N.04
Luglio/Agosto 2022

Odio

In un’esplorazione del paesaggio emotivo che è ben più che un semplice sfondo alle interazioni in rete è certo inevitabile affrontare l’odio. La più discussa, commentata, temuta e osservata di tutte le emozioni nell’universo interconnesso contemporaneo, al punto da essere anche la prima ad avere richiesto l’intervento ripetuto del legislatore: “cyber-bullismo”, “hater”, “body shaming” e molti altri termini che designano alcune delle più comuni deformazioni sociali del nostro tempo, sono nati per descrivere proprio le nefaste manifestazioni dell’odio in rete.  

 

Odio e ignoranza 

 

Difficile definirlo “virtuale”, l’odio covato, alimentato, esercitato nei confronti di qualcuno che non si fronteggia fisicamente, che non si tocca e che spesso neppure si conosce direttamente, ha caratteristiche sue proprie che tuttavia non fanno che rendere più esplicite ed evidenti alcune delle marche fondamentali che ne contraddistinguono la natura profonda, dentro e fuori schermi e connessioni digitali.  

In una sintesi estrema si potrebbe dire che in tutti i casi, in qualche misura, all’origine dell’odio c’è sempre l’ignoranza: una mancanza di informazioni e ancora meglio di conoscenza che riguarda prima di tutto se stessi, il proprio contesto, le relazioni che legano il presente di soggetti e ambienti al loro passato; e poi naturalmente ignoranza dell’altro, delle sue istanze, del suo punto di vista, ma anche della sua somiglianza con la propria natura. La rete tende a nascondere, cancellare, confondere i soggetti e i contesti nei quali essi vivono e agiscono. Quando pure non è l’ignoranza genericamente intesa quindi a provocare odio, è la specifica natura del contesto digitale, opaco, lacunoso, spesso difficilmente decifrabile. C’è poi l’effetto che questo genere di contesto produce sui singoli soggetti rendendo più difficile, indiretto e mediato il rispecchiamento, il riconoscimento, il confronto circostanziato della propria identità con quella degli altri.  

 

Corazza e arma 

 

Per qualcuno che si immerga nei giochi della comunicazione nella sfera interconnessa senza avere ancora un’identità del tutto formata, una consapevolezza definita di sé, una esperienza consolidata nel confronto con l’altro, l’odio può facilmente diventare una destinazione quasi automatica, una dimensione rassicurante (quando agito e non subito), una posizione difensiva illusoriamente favorevole.  

E poi l’odio è in fondo anche una forma d’espressione: la mancanza di conoscenza di modalità espressive e di comunicazione con l’altro, la povertà linguistica, l’inesperienza relazionale, rese lancinanti della condizione dell’utente connesso, privato di molti dei suoi strumenti quotidiani di sopravvivenza sociale, possono spingere al ricorso al più elementare e si direbbe quasi primordiale dei linguaggi, l’aggressività.  

Ci sono tuttavia altri elementi che forse valgono esclusivamente o perlomeno diversamente per il contesto della rete. L’uso della rete, e in special modo dei suoi giochi sociali, implica di solito la falsa promessa di un appagamento del desiderio di efficacia, di soddisfazione e di realizzazione per l’utente che non riesce a trovare corrispondenze e appigli certi nel mondo analogico: la presenza in rete è spesso motivata, magari a un livello del tutto implicito e inconsapevole, dal bisogno di raggiungere qualsiasi forma di ottenimento, dall’impressione che nel mondo costruito da codici binari e mosso dal movimento di pochi semplici tasti, la possibilità d’imprimere sulle cose una traccia della propria esistenza sia un’operazione più semplice, più facile, più veloce. L’odio, forse dopo solo la rabbia, è l’emozione più rapida di tutte: più facile, la più elementare, e la più efficiente nell’ottica di causare un effetto sul mondo.  

In un contesto in cui ancora – e chissà se verrà il giorno di un radicale cambiamento – è difficile costruire complessità, condividere l’esperienza di un tempo non frammentario, articolare comunicazione emotiva e relazione su basi non intermittenti ed effimere, infine in un contesto che fonda le sue più cruciali e più essenziali radici sull’esclusione del fallimento e sull’ossessione parossistica per la quantità e per l’efficienza, l’odio è  al contempo una corazza e un’arma che garantiscono una qualche immediata garanzia di successo. 

 

Coltivare strumenti 

 

Un analfabetismo affettivo incredibilmente diffuso è poi la causa della mancata chiusura logica che dovrebbe portare al riconoscimento degli effetti del proprio odio sugli altri attraverso gli effetti dell’odio altrui su di sé. Per questo è così facile che un’emozione tanto oscura diventi tanto facilmente un automatismo quotidiano, un elemento così comune e condiviso da poter costituire la base centrale della propaganda politica, della pubblicità commerciale, della ricerca di consenso dei tanti prodotti culturali in cerca di un pubblico.  

Più che contrastarlo con strumenti ad esso affini e quasi speculari come l’indignazione e la messa all’indice, sarebbe certo più proficuo, dunque, coltivare e diffondere gli strumenti di un’analisi più assidua e più accurata dei propri e degli altrui autentici bisogni, dei testi e dei contesti.  

 

 

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