Cammina!
Vocazione e pellegrinaggio
È umano esplorare il proprio io e desiderare di raggiungere qualcosa di più grande, come la vocazione. Ciò avviene spesso attraverso viaggi – interiori e/o esteriori – che la tradizione propriamente chiama pellegrinaggi.
La vocazione rappresenta un richiamo verso uno scopo più profondo nella vita di un individuo, che può manifestarsi in varie forme: arte, impegno sociale o religioso. I viaggi, sia fisici sia spirituali, sono un viaggio intrapreso per raggiungere un luogo di alto significato personale.
Il presente testo ruoterà principalmente attorno alla vocazione vissuta nell’ambito della fede e il pellegrinaggio verso i luoghi di culto.
Il processo narrativo sarà esperienziale e allusivo. La vita è così. Tenteremo di affrontare il tema coniando monete dove sul dritto ci sarà il simbolo vocazionale, sul rovescio l’iscrizione del pellegrino e sul bordo una zigrinatura scanalata con la cronaca.
I pellegrinaggi verso i Dolmen
Le prime esperienze di pellegrinaggio risalgono a quando l’uomo, da nomade, divenne sedentario. In quella era, emerse l’esigenza di ritualizzare la sepoltura (Dolmen) e di farne un polo dal significato attrattivo. Tali luoghi ricordavano a ciascuno il proprio destino e mettevano in comunione reale con i «diversamente presenti».
Gli stessi significati che si ripropongono oggi quando si cammina tra le tombe di un cimitero o si rende omaggio alle Tombe degli Apostoli. È la destinazione ultima a suscitare la consapevolezza della vita, quella che chiamiamo universale vocazione alla santità. La quale matura tra una Via Crucis e un itinerario di ascensione.
Il salmo 16 – Mi indicherai il sentiero della vita – accompagna la presa di coscienza del credente. Il quale, pellegrino ai sepolcri, si fa testimone pubblico della sopravvivenza dell’anima e della risurrezione futura. Convinto che «la nostra preghiera per loro [i defunti] può non solo aiutarli, ma anche rendere efficace la loro intercessione in nostro favore» (CCC 958).
Esplicitata la meta di ogni percorso vocazionale, che deriva dal battesimo, analizziamo ora, solo per accenno, alcune tra le più diffuse esperienze derivanti dalla coppia vocazione/pellegrinaggio.
La vocazione anticipa la strada
A dispetto di una certa opinione corrente, nella maggior parte dei casi, la decisione di intraprendere un pellegrinaggio arriva dopo aver chiarito la propria identità spirituale. È la gratitudine, che conferma la fede, a provocare la marcia.
Ci sono dati che supportano tale convinzione. Quelli, ad esempio, raccolti da una ricerca di settore. L’analisi ha registrato che la maggioranza dei pellegrini diretti verso i santuari europei non chiedano guarigioni, bensì innalzino preghiere di gratitudine[1].
Prima c’è la professione di fede e poi arriva l’invito all’itineranza. Vocazione e pellegrinaggio sono inscindibili, anche nel mandato di Cristo. Prendi il tuo lettuccio e cammina[2], è solo uno tra i tanti versetti evangelici che illumina questo aspetto.
Il cammino risveglia la chiamata
L’osservazione pastorale recensisce pure il caso opposto. Quello di chi scopre la propria vocazione al termine di un pellegrinaggio iniziato con motivazioni meno focalizzate. Il salmo 26 – Noi cerchiamo il tuo volto, Signore – potrebbe descrivere la disposizione di questo viandante.
È il caso di due scrittori, marito e moglie, autori di bestseller, che hanno raggiunto la fede al termine di un pellegrinaggio. Lui, in particolare, proveniente da una famiglia laica, è stato battezzato di nascosto dalla nonna[3].
Questo percorso ondivago – dalla partenza al buio, al graduale chiarimento – è stato ben delineato da Giovanni Paolo II. Il santo pontefice, rivolgendosi in particolare ai giovani, disse: «È Gesù che cercate quando sognate la felicità; è Lui che vi aspetta quando niente vi soddisfa di quello che trovate; è Lui la bellezza che tanto vi attrae. È Gesù che suscita in voi il desiderio di fare della vostra vita qualcosa di grande, la volontà di seguire un ideale».
Una via per sfuggire dalla meta
Per la devozione popolare è un campo ancora poco arato. Il pellegrinaggio, però, può servire anche da via di fuga, sulla quale il fedele si incammina per allontanarsi dalla propria vocazione conosciuta, ma non accettata o coltivata.
La Bibbia ha pagine schiette sull’argomento. Giona è un esempio da manuale. Il libro che racconta la sua vicenda è composto da quattro capitoli. Ben tre di essi danno notizia delle sue azioni centrifughe che, anche fisicamente, prende le distanze da Dio, cambiando la meta che gli aveva indicato.
Simile dinamica emerge dall’episodio dei discepoli di Emmaus, i quali non furono lasciati soli neppure nel tragitto contromano: Gesù in persona si avvicinò e camminava con loro (cf. Lc 24, 13-35). Citiamo le occorrenze, senza dilungarci, solo per osservare il tema che, come una filigrana, attraversa sia l’Antico sia il Nuovo Testamento.
È pure storia dei nostri giorni. Facciamo cenno a quella di Luigi. Da adolescente voleva diventare sacerdote. La verde età, a motivo di comportamenti censurabili, le riservò, invece, una condanna a trent’anni di carcere.
Nella condizione di ristretto, Luigi ascoltò di nuovo l’antica chiamata. E l’affinò prendendo i voti di povertà, obbedienza e castità prima di ritornare libero per fine pena[4].
In itinere, vocati alla speranza
Le poche monete sin qui trafficate, sono solo un taglio della ricca divisa sopra menzionata.
Raramente è possibile dire parole definitive al termine di una riflessione. Mai lo è quando il tema riguarda il viaggio dello spirito. La vocazione e il pellegrinaggio possono essere ben descritte, infatti, col famoso titolo: Camminando s’apre cammino[5].
Il lettore potrà continuare in proprio le considerazioni, sfogliando, ad esempio, il Benedizionale Romano. Scoprirà un capitolo intero con orazioni che coprono tutta l’esperienza del pellegrinaggio, dalla partenza al ritorno[6]. Segno chequanti percorrono le Vie sacre sono sempre avvolti da una colonna di nube che guida l’andare (cf. Es 13, 21).
Potrà apprezzare la dimensione collettiva entro la quale è inserito anche il cammino in solitaria. La Madre di Gesù si manifesta modello pure in questo. La corsa, senza (apparente) compagnia, verso la cugina Elisabetta, ha acceso relazioni generative comunitarie sia nel presente sia nel futuro.
Il Giubileo 2025 affida ai credenti un compito simile. Il motto – Pellegrini di speranza – sintetizza efficacemente quanto esposto: il cammino svela e realizza la vocazione dei Figli della Resurrezione.
[1] Il questionario dell’Unitalsi – a risposta multipla, su 16 possibilità di scelta – parla chiaro: il 76% va in pellegrinaggio soprattutto come atto di ringraziamento, il 69% come atto di speranza, il 68% come gesto di condivisione della propria fede, il 65% per sentirsi più vicini a Dio. Solo il 40% dichiara di andare per chiedere una guarigione fisica, attestandosi al 14° posto come scelta dei pellegrini. Qui i dettagli (urly.it/3-pvp).
[2] Gv 5, 1-15; si veda anche Gv 9, 1-38.
[3] La storia di questa coppia è stata raccontata dalla rivista Credere (22/08/2019), e anche sul web (urly.it/3-p_g).
[4] La storia di una vocazione rinata dietro le sbarre è leggibile su (urly.it/3-q1a).
[5] Cf. A. Paoli, Camminando s’apre cammino, Gribaudi, Milano 1977.
[6] Benedizionale Romano, cap. X.