Perseveranza o perseverazione?
L’amore che persiste ma non si fissa
È curioso come il noto aforisma “Errare humanum est, perseverare autem diabolicum” utilizzi il termine perseverare nella sua sfumatura negativa.
In effetti l’insistenza nel portare avanti un’attività più di quanto risulti funzionale o efficace, o continuare in uno stesso comportamento “nonostante ripetuti fallimenti o palesi motivi per interromperlo” (DSM-5-TR), secondo la scienza, non è perseveranza, ma perseverazione, che rappresenta un Tratto di personalità disfunzionale. In altre parole, la tendenza a protrarre qualcosa che si è dimostrata perdente, non è un buon indice di armonia psicoaffettiva.
Una coppia di fidanzati sta insieme già da qualche anno, ci sono litigi e battibecchi, come accade ad ogni coppia dopo il primissimo periodo quando le farfalle nello stomaco fanno passare in secondo piano i piccoli screzi. Passati i primi mesi, Lucia, però, inizia a rendersi conto che le discussioni sono troppo frequenti e che, sebbene siano su piccole cose, iniziano a diventare pesanti. Spera che i malumori si possano stemperare, Paolo è un bel ragazzo ed è anche molto in gamba, perché le cose non dovrebbero funzionare? Se lei ci mette maggior impegno e si rende più disponibile al dialogo – pensa – le discussioni si potrebbero ridurre, e poi tutti vedono molto bene la loro coppia, “un vero modello”. Il tempo continua a passare e Lucia inizia a dubitare fortemente che lei e Paolo funzioneranno. Tuttavia, decide di andare avanti nel fidanzamento, convinta che il tempo e il suo impegno amorevole aggiusteranno le cose.
Possiamo immaginare diversi sequel di questa storia.
Roberto è in seminario, è brillante negli studi e fa amicizia facilmente con i suoi compagni, dicono di lui che ha un buon carattere, solare e comunicativo. I formatori non hanno particolari richiami nei suoi confronti. Negli anni, tuttavia, Roberto si rende conto di essere assalito spesso da tristezza e angoscia alle quali non riesce a dare una spiegazione. Certo non molla il cammino solo per questo, sa bene che il malessere può essere un momento di desolazione spirituale e quindi si impegna a proseguire, a pregare e a confrontarsi, anche se si sente “strano”. L’umore non lo aiuta proprio: esternamente è ineccepibile, ma ciò che vive dentro di sé è un’altra storia. Sta per iniziare il sesto anno e, a questo punto, non è il caso di andare per il sottile con i dubbi e gli interrogativi, per cui ritiene che sia meglio soprassedere ai pensieri che lo tormentano, del resto “tutti i segni sono a suo favore”. Quel vago sospetto che qualcosa non vada viene messo a tacere.
Anche qui possiamo ipotizzare diversi finali.
Perseveranza o perseverazione di Lucia e Roberto? Ovviamente non si può rispondere solo sulla base di questi brevi stralci, bisognerebbe conoscere l’andamento delle rispettive storie, che però mi danno l’occasione per proporre due brevi ordini di considerazioni: 1) ciò di cui hanno bisogno le decisioni importanti per poter durare; 2) che alcune scelte esistenziali possono non funzionare.
1.
“Una volta…ai miei tempi” sono spesso utilizzati come metro per dire che le coppie in passato duravano di più e che le vocazioni sacerdotali e alla vita consacrata erano molto più stabili di oggi, il che è solo in parte vero, in quanto la storia ci ha insegnato che debolezze e falle ci sono sempre state nei processi umani e nelle scelte esistenziali. Sarebbe più utile, a partire dal cambiamento d’epoca attuale, riconoscere cosa può sostenere le decisioni di vita significative. Perseverare, infatti, richiede diversi elementi, sia personali che relazionali.
Sul piano personale
– Conoscenza e accompagnamento
Ogni scelta, perché sia durevole, richiede un’adeguata “preparazione”, che vuol dire un discernimento profondo, non frettoloso, e autentico. L’autenticità di questo processo è favorita sia dalla possibilità di trovare un accompagnamento libero che permetta alla persona di conoscersi e aprirsi senza paure, sia dalla discrezione dell’accompagnatore/accompagnatrice che non dovrebbe sostituirsi all’altro, dando direttive sulla presunta “strada giusta” che Lucia e Roberto dovrebbero seguire.
– La motivazione
Il “perché” si sceglie una persona come partner o un percorso di vita consacrata è un interrogativo tanto semplice, quanto basilare. Gli studi sui sistemi motivazionali sono un’importante prospettiva che permette di affinare lo sguardo su ciò che può animare il nostro modo di scegliere e comportarci. Cosa sto cercando? Quale “registro” utilizzo: ricerca di cura e attenzioni, bisogno di fondare l’identità e una posizione sociale? O, desiderio di cooperare, condividere, diventare generativi?
Sul piano relazionale
Un messaggio che il nostro tempo, con la sua complessità e velocità, ci sta lasciando è che da soli non siamo in grado di rendere durevole nessun progetto di vita. Tanto per le coppie, quanto per le vocazioni di speciale appartenenza, c’è bisogno di una seria riflessione comunitaria. Il sì dato nel giorno del matrimonio o dell’ordinazione, poi deve essere sostenuto all’interno di un tessuto sociale che riconosca l’importanza di una scelta e quindi incoraggi e supporti i coniugi a rimanere legati, il sacerdote a non sentirsi solo, la consacrata ad essere valorizzata nella sua missione.
Perseverare richiede un lavoro personale su di sé, che però sarebbe insufficiente senza la cooperazione dell’ambiente in cui la vocazione si sviluppa. I rapporti di amicizia, per esempio, del presbitero o del consacrato e della consacrata con altri fratelli e sorelle nello stesso percorso, o lo scambio tra coppie per condividere i momenti di svago e quelli più profondi di riflessione, sono vitali. Come è vitale la reciprocità delle vocazioni, che le famiglie siano coinvolte nella formazione e nelle vite dei sacerdoti e consacrati e viceversa. Abbiamo bisogno gli uni degli altri. I processi individuali senza quelli comunitari sono più a rischio di smarrimento.
2.
Una parola sulla perseverazione, sebbene, in poche battute, il rischio di fraintendimento sia forte. La scelta più convinta e solida, nella vita, incontra difficoltà anche serie e talvolta tremende. In modo sorprendente l’Amoris Laetitia contempla la crisi come parte della “drammatica bellezza” di ogni famiglia/vocazione (cf. n. 232). Quindi incontrare degli inciampi, anche importanti, non è indice di “aver scelto male” e non può essere in sé la ragione per mandare all’aria la decisione maturata, adducendo come motivo del ripensamento le numerose fatiche. Tuttavia, dall’esperienza di accompagnamento psicologico in ambito vocazionale e dal lavoro peritale sulle nullità matrimoniali, riconosco che alcune scelte non sono state affatto maturate, e negli anni quella decisione, presa su basi fragili, può trasformarsi in un’enorme sofferenza per sé e per gli altri. Ogni situazione è unica, è chiaro, ma in alcune circostanze può rendersi necessaria un’ulteriore riflessione (che talvolta può essere la prima vera riflessione su di sé e sulle proprie motivazioni) in merito a ciò che si desidera. A partire, quindi, da una maggiore consapevolezza del proprio modo di essere e dell’obiettivo da perseguire, una condizione esistenziale può andare incontro a processi di modifica e di cambiamento di rotta.
Una parola conclusiva: Abbiamo bisogno di vocazioni autentiche, come il titolo di un recente Convegno dell’UNPV, perché dà coraggio vedere anziani stare insieme per una vita, sacerdoti e religiosi/e che dopo 50 anni dicono di sentirsi realizzati. Chi, invece, vive come un fallimento o come un peso la propria storia, possa incontrare persone che non spengono la speranza di un nuovo inizio.