N.04
Luglio/Agosto 2024

Entrò per rimanere (Lc 24,29)

La stella del vespro brillava ed il giorno era già declinato, quando il compagno di viaggio, sconosciuto e desiderato, entrò per rimanere con loro. Non era la prima volta che Gesù “entrava”: con questo verbo, infatti, Luca caratterizza l’intera vita pubblica del Nazareno. Per il terzo evangelista Gesù non è soltanto “Colui che viene” (érchomai: 7,19), ancor più è “Colui che entra” (eis-érchomai). Lo vediamo entrare nelle sinagoghe e nelle case, nei villaggi e nelle città, nella nube e nel Tempio, nella prova e nella gloria. Ma l’ultima ricorrenza del verbo entrare, quasi a suggellare il compimento di questo cammino, appare proprio qui, al termine della catechesi itinerante rivolta ai discepoli di Emmaus, quando entrò per rimanere con loro.

Per capire meglio cosa voglia dirci Luca, bisogna osservare alcune significative ricorrenze del verbo eisérchomai a partire già dal vangelo dell’infanzia. Qui troviamo due eccellenti “entrate”, quella dell’angelo Gabriele, per annunziare a Maria il desiderio di Dio, e quella della Madre del Signore, per rimanere nella casa di Elisabetta (1,28.40.56). Esse sono caratterizzate dalla gioia della salvezza e dall’effusione dello Spirito Santo; per questo diventano come un preludio delle successive “entrate” di Gesù nella vita degli uomini durante la sua missione itinerante (4,14-15).

Entrato nella sinagoga di Nazaret, Gesù inaugura il suo ministero con un sorprendente annunzio: «Oggi si è compiuta questa Scrittura nelle vostre orecchie» (4,16-21). Entrato nella casa di Simone, ne guarisce la suocera dalla febbre (4,38-39). Entrato di sabato in una sinagoga, guarisce un uomo che aveva la mano destra paralizzata (6,1-11). Entrato nella casa di Giairo, ne risuscita la figlia (8,49-56). Entrato nella casa di un fariseo, durante la mensa perdona una pubblica peccatrice (7,36-50). Entrato nel villaggio di Marta e Maria, condivide nella loro casa la parola e la tavola (10,38-42). Entrato nella città di Gerico, deve rimanere nella casa di Zaccheo, perché “oggi” vi possa entrare la gioia della salvezza (19,1-10)… Gesù stesso deve prima entrare nella “nube” del Mistero di Dio che si compie a Gerusalemme (9,28-36), per poi «entrare nella sua gloria» (24,26).

Ed alla fine di questo lungo cammino, una volta entrato nella sua gloria… dove rimane Gesù? Certamente, essendo asceso in cielo (24,51), siede ormai alla destra di Dio (22,69). Ma questo suo compiuto «essere nelle cose del Padre suo», come diceva sin dall’età di dodici anni (2,49), significa forse che si è allontanato da noi? Tutt’altro: la sua umanità glorificata ormai corrisponde perfettamente al desiderio salvifico di Dio, quello cioè di trovare una stabile dimora nella vita degli uomini per tornare a camminare con loro nel giardino alla brezza del giorno (Gen 3,8). Un vivo desiderio che anche Gesù, ancor prima che a Emmaus, manifesta nella notte della Cena: «Ho desiderato ardentemente di mangiare questa Pasqua con voi prima della mia passione, poiché vi dico: non la mangerò più, finché essa non si compia nel Regno di Dio» (22,15-16.30).

Racconta Martin Buber in un suo bellissimo libretto (Il cammino dall’uomo, 64), che un giorno Rabbi Mendel di Kozk chiese ai suoi ospiti: «Dove abita Dio?». Di fronte alla loro perplessità, rispose lui stesso: «Dio abita dove lo si lascia entrare».

Coraggio, fratello o sorella, che forse hai perso la speranza e senti come un grosso macigno pesare sul tuo anelito di vita. Se anche la malinconia attanaglia il tuo cuore, ascolta l’annunzio del Terzo giorno. Proprio là dove ti trovi realmente, nella condizione in cui la vita ti ha posto, nel tessuto di relazioni che costituiscono la tua esistenza, puoi sempre lasciar entrare Dio: è tutto ciò che Lui desidera! (Ap 3,20). La stella del vespro brilla già e annunzia che il giorno vecchio è ormai passato; se apri il cuore alla Parola e accogli questo nuovo Ospite, sconosciuto e desiderato, l’Oggi della salvezza si rivelerà ancora, lo Spirito si effonderà e Gesù, nostra gioia, rimarrà sempre con te.