N.03
Maggio/Giugno 2024

Come manna nel deserto

Il riposo nella Bibbia

Dio, nel settimo giorno, portò a compimento il lavoro che aveva fatto e cessò nel settimo giorno da ogni suo lavoro che aveva fatto (Gen 2,2).

 

Curioso… nel settimo giorno Dio riposando compie l’opera che aveva fatto: senza il riposo del settimo giorno, la creazione sarebbe rimasta incompiuta, perché è il riposo che compie il suo lavoro. Ma com’è possibile?

Dio riposò con il verbo ebraico šābat, “cessare”, “smettere”, il verbo da cui proviene la radice del sabato, šabbāt, cosicché il giorno di sabato per Israele ha radice nel riposare di Dio, che a sua volta gioca con le consonanti del numero sette, šeba‘. Sette, cessare e sabato sono intrecciati nelle loro stesse consonanti.

Il settimo giorno, quindi, non è una siesta, ma è smettere di fare.

Anche noi intendiamo il riposo come cessazione del lavoro, ma con altre sfumature: riposo è tempo libero per evadere dagli schemi della routine, è una parentesi d’ossigeno prima di immergersi nella furia della settimana. Sovrapponiamo la festa e il riposare con l’evadere. Ma l’evaso è inevitabilmente un ricercato: ricercato dalla quotidianità che si infila fra i pensieri anche mentre ci si riposa e che, si voglia o no, busserà puntuale alla porta del lunedì mattina. Allora l’evaso accusa il primo giorno della settimana d’esser malattia, sindrome da lunedì mattina, poi si volta indietro e accusa il settimo perché già in esso tristezza e noia / recheran l’ore, / ed al travaglio usato / ciascuno in suo pensier farà ritorno[1]. E il processo si conclude tragicamente: colui che accusa è alla fine condannato ai lavori forzati dei sei giorni, fino al successivo fine settimana in cui forse si ripeterà il fugace tentativo d’evasione.

È così che ci condanniamo a vivere il tempo alla maniera del mito greco, in cui proprio il tempo, il dio Kronos, altro non fa che divorare i suoi figli.

Ma può esistere un riposo che mantenga la promessa d’essere tale? Esiste un cessare che invece di separarci dalla quotidianità, ci unisca ad essa? Un riposo che compia la nostra creatività quotidiana?

 

Dio benedisse il settimo giorno e lo consacrò, perché in esso aveva cessato da ogni lavoro che egli aveva fatto creando (Gen 2, 3).

 

Nuovamente curioso… i miti di creazione dei popoli con cui Israele entrò in contatto, si concludevano solitamente con la divinità creatrice che costruiva per sé un tempio o una città[2]. Nell’ultimo giorno della sua creazione, invece, Dio non delimita per sé uno spazio, non costruisce muri, ma sceglie di santificare il tempo: è lì che Lui abita[3]. Cosicché chi lo cerca nello spazio, lo trovi nel tempo e chi sonda la natura, lo scopra nella storia.

Riposo, allora, è cessare ciascuno dalla propria opera, perché accada di trovare Colui che in quel giorno si riposò e ora abita la storia. Avvenne così in un caldissimo mezzogiorno, quando il sole cocente costrinse Abramo a sostare all’ombra e mentre egli sedeva all’ingresso della tenda nell’ora più calda del giorno, il Signore gli apparve alle Querce di Mamre(Gen 18,1).

«I sabati sono le nostre grandi cattedrali» scrive Heschel e aggiunge che «il mondo senza il settimo giorno sarebbe [..] un mondo senza una finestra che dall’eternità si apre sul tempo»[4]. Lo stesso rabbino e filosofo insegna che l’esperienza spirituale è un momento d’intuizione della grandiosità di ciò che nel tempo è eterno. Ciò non implica denigrare le cose e il lavoro, bensì indica che c’è un momento nel tempo che conferisce significato alle cose e non viceversa.

Di nuovo, però, risuona la domanda: ma com’è possibile un tale riposo?

 

A proposito di ciò, ecco un’ultima curiosità. Se Dio nei sei giorni crea con la Parola, allora anche nel settimo Egli crea. Nel cessare il suo lavoro, infatti, pronuncia un’ultima parola: Dio dice bene di ciò che ha fatto e il dire bene della sua opera, compie l’opera dei sei giorni. Benedire è una parola che crea, crea il compimento. Nel settimo giorno, dunque, il lavoro di ogni uomo e di ogni donna non sarà concluso, ma, cessando, sarà benedetto.

A ben vedere, ogni giorno della creazione aveva già contenuto in sé, come un seme, il settimo: ogni giorno Dio vide che era bello. Lo immagino così, come quando all’inizio della primavera mia mamma si dedicava al giardino, interrava i vasi di primule, sarchiava il terreno attorno alla lavanda e intrecciava il fusto del gelsomino; ma tutto il gusto del lavoro era a fine giornata, quando si fermava a contemplare e sì, è bello! Quello è il compimento.

Così sia il settimo giorno: non un’evasione dalla quotidianità, ma il giorno in cui contemplare la benedizione che Dio pronuncia unendo i sei giorni al settimo, così da renderli uno, il giorno unico della creazione[5].

Riposa chi scopre che siamo Uno. Riposa chi intuisce la benedizione che abita l’uomo e la donna accanto a sé e che riveste il creato. Riposa chi sa, alla fine del giorno, scovare una minuscola perla preziosa, nel campo della sua giornata, per cui dire bene del suo oggi e del suo ieri. Riposa chi scopre che il passato è benedetto e che la storia è una storia salvata. Non perfetta, ma salvata.

Per questo il decalogo di Dt 5,15 sposa il sabato con la memoria della salvezza dalla schiavitù in Egitto: Ricordati che sei stato schiavo nella terra d’Egitto e che il Signore, tuo Dio, ti ha fatto uscire di là con mano potente e braccio teso; perciò, il Signore, tuo Dio, ti ordina di osservare il giorno del sabato.

Lo schiavo è colui che non può scegliere se lavorare oppure no. Quando Israele uscì dall’Egitto, il comandamento tracciò la via di libertà per non tornare indietro alla schiavitù di chi non può cessare di lavorare. Osservando il riposo del sabato, invece, il popolo vivrà libero come un figlio: il figlio è colui che sa di ricevere dal padre il pane a suo tempo, anche quando non lavora. Come manna nel deserto, una benedizione!

Il settimo giorno è accogliere la salvezza che Dio porta avanti nella storia di tutti, ma solo chi vive il riposo come figlio sarà così libero da accorgersene.

Ecco, allora, cos’è il riposo: la vita da figli amati.

 

È così che, nascosto nelle parole della Scrittura, abitava già il Figlio amato, il Logos. Con Gesù l’eternità entra nel tempo, compiendo ogni benedizione e, nel sabato, entra il Signore del sabato (Mc 2,28). In Lui, noi abbiamo la vita di Figlio, su cui riposa lo Spirito, che è l’amore fra Lui e il Padre. La vita del Figlio è tutta riversata su di noi, come una cascata, come manna del deserto. Una vita che si può mangiare e bere, che è pane e vino. Del resto, anche in essi, come nel sabato, è stata inscritta una parola di benedizione e di salvezza[6].

Riposo è aprirsi al gioioso annuncio che oggi è il giorno della salvezza (Eb 4,1-15), perché la mia vita e quella del creato sono immerse nella sua: tutto è stato fatto per mezzo di Lui e senza di Lui nulla è stato fatto di ciò che esiste (Gv 1,3).Allora vivere in Cristo, innestati nella sua vita, non è una conquista, perché dalle acque del battesimo siamo riemersi in Lui per grazia, per dono.

Vivere in Cristo è riposo.

 

 

[1] G. Leopardi, Il sabato del villaggio.

[2] Come il dio Marduk nel racconto babilonese dell’Enūma Eliš, con cui Gen ha molti punti di contatto.

[3] Cf. 2Sam 7; Is 66,1-2; At 7,48-49; 17,24; Eb 9,11.

[4] A.J. Heschel, Il sabato. Il suo significato per l’uomo moderno, 15 e 28.

[5] Per chi volesse scoprire come siamo stati creati due e uno, tutto in tutti, rimando all’articolo di Paolo Rocca pubblicato su questa rivista: «Tutto in tutti», Vocazioni 1 (2021).

[6] Mc 14,22-23; Mt 26,26-28; Lc 22,19-20; 1Cor 11,23-25.