Quale comunione e collaborazione tra i CDV e gli Istituti di vita consacrata per l’animazione della pastorale vocazionale nella Chiesa locale?
Contributo dai laboratori
1. QUALI COMPETENZE ALL’INTERNO DELL’ISTITUTO PERCHÉ LA PASTORALE VOCAZIONALE DIVENGA PATRIMONIO DEI SINGOLI E DELLE COMUNITÀ?
Nel nostro gruppo, guidato da don Luciano, sacerdote diocesano, e suor Marina, erano presenti varie espressioni della Chiesa: membri di Istituti Religiosi, Secolari e Congregazioni, sia di nazionalità italiana che straniera. Si è partiti dall’importanza del formarsi all’ascolto attento e profondo del chiamato per potersi mettere in una relazione di accompagnamento vocazionale; tale realtà trova un clima privilegiato nel sacramento della Confessione e direzione/accompagnamento vocazionale.
L’atteggiamento dell’ascolto riguarda anche il proprio cammino di conversione personale. A tale proposito l’animatore vocazionale è un’antenna privilegiata che aiuta la comunità a mantenersi aperta allo Spirito Santo, essendo provocata dai contatti con chi è in ricerca. Dobbiamo creare comunità accoglienti, che sappiano lavorare sulla fiducia e sulla maturità, lasciandosi osservare e scomodare. Infatti la conversione riguarda tutte le fasi di sviluppo della vita consacrata: animazione, formazione, vita comunitaria, apostolato, ecc.
La coscienza di cosa sia la vocazione non è un dato scontato: ci vuole una cultura vocazionale che ci ricordi che è il Signore che chiama, che la vita è vocazione e che la vocazione non è un problema, ma un dono. Aiutiamo i nostri Istituti a passare dalla nostalgia alla profezia, superando eventuali timori verso culture diverse da quella italiana. Dobbiamo lasciar trasparire la bellezza dei molteplici carismi della Chiesa e la necessità della vita consacrata, senza vivere i cambi di rotta vocazionale come delle sconfitte. C’è necessità di educarci allo stupore. L’animatore vocazionale è chiamato ad amare la Chiesa locale e a collaborare con essa. Il carisma non è un prodotto dell’impegno individuale, ma è un miracolo di Dio per il servizio alla Chiesa, nato dal primato della Grazia, nella logica del mistero pasquale.
Un autentico annuncio richiede di vivere la passione del proprio carisma, non solo come individui, ma come comunità: tutti siamo animatori vocazionali. Per essere animatori vocazionali occorre che i membri di una comunità siano convinti della propria vocazione, pronti ad accogliere le inevitabili difficoltà nella prospettiva della gioia della chiamata. È compito dell’animatore vocazionale educare anche le famiglie a scoprire la dimensione vocazionale della vita sponsale e a vivere la realtà della vocazione dei propri figli non come una delusione o una morte, ma come un bel dono.
I giovani, nella loro ricerca di un orizzonte più grande ed autentico possono trovare nei carismi delle risposte ai loro naturali bisogni di ribellione, ma anche a quello di sentirsi amati. Sono necessari alcuni strumenti particolari di formazione, quali l’aggiornamento che proviene dai convegni e dallo studio delle scienze umane e teologiche, insieme alla preghiera personale e comunitaria ben curata, alla liturgia eucaristica e alla meditazione della Parola di Dio.
Dobbiamo investire sulla formazione umana, aprendoci con stupore alla storia di ognuno: le ferite possono diventare “feritoie”. A volte proponiamo modelli alti, ma impossibili, che alla prova dei fatti causano delusioni e crisi. È fondamentale la relazione, per offrire la nostra vocazione come testimonianza di vita: un tesoro nascosto che si rivela nel quotidiano e che si può svelare nel racconto.
Dobbiamo cambiare il nostro rapporto col tempo vissuto nella logica della gratuità, rispettando una scala di valori condivisa da tutta la comunità. Dagli interventi è emersa l’importanza che nelle comunità ci si prenda cura vicendevolmente della vocazione. Dobbiamo appassionarci di Gesù Cristo e della Chiesa: da questo scaturiscono l’accoglienza e lo slancio vocazionale. Ecco perché l’animazione vocazionale è strettamente legata alla formazione.
La figura dell’animatore è stata posta in analogia a quella di un genitore: dà una vita, quella spirituale, che a sua volta ha ricevuto e deve custodire; dà il cibo necessario a questa vita, guadagnato con fatica (mediante preghiera, sacrificio, ascolto, tempo, ecc..); ha attenzione perché sempre i fratelli crescano in armonia. Da queste premesse scaturisce la gioia della crescita della famiglia.
Siamo davanti ad una sfida e ad una necessità di conversione nel modo di pensare la vocazione, perché l’animatore vocazionale sia nei fatti quello che è nel nome.
2. UN POSSIBILE IDENTIKIT DELL’ANIMATORE VOCAZIONALE
Uomo/donna di DIO
– Non propone se stesso, ma propone la vita di Cristo in lui.
– È uomo/donna di preghiera.
– Esprime la gioia di appartenere a Dio e di riconoscersi amato/a da lui.
– È innamorato/a di Dio.
– In ricerca continua della verità/profondità della propria vocazione.
– Riconosce che il suo sogno (desiderio) è il sogno (desiderio) di Dio.
Uomo/donna di Chiesa
– Ha un sentire ecclesiale.
– Non ama la Chiesa in astratto, ma la Chiesa locale, presieduta dal Vescovo, nella quale vive ed opera.
– Capace di vivere e generare comunione.
– Favorisce nella comunità l’incontro con Cristo.
– Sa vivere un gioco di squadra, consegnando il “testimone”.
– Si riconosce animatore non soltanto dei giovani, ma anche della comunità parrocchiale e /o religiosa in cui opera.
– Ha un grande spirito di libertà, passione per il Regno di Dio, rifiuta ogni proselitismo.
Uomo/donna di fedeltà gioiosa/testimoniante
– Proprio perché si riconosce chiamato, non tiene questo dono per sé, ma lo condivide e lo testimonia, trasmettendo vita.
– Mostra la bellezza della sua vocazione con la vita fraterna.
– Sa vivere con autenticità e con coerenza la sua fede e il suo carisma.
Uomo/donna di ascolto
– Sa ascoltare (senza giudicare) prima di proporre.
– Sa raccontare la storia della propria vocazione.
– Sa accompagnare, (apre la strada e conduce fino alla fine); sa portare vita; sa testimoniare il rendimento di grazie.
– Sa vivere rapporti liberi e maturi, grazie anche ad una formazione permanente e ad un paziente lavoro su di sé.
– Sa farsi vicino, fino alla proposta esplicita.
– Sa che la vocazione di Dio passa attraverso la famiglia e quindi la coinvolge come soggetto attivo della pastorale vocazionale.
3. COME GARANTIRE UNA CONTINUITÀ NEL CAMMINO EDUCATIVO E FORMATIVO DEL GIOVANE?
Dopo la lettura del testo proposto ed un breve tempo di riflessione personale, il gruppo è stato invitato a dare voce alle risonanze mettendo in luce quegli aspetti particolarmente espressivi di una realtà che più o meno coinvolge tutti.
Non si discute sul fatto che la responsabilità prima della pastorale vocazionale sia del Vescovo: a lui spetta il compito di promuoverla e sollecitarla, oltre che di garantire che la pastorale vocazionale sia l’anima di tutta la pastorale della Chiesa locale.
Il testo sottolinea che una responsabilità particolarissima è affidata alla famiglia cristiana, mentre riconosciamo che è ancora molto il cammino da fare affinché la famiglia sia riconosciuta quale “grembo” nel quale nascono, crescono e maturano le vocazioni.
Si riconosce che lavorare insieme, nella Chiesa locale e tra Istituti è una grande ricchezza, anche se non sempre è realizzabile per non chiarezza di ruoli, rigidità, chiusure.
Pur considerando un grande ruolo all’opera pedagogica-educativa della catechesi, si constata che spesso esiste uno scollamento tra gli orientamenti ecclesiali e la vita concreta delle persone (vedi catechesi, prassi pastorali superate…) per cui si assiste a tanta indifferenza, resistenza e a volte rifiuto di un certo modo di proporre i cammini di fede.
Il Convegno di Verona, tra le altre luci, ha suggerito delle piste significative: passare dalla pastorale delle strutture alla pastorale delle persone, favorendo la qualità della vita e coltivando la vita spirituale, innestata nel Signore della vita.
Occorre comprendere i giovani, ci ricordava ieri sr. Giuseppina, superando i luoghi comuni, facendo uscire il grido che attanaglia il loro cuore e facendo scoprire loro la gioia della salvezza, la gioia dell’incontro con la persona di Gesù Cristo.
INTERROGATIVI
Quali rapporti, quale complementarietà con il formatore nell’Istituto di vita consacrata o nel Seminario con il padre spirituale e il Rettore; quali confini di competenza tra l’una e l’altra figura per una continuità nel cammino formativo del giovane?
Partendo da questi interrogativi abbiamo cercato di lasciarci condurre dall’esperienza fatta nel campo formativo o da convinzioni maturate nel tempo, giungendo ad una serie di atteggiamenti che esprimono uno stile di presenza e di collaborazione tra le diverse figure educative e formative. La stima e la fiducia reciproca creano le condizioni affinché vi sia collaborazione, discrezione, scambio, rispetto dei ruoli, riconoscimento del cammino fatto nelle tappe precedenti.
Sono emersi anche aspetti problematici da superare, quali:
-forme di gelosia e di discontinuità nell’accompagnamento dei giovani;
-poca chiarezza nei compiti dell’animazione vocazionale e della pastorale giovanile diocesana, oltre che nei ruoli degli animatori;
– necessità di cammini che tengano conto della gradualità e di un accompagnamento sistematico.
Si è riconosciuta, invece, la necessità:
-di una conoscenza maggiore degli ambiti propri tra formatori/trici e animatori vocazionali;
-il confronto continuo tra formatori/trici per superare i conflitti che potrebbero nascere tra formatore e formando;
-l’attenzione e l’unità d’intenti tra chi accompagna all’inizio (sacerdote, guida spirituale…) ed il formatore;
-capacità di accompagnare e “consegnare” il giovane, affinché intraprenda con libertà la tappa successiva.
Ci si rende conto di quanto sia importante e necessario creare, nelle nostre realtà, una mentalità ed una sensibilità che facciano superare l’atteggiamento di delega, a volte di pessimismo o di rassegnazione.
Si è ribadito quanto sia indispensabile una continua formazione, e autoformazione, che si ottiene attraverso la partecipazione a corsi specifici, ma anche approfittando delle proposte (come questa) del CNV o della CISM-USMI…
Come vive la tua comunità l’impegno corale per le vocazioni? Nella tua comunità l’animazione comporta il superamento di atteggiamenti come l’indifferenza, la mentalità di delega, il pessimismo e simili?
Rispondendo a questo interrogativo è subito emerso quanto nelle nostre comunità sia presente il rischio di delegare agli “addetti ai lavori” la responsabilità dell’annuncio e dell’animazione vocazionale.
C’è tuttavia la consapevolezza di essere tutti coinvolti nel sostenere la qualità della vita, aiutando a tener viva la “bellezza” della vita cristiana, riscoprendo il Battesimo e risvegliando nei giovani il desiderio di Dio e la gioia di seguirlo.
Si è riconosciuto che più che parlare di crisi di chiamati si dovrebbe parlare di crisi di chiamanti: tutti ed ognuno dovremmo sentire la responsabilità di essere animatori/trici vocazionali.
E a questo proposito si sono condivise alcune iniziative che esprimono la volontà di coinvolgere fratelli e sorelle delle comunità religiose, attraverso iniziative che tengano conto delle reali possibilità:
– l’accoglienza gratuita dei giovani nelle comunità;
– l’invito a fratelli e sorelle anziani a condividere la loro testimonianza di vita;
– la proposta di dedicare, nell’arco dell’anno, oltre alla GMPV, un’altra giornata vocazionale dell’Istituto;
– la proposta di un Istituto di una Missione Vocazionale Itinerante da realizzare nelle parrocchie dove sono inserite le religiose, previa preparazione e coinvolgimento di sacerdoti, religiose, consiglio pastorale.
4. QUALI RELAZIONI CON L’ANIMATORE VOCAZIONALE?
A partire dalla tua esperienza e dalla tua prospettiva, come vedi l’apostolato dell’animatore vocazionale?
Più che di apostolato dell’animatore vocazionale, si è parlato del suo modo di essere, del suo stile, quasi a voler dire che, in questo caso, apostolato vocazionale e vocazione dell’apostolo coincidono. Più persone, infatti, hanno sottolineato la necessità della coerenza dell’animatore vocazionale, la sua gioia di avere incontrato Cristo, di aver sperimentato il suo amore e di averlo riamato; la gioia della sequela è già un primo annuncio, che viene fatto dall’essere del chi-amato chi-amante (per dirlo in termini “cenciniani”), prima ancora che dalle varie proposte e attività.
Altre voci hanno aiutato a completare l’identikit dell’animatore vocazionale: un chi-amante onesto, libero nel proporre, che non cerca reclute, non attaccato a vecchi modelli, che non costringe e condiziona, che propone un Gesù bello, che è infaticabile, che ha sempre tempo e spazio per ascoltare e stare accanto, gratuitamente; è un assiduo seminatore che annuncia con chiarezza il messaggio dell’amore di Dio e della sua presenza eucaristica, che sa andare contro corrente; è un chi-amante che sa entrare nella vita dei giovani, che parte dai loro interessi per condurli alla relazione profonda con Cristo e ad una successiva scelta di vita; un chi-amante che fa suo lo stile del Dio-con-noi e sta tra i ragazzi, anche nelle situazioni limite, con pazienza, senza pregiudizi, con umanità e gesti di affetto, favorendo con la sua semplicità il dialogo confidente e l’apertura del cuore.
È un chi-amante che, come il buon samaritano, si china sulle ferite aperte e sanguinanti della vita dei giovani che incontra sul suo cammino; che sa farsi carico di questo dolore, anche ricorrendo ad esperti e a persone competenti, per poter lenire le ferite, dare vigore e libertà, mettendo poi il giovane in grado di intraprendere il suo percorso di sequela.
Infine, una persona ha fatto notare che il primo annuncio si riceve in famiglia ed i primi semi vocazionali vengono gettati dai genitori.
Quale relazione hai stabilito con gli animatori della tua diocesi e della tua congregazione?
Come ti fai coinvolgere?
A questa domanda non si è risposto in modo specifico, ma tre persone hanno parlato della loro attività di animazione, sia come singoli che come équipe, all’interno dei loro istituti religiosi, mettendo in evidenza due compiti: quello di animare tutti i membri dell’istituto, ravvivando il fervore vocazionale, e quello di andare d’accordo tra i membri dell’équipe vocazionale.
Altri hanno parlato di collaborazione nel C.D.V. o in ambito parrocchiale, dove il lavoro viene svolto in équipe, nelle quali sono presenti vari ministeri e diverse competenze, per favorire il discernimento vocazionale dei giovani.
Sono emerse due modalità di coinvolgimento per quanto riguarda la collaborazione nell’équipe di animatori e l’animazione nelle parrocchie.
* La prima riguarda la collaborazione tra gli animatori: tutti devono cercare di fare spazio alle intuizioni degli altri per creare un quadro il più bello e il più completo possibile, per rendere un miglior servizio ai giovani.
* La seconda riguarda tutte quelle iniziative di preghiera per le vocazioni che coinvolgono tutti: religiosi, famiglie, movimenti, presbiteri, ragazzi… Ad esempio “ Il Monastero invisibile”, dove tutti pregano per tutte le vocazioni; le diverse adorazioni mensili o il Cenacolo…
Cosa ti aspetti?
Sono emerse due aspettative, entrambe nei confronti del C.D.V.
– Si desidera un C.D.V. che animi vocazionalmente tutte le varie pastorali. Se per vocazione si intende l’incontro con Cristo e la successiva risposta, allora o le varie pastorali conducono a quest’incontro e a questa risposta, o non sono pastorali.
– Si desidera un C.D.V. dinamico e generoso, i cui membri abbiano voglia di fare e di collaborare, si muovano e visitino le varie parrocchie per far conoscere le diverse proposte e vocazioni.
5. ELABORARE UN PIANO PROGRAMMATICO PER LE VOCAZIONI
Perché un piano programmatico per l’Istituto?
Nel rispondere al primo quesito ci troviamo tutti d’accordo nel sottolineare l’importanza di un piano programmatico per le vocazioni; un piano che sia in grado di coinvolgere “sapientemente” e con creatività la comunità sia ad intra che ad extra.
Il piano programmatico dovrebbe favorire la diffusione di una cultura vocazionale che si propaghi in tutte le realtà sociali e in tutti gli ambiti educativi, in modo da favorire, a suo tempo, il nascere di nuove vocazioni nella Chiesa.
Essendo la vocazione un dono di Dio che va scoperto, accolto, custodito e fatto crescere, è opportuno evitare ogni forma d’improvvisazione che potrebbe bruciare le tappe di discernimento nel chiamato ed impedire o comunque ostacolare il dono di Dio, che deve manifestarsi nella sua bellezza e creatività.
Dal gruppo emerge con chiarezza il bisogno di radicarsi nella fedeltà al proprio carisma per non spersonalizzare il dono creativo che lo Spirito Santo, suscitando fondatori, ha voluto fare alla Chiesa.
La consapevolezza che la chiamata è dono di Dio deve rendere l’animatore libero di poter proporre chiaramente il proprio carisma, nella certezza che «il vento soffia dove vuole e ne senti la voce, ma non sai di dove viene e dove va: così è di chiunque è nato dallo Spirito» (Gv 3, 8).
Essere fedeli al proprio carisma significa rispettare il dono dello Spirito nella Chiesa e per la Chiesa. È importante alimentare la comunione tra i diversi carismi, che rendono la Chiesa viva e feconda di sempre nuove vocazioni.
Il dono che lo Spirito fa al singolo va condiviso. Tutta la comunità deve dare una testimonianza gioiosa, sentendosi responsabile e parte attiva dell’attività vocazionale.
È indispensabile:
– vita di preghiera;
– dare testimonianza del proprio rapporto con Cristo;
– sentirsi servi inutili…
Abbiamo preso in considerazione anche un aspetto non poco rilevante: il mondo sta cambiando vertiginosamente e con esso anche il modo di pensare non solo la vita, ma la vocazione stessa; la strutturazione del linguaggio assume caratteristiche sempre più facilmente mutevoli e questo comporta inevitabilmente il rischio della “incomunicabilità della fede” (per il nostro caso specifico). Pensare ad un piano programmatico in termini attuali eviterebbe all’animazione il rischio di essere muta di fronte ad una generazione che grida il suo bisogno di vita piena e di senso. A noi è richiesto di ASCOLTARE la vita. Per questo è importante tener presente l’orizzonte antropologico, che ci guida alla conoscenza sempre più fedele all’uomo che vogliamo incontrare. Troppo spesso ci preoccupiamo dei giovani che sono a noi vicini ed evitiamo di farci vicini ai lontani. La logica di Dio, però, ci ribalta la prospettiva e ci spinge ad andare proprio là dove sembra non ci siano speranze. Dovremmo ritrovare il coraggio di annunciare esplicitamente Gesù Cristo, perché troppo spesso lo mascheriamo con le nostre “affascinanti” iniziative.
Chi deve elaborare il piano?
Siamo tutti concordi nel dire che il piano programmatico, magari precedentemente preparato in Diocesi, deve necessariamente coinvolgere, in fase preparatoria, soprattutto coloro che dovranno eseguirlo. L’apporto di coloro che dovranno rendere il piano operativo è indispensabile ed utilissimo per renderne fattibile l’attuazione concreta, in modo che non risulti caduto dall’alto o, ancora peggio, imposto dall’alto.
È opportuno pertanto:
– leggere la situazione in cui il piano deve essere operativo;
– gestire con sapienza le risorse che si hanno a disposizione (il più delle volte anche gli aspetti negativi si rivelano più che un problema una risorsa e una provocazione!);
– stabilire degli obiettivi reali, che cioè rispondano alle attese degli “animandi”… inseriti in un progetto unitario più ampio.
È indispensabile che anche i piani pastorali dei singoli Istituti siano in sintonia con il progetto di pastorale vocazionale diocesano.
Quali criteri tener presenti?
Per elaborare un piano è opportuno tener presenti i seguenti criteri:
– criterio del realismo e dell’adattamento alle situazioni: ogni realtà va prima “ascoltata” per poterne cogliere gli aspetti positivi e negativi;
– criterio della precisione teologica: rimettere al centro la Parola di Dio come unica fonte ispiratrice di qualsiasi intervento di pastorale vocazionale. La Sacra Scrittura deve pertanto occupare un posto rilevante perché essa è la fonte ispiratrice di ogni chiamata;
– criterio della continuità: è indispensabile che un piano di pastorale vocazionale non si abbandoni alla tentazione dell’improvvisazione, ma abbia un chiaro iter operativo, che garantisca il raggiungimento degli obiettivi stabili nel piano generale (lasciando spazio all’imprevedibilità dell’azione dello Spirito Santo, che nell’uomo suscita il volere e l’operare);
– criterio della specificità: questo criterio mette al riparo da ogni genericità. Bisogna testimoniare e proporre esplicitamente il carisma dei propri fondatori, per poter continuare l’opera che lo Spirito ha iniziato con loro nella Chiesa, nel rispetto e nella promozione di ogni vocazione;
– criterio dell’unitarietà: ogni piano programmatico non può vivere se non è in relazione con il piano più ampio della Diocesi e della Chiesa stessa. Evitare ogni forma d’individualismo aiuta la formazione di una cultura vocazionale, tanto più feconda quanto più capace di comunione.
Tener presenti questi criteri ci pone nella condizione di dover lavorare per fare spazio all’azione generatrice di Dio che, nella sua bontà e sapienza, volle rivelarsi in persona e manifestare il mistero della sua volontà (cf Ef 1,9), mediante il quale gli uomini per mezzo di Cristo, Verbo fatto carne, hanno accesso al Padre nello Spirito Santo e sono resi partecipi della divina natura (cf Ef 2,18; 2Pt 1,4). Con questa Rivelazione, infatti, Dio invisibile (cf Col 1,15; 1Tm 1,17) nel suo grande amore parla agli uomini come ad amici (cf Es 33,11; Gv 15,14-15) e si intrattiene con essi (cf Bar 3,38), per invitarli ed ammetterli alla comunione con sé (cf DV 2).
Ciò che era fin da principio, ciò che noi abbiamo udito, ciò che noi abbiamo veduto con i nostri occhi, ciò che noi abbiamo contemplato e ciò che le nostre mani hanno toccato, ossia il Verbo della vita (…) quello che abbiamo veduto e udito, noi lo annunziamo anche a voi, perché anche voi siate in comunione con noi. La nostra comunione è col Padre e col Figlio suo Gesù Cristo. Queste cose vi scriviamo, perché la nostra gioia sia perfetta. (1Gv 1-4).
Grazie di cuore!