con sé nella sua distanza dalla Vita vera. E se è vero che Dio ha creato tutte le cose perché esistano, le creature del mondo sono portatrici di salvezza, in esse non c’è veleno di morte, è anche vero che questo veleno è passato dal capo al corpo, dall’Uomo al creato. La terra che l’Uomo deve coltivare si è impregnata del suo sangue. Ed ecco come parla il Signore alla sua Amata: Così hai contaminato la terra con la tua impudicizia e perversità. Per questo sono state fermate le piogge e gli acquazzoni di primavera non sono venuti. La creazione si è ammalata perché il suo re è stato ferito a morte[16].
Uomo nuovo, nuova creazione
Ad un certo punto ci accorgiamo di aver smarrito il sentiero. Ero convinto di ricordarmi il tracciato attraverso quella ripida pietraia, benché non ci fossero segnali sicuri. Mi sbagliavo: così imbocchiamo la valletta sbagliata, che ci porta sull’altro versante del monte. Il cielo si copre, quasi come un presagio, minacciando pioggia. Non troveremo alcun riparo.
Nella pienezza dei tempi, il Figlio di Dio si fa uomo, e proprio con questo germoglio si aprirà anche nel deserto una strada. Ma aspetta: chi è colui che è venuto a visitarci come sole che sorge dall’alto? Come vive questo Figlio, nel cielo? Nell’abisso dell’eternità il Padre dona tutta la sua vita, tutto ciò che è: genera un Figlio e fa procedere lo Spirito. Lì dove il cuore dell’uomo non può arrivare, appare il mistero: tre Persone condividono tutto ciò che sono. La vita di uno è quella dell’altro, come un giorno Cristo dirà nella parabola: Figlio, tu sei sempre con me e tutto ciò che è mio è tuo. Tutto ciò che è, il Padre lo dona a suo Figlio e allo Spirito, che quindi condividono la stessa vita. E così ogni Persona non vive soltanto in se stessa, ma vive anche nell’altro – un po’ come quando un padre guarda il suo bimbo che gli sorride e riconosce in quella carne la sua stessa carne, fuori di sé, eppure sempre sua.
Ecco il prodigio: il Figlio vive così, come in cielo così in terra. Come vive da Dio, vive da uomo: è questo il principio della salvezza! E, fin dal suo apparire nel grembo di Maria, fin dai suoi primi passi da bambino, lui vive non solo in se stesso, ma anche negli altri. Sente la vita degli altri come sua, conosce ognuno come un altro-sé-stesso. Sì, perché lui, nel suo cuore, non conosce quella divisione che ha lacerato Adamo ed Eva. Ma certo, questo non riguarda soltanto la vita di Maria o di Giuseppe o dei contadini della Galilea. Se anche il tempo e lo spazio per noi sono frantumati – quante distanze, quali nostalgie e paure! – per lui no, per lui tutto è unito, e così la vita personale di ogni singola persona umana è sua, è vissuta anche da lui. Ed è per questo che può prendere su di sé tutto il male del mondo[17]. Siccome lui vive anche in me, può caricarsi proprio del mio male, del mio peccato. Fin dove sei giunto, Amico degli uomini…
A volte, mentre cammina sulle nostre strade, parla con enigmi, di sé, del Padre, e racconta di un uomo che viene lasciato mezzo morto per la strada. Dopo che due uomini di Dio passano dall’altro lato della strada – come quando cammini e ti accorgi che in lontananza appare chi tu non vuoi vedere e così vai sul marciapiede opposto (sperando che anche l’altro non ti abbia visto e faccia lo stesso!) – viene uno straniero, che fa il contrario: camminava lontano, gli si fece vicino. Ma quello è soltanto ciò che si vede: ciò che ha mosso i piedi è successo dentro. Ne ebbe compassione. Perché? Che cosa succede a quest’uomo misterioso? Forse è per adempiere a un dovere morale, o a una legge, esterna o interna che sia? No. Lui si avvicina perché riconosce quella carne come sua. Se avesse proseguito il viaggio, avrebbe fatto male a se stesso, innanzitutto. Ecco il senso del comando, che risuona poche righe prima: amerai il prossimo tuo come te stesso. Come te stesso, cioè: in quanto te stesso, in quanto è la tua vita fuori di te, sei tu che vivi nell’altro[18]. Il Signore Gesù vive così, e quando vede un singolo uomo o una folla intera, ciò che prova è lo stesso: sente compassione, come una madre che porta sempre dentro la vita del figlio.
Solo con Lui, il Dio-Uomo, il cielo si strappa: non c’è più separazione, da Dio, dall’altro uomo. E nemmeno dal resto delle creature: già alla sua nascita erano stati gli animali a fargli compagnia. E quando la colomba dello Spirito scende su di lui (era dai tempi del diluvio che vagava senza sosta cercando qualcuno sul quale poter riposare), il mondo ha un sussulto: la liberazione è vicina! Subito dopo è scaraventato nel deserto, e guarda cosa succede: stava con le bestie selvatiche e gli angeli lo servivano. Le creature della terra e del cielo si ritrovano, in pace. E la creazione intera, che geme e soffre le doglie del parto, comincia a respirare un’aria nuova, cosciente che l’antica profezia si sta realizzando. È apparso l’Uomo nuovo che vive nell’amore: ci sarà pace per tutti e per tutto[19].
Verso dove tutto va
Fino all’ultimo istante della sua vita terrena Cristo vive così, con il cuore nell’altro e con l’altro nel cuore, e trasforma anche l’ultimo respiro in un dono: finalmente un Uomo ha donato tutto a Dio, ha risposto all’amore con l’amore. E, col suo ultimo bacio, trasmette all’Amata il suo Dono, la Persona rimasta nascosta in lui, operante con lui. Lo Spirito, dopo aver irrigato la sua umanità, ritorna a scorrere nelle altre persone umane: da lì noi rinasciamo. E con lui, il Dono, da quel giorno la nostra vita è cambiata, perché abbiamo accesso allo stesso modo di vivere di Dio, che il Figlio Gesù ha vissuto da uomo. L’umanità può fare ora l’esperienza che siamo membra gli uni degli altri. Così tu gioisci, e io gioisco con te; io piango, e tu piangi in me[20].
E, mentre la storia assiste alla crescita di questa vite feconda, nata e cresciuta da un piccolo seme, il suo frutto più maturo, l’amore, inebria il cuore di Dio e dell’uomo. E l’intera creazione vibra attorno a noi e aspetta la rivelazione dei figli, e qua e là, quando un figlio di Dio appare sulla terra, pesci, uccelli, lupi e orsi si danno appuntamento attorno a lui, e puoi avvertire pian piano il creato che rinasce, che si unisce[21], anch’esso, legato al suo Re che ha vinto la morte, il Dio-Uomo, nel quale tutto è stato fatto e nel quale tutto si compie[22].
Eravamo stremati da quella deviazione inaspettata: il tempo della nostra salita si era ormai raddoppiato, complice la fredda nebbia che nel frattempo era scesa chissà da dove. Ma, dopo aver scollinato l’ennesimo dosso roccioso, nella speranza di vedere finalmente qualcosa, ecco un raggio di sole, che in un batter d’occhio liberò gli occhi e il cuore. La meta! Pochi passi, ed eccoci in quota.
E lì, soltanto a quel punto, dopo esserci perduti e ritrovati (cf. Sal 119,176), la visione dell’unità di ogni cosa. Sì, Amico prezioso. Perché il cuore era unito a Dio, e così i nostri cuori, e così ogni cosa, ogni respiro lodava il Signore. Semplice primizia del regno che viene e che verrà, finché, in quel giorno, Dio sarà tutto in tutti[23].
«Molte cose devono riorientare la propria rotta, ma prima di tutto è l’umanità che ha bisogno di cambiare. Manca la coscienza di un’origine comune, di una mutua appartenenza e di un futuro condiviso da tutti. Questa consapevolezza di base permetterebbe lo sviluppo di nuove convinzioni, nuovi atteggiamenti e stili di vita. Emerge così una grande sfida culturale, spirituale e educativa che implicherà lunghi processi di rigenerazione» (Laudato si’, 202).
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[1] «Ci sono due libri della rivelazione di Dio: la Natura, con a capo il cielo, e la Storia, con a capo la Bibbia. Due libri, due Bibbie» (P.A. Florenskij, Simboli dell’Eternità. Meditazioni e preghiere, a cura di A. Žáková e L. Žak, Betel. Brevi saggi spirituali 34, Roma 2020, 70-71).
[2] «L’autore non ha chiamato primo giorno l’inizio del tempo, ma giorno uno, perché la denominazione esprimesse l’affinità del giorno con l’eternità» (Basilio di Cesarea, Omelie sull’Esamerone, II, 8,7).
[3] «All’origine del mondo si trova una libertà irrazionale radicata nella profondità del nulla, un abisso da cui zampillano i foschi torrenti della vita, e dove tutte le possibilità sono racchiuse. […] La luce del Logos trionfa sulle tenebre, l’armonia cosmica trionfa sul caos, ma senza l’abisso delle tenebre e del caos, non ci sarebbe, nell’evoluzione che si compie, né vita, né libertà, né significato» (N. Berdjaev, Spirito e libertà, Milano 1947, 232-233).
[4] Cf. D. Kowalczyk, «Creazione ex nihilo o ex trinitate?», in L. Caruana, ed., L’inizio e la fine dell’Universo. Orientamenti scientifici, filosofici e teologici, Roma 2016, 151-153.
[5] Cf. M. Tenace, «Creatore e creazione: il significato teologico della creatio ex nihilo oggi», in L. Caruana, ed., L’inizio e la fine dell’Universo. Orientamenti scientifici, filosofici e teologici, Roma 2016, 119-120.
[6] Tommaso D’Aquino, In libros sententiarum, 2,1,2,2,1.
[7] La parola greca per ‘persona’, prosopon, viene da pros-, che significa ‘verso’, e ops, che significa ‘volto’, ma anche ‘occhio’, ‘sguardo’. Così la persona è colei che è rivolta-verso-il-volto… di un altro!: è colei che è sé stessa proprio perché guardata. Un altro modo per dire che per accostarsi al mistero della persona non si può che partire dalle sue relazioni (cf. Mt 16,16.18). Sul tema cf. anche I. Zizioulas, Comunione e alterità, Pubblicazioni del Centro Aletti, Roma 2016, 212-213.
[8] Gen 1,5; Gb 38,19; Gen 1,2-3; 2Mac 7,28; 1Gv 4,16; At 17,28; Sal 19,2; Gen 1,4LXX; Ap 5,6; Gen 1,5; Sir 42,24; Gen 1,7.10.16.20; Sal 8,6; Gen 1,26.27.
[9] P. Beauchamp, Leggere la Sacra Scrittura oggi (Con quale spirito accostarsi alla Bibbia), Sorgenti di Vita 19, Milano 1990, 68.
[10] Cf. T. Špidlík, La spiritualità dell’Oriente cristiano. Manuale sistematico, OCA 206, Roma 1985, 52.
[11] «[…] Crisostomo si domanda da dove vengano le diversità del genere umano, soprattutto quella diversità fondamentale costituita dalla divisione dell’umanità in due sessi. Scopre la soluzione del problema nell’attività creatrice di Dio: Dio prima fa una cosa, poi la divide, quindi la unisce di nuovo. All’inizio Dio creò Adamo, ma poi da lui staccò Eva. Ora, questi due sono destinati a formare una nuova unità, basata non più sull’unità della natura, ma sul matrimonio, dove due persone diverse sono unite dall’amore» (T. Špidlík, La vocazione. Riflessioni utili, Roma 2010, 55).
[12] Gen 1,11.21; 1,27; 1,22.28; 2,21; Gen 2,18; Gen 1,28; 1Cor 10,17.
[13] A Diogneto 4,2.
[14] Gen 1,28; Gv 15,5-8; Gen 2,15; 2,7; 1,30.
[15] «Ogni male può venir ridotto a una violazione della solidarietà reciproca e dell’equilibrio fra le parti ed il tutto; e sostanzialmente si può operare la stessa riduzione anche per ogni menzogna e per ogni deformità. Quando un elemento particolare o singolo afferma se stesso nella propria singolarità cercando di escludere o di schiacciare l’essere altrui, quando gli elementi particolari o singoli vogliono, insieme o separatamente, prendere il posto dell’intero escludendo e negando così la sua unità autonoma e, con ciò stesso, anche il nesso comune che li collega fra loro, e quando, al contrario, in nome dell’unità viene compressa o eliminata la libertà dell’essere particolare, non abbiamo altro che un’autoaffermazione esclusiva (egoismo), un particolarismo anarchico e un’unità dispotica, cioè, in altre parole, ciò che deve essere definito un male» (V.S. Solov’ëv, Sulla bellezza, Milano 2013, 93).
[16] Mt 6,23; Gen 3,7-16; 4,1-6.23-24; 11,1-9; 4,12.16; 11,9; 3,14-15.17-19; 4,7; Sap 1,14; Gen 4,10; Ger 3,3.
[17] Cf. S.N. Bulgakov, L’Agnello di Dio. Il mistero del Verbo incarnato, Roma 1990, 412-442.
[18] Silvano del monte Athos amava dire: «Il nostro fratello è la nostra vita». A questo proposito Sofronio, suo discepolo, commenta così: «Scopre [l’asceta] il proprio intimo cuore, spirituale, metafisico, e vede che l’esistenza di tutta l’umanità non è per lui qualche cosa di estraneo, d’estrinseco, ma inseparabilmente legata alla propria personale esistenza. […] Con l’amore di Cristo, ogni uomo è assunto come parte integrante della nostra propria esistenza eterna. Silvano cessa a poco a poco di vedere, nel comandamento di amare il proprio prossimo come se stesso, una semplice norma etica. Nel come percepisce non tanto l’indicazione della misura dell’amore, ma l’affermazione della comunità ontologica dell’esistenza umana» (Archimandrita Sofronio, Silvano del monte Athos (1866-1938). Vita, dottrina, scritti, Milano 1995, 20156, 69).
[19] Is 43,19; 11,1; Lc 1,78; Lc 15,31; Mc 6,10; Lc 10,30-37; 10,27; Mc 1,41; 6,34; 1,10; 15,38; Lc 1,7; Mc 1,13; Rm 8,22; Is 11,6-8.
[20] «“Due” non è “uno più uno”, ma qualcosa di essenzialmente di più, di più plurisignificante e possente. “Due” è una nuova composizione chimica dello spirito, quando “uno più uno” si trasfigurano qualitativamente e costituiscono un terzo» (P. A. Florenskij, La colonna e il fondamento della verità, 431-432).
[21] «Il mio giovane fratello domandava perdono agli uccelli: pare un non senso, ma è giusto, perché tutto, come l’oceano, scorre e comunica, tu tocchi in un punto e si ripercuote all’altro estremo del mondo. Sarà follia domandar perdono agli uccelli, ma gli uccelli, e i bambini, e ogni animale intorno a te si sentirebbero meglio se tu stesso fossi più nobile di quel che ora sei, non fosse che un tantino. Tutto, vi dico, è come l’oceano. Pregheresti allora anche gli uccellini, struggendoti in un amore totale, come in una specie di estasi, e li pregheresti perché anch’essi ti rimettessero i tuoi peccati. Abbi cara quest’estasi, per quanto insensata possa parere agli uomini» (F. Dostoevskij, I fratelli Karamazov, VI, 3).
[22] Ct 1,2; Gv 19,30; 20,22; At 2,1-21; 1Cor 12,13; Rm 12,5.15-16; Mt 13,31-32; Gv 15,1-17; Rm 8,19; Gv 1,3; Col 1,15-17; Ef 1,23.
[23] 1Cor 15,28; Col 3,11; Ef 1,23.