N.01
Gennaio/Febbraio 2025

La conoscenza dello Spirito

Cirillo di Gerusalemme e Ignazio di Loyola

Nel dire di certe esperienze spirituali, i mistici o i maestri spirituali spesso descrivono cose in modo simile. Per esempio, quando Ignazio di Loyola scrive le sue regole per il discernimento degli spiriti, cosa per cui i gesuiti divennero famosi nella tradizione spirituale, non stava ovviamente inventando nulla di nuovo. Descrive quella che era stata la sua esperienza e come l’aveva messa a servizio del suo obiettivo apostolico, ayudar a las almas. Quando si percorre la tradizione patristica, soprattutto monastica, si resta colpiti da quante descrizioni simili vi siano. Uno potrebbe dire “Ignazio conosceva il Pastore di Erma, Origene, Evagrio, Diadoco…”. È molto probabile che Ignazio non avesse letto nulla di questi autori. A mio avviso, è molto più probabile che ognuno abbia fatto tale esperienza e nel descriverla si trovi a usare delle espressioni simili, soprattutto quando sono di radice biblica. Ma ciò che mi interessa notare è proprio la comune esperienza di Dio, che può essere anche la nostra.

Ho scelto un esempio di questo, mettendo in parallelo il Padre maestro Ignazio con un autore abbastanza noto a chi studia patristica e liturgia, ma non tanto in altri contesti: mi riferisco a Cirillo di Gerusalemme (315 ca-387). Cirillo, che partecipò e soffrì durante la controversia ariana, è noto per una serie di catechesi in preparazione al battesimo, preziosissime per la teologia liturgica. Da qui traiamo il nostro testo da accostare a quello di Ignazio. 

In una delle due catechesi dedicate allo Spirito Santo, Cirillo descrive qualcosa di molto simile a quanto sperimentato da Ignazio di Loyola durante il suo soggiorno a Manresa, subito dopo la conversione, e che è conosciuto come “la visione del Cardoner”. Qui la descrizione che Ignazio stesso fece di tale esperienza: 

 

«Una volta se ne andava, per sua devozione, a una chiesa distante da Manresa poco più di un miglio: credo che si chiami San Paolo. La strada correva lungo il torrente. E mentre così camminava assorto nelle sue devozioni, si sedette un poco con la faccia rivolta al torrente che scorreva in basso. Mentre stava lì seduto, Cominciarono ad aprirglisi gli occhi dell’intelletto: non è che avesse una visione, ma capì e conobbe molte cose, sia delle cose spirituali che delle cose concernenti la fede e le lettere, e questo con un’illuminazione così grande che tutte le cose gli apparivano come nuove. Non si possono descrivere tutti particolari che allora egli comprese, sebbene essi fossero molti, ma si può dire solo che ricevette una grande luce nell’intelletto. [E questo di restare con l’intelletto illuminato si verificò in maniera così forte che gli pareva di essere come un altro uomo e di avere un altro intelletto diverso da quello che aveva prima]. Di modo che, in tutto il corso della sua vita, fino ai 62 anni compiuti, mettendo insieme tutti e quanti li aiuti ricevuti da Dio, e tutte e quante le cose che aveva appreso, anche riunite tutte insieme, non gli sembrava di aver imparato tanto come in quella sola volta»

(Ignazio di Loyola, Autobiografia, (Ignaziana, 1), a cura di C. Chiappini, ADP, Roma, 2019, 61-62)

 

Ed ecco, d’altra parte, la descrizione di una esperienza simile da parte del vescovo di Gerusalemme. Cirillo, dopo aver descritto gli effetti terribili che lo spirito cattivo produce nell’anima, passa a descrivere l’azione dello Spirito Santo. La descrizione degli effetti di tale presenza è meravigliosa. Parla della soavità del suo arrivare, della profondità del suo amore (con viscere di fraterno affetto) e poi dell’azione illuminatrice (notiamo come l’effetto di una comprensione profonda venga accompagnata dall’immagine della luce) che porta colui che Lo riceve a superare i limiti della sua conoscenza terrena verso la contemplazione.

 

«16. […] [Lo Spirito santo] opera per il bene e per la salvezza. In primo luogo, la sua presenza è dolce, la sua percezione soave, il suo giogo assai leggero. Raggi fulgenti di luce e di conoscenza precedono il suo avvento. Egli viene con viscere di fraterno affetto. Viene infatti per salvare, curare, insegnare, ammonire, fortificare, consolare e illuminare la mente, in primo luogo [quella] di chi lo accoglie, poi tramite lui, anche quella degli altri. E come [a] uno che prima era nelle tenebre, avendo poi veduto improvvisamente il sole, si illumina la vista del corpo e vede chiaramente quello che prima non vedeva, così anche [a] colui che è stato reso degno dello Spirito Santo viene illuminata l’anima e, oltre ogni possibilità umana, vede le cose che [prima] non conosceva. Il corpo è sulla terra, ma l’anima contempla i cieli come uno specchio. Vede, come Isaia, il Signore seduto su un trono alto ed eccelso (Is 6,1); vede come Ezechiele colui che sta al di sopra dei Cherubini (Ez, 10,1); vede, come Daniele, le mille migliaia e le diecimila miriadi (Dn 7,10); il piccolo uomo vede l’inizio e la fine del mondo, i tempi intermedi e la successione dei regni, cose che non aveva imparato, perché gli sta vicino colui che porta veramente la luce. L’uomo è prigioniero dentro le mura, ma la potenza della conoscenza si estende lontano e vede anche le cose fatte da altri».

(Cirillo e Giovanni di Gerusalemme, Catechesi prebattesimali e mistagogiche, Letture Cristiane del I millennio, 18, Paoline, Milano 1994, 499-500)