Alzati, e vieni, presto! (Ct 2,10)
Nella traduzione della Bibbia C.E.I., l’ultimo verbo di Ct 2,10 viene tradotto con : “vieni” o “vieni presto!”. Noi invece preferiamo seguire alla lettera il testo (va’…), perché a nostro avviso questa scelta permette di gustare più in profondità tutto il pathos e l’energia vitale d’amore contenuti nell’appello che l’amato rivolge alla sua diletta.
Il discorso diretto riportato è strutturato secondo un parallelismo sinonimico chiastico: (a) alzati – (b) mia amica – (b’) mia bella – (a’) e va’. Già da subito percepiamo come l’accorato invito dell’amato porta con sé un movimento che avvolge interamente l’amore della sua vita. Il testo ebraico pone insieme ai verbi “alzarsi” e “andare” un dativus commodi, che alla lettera si traduce con: “alzati verso di te/a te” e “va’ verso di te/a te”. Questo significa che la donna per poter rispondere e così accogliere l’invito del suo amato, deve partire verso se stessa, alla stregua di un viaggio da compiere nel proprio intimo. Soltanto dopo essersi attraversata essa sarà in grado di accogliere in pienezza la chiamata del suo diletto. Per ricevere, gustare ed apprezzare l’amore che le viene offerto, la donna deve prima creare nel proprio cuore lo spazio in cui custodirlo e farlo fruttificare. Perché altrimenti, se fosse piena esclusivamente dei propri pensieri, sentimenti e passioni, non avrebbe in sé la capacità necessaria per ospitare ciò che le viene donato.
Nella Bibbia Ebraica, troviamo altre tre occorrenze dell’imperativo del verbo “andare” seguito dal dativus commodi: Gn 12,1; 22,2 in cui il protagonista è Abramo e poi in Gs 22,4 riferito alle tribù di Ruben, Gad e a metà della tribù di Manasse. Notiamo come in questi testi il significato fondamentale sia quello di “andarsene” che indica quindi un punto di partenza e mai di arrivo; l’amore del Signore non potrebbe accendersi e produrre i propri frutti con una risposta “statica”, esso ha bisogno di una risposta dinamica costante. Il parallelo più adeguato al nostro versetto ci sembra quello della vocazione di Abramo in Gn 12,1; anch’egli è costretto a compiere un viaggio per riappropriarsi di se stesso così da realizzare le promesse che gli ha fatto il Signore.
Altri versetti affini al nostro per contenuto e vigore poetico sono quelli di Os 2,16-17.21-25 in cui troviamo il Signore che, prendendo l’iniziativa, parla al cuore del suo popolo/sposa il quale, da solo, non avrebbe avuto la forza di sganciarsi dai propri peccati ed errori. YHWH inizia sempre per primo a corteggiare il suo popolo; è lui che rivolge alla sua amata un invito costante ad accogliere e ricevere il suo amore, in modo tale da poter realizzare quel matrimonio che sancisce una mutua appartenenza, non come peso, non come obbligo, ma come libertà donata e ricambiata.
Per i cristiani, Gesù Cristo, il dono più grande che il Padre potesse fare ai propri figli, diventa il fulcro di tale amore e della relazione sponsale. Lui, lo Sposo, non si stanca mai di invitarci a rimanere nel suo amore. Ci incoraggia sempre nelle peregrinazioni della nostra vita, esortandoci ad alzarci e a percorrere il nostro cammino guidati da lui. Basti pensare ad esempio a Gv 5,8, in cui Gesù guarisce un paralitico. I due imperativi: “Alzati” e “Cammina” danno la capacità dirompente di infrangere la nostra pigrizia e abbandonare i luoghi comuni della nostra mente che imprigionano lo spirito, rendendoci abili a vivere in pienezza una relazione d’amore con Cristo. Le parole che vengono rivolte a Maria di Màgdala in Gv 20,15-17 accostano quest’ultima alla donna del Cantico dei Cantici. Alla domanda rivoltale da Gesù su chi cercasse, la Maddalena risponde che cercava il Signore, il quale verrà riconosciuto non appena pronuncerà il nome della donna: «Maria!». Lei, per aver creduto ed accolto l’invito ricevuto da Cristo, sarà la prima inviata (“va’!”) ad annunciare la sua resurrezione ed a testimoniare la sua signoria.
In tal modo, comprendiamo che l’esortazione rivolta alla donna nel Cantico, ha effetto perché essa ama, vivendo nella gioia di essere amata. Essa vive ai confini della propria esistenza, non isolata all’interno delle proprie sicurezze. Così potrà continuare con più facilità a donarsi e a donare, in una continua scoperta di se stessa tramite l’Altro, segno questo di una vita diventata missione autentica.