Fecero ritorno e narravano (Lc 24,33.35)
Dopo essersi interrogati fra sé in merito all’incontro con il Risorto, Cleopa e l’altro discepolo di Emmaus “partirono senza indugio e fecero ritorno a Gerusalemme” (Lc 24,33), secondo la resa dell’attuale traduzione della Bibbia italiana curata dalla CEI. Più letteralmente, potremmo veicolare il contenuto del greco del testo originario così: “E alzatisi in quell’ora fecero ritorno a Gerusalemme”.
Da una parte, l’incontro con il Signore, in quella sera del giorno di Pasqua, ha provocato nei due uomini una risurrezione: il verbo tradotto con “alzatisi” descrive spesso l’inizio di una nuova vita per Colui che era stato Crocifisso. Aver incontrato e riconosciuto il Risorto allo spezzare del pane diviene, per i due di Emmaus, rinascita a nuova vita sulle orme del Maestro. La forza della Pasqua avvia un dinamismo, li mette in cammino perché possano tornare sui loro passi. Se prima di incrociare il misterioso viandante, Cleopa e il compagno anonimo si stavano allontanando dai luoghi della Pasqua, da quel momento – dopo aver sperimentato la presenza amica di Gesù vivo – i due invertono la rotta per ricongiungersi con il resto della comunità dei discepoli.
Lo stesso verbo greco – hypostréphō, tornare, ritornare – ricorre altrove, negli scritti lucani (Vangelo e Atti degli Apostoli), in due differenti contesti. Descrive l’agire del lebbroso straniero che torna da Gesù lodando Dio dopo essere guarito (cf. Lc 17,15.18). È il tornare di chi riconosce il bene ricevuto e l’origine da cui tale bene proviene. In tal senso, assomiglia al fare ritorno dei discepoli da Emmaus a Gerusalemme, per andare all’origine dell’evento che li ha toccati e ha cambiato anche la loro vita, guarendo la loro desolazione. Inoltre, nel racconto degli Atti degli Apostoli, Paolo impiega lo stesso termine per annunciare ai Giudei di Antiochia di Pisidia l’esito della risurrezione di Cristo: “Dio ha risuscitato (Gesù) dai morti, in modo che non abbia mai più a tornare alla corruzione” (13,34). Per i viandanti di Emmaus, invece, è proprio il ritorno a Gerusalemme – ovvero il ricongiungimento con il germoglio ecclesiale nato dalla Pasqua di Gesù – che permetterà loro di non tornare in uno stato di mortificazione e di disperazione, come prima dell’incontro con il Risorto: l’annuncio udito una volta fatto ritorno a Gerusalemme (“Davvero il Signore è risorto ed è apparso a Simone”, Lc 24,33), testimoniato a loro e a noi, è la buona novella che, in ogni tempo, trasforma la vita ad ogni discepolo del Cristo.
La seconda azione dei due discepoli sulla quale vogliamo porre attenzione è quella descritta dopo l’incontro con gli Undici: “Ed essi narravano ciò che era accaduto lungo la via e come l’avevano riconosciuto nello spezzare il pane” (Lc 24,35). Il verbo in greco è exēgéomai, letteralmente: fare l’esegesi, spiegare. Ancora una volta, una ricorrenza significativa dello stesso termine si trova in At 15,12: Barnaba e Paolo, al concilio di Gerusalemme, narrano-spiegano i segni compiuti da Dio tra i pagani. In quanti hanno fatto esperienza dell’incontro con il Risorto – a Emmaus, come altrove – e ne hanno sperimentato la presenza provvidente, non resta che testimoniare quanto ricevuto. Ampliando il nostro sguardo, chiuso il racconto evangelico di Luca, segue il vangelo secondo Giovanni, il quale conclude il suo prologo con le parole: “Dio, nessuno lo ha mai visto: il Figlio unigenito, che è Dio ed è nel seno del Padre, è lui che lo ha rivelato [narrato-spiegato]” (1,18). Se la narrazione dei discepoli di Emmaus riguarda la meraviglia dell’incontro con Colui che è risorto a nuova vita, essa si innesta nell’opera stessa di Gesù che, con tutta la sua esistenza, ha raccontato il volto del Padre e che ora, vivo in mezzo ai suoi, ne narra l’opera di salvezza realizzata, in maniera eminente, proprio risuscitandolo da morte.
Va notato l’ordine degli eventi che accadono a Gerusalemme. Solo dopo aver ascoltato l’annuncio apostolico della risurrezione di Cristo e della sua apparizione a Simone (cf. Lc 24,34), i due di Emmaus possono raccontare quanto hanno vissuto. L’esperienza dei singoli non è valida di per sé: allora come oggi non il nostro sentimento e la nostra esperienza hanno l’ultima parola, ma il punto di riferimento rimane l’autorevole parola ecclesiale che è regola, misura e verifica di quanto da noi sperimentato.
Quanto vissuto dai viandanti di Emmaus si svolge di domenica, giorno della Pasqua. L’Eucaristia domenicale è per noi autentica esperienza di ritorno a Gerusalemme, alla memoria della morte e risurrezione di Cristo, quando riceviamo il dono, nella Chiesa, di sperimentare la grazia. Non solo: è pure occasione perché, accolta, sempre e di nuovo, la testimonianza apostolica della risurrezione di Gesù, possiamo diventare, a nostra volta, narratori della bellezza di averlo conosciuto e incontrato.