Al centro delle immagini in cerca d’ascolto
Tra l’estate e l’autunno dell’anno appena concluso, due gruppi di giovani completamente diversi tra loro, dalle diverse istanze e ragioni, in due diversi momenti, hanno scelto di compiere atti di comunicazione molto simili, e per giunta nello stesso identico luogo: davanti al grande dipinto Primavera di Sandro Botticelli, uno dei pezzi più celebri delle preziose collezioni detenute e esposte presso uno dei musei più celebri del mondo, il Museo degli Uffizi a Firenze.
In luglio, due giovani sono entrati nelle sale museali, si sono avvicinati al dipinto appeso alla parete – e ben protetto da una copertura trasparente – e si sono incollati alla superficie interna alla cornice, dichiarando le loro intenzioni e motivazioni, rivolgendosi ai visitatori presenti che, come certamente previsto dai due attivisti, hanno ampiamente documentato l’azione registrandone fotografie e video. Pochi minuti dopo, i due sono stati accompagnati fuori e affidati alle forze dell’ordine.
In ottobre, due giovani modelle professioniste dell’autonarrazione e dell’autoesposizione in rete – due influencer attive anche nel creare contenuti a pagamento per la piattaforma per adulti Onlyfans – sono entrate nel medesimo museo, si sono liberate di qualche abito di copertura e, una volta giunte davanti al medesimo, dipinto hanno scattato diverse foto in posa, mettendo in mostra – attraverso trasparenze e aderenze – le proprie virtù. Poco dopo aver pubblicato le immagini sui loro profili in rete si sono trovate costrette a nasconderle per corrispondere alla tempestiva e incalzante richiesta della direzione del Museo.
Entrambe le iniziative hanno avuto una grande risonanza mediatica in Italia e in una parte vasta del resto del mondo; risonanza che, tuttavia, come sempre accade in questi casi, è durata appena qualche settimana, lasciando poi che i due episodi finissero presto con l’essere cancellati dall’oblio. A dire il vero, l’azione degli attivisti ha conservato una qualche minima e protratta resistenza all’interno del dibattito pubblico, ma solo grazie al reiterarsi di altri simili atti eclatanti da parte dello stesso gruppo.
Sguardo, messa in scena, messa in posa
All’origine delle due azioni – divise da una differenza abissale e unite da altrettanto ineludibili somiglianze – c’è la stessa necessità di trovare il centro dell’attenzione da parte di una platea la più vasta e numerosa possibile. Un centro dell’attenzione che, inevitabilmente quanto invariabilmente, è riferito direttamente allo sguardo. Nonostante i due attivisti in particolare rivendichino un’assenza di ascolto da parte delle classi dirigenti e di una specifica fascia anagrafica della cittadinanza; nonostante il primo e immediato corredo del loro atto sia una serie di dichiarazioni accorate sulle ormai quasi irrevocabili conseguenze della scarsa coscienza ecologica da parte delle nazioni oltre che dei potentati economici; nonostante le azioni di Ultima Generazione si mettano spesso in scena corredate dall’uso di striscioni, cartelli e megafoni utili a diffondere messaggi verbali, slogan, moniti raziocinanti rafforzati da liste di dati; nonostante tutto questo i due giovani di cui sopra compiono un gesto letteralmente iconoclasta contro una delle immagini più celebri della cultura condivisa dell’occidente contemporaneo scegliendo come centro plateale del loro agire l’immagine e l’immaginario. La loro azione è letteralmente una messa in scena, si potrebbe quasi dire anzi una messa in quadro: di sicuro una messa in posa perché i loro pochi e rapidi gesti diventino immediatamente e molto rapidamente immagini dirompenti che generino il riflesso condizionato della condivisione, della capillare diffusione sugli schermi digitali, che viene in questi casi definita usando una metafora epidemiologica: “virale”.
Ascoltateci!
I ragazzi dicono: “ascoltateci”, ma agiscono per essere guardati. Le ragioni della loro ricerca d’attenzione non sono però il narcisismo e l’irrequietezza ingenua che altrettanto rapidamente in molti tra i più retrogradi e i meno aggiornati tra i politici, i giornalisti, gli intellettuali hanno voluto gettare loro addosso. La loro minaccia – al contrario di quanto emerge da molte delle frettolose analisi prodotte in quei giorni – produce rischio e violenza in una sola direzione: contro gli stessi giovani che l’hanno messa in scena.
Così, in modo assai diverso, il gesto delle due modelle – a dire il vero assai poco mediato, piuttosto rozzo e goffo nella sua esecuzione – che sui propri volti e sui propri corpi esibivano già i segni evidenti di trasformazioni artificiose (chirurgia plastica) della carne della propria immagine, più che una minaccia al comune senso del pudore, un’offesa ai presenti o all’opera d’arte esposta a imperitura memoria nel museo, sembra produrre una sola forza violenta: quella autodiretta su loro stesse e derivante dall’esposizione sconsiderata e senza protezioni non del proprio corpo nudo, ma della propria nuda necessità di fare di sé spettacolo degli sguardi delle folle virtuali.
Entrambe le coppie di “performer” comunicano attraverso la propria immagine sacrificale, usano l’immagine dell’opera d’arte e la sua scenica celebrità per minacciarne e/o sovvertirne il senso e il ruolo originario, e far volgere così su di sé gli sguardi del mondo: sia che si tratti della lotta per la salvaguardia del pianeta, sia che ci si trovi davanti a un gioco al (proprio) massacro nell’illusione di un innalzamento di fama (e di ricchezza), si sceglie l’immagine simbolica per elevarsi sul palco patibolare della comunicazione visiva concedendosi al supplizio pur di ricevere il bene supremo non più della celebrità ma dell’attenzione – presunta – delle folle.
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