Don Tonino Bello, accompagnatore vocazionale
Con il passare degli anni, la letteratura su don Tonino Bello è aumentata in modo considerevole. Gli studi hanno preso in considerazione molti aspetti della sua persona e del suo pensiero. Anche i suoi scritti sono stati quasi tutti pubblicati e sono disponibili per coloro che vogliono conoscere la sua figura, il suo ministero e il suo messaggio.
1. La vocazione è evocazione
Per illustrare il tema che mi è stato affidato riprendo un breve scritto di don Tonino sulla vocazione e ripropongo, in forma di decalogo, alcune sue espressioni più celebri tratte, in modo particolare, dalle sue Lettere ai catechisti1. A buon diritto, questo testo può essere inteso come un vademecum per i catechisti e gli animatori vocazionali.
Il testo sulla vocazione ha un titolo significativo: «Ha scritto “t’amo” sulla roccia»2. L’espressione è ripresa da una canzone molto nota ai tempi di don Tonino e di facile impatto emotivo. In una semplice composizione poetica egli richiama una molteplicità di aspetti e di dimensioni.
Per certi versi si potrebbe dire che, in poche parole, disegna un piccolo trattato sul significato e il valore della vita come vocazione.
La vocazione è una evocazione, una creazione dal nulla, un atto d’amore creativo e personale. La vocazione è una generazione d’amore.
La vocazione è un amore personale; un amore tenero che mostra effettivamente quanto «gli stai a cuore»; un amore concreto perché «in una turba sterminata di gente, risuona un nome: il tuo»; un amore intimo, anche se gridato «davanti ai microfoni della storia (a te sembra solo nel segreto del cuore)»; un amore misterioso perché Dio «forse l’ha segnato di notte. Nella tua notte».
La vocazione prospetta una missione, apre una strada, indica un cammino, affida un compito non delegabile. Affidando una missione, Dio fa una “scommessa sulla tua povertà”, sulla tua debolezza.
Dio si fida di te, nonostante le tue fragilità. Anzi, proprio per le tue debolezze. Allora apparirà in modo più chiaro che a sostenere e dirigere la tua vita è la sua potenza, la sua forza divina che si manifesta nella tua debolezza umana. La tua vocazione sarà l’impasto tra la cedevolezza della sabbia e la durezza della roccia. Forte e fragile, insieme.
La chiamata di Dio suscita la meraviglia, propone il valore del servizio, sostiene la capacità di sognare e di guardare in avanti, verso un futuro diverso da quel presente spesso grave e ingovernabile, che rattrista l’esistenza. Soprattutto invita alla festa. A questa festa un posto privilegiato è riservato a coloro che sono normalmente esclusi dalla gioia di vivere.
La vocazione è una chiamata a espandere la vita, perché tutti siano restituiti alla gioia di far festa.
2. Il decalogo dell’accompagnatore vocazionale
Alla luce di queste considerazioni, si comprende il motivo per il quale don Tonino giudica il compito dell’accompagnatore vocazionale un impegno non «facile, ma addirittura imbarazzante»3.
L’accompagnatore vocazionale deve mettersi a servizio dell’iniziativa creatrice di Dio. Il suo compito sarà efficace se egli praticherà la “pedagogia della soglia”.
Don Tonino esorta fraternamente gli operatori in campo educativo e vocazionale con queste parole: sostate «sul portone della loro coscienza, senza invaderla. Mettetevi, perciò, accanto a loro, senza prevaricare. Aiutateli con discrezione a costruirsi sul progetto-vangelo, ma con i materiali afferenti che la storia e la vita prepongono, un valido sistema di significati, una coerente scala di valori, un apprezzabile quadro di riferimento, attorno a cui giocarsi la libertà. E infine, è necessario attrezzarsi di un grande entusiasmo. Che poi, in ultima analisi, è consuetudine con Gesù Cristo. Senza questa alacrità spirituale non si può essere educatori.
Solo un traboccamento d’amore vi renderà capaci di far crescere personalità forti. Vi darà il diploma di promotori di coscienze libere. Vi farà esperti nell’allenare i ragazzi a prese di posizione coerenti. E vi conferirà il prestigio sufficiente per stimolare ognuno di loro a un (decidersi per) in prima persona»4.
2.1 L’accompagnatore vocazionale è una persona estatica
La pedagogia della soglia fa dell’animatore una persona estatica.
Uno che al mattino sogna ad occhi aperti. Ha la capacità di guardare la realtà come un fanciullo, in modo trasognato. Mai si adegua alla ripetizione di ciò che già si è fatto, né si rassicura con quanto è già stato visto5.
L’atteggiamento estatico nasce dal primato dato alla contemplazione, dalla struggente nostalgia di scrutare il mistero di Dio, presenza ineffabile eppure vicina, mettendosi in ascolto di ogni suo sussurro, bruciando dal desiderio di fissare gli occhi su di lui. La contemplazione non astrae dal mondo. Al contrario, immette più profondamente nelle dinamiche della storia perché guarda gli avvenimenti con gli occhi purificati dalla luce divina. Non è una fuga nell’intimità, non innalza barriere e steccati con il mondo esterno, isolandosi dal contesto degli uomini. La vera contemplazione, men-tre instaura un rapporto più profondo con Dio, crea legami più veri con gli altri uomini. Contemplare è mettersi alla ricerca di Dio per comprendere in modo più pieno il valore di ogni persona e di ogni realtà creata6. Allora chi contempla avrà «la forza di trascinare (l’altro) sui crinali della prassi, perché non sono mai sterili le provocazioni di chi ha fissato il roveto ardente»7.
L’animatore è chiamato a educare allo stupore senza il quale è difficile l’incontro con Dio.
L’accompagnatore vocazionale che subirà il fascino di questa potente seduzione assaporerà fino in fondo l’ebbrezza dell’amore. Allora «l’urto del contatto esperienziale con Gesù provocherà prima o poi uno squarcio nella nostra vita, e la colata di grazia, fuoriuscendo con prepotenza da questa diga, allargherà necessariamente le fiancate della storia, anzi della cronaca, perfino della cronaca nera. Preghiera e azione, cioè, si coniugheranno a tal punto in voi e faranno tanta sintesi armonica, che tutta la vostra vita sarà la dimostrazione vivente di come amare Dio non significa diffidare del mondo»8.
2.2 L’accompagnatore vocazionale vive con passione
Il vero accompagnatore vocazionale è una persona appassionata.
Non misura le cose con il bilancino. Non avvicina gli altri con freddezza e calcolo matematico. Non cerca il proprio interesse e il proprio tornaconto. Ma arde di passione, ha sete di Dio e degli uomini. «Pati divina» e «pati humana» è uno dei grandi aforismi lanciati da don Tonino e, insieme, il filo conduttore della sua esistenza, una sorta di sintesi spirituale di tutta la sua esperienza umana, cristiana e ministeriale9. Pati è parola che sta per sofferenza, ma anche per passione, desiderio, tormento. Un roveto ardente, un fuoco che divampa e che brucia.
“Pati divina” evoca la partecipazione alla passione del Signore, significa soffrire per amore, lasciarsi totalmente consumare dalla “divina follia”. Vivere un amore ardente che attinge la sua forza dalla stessa “passione di Dio”.
Vivere vuol dire patire le cose divine e, insieme, com-patire con Dio e come Dio. È appassionarsi e soffrire le cose di Dio e, con lo stesso ardore, commuoversi, prendere parte alle vicende dell’uomo. Essere di parte non vuol dire escludere, ma essere-per qualcuno, appassionatamente. Don Tonino richiamerà più volte il significato del compatire, del sentirsi attratti dall’amore per Dio che, insieme e senza possibilità di separazione, è amore per gli ultimi, per i poveri, per tutti coloro che rivivono nella loro carne la passione del Signore10.
L’accompagnatore vocazionale vive la “passione” per Dio e per l’uomo; un’esistenza eucaristica vissuta nella carne e nel sangue, offerta nel silenzio e nella dedizione di un servizio che non conosce soste, non si risparmia e supera ogni ostacolo e ogni barriera.
In questo stile di vita è possibile comprendere che l’Eucaristia è il centro e la radice del “pati divina” e che questa divina passione si esprime come “pati humana”, come compassione per l’uomo.
2.3 L’accompagnatore vocazionale mette le ali alla vita
L’animatore appassionato è una persona che arde dal desiderio di dare slancio alla vita, intimamente convinto che la vita cristiana consiste in una ”ginnastica del desiderio”11. Ciò che si desidera non lo si vede già realizzato, ma è una meta a cui ardentemente si aspira.
Si tratta di dilatare lo spazio del cuore, come quando si deve riempiere un recipiente: più ampia è la sua capienza, più abbondante sarà la possibilità di accogliere il contenuto. Facendoci attendere, Dio «intensifica il nostro desiderio, col desiderio dilata l’animo e, dilatandolo, lo rende più capace»12.
Per essere suscitatori di grandi desideri bisogna essere «esperti in umanità. […] Uomini fino in fondo. Anzi, fino in cima. Perché essere uomini fino in cima, senza fermarsi a mezza costa, significa non solo essere santi come lui, ma capire che il Calvario è l’ultima tappa di ogni scalata. E che la croce non è la sconfitta dell’uomo, ma la vetta gloriosa di ogni carriera»13.
Si comprende il motivo per il quale don Tonino volle che sul suo stemma episcopale fosse impressa una croce con le ali. Una croce con le ali è una croce senza peso. In questa prospettiva, si può ammirare la preghiera Dammi, Signore, un’ala di riserva14, uno dei testi più noti dell’ampio repertorio, scritta per la settima giornata della vita. In essa, don Tonino innalza al Signore un canto riconoscente per il dono della vita. Vissuta insieme con Cristo, la vita assomiglia al volo di un gabbiano, a un itinerario di luce e di speranza che dilata e infiamma il cuore. Vivere, allora, non è trascinare la vita, strapparla, rosicchiarla, ma è abbandonarsi all’ebbrezza del vento, per assaporare l’avventura della libertà, tenendosi abbracciati al proprio fratello, soprattutto a colui che è più in difficoltà, per aiutarlo a volare e compiere insieme a lui l’avventura della propria esistenza.
La vita è fonte di ispirazione vocazionale.
Essa pone domande, suscita interrogativi, invita a cercare senza sosta il senso delle cose. Il reale, il quotidiano, il feriale, la circostanza sono le opportunità che la vita mette dinanzi per sperimentare il mistero che si rende presente e per trasformare la vita in una festa. Don Tonino non si stanca di esortare a giocare bene la vita. Occorre vivere la vita senza bruciarla. Ciò sarà possibile se ci si metterà al servizio degli altri. Forse questo richiederà che si perda il sonno, il denaro, la quiete, la salute. Ma tutte queste cose non sono la vita né la riempiono di gioia. Forse il cuore sanguinerà, ma è certo che la passione condurrà verso la gioia che non appassisce e non inganna.
E così, in un impeto d’amore, don Tonino esorta i giovani ad amare la vita: «Vi auguro che possiate veramente amare: amare la vita, amare la gente, amare la storia, amare la geografia, cioè la terra, a tal punto che il cuore vi faccia male, e ogni volta che vedrete le ignominie che si compiono»15.
2.4 L’accompagnatore vocazionale possiede occhi penetranti
L’accompagnatore vocazionale non è un ipovedente o una persona strabica. Egli è l’uomo dagli occhi penetranti. Scruta l’orizzonte più lontano, legge i segni del futuro che avanza, scorge cose nuove, compie un discernimento osservando la realtà e l’animo umano, scruta oltre la superficie e l’immediatezza, affina ogni giorno la sua vista misurandola su quella di Cristo.
L’accompagnatore vocazionale deve guardare ogni cosa con gli “occhi della fede” ossia con gli occhi di Cristo. Essa non genera una visione distaccata e parziale, ma profonda e globale e proietta una luce sul mistero di Dio e dell’uomo. Il discepolo di Cristo deve assumere il suo stesso modo di vedere e compiere un cammino dello sguardo, in cui gli occhi si abituano a vedere in profondità16.
Quello che i nostri occhi vedono, viene depositato nel cuore. Per poter osservare i segni dell’amore di Dio e il riflesso gioioso della sua azione nel mondo, occorre purificare il cuore con il collirio spirituale della Parola di Dio e della celebrazione eucaristica.
Gli occhi nuovi ricollocano la missione nell’orizzonte della gratuità e della speranza, nella consapevolezza di aver ricevuto una grazia (cf Ef 3,8) dalla quale sgorga un rendimento di lode al Signore.
Si scopre così un orizzonte universale, aperto alla mondialità e spinto fino ai confini della terra.
2.5 L’accompagnatore vocazionale ha il volto rivolto
L’animatore vocazionale dovrebbe seguire un preciso codice morale: l’etica del volto. La ricerca del volto sarà «il fondamentale allenamento di pace. Ricerca del volto, non come maschera. Scoperta del volto, non letture della sigla. Accarezzamento del volto, non gelida presa d’atto della “funzione”. Rapporto dialogico tra volto e volto, non litigiosità feroce tra grinta e grinta»17. Dare il primato al volto significa considerare l’essere umano, per origine, struttura e forma, un essere-aperto, un “essere con”. Il volto designa l’individualità e la concretezza dell’altro che irrompe e che, lungi da costituire un limite, dà consistenza alla persona. Il volto non è chiuso in se stesso, perché se «non è rivolto verso l’altro non è più volto»18.
L’accompagnatore vocazionale ha il compito di insegnare a scrutare i volti perché nei loro tratti irripetibili, inediti e originali si spalancano finestre aperte sul mistero infinito. Egli deve promuovere la contemplazione del volto dell’altro ed educare a rispettare la sua sacralità, la sua specificità, la sua trascendenza, non omologabile e non riducibile a numero di matricola e a codice fiscale. Dalla responsabilità con cui ci si mette di fronte al volto dell’altro nasceranno il dialogo, la fraternità e il servizio.
2.6 L’accompagnatore vocazionale chiama per nome
L’etica del volto si coniuga con l’etica dei nomi propri. All’animatore don Tonino ricorda che «nel vocabolario di Dio non esistono nomi collettivi, […] le persone lui non le ama in serie…»19. Per questo l’animatore vocazionale dovrebbe avere l’agendina zeppa di nomi.
Dovrebbe cioè essere capace di relazionarsi, di incontrare e riconoscere il valore di ogni persona20.
Gli scritti di don Tonino sono pieni di nomi propri, modulati secondo uno stile narrativo e biografico. Si caratterizzano non solo per le idee, ma soprattutto per il richiamo alle storie della gente comune.
Sono il racconto della ferialità, di chi non compie gesti eclatanti o propone teorie accattivanti. Fanno risaltare la grandezza di donne e uomini ritenuti insignificanti e cantano, in modo appassionato, le storie di tutti i giorni, le vicende di persone che, agli occhi della pubblica opinione, non erano ritenute degne di essere ricordate.
Don Tonino amava ripetere un celebre aforisma: «Se vuoi essere universale, parlami del tuo villaggio»21. Lo stesso principio narrativo deve essere applicato anche quando si parla di lui. Se si intende rimanere fedeli allo spirito che ha animato la sua vita bisogna evitare di proporre il suo messaggio in una forma discorsiva e lasciare intatta la freschezza della narrazione biografica. In caso contrario si corre «il rischio di presentarlo ai posteri in una cornice di serietà e di austerità che non gli addice»22.
2.7 L’accompagnatore vocazionale costruisce ponti
L’accompagnatore vocazionale è un costruttore di ponti. Il gusto pieno della vita gli viene dall’incontro, da una comunione storicamente esperita, dalla capacità di mettersi in rete e di partecipare insieme con altri alla realizzazione di un unico progetto.
La vocazione nasce e matura dentro la comunità. Questa «è un transito obbligato, una tappa che non si può saltare. Non può essere considerata come un (optional) lasciato alla sensibilità degli interessati o come un accessorio teso a facilitare, con la sua forza emotiva ed esemplare, l’accoglimento dell’invito di Dio»23.
Nella comunità si impara a vivere e a farsi annunciatori di pace.
Ripresentata come fosse un acrostico, il termine pace indica, nelle quattro lettere che la compongono, le iniziali di altre parole: preghiera- audacia-condivisione-esodo.
2.8 L’accompagnatore vocazionale si ispira all’ideale della perfetta letizia
L’accompagnatore vocazionale è una persona che sprizza gioia di vivere. Egli sa che l’annuncio cristiano è sempre orientato alla gioia, alla festa, al sorriso, alla tenerezza.
L’accompagnatore vocazionale dovrebbe aiutare a sperimentare le sfumature della gioia: le gioie genuinamente umane che, per quanto sono limitate, fanno battere il cuore e le gioie che provengono dal cielo e portano con sé un brivido di eternità e di estasi. La gioia di un incontro, la letizia di un abbraccio, il gaudio della contemplazione, il godimento per i brividi sovrumani dello spirito. E infine il giubilo, ossia il canto interiore, il gaudio senza parola, o meglio, il trasbordare del sentimento oltre la parole. Non riuscendo a contenere le emozioni, esse si trasformano in un canto liberatorio, senza che apparentemente vi sia una logica o un particolare contenuto, ma solo il vibrare dell’anima.
In ognuna di queste esperienze è sempre possibile sperimentare la gioia pasquale che scaturisce dalla risurrezione del Crocifisso; una gioia vera, che nessuno può togliere, e una gioia piena perché sa integrare la sofferenza con la speranza che non delude, diventando così non solo “cirenei della croce”, ma anche “cirenei della gioia”.
2.9 L’accompagnatore vocazionale canta e danza
L’animatore vocazionale prende a modello la Vergine Maria e, come lei, canta e danza. La Vergine, infatti, canta il Magnificat e cammina danzando verso la casa della cugina Elisabetta. Canta le meraviglie che Dio compie nella storia e, nello stesso tempo, fa il primo passo per mettersi a servizio della cugina che è in procinto di partorire. Con il Magnificat, ella si fa interprete di tutti i poveri nello spirito che attendono l’avvento del Regno di Dio e scrutano i segni dei tempi per scorgere le novità che Dio compie nella storia.
Con il loro sguardo limpido, essi sono capaci di intravedere le meraviglie che Dio realizza: un capovolgimento delle situazioni, un radicale cambiamento delle sorti, l’innalzamento dei poveri e degli umili e, finalmente, la soddisfazione della loro sete di giustizia e di pace. Il canto del Magnificat è il modo espressivo per dire l’insolito e l’inedito.
Cantiamo per camminare senza scoraggiarci, protesi alla meta finale: la Pasqua di Cristo. Cantiamo per poter sognare meglio. Lo facciamo senza strepito perché sappiamo che il canto non è ancora fatto all’unisono e con il concorso di tutti.
Seguendo l’esempio di Maria l’accompagnatore vocazionale deve cantare e danzare. Egli deve intonare il canto di lode per le meraviglie che Dio opera nel-la storia e nel vita delle persone. Deve anche imparare la leggerezza del passo immergendosi dentro le “vene” della storia.
Infatti, «la vita, se la si riempie diventa leggera; se la si lascia vuota, diventa pesante. Tutto l’opposto delle valigie; la valigia quando è piena è pesante. La vita, invece, è pesante quando è vuota»24.
L’accompagnatore vocazionale assolve bene il suo compito quando lo vive come canto e come danza, quando cioè celebra la liturgia come gesto di carità25.
2.10 L’accompagnatore vocazionale è un innamorato
L’accompagnatore vocazionale è sempre un innamorato. L’innamoramento è uno stato nascente, una nuova condizione, che si può verificare a tutte le età, in tutte le persone, in tutti i tempi.
Si può essere innamorati sempre. L’innamoramento è un processo paragonabile alla conversione religiosa, dispone al cambiamento e alla trasformazione. L’innamoramento è un fuoco che brucia senza consumarsi, un roveto ardente, secondo la bella immagine del libro dell’Esodo. L’infatuazione invece consuma, si disperde, si dissolve.
Chi non è innamorato cade in uno stato morente: non coglie nulla, si adagia, si adegua.
Amare vuol dire disporsi a ricevere una nuova rivelazione. Per questo innamorarsi significa lasciarsi afferrare da una realtà inaudita che appare all’orizzonte e attira irresistibilmente. Per essa si è disponibili anche ad accettare il rischio e a sottoporsi alla prova per vagliare la sincerità e il desiderio di appartenere all’altro. L’innamoramento diventa così una forma di attrazione trasfigurativa, da cui ci si lascia attrarre e sedurre. La persona innamorata non è un pezzo di marmo, insensibile e apatica. Al contrario, essa è una persona fluida, penetrabile, abbordabile. Il Signore può invaderla ed ella può lasciarsi invadere, per fondersi l’uno nell’altro.
Don Tonino ha esortato soprattutto i sacerdoti e i giovani a «innamorarsi di Gesù Cristo, come fa chi ama perdutamente una persona e imposta tutto il suo impegno umano e professionale su di lei, attorno a lei raccorda le scelte della sua vita, rettifica i progetti, coltiva gli interessi, adatta i gusti, corregge i difetti, modifica il suo carattere, sempre in funzione della sintonia con lei»26.
Per innamorarsi non basta vedere l’amato, bisogna anche toccare il suo corpo, gustare la sua presenza, sentire il profumo che si spande dalla sua anima.
Non si tratta di esporre una “teoria” su Gesù. Si tratta soprattutto di fare un’esperienza tangibile e personale di lui27.
Per questo don Tonino esorta: «Non abbiate paura di riscaldarvi. Papini diceva:
“Quando sarete vecchi vi scalderete alla cenere della brace che è divampata nella vostra giovinezza. Allora, quando sarete vecchi, andrete a trovare qualche pezzo di carbone rovente dell’incendio che è divampato alla vostra età. Vi rimarrà solo quel carboncino e vi scalderete a quello”. Non abbiate paura quindi di innamorarvi adesso, di incantarvi adesso, di essere stupiti adesso, di entusiasmarvi adesso»28.
NOTE
1 A. Bello, Lettere ai catechisti, in Id., Scritti mariani. Lettere ai catechisti, Visite pastorali, Preghiere (d’ora in poi SM), Edizioni Luce e Vita, Molfetta (BA) 2014, pp. 92-200.
2 Id., Scritti vari, Interviste, Aggiunte, Edizioni Luce e vita, Molfetta (BA) 2007, pp. 219-220.
3 Cf A. Bello, Il pozzo è profondo, in SM, cit., p. 219.
4 Ivi, p. 220.
5 Cf Id., Grande è il tuo nome su tutta la terra, in Id., SM, cit., p. 179; Id. Educazione al senso personale e al mistero di Dio, in Id., Articoli, Corrispondenze, Lettere, Notificazioni, Luce e Vita, Molfetta (BA) 2014, pp. 134-135.
6 Cf Id., Ciò che noi abbiamo contemplato, in Id., SM, cit., p. 159.
7 Ivi, p. 160.
8 Ivi, pp. 160-161.
9 Cf Id., Cirenei della gioia. Esercizi spirituali predicati a Lourdes sul tema “sacerdoti per il mondo e per la Chiesa, Ed. San Paolo, Cinisello Balsamo (MI) 2013, pp. 79-90.
10 Cf A. Bello, Squilli di trombe e rintocchi di campane, in Id., Scritti mariani. Lettere ai catechisti, Visite pastorali, Preghiere, Edizioni Luce e Vita, Molfetta (BA) 2014, p. 233.
11 Agostino, Trattati sulla prima lettera di Giovanni, 4, 6.
12 Ivi.
13 Id., Una difficile carriera, in Id., SM, cit., p. 222.
14 Id., Dammi, Signore, un’ala di riserva, in Id., SM, cit., pp. 315-316.
15 Ivi, pp. 41-43.
16 Cf A. Bello, Occhi nuovi, in Id., Omelie e scritti quaresimali, Mezzina Editore, Molfetta (BA) 1994, pp. 396-397.
17 Id., La pace come ricerca del volto, in Id., Omelie e scritti quaresimali, cit., p. 317.
18 A. Bello, Volti rivolti. Essere dono l’uno per l’altro, Ed Insieme, Terlizzi (BA) 1996, p. 17.
19 Id., Che cosa è l’uomo perché te ne ricordi?, in Id., SM, cit., p. 188.
20 Cf ivi, p. 189.
21 Id., Ciò che era fin da principio, in Id., SM, cit., p. 153.
22 T. Oggioni Macagnino, Don Tonino educatore moderno del clero ugentino, in “Siamo la Chiesa”, p. 14.
23 A. Bello, Perché siate in comunione con noi, in Id., SM, pp. 172-173.
24 Id., Giovani. Profeti di primavera, Edizioni Messaggero, Padova 2009, p. 85.
25 Cf Id., Sarai giudicato sulla carità in V. Angiuli e R. Brucoli (a cura di), La terra dei miei sogni. Bagliori di luce dagli scritti ugentini, Ed Insieme, Terlizzi (BA) 2014, pp. 197-200.
26 Id., Cirenei della gioia. Esercizi spirituali predicati a Lourdes sul tema “sacerdoti per il mondo e per la Chiesa, Ed. San Paolo, Cinisello Balsamo (MI) 2013, p. 81.
27 Cf Id., Ciò che le nostre mani hanno toccato, in Id., Scritti mariani. Lettere ai catechisti, Visite pastorali, Preghiere, Edizioni Luce e Vita, Molfetta (BA) 2014, p. 163.
28 Id., Giovani. Profeti di primavera, cit., p. 124.