La grazia, il fuoco e il tempo
Un testo di Teofane il Recluso (1815-1894)
Abbiamo già incontrato (Vocazioni, (2021) n.6 nov/dic) il vescovo russo Teofane il Recluso, una grande figura di staretz, le cui lettere di direzione spirituale sono una miniera di esperienze e consigli pratici. La bellezza di queste lettere consiste, tra altre cose, nel fatto che la non comune sapienza di discernimento e di vita interiore personale di questo monaco ― vero e proprio maestro di preghiera come lo definiva il card. Špidlík, che lo ha fatto conoscere in Occidente ― si traduce con semplicità e concretezza, senza perdere affatto in profondità, in indicazioni per la sua figlia spirituale.
Nel testo che presentiamo questa volta abbiamo un tema al quale non prestiamo sempre molta attenzione. Il fatto, cioè, che la grazia ricevuta nel battesimo ha bisogno di tempo per manifestarsi concretamente e visibilmente nella vita dei cristiani. E una volta che ci siamo lasciati trasformare dalla grazia, le nostre azioni diventano, anche se apparentemente uguali a tutte le altre fatte anche da chi cristiano non è, qualcosa di “speciale”. La questione era sorta anche, a partire dal IV secolo, in una linea di pensiero, di origine siriaca, eterodossa al cristianesimo, quella dei messaliani, i quali partivano, tra l’altro, proprio dall’osservazione che, anche dopo il battesimo, le persone continuavano a peccare. Quindi, concludevano, non era il battesimo che importava, ma il pregare continuamente.
Il battesimo, invece, ha bisogno di tempo per penetrare ogni nostra fibra, per portarci alla cristificazione totale del nostro essere. Riceviamo questo dono e poi, attraverso il tempo ― che non a caso è stato paragonato alla grazia (J.Guitton) ― veniamo condotti sempre di più alla nostra divinizzazione, come direbbero gli orientali.
Questo cambiamento non resta e non può restare solo interiore. Più ci lasceremo inondare da questo flusso incessante di trasformazione da parte della grazia, quanto più diventeremo anche “sensibilmente” ai sensi altrui, qualcosa di “profumato” (2Cor 2, 14-16), renderemo loro visibile l’amore (cfr. Tertulliano, Apol. XXXIX, 7) che Dio ha diffuso nei nostri cuori (Rm 5,5), provocheremo chi ci incontra a gareggiare con noi nella stima (Rm 12,10) e nella vita buona.
«Prestiamo attenzione alla parola del Salvatore! Egli dice che il regno di Dio è simile a una donna che abbia preso del lievito e lo abbia messo in un impasto. L’impasto, assumendo il lievito, non lievita subito: è necessario del tempo. Il lievito, messo dentro, a poco a poco penetra tutto l’impasto ed esso lievita: il pane ne verrà fuori, poi, soffice, aromatico e saporito. Così, la grazia, infusa nel nostro essere, non lo penetra tutto subito, ma a poco a poco. Poi, quando lo ha penetrato completamente, il nostro essere è permeato di essa. Le opere che più tardi compie l’uomo diventano tutte opere di un genere particolare. Benché per aspetto siano opere come quelle di tutti gli altri, esse posseggono un particolare aroma, un gusto particolare. Dio accetta solo queste, come opere a lui particolarmente gradite.
Faccio un altro paragone per chiarire come la grazia, quando le si dà modo di agire, penetra completamente il nostro essere, si manifesta all’esterno e diventa visibile a quanti sono capaci di vedere. Essa è simile al fuoco, che, penetrando il ferro, non si conserva solo dentro di esso, ma si manifesta all’esterno e mostra sensibilmente a tutti la sua forza. Così è la grazia che, penetrando completamente il nostro essere, diventa, poi, visibile a tutti. Quanti vengono a contatto con una persona animata dalla grazia, sentono che è presente in lei una forza insolita, che si manifesta in diversi modi. Quando parla di qualche realtà spirituale, essa si esprime con chiarezza “solare” e la sua parola raggiunge direttamente l’anima comunicandole con autorità i suoi sentimenti e le sue disposizioni. Anche se non parla, emana, poi, un calore che riscalda tutto e comunica una forza che stimola le energie morali e genera la disposizione a ogni tipo di azioni e di opere spirituali».
(Testo tratto da Teofane il Recluso, Lettera XXVI, in La vita spirituale. Lettere, Roma 1989, 94).