Per il regno (Mt 19,12)
La celebre frase di Gesù a proposito degli «eunuchi per il regno» si trova nel contesto di una disputa nella quale egli è interrogato circa questioni che riguardano il matrimonio: se sia lecito o meno il divorzio (Mt 19,1-9). In questa disputa con alcuni farisei, Gesù rimanda i suoi interlocutori al piano originario di Dio, che ha creato l’uomo e la donna per la relazione, affermando che «non è bene che l’uomo sia solo» (Gn 2,18). Al termine di questa controversia, intervengono i discepoli di Gesù: «Se questa è la situazione dell’uomo rispetto alla donna, non conviene sposarsi» (Mt 19,10). Le parole di Gesù sulla verginità per il regno sono dovute a questo intervento dei suoi discepoli e sono quindi in relazione con il matrimonio. La relazione con il matrimonio è quindi fondamentale per comprendere il detto di Gesù sul celibato.
Che cosa afferma Gesù? Egli parla di tre possibilità di vita celibe: «Vi sono eunuchi che sono nati così dal grembo della madre, e ve ne sono altri che sono stati resi tali dagli uomini, e ve ne sono altri ancora che si sono resi tali per il regno dei cieli» (Mt 19,12). Sono tre condizioni che Gesù tratteggia. La prima è la condizione di chi non è adatto al matrimonio per natura, per motivi fisici; la seconda condizione riguarda coloro che sono stati resi inadatti al matrimonio dagli uomini, attraverso una menomazione fisica, situazione diffusa nelle corti antiche; infine il testo di Matteo parla di coloro che si sono fatti «eunuchi per il Regno dei cieli», volontariamente. Su questa espressione si deve soffermare la nostra attenzione.
La prima caratteristica dell’«eunuchia» di cui parla Gesù emerge dal confronto con gli altri casi elencati prima: è volontaria. Infatti mentre i primi due casi si riferiscono ad una condizione in ogni caso subita, sebbene per motivi differenti, nel terzo caso citato da Gesù si tratta di una scelta volontaria. Chi è «eunuco per il regno» potrebbe sposarsi, ma sceglie liberamente di non farlo.
In secondo luogo, è fondamentale il riferimento al regno dei cieli. Matteo usa questa espressione invece di «regno di Dio», per salvaguardare l’impronunciabilità del nome divino. Quindi per il primo evangelista l’«eunuchia» è legata al regno di Dio, al messaggio fondamentale di Gesù. Infatti, nei Vangeli, l’annuncio della vicinanza del regno costituisce la sintesi della predicazione di Gesù: «Convertitevi, perché il regno dei cieli è vicino» (Mt 4,17). Ma potremmo dire che il regno dei cieli è Gesù stesso, la sua venuta: in lui il regno dei cieli si è fatto vicino. Nell’espressione «per il regno dei cieli» è importante anche la preposizione greca dià, che non indica la finalità, ma la causa, il motivo, il fondamento della scelta della vita celibe. In questa prospettiva, allora, la scelta dell’«eunuchia» per il regno è a motivo di Cristo, per rivelare nella comunità cristiana un aspetto fondamentale del cristianesimo che non appartiene unicamente ai celibi, ma a tutti e che non va mai dato per scontato. Infatti «il cristianesimo non è anzitutto un “fare”, un programma di azione: è comunione con Cristo» (G. Moioli). Il celibe nella sua «totale disponibilità al regno» diventa segno eloquente nella comunità della comunione con Cristo.
Il testo aggiunge un terzo elemento fondamentale dell’«eunuchia» per il regno: essa è libera, ha Cristo come fondamento ed è un dono. Gesù dice ai suoi discepoli: «Non tutti capiscono questa parola, ma solo coloro ai quali è stato concesso» (Mt 19,11). Letteralmente si potrebbe tradurre: «A coloro che è dato (ois dedotai)». Il celibato per il regno, se da una parte è una scelta libera, di chi potrebbe sposarsi, ma sceglie di non farlo, dall’altra è un dono che viene da Dio e come tale è da accogliere nella propria vita.
Senza voler trovare nel testo evangelico dei temi che si svilupperanno successivamente nella spiritualità cristiana, tuttavia il brano di Matteo sull’«eunuchia» per il regno ci aiuta a comprendere alcune caratteristiche fondamentale della vocazione al celibato: è libero; non ha altro fondamento che Cristo e il regno dei cieli; è un dono da accogliere. La collocazione in un contesto più ampio dove si parla di matrimonio e di reazione dei discepoli – «non conviene sposarsi» – aggiunge un altro tratto da non dimenticare: il celibato non si fonda sulla svalutazione del matrimonio, né sulla creazione di una gerarchia tra scelte di vita considerate l’una superiore all’altra. Il celibato, infatti, trova il suo significato in relazione al matrimonio – il celibe non è uno che non può sposarsi, ma uno che scegliere di vivere “diversamente” – e a partire da una visione positiva di esso, che si fonda sul sogno originario di Dio. Celibato e matrimonio insieme, rispondono in modi differenti, ma non contrapposti all’affermazione del Creatore, che non è bene che l’essere umano sia solo (cf. Gen 2,18).