N.02
Marzo/Aprile 2005

La domenica giorno della Chiesa

Nel presentarvi il dinamismo vocazionale della celebrazione eucaristica domenicale, mi pongo sulla stessa lunghezza d’onda di Mons. Cacucci, che, nella seconda parte della sua relazione, ci ha invitati a valorizzare il metodo mistagogico, così sintetizzato dal Papa nella recente Lettera apostolica Mane nobiscum Domine: a partire dalla comprensione dei gesti e delle parole della Liturgia, aiutare i fedeli «a passare dai segni al mistero e a coinvolgere in esso l’intera loro esistenza»[1].

Cuore di questo metodo è l’incontro con il Mistero, che si rivela a noi nella Liturgia attraverso i segni e che chiede di permeare tutta la nostra vita. Non è possibile, dunque, una lettura fredda e asettica della celebrazione eucaristica, ma di una contemplazione intrisa di sentimenti di grande e grato stupore[2], perché, come afferma l’Optatam totius «nell’Eucaristia è racchiuso tutto il bene spirituale della Chiesa, lo stesso Gesù Cristo, pane vivo e vivificante»[3]. A proposito dello stupore, vale la pena ricordare quanto affermava S. Gregorio di Nissa: «Le nostre idee creano degli idoli, solo lo stupore coglie qualcosa di Dio». E Isacco il Siro osserva che «l’anima che si è consegnata a Dio nella fede e in una lunga esperienza ne ha sperimentato l’aiuto, non si cura più di se stessa, ma è stretta da stupore e silenzio»[4].

Lo stupore e la gratitudine non ci impedirà di rispondere a quell’interrogativo che accompagna il tema di questo Convegno, come dei precedenti: Come? L’urgenza di sottolineare il necessario passaggio dalla teologia alla pastorale e da questa alla pedagogia, ci spinge a presentare le due relazioni di questa mattina come due momenti di un’unica grande riflessione, anche se a due voci, in cui la pastorale vocazionale e la pedagogia vocazionale dialogano tra loro e si provocano reciprocamente. In questo dialogo siete tutti coinvolti con le vostre esperienze, con le vostre domande, con i vostri progetti. Alle esperienze più significative vogliamo dare voce, alle domande desideriamo rispondere, ai progetti ci auguriamo di offrire degli orizzonti comuni e dei punti di riferimento imprescindibili. Punto di partenza e, in un certo senso, chiave ermeneutica di questa relazione sarà un’espressione della recente Lettera apostolica Mane nobiscum Domine: «È necessario che ogni fedele assimili, nella meditazione personale e comunitaria, i valori che l’Eucaristia esprime, gli atteggiamenti che essa ispira, i propositi di vita che suscita»[5].

Questa espressione presenta tre passaggi significativi, che non possiamo assolutamente disattendere, se vogliamo aiutare i giovani, e non solo loro, a vivere il dinamismo vocazionale della celebrazione eucaristica:

a) la partecipazione all’Eucaristia deve condurre i giovani ad assimilarne i valori;

b) i valori assimilati devono tradursi in atteggiamenti;

c) gli atteggiamenti devono favorire scelte di vita.

Se è vero che la pastorale vocazionale incomincia per la strada, come ci ha ricordato Mons. Betori nella sua relazione, è anche vero che deve poi condurre all’incontro con Cristo nella celebrazione e di qui ripartire per vivere il Mistero celebrato, assumendo la “logica eucaristica” come stile di vita. Parlare, dunque, del dinamismo vocazionale vorrà dire, per adoperare un’espressione usata dal cardinale Ruini nella sua Omelia, riscoprire l’Eucaristia come scuola di vocazione.

 

 

 

Nell’Eucaristia domenicale la Chiesa è “con-vocata” dal Risorto

Il Risorto presente nella celebrazione eucaristica

Se la domenica è il giorno del Signore, non lo è solo perché si fa memoria di un evento del passato – la risurrezione di Cristo – ma soprattutto perché è il giorno in cui il Risorto si rende presente in mezzo a noi e ci convoca attorno alla mensa della Parola e del Pane di Vita[6]. «La “Pasqua della settimana” – scrive il Papa – si fa così, in qualche modo, “Pentecoste della settimana”, nella quale i cristiani rivivono l’esperienza gioiosa dell’incontro degli Apostoli col Risorto, lasciandosi vivificare dal soffio dello Spirito»[7].

Se non si vuole ridurre la celebrazione eucaristica ad un rito freddo e insignificante, è indispensabile favorire la percezione viva del Risorto, presente nel cuore dell’assemblea. Nella liturgia, soprattutto nell’Eucaristia, la presenza del Risorto si esprime con tutta la sua forza coinvolgente. Essa invade tutti gli elementi della celebrazione, e si serve di ciascuno di essi per esprimere, a livello del segno, il suo carattere vivente e dinamico (cfr. SC, 7). Nel presbitero, che agisce “in sua persona”, si rivela come presenza personale. Attraverso il popolo, in cui Cristo stesso prega, si rivela come presenza incarnata nella Chiesa

Per mezzo della proclamazione della sua Parola, in cui Cristo presente “annunzia oggi il suo Vangelo”, si rivela come presenza parlante. Nei segni eucaristici del pane e del vino si rivela come presenza realissima e sostanziale. Nel gesto sacramentale, che è “azione personale di Cristo”, si rivela come presenza dinamica. Solo la percezione viva, commossa, esultante di questa presenza permette al credente di incontrare il Cristo e di essere da Lui interpellato. Come potrebbe restare indifferente chi fa l’esperienza di questa presenza? Ambrogio diceva di «incontrarsi con Lui faccia a faccia nei suoi sacramenti»; percepiva quasi «l’alito del suo respiro» («Praesentiae eius flatum asprirare»). È un’esperienza che può e deve diventare la nostra. È un’esperienza che dobbiamo favorire nei giovani.

A partire dalla Liturgia e da essa “provocata”, ne trarrà beneficio tutta la pastorale vocazionale, il cui cuore pulsante è dato dal “condurre i giovani a Cristo”: «Sta qui, in un certo senso, il cuore di tutta la pastorale vocazionale della Chiesa, con la quale essa si prende cura della nascita e della crescita delle vocazioni, servendosi dei doni e delle responsabilità, dei carismi e del ministero ricevuti da Cristo e dal suo Spirito»[8].

La Colletta della seconda domenica di Pasqua ci fa chiedere questo dono per ogni celebrazione eucaristica domenicale: «O Dio, che in ogni Pasqua settimanale ci fai vivere le meraviglie della salvezza, fa’ che riconosciamo con la grazia dello Spirito il Signore presente nell’assemblea dei fratelli, per rendere testimonianza della sua risurrezione»[9].

A nessuno sfugge come tutta la celebrazione eucaristica sia scandita dal dialogo tra il sacerdote e l’assemblea – «Il Signore sia con voi. E con il tuo spirito» –; un dialogo che mira a tenere sempre desta e viva la consapevolezza di essere alla presenza di Dio. «Il sacerdote con il saluto annunzia alla comunità radunata la presenza del Signore. Il saluto del sacerdote e la risposta del popolo manifestano il mistero della Chiesa radunata»[10].

Inoltre, il saluto del celebrante e la risposta dell’assemblea mettono in evidenzia sin dall’inizio la struttura dialogica della celebrazione eucaristica e della stessa vita cristiana. Come ha ricordato con insistenza Mons. Betori, il cristianesimo non è una somma di verità da credere né proposta generica di valori, ma accoglienza di una Persona: «cristiano è chi sceglie Cristo e lo segue»[11]. E il Papa, all’inizio di questo nuovo millennio, ha affermato: «No, non una formula ci salverà, ma una Persona, e la certezza che essa ci infonde: Io sono con voi!»[12]. La pastorale vocazionale è, così, settimanalmente sollecitata dalla liturgia eucaristica domenicale a “ripartire da Cristo”. È quanto con forza chiedono i Vescovi italiani nella recente Nota pastorale sulla parrocchia: «Occorre tornare all’essenzialità della fede, per cui chi incontra la parrocchia deve poter incontrare Cristo, senza troppe glosse e adattamenti»[13].

Del resto, il costruire le chiese rivolte verso l’Oriente non è un forte richiamo a tenere fisso lo sguardo verso il Cristo, «sole che sorge dall’alto»? Se vogliamo dunque far emergere il dinamismo vocazionale dell’Eucaristia è necessario che la presenza del Risorto nella liturgia sia il centro focale che galvanizza l’assemblea, facendola esultare nel canto, invocare nella preghiera, ascoltare in religioso silenzio, accogliere con fede… Ciò esige che il celebrante non sia affetto da protagonismo, rischiando di mettere in ombra la presenza di Cristo. Nella divina liturgia, afferma il Crisostomo, «a compiere tutto è il Padre, il Figlio e lo Spirito santo; ma il sacerdote presta la propria lingua e offre la propria mano»[14]. E il Cabasilas osserva: «È la grazia che opera tutto. Il sacerdote è soltanto un servitore… Il sacerdozio non è altro che questo: il potere di servire il sacro»[15].

La “trasparenza” richiesta al celebrante non è richiesta anche all’animatore vocazionale, chiamato a non fare ombra al Cristo, ma a favorirne l’incontro con i giovani? Il Battista, evocato dai brani evangelici della liturgia di questi giorni, indica ad ogni celebrante e animatore vocazionale quale deve essere lo stile del suo agire: indicare Gesù e saper fare un passo indietro: «Ecco l’Agnello di Dio…

Egli deve crescere, io, invece, diminuire». L’umiltà è la caratteristica indispensabile di chiunque fa pastorale, soprattutto vocazionale. La celebrazione eucaristica domenicale è scuola di vocazione, perché educa a mettersi alla presenza del Signore.

Questo provoca la PV ad aiutare i giovani a percepire la presenza del Signore non solo nella liturgia, ma anche nella loro vita, e a vivere alla presenza del Signore, così da poter affermare con il profeta: “Per la vita del Signore, Dio di Israele, alla cui presenza io sto” (1Re 17,1).

 

L’Eucaristia “sacramentum unitatis”

Nella celebrazione eucaristica domenicale, la Chiesa, mentre proclama la sua fede – «Annunziamo la tua morte, Signore, proclamiamo la tua risurrezione, nell’attesa della tua venuta» –, «rivela anche il suo proprio mistero: Ecclesia de Eucharistia»[16]. La Chiesa si rivela e, nel contempo, è plasmata dalla celebrazione eucaristica. Comprendiamo, allora, perché il Papa afferma che «tra le numerose attività che una parrocchia svolge, “nessuna è tanto vitale o formativa della comunità quanto la celebrazione domenicale del giorno del Signore e della sua Eucaristia”»[17].

Il primo grande segno, che emerge con forza nella celebrazione eucaristica domenicale, è quello dell’assemblea. Non élite, ma “primizia” dell’umanità chiamata ad essere tutta salvata da quella sorgente di unità e d’amore che è la SS. Trinità. La Liturgia così ci fa cantare la domenica la gioia di essere un «popolo che deriva la sua unità dall’unità del Padre, del Figlio e dello Spirito Santo»[18]: «Con il sangue del tuo Figlio e la potenza dello Spirito tu hai ricostituito l’unità della famiglia umana disgregata dal peccato, perché il tuo popolo, radunato nel vincolo di amore della Trinità, a lode e gloria della tua multiforme sapienza, formi la Chiesa, corpo del Cristo e tempio vivo dello Spirito»[19]. E la divina liturgia bizantina si conclude con questo inno di lode e di gratitudine alla Trinità: «Abbiamo visto la luce vera, abbiamo ricevuto lo Spirito celeste. Abbiamo trovato la vera fede, adorando la Trinità indivisibile: essa infatti ci ha salvati»[20].

Il muoversi la domenica dalla propria abitazione per ritrovarsi insieme con i fratelli attorno all’altare possiede e manifesta una forte connotazione pasquale: si passa dalla dispersione all’unità, dalla solitudine alla comunione, dall’individualismo alla comunità. Non è solo un percorso materiale quello che si compie, ma una vera e propria conversione di vita. Tutto questo grazie alla forza rinnovatrice e sempre operante del Risorto. Contemplando gli effetti del sangue che cola dal Crocifisso, san Gregorio di Nazianzo ne scorge tutto il potere comunionale: «Minime gocce di sangue rinnovanti il mondo intero e agendo per tutti gli uomini, come il succo del fico che fa quagliare il latte, riunendoci e stringendoci in uno»[21]. Sì, dovremmo poter cantare con cuore sincero, in ogni celebrazione eucaristica, «Congregavit nos in unum Christi amor». L’Eucaristia è sacramento di unità. Dinanzi alla tentazione, oggi così attuale, di ridurre la fede cristiana e la stessa vocazione al solo ambito individuale e alla realizzazione di progetti personali – o, come si ama dire oggi, all’autorealizzazione –, la celebrazione eucaristica domenicale risveglia nei credenti la consapevolezza che non si può essere cristiani da soli. «Senza vivere la domenica non si può vivere la realtà comunitaria della Chiesa: in quel caso la Chiesa è destinata a diventare un movimento e la fede si riduce a riferimento personale di uomini e donne a Gesù di Nazaret. […] La salvezza che il cristianesimo vuole non è solo dentro la storia, ma anche all’interno di una dimensione comunitaria. E questa può essere data solo dall’ekklesìa»[22].

Non va ignorata neppure l’amara constatazione che fanno i Vescovi italiani nella recente Nota pastorale sulla parrocchia: «Non si può più dare per scontato che si sappia chi è Gesù Cristo, che si conosca il Vangelo, che si abbia una qualche esperienza di Chiesa»[23]. La celebrazione eucaristica domenicale è scuola di vocazione, perché educa alla dimensione ecclesiale della fede. 

Questo provoca la PV ad aiutare i giovani, immersi in una cultura che esalta l’individualismo e che insegue una religiosità senza appartenenze, “à la carte”, finalizzata unicamente al proprio “bene-essere”, a dare alla fede e alla vocazione un respiro ecclesiale. Non dimentichiamolo mai: «La pastorale vocazionale nasce dal mistero della Chiesa e si pone al servizio di essa»[24].

 

La Chiesa, ricca delle diverse vocazioni

L’unità, che l’Eucaristia realizza, non annulla le ricchezze dei singoli, ma le esalta a beneficio della comunità, nel servizio di tutti i fratelli. I diversi ministeri e carismi coinvolti nella celebrazione eucaristica domenicale non svolgono una funzione coreografica, per rendere un po’ più solenne la celebrazione: manifestano la Chiesa, quale è nella sua profonda realtà, ricca delle diverse vocazioni.

Nella celebrazione eucaristica domenicale la comunità è condotta settimanalmente a riconoscere che «la vocazione definisce, in un certo senso, l’essere profondo della Chiesa, prima ancora che il suo operare. Nel medesimo nome della Chiesa, Ecclesia, è indicata la sua intima fisionomia vocazionale, perché essa è veramente “convocazione”, assemblea dei chiamati»[25]. Se aiutassimo le nostre parrocchie ad essere realmente consapevoli di questo, allora non si farebbe fatica a riconoscere la dimensione vocazionale come connaturale ed essenziale alla pastorale della Chiesa.

«Cristo – afferma Massimo il Confessore – che raduna (ekklêsiázôn) tutte le creature, convoca attorno al santo altare tutte le realtà e provvidenzialmente le unisce sia a se stesso che fra di loro»[26]. Perché questo dinamismo comunionale operante nella celebrazione non venga ostacolato, è indispensabile che la presenza delle diverse vocazioni nella Chiesa locale e nella parrocchia sia caratterizzata da quella “spiritualità della comunione” mirabilmente tratteggiata dal Papa nella Novo millennio ineunte: «Spiritualità della comunione significa innanzitutto sguardo del cuore portato sul mistero della Trinità che abita in noi, e la cui luce va colta anche sul volto dei fratelli che ci stanno accanto. Spiritualità della comunione significa inoltre capacità di sentire il fratello di fede nell’unità profonda del Corpo mistico, dunque, come “uno che mi appartiene”, per saper condividere le sue gioie e le sue sofferenze, per intuire i suoi desideri e prendersi cura dei suoi bisogni, per offrirgli una vera e profonda amicizia. Spiritualità della comunione è pure capacità di vedere innanzitutto ciò che di positivo c’è nell’altro, per accoglierlo e valorizzarlo come dono di Dio: un “dono per me”, oltre che per il fratello che lo ha direttamente ricevuto. Spiritualità della comunione è infine saper “fare spazio” al fratello, portando “i pesi gli uni degli altri” (Gal 6,2) e respingendo le tentazioni egoistiche che continuamente ci insidiano e generano competizione, carrierismo, diffidenza, gelosie»[27]. Non ci stancheremo mai di ripetere quanto sia necessario per la pastorale vocazionale favorire, alimentare e testimoniare la spiritualità della comunione, così descritta dal Papa. L’attenzione nelle nostre comunità cristiane alla dimensione vocazionale aiuterebbe a non dimenticare quanto scrivevano i Vescovi italiani nella Lettera di ripresentazione del Documento base della catechesi: «Una comunità non la si organizza, ma la si genera nell’accoglienza dei diversi carismi e ministeri che lo Spirito suscita in essa»[28].

La celebrazione eucaristica domenicale è scuola di vocazione, perché educa la comunità a riconoscersi ricca delle diverse vocazioni. 

Questo provoca la PV ad aiutare i giovani, e l’intera comunità cristiana, a saper accogliere e stimare non solo la propria vocazione, ma anche quella degli altri?

 

 

 

Chiamati ad ascoltare e a rispondere alla Parola

Cristo è presente nella sua parola

Sussiste una stretta connessione tra la comunione trinitaria celebrata nei riti d’ingresso e la Liturgia della Parola. Così si esprime a questo proposito il nuovo Ordinamento Generale del Messale Romano: «Nelle letture, che vengono poi spiegate nell’omelia, Dio parla al suo popolo, gli manifesta il mistero della redenzione e della salvezza e offre un nutrimento spirituale; Cristo stesso è presente, per mezzo della sua parola, tra i fratelli. Il popolo fa propria questa parola divina con il silenzio e i canti, e vi aderisce con la professione di fede. Così nutrito, prega nell’orazione universale per le necessità di tutta la Chiesa e per la salvezza del mondo intero»[29].

La Parola proclamata chiede una risposta non parziale, ma totale, tale da coinvolgere tutta la vita del credente: intelligenza, cuore e volontà[30]. La presenza stessa dell’ambone a tale riguardo è molto eloquente. Esso potrebbe essere considerato l’icona del santo sepolcro ove l’angelo annuncia il mistero della risurrezione, e dove la presenza del Risorto è simbolicamente rappresentata dall’Evangeliario. Il cero pasquale, che in questi gironi abbiamo volutamente posto accanto all’ambone, evidenzia ulteriormente l’annuncio e la fede della comunità nella risurrezione, che si intravede, come in filigrana, in ogni pagina evangelica. In tal modo l’ambone acquista un chiaro significato: è il luogo da cui si proclamano le Scritture la cui comprensione è data dal Cristo, morto e risorto. L’ascolto della Parola, ci ha ricordato Mons. Betori, deve essere “cristiano”, deve, cioè, trovare nel Cristo l’esegeta autentico e nel suo mistero pasquale il vertice di tutta la rivelazione: «In Cristo Gesù – afferma S. Giovanni della Croce – il Padre ti ha detto tutto, ti ha dato tutto».

Il lettore è servitore della Parola alla quale deve, egli per primo, sottomettersi in umiltà e docilità obbedienziale, per non diventare, come ammonisce il santo Vescovo di Ippona, «vano predicatore della parola di Dio all’esterno colui che non l’ascolta dentro di sé»[31]. Solo così l’attenzione dei fedeli non sarà  rivolta a lui, ma alla Parola che proclama. Ecco come si esprime S. Agostino a tale proposito: «Sull’ambone è salito il lettore, ma è lui che non tace. Parla l’esegeta. Se dice cose esatte, è Cristo che parla. Se Cristo tacesse, io stesso non vi potrei dire queste cose. E non tace neanche per mezzo della vostra bocca. Perché quando cantavate, era lui che parlava. Egli non tace. E allora bisogna che noi ascoltiamo, però con gli orecchi del cuore; perché è facile ascoltare con gli orecchi della carne. Dobbiamo ascoltare con quegli orecchi di cui andava in cerca lo stesso Maestro quando diceva: Chi ha orecchi da intendere, intenda.

Quando egli così diceva, forse che gli poteva star davanti qualcuno che non avesse gli orecchi della carne? Gli orecchi tutti li avevano e pochi li avevano. Non tutti avevano orecchi per intendere, ossia per obbedire»[32]. Quanto sia simile il ministero del lettore a quello dell’animatore vocazionale, è a tutti evidente: chiamati entrambi a prestare la propria voce perché la Parola possa essere percepita dal cuore in ascolto. La celebrazione eucaristica domenicale è scuola di vocazione, perché educa all’ascolto del Signore.

Questo provoca la PV ad aiutare i giovani ad essere consapevoli che ogni volta che si proclama la Parola non ci si mete in ascolto di un libro, ma del Signore che parla a me oggi.

 

Cristo parla a me oggi

Chi accoglie la chiamata ad essere discepolo del Cristo sa che deve camminare sulla via dell’ascolto-obbedienza alla Parola, che lo sollecita ad una quotidiana conversione di vita. Come ci ricordano i Vescovi italiani: «La radice della fede biblica sta nell’ascolto, attività vitale, ma anche esigente. Perché ascoltare significa lasciarsi trasformare, a poco a poco, fino a essere condotti su strade spesso diverse da quelle che avremmo potuto immaginare chiudendoci in noi stessi. Le vie che Gesù indica sono segnate dalla bellezza, perché bella è la vita di comunione, bello lo scambio dei doni e della misericordia; ma sono vie impegnative. Di qui la tentazione di non aprirgli la porta, di lasciarlo fuori dalla nostra esistenza reale»[33].

Non si può, infatti, comprendere, accogliere e rispondere alla Parola donata nella celebrazione, se non ci si allena a confrontarsi quotidianamente con la Parola. In questa linea, le forme antiche e moderne di approfondimento della Sacra Scrittura, quali la “lectio divina”, la scuola della Parola, l’uso di pregare la Parola e di condividerla in un clima orante – esperienze queste che fanno ormai parte della tradizione di molti CDV –, rappresentano per i battezzati un continuo allenamento ad assumere uno stile di familiarità con la Parola stessa e ad alimentare la vita interiore con il quotidiano nutrimento della rivelazione divina.

La celebrazione eucaristica domenicale è scuola di vocazione, perché educa a “conservare nel proprio cuore la parola meditandola”. 

Questo provoca la PV ad aiutare i giovani a mettersi dinanzi alla Parola con quella disponibilità e docilità di chi sa, come afferma S. Gregorio Magno, che la Parola cresce con chi la legge.

 

Cristo attende da me una risposta di vita

A nessuno sfugge che condizione indispensabile per l’ascolto della Parola è il silenzio. Siamo richiamati a riscoprire l’importanza del silenzio anche dal recente Ordinamento Generale del Messale Romano, che così recita: «La liturgia della Parola deve essere celebrata in modo da favorire la meditazione; quindi si deve assolutamente evitare ogni forma di fretta che impedisca il raccoglimento. In essa sono opportuni anche brevi momenti di silenzio, adatti all’assemblea radunata, per mezzo dei quali, con l’aiuto dello Spirito Santo, la parola di Dio venga accolta nel cuore e si prepari la risposta con la preghiera»[34]. Il silenzio, ci ricorda Madeleine Delbrêl, «qualche volta è tacere, sempre è ascoltare».

Per il credente l’ascolto non potrà limitarsi al solo ambito liturgico, ma a partire e illuminato dall’incontro con Cristo, che nella celebrazione apre l’intelligenza alla comprensione della Parola, deve estendersi a tutta la giornata, nel desiderio di percepire i continui appelli di Dio. «È proprio la fedeltà a questo tipo di chiamate quotidiane che rende il giovane oggi capace di riconoscere e accogliere “la chiamata” della sua vita, e l’adulto domani non solo capace di esserle fedele, ma di scoprirne sempre più la freschezza e la bellezza. Ogni vocazione, infatti, è “mattutina”, è la risposta di ciascun mattino a un appello nuovo ogni giorno»[35].

Questo tipo di ascolto e di disponibilità alla Parola ravviverà nei consacrati il voto dell’obbedienza e provocherà ogni battezzato a vivere di ogni parola che viene da Dio. È quanto chiediamo con la Colletta della seconda domenica del tempo ordinario (Anno B): «O Dio, che riveli i segni della tua presenza nella Chiesa, nella liturgia e nei fratelli, fa’ che non lasciamo cadere a vuoto nessuna tua parola, per riconoscere il tuo progetto di salvezza e divenire apostoli e profeti del tuo regno».

La celebrazione eucaristica domenicale è scuola di vocazione, perché educa a saper leggere con cuore pensante la propria vita, liberandola, come ci ha chiesto Sr. Farina, da ogni frammentazione e conducendola all’unità. 

Questo provoca la PV ad aiutare i giovani a non limitarsi alle celebrazioni della Parola, ma a vivere quotidianamente nell’ascolto di se stessi, dei fratelli, della storia, perché la Parola trovi accoglienza e diventi luce sul loro cammino.

 

 

 

Chiamati, in Cristo, a fare della propria vita un dono

L’Eucaristia “sacrificium laudis”

Il messaggio evangelico rinnova nel credente la scelta di fede e lo accompagna al rendimento di grazie della preghiera eucaristica. Tra la liturgia della Parola e quella eucaristica esiste una stretta dipendenza[36], così come ci ha ricordato la preghiera sulle offerte nella celebrazione di questa mattina: «Accogli, Signore, i nostri doni e fa’ che, illuminati dalla tua parola, ci accostiamo con fede viva al tuo altare, per offrirti il sacrificio di salvezza»[37].

La Parola di Dio, accolta nella fede, rivela al credente che Dio è fedele alle sue promesse e che, nella celebrazione eucaristica, rende presente ed efficace anche oggi il mistero pasquale, perché “ogni volta che il sacrificio della Croce “col quale Cristo, nostro agnello pasquale, è stato immolato” (1Cor 5,7) viene celebrato sull’altare, si effettua l’opera della nostra redenzione»[38].

Per questo la liturgia eucaristica è tutta pervasa dalla lode e dalla gratitudine, tanto da essere definita dal mondo cristiano antico “sacrificium laudis”. «I misteri pieni di doni di salvezza che celebriamo in ogni riunione liturgica sono chiamati “eucaristia”, cioè ringraziamento, perché sono il memoriale dei molti benefici ricevuti e presentano la manifestazione più elevata della provvidenza di Dio», ci ricorda il Crisostomo[39].

La lode e il ringraziamento, che prorompe dal cuore di ogni credente durante la celebrazione eucaristica, si alimenta alla profondità della vita quotidiana. Il cristiano che, alla luce della Parola, sa leggere la sua storia con gli occhi di Dio e si sente guidato dalla sua mano, riconosce la presenza e l’azione del Signore nella sua quotidianità. È lì che egli fa esperienza come quel Dio al quale nella fede ha affidato la sua vita è un Dio che ama inserirsi nella sua storia. Questa è la promessa fatta a Giosuè: «Non temere dunque e non spaventarti, perché è con te il Signore tuo Dio, dovunque tu vada» (Gs 1,9). Questo è quanto il Signore ricorda a Davide: «Sono stato con te dovunque sei andato» (2Sam 7,9). Questa è una certezza per ogni discepolo di Cristo, l’“Emmanuele”: «Io sarò con voi tutti i giorni fino alla fine dei tempi» (Mt 28,20).

Solo nell’uomo ripiegato su se stesso e dimentico di Dio, l’ammirazione e la lode restano imprigionate e destinate a spegnersi. Chi invece scopre gli infiniti doni con cui il Signore arricchisce la propria esistenza, non può fare a meno di lodare, rendendosi così disponibile ad accogliere, con il dono della salvezza, ulteriori benefici. È quanto abbiamo chiesto nell’orazione dopo la comunione di lunedì sera: «O Dio che edifichi la tua Chiesa per mezzo dei sacramenti, suscita in noi nuove energie di vita, perché il dono ricevuto ci prepari a riceverlo ancora»[40].

Il credente, consapevole della sua povertà, sperimenta come l’amore di Dio supera infinitamente ogni sua offerta, come abbiamo pregato nella celebrazione eucaristica di lunedì sera: «Accogli, Signore, i nostri doni, in questo misterioso incontro tra la nostra povertà e la tua grandezza: noi ti offriamo le cose che ci hai dato, e tu donaci in cambio te stesso»[41]. Siamo sempre testimoni di un’eccedenza d’amore di Dio nei nostri confronti. La celebrazione eucaristica domenicale è scuola di vocazione, perché educa alla gratitudine: tutto è grazia! 

Questo provoca la PV ad aiutare i giovani, immersi in una cultura dove tutto è dovuto, a scoprire e vivere nella gratitudine.

 

Dalla gratitudine alla gratuità

Il giovane, aiutato a comprendere come tutta la sua esistenza è dono di Dio, sarà condotto a tradurre la gratitudine nella gratuità. È la logica espressa dal rito della presentazione delle offerte e che dal Documento europeo sulle vocazioni è richiamata in questi termini: «La vita è bene ricevuto che tende, per natura sua, a divenire bene donato, come la vita del Verbo. È la verità della vita, d’ogni vita. Le conseguenze sul piano vocazionale sono evidenti. Se c’è un dono all’inizio dell’esistenza dell’uomo, che lo costituisce nell’essere, allora la vita ha la strada segnata: se è dono sarà pienamente se stesso solo se si realizza nella prospettiva del donarsi; sarà felice a condizione di rispettare questa sua natura. Potrà fare la scelta che vuole, ma sempre nella logica del dono, altrimenti diventerà un essere in contraddizione con se stesso, una realtà “mostruosa”; sarà libero di decidere l’orientamento specifico, ma non sarà libero di pensarsi al di fuori della logica del dono. Tutta la pastorale vocazionale è costruita su questa catechesi elementare del significato della vita. Se passa questa verità antropologica allora si può fare qualsiasi proposta vocazionale. Allora anche la vocazione al ministero ordinato o alla consacrazione religiosa o secolare, con tutto il suo carico di mistero e mortificazione, diventa la piena realizzazione dell’umano e del dono che ogni uomo ha ed è nel più profondo di sé»[42].

Con la grazia dello Spirito, il credente è aiutato a realizzare nella vita il mistero annunciato e celebrato nella Liturgia: «Accetta, Signore, i doni che portiamo al tuo altare e fa’ di tutti noi la lode vivente della tua gloria»[43]: così ci fa pregare la liturgia, esprimendo la nostra disponibilità a prolungare nella gratuità del vivere quotidiano la gratitudine espressa nella Messa. È quanto abbiamo chiesto nella celebrazione eucaristica di ieri: «O Dio, che ci hai accolti al tuo sacro convito, donaci un’esperienza sempre più viva del tuo amore, perché rimaniamo in perenne rendimento di grazie»[44].

Non è questo il significato del voto di povertà, che caratterizza la vita consacrata e che per tutti i battezzati si traduce nella condivisione con i fratelli, soprattutto con i più poveri, di quanto abbiamo ricevuto dalla generosa bontà di Dio? «La lode da cantare è lo stesso cantore. Volete innalzare lodi a Dio? Siate voi la lode che volete proferire; e sarete sua lode se vivrete bene»[45].

Il rito della presentazione dei doni ci chiede di infiammare i nostri cuori di carità, rendendoli splendenti come la luce e l’oro, e di offrirli a lui: «Dio non ha bisogno di vasi d’oro, ma di anime d’oro» – ci ammonisce il Crisostomo –. «Fa’ che la tua anima sia tutta d’oro, perché, se essa rimane peggiore del piombo o di un coccio, che guadagno ti procura il calice d’oro che tu doni alla Chiesa?… La Chiesa non è un’oreficeria, né una zecca, ma un’assemblea di angeli»[46]. Sempre secondo il Crisostomo, anche l’incenso adoperato nella celebrazione è un forte appello ad infiammare il cuore d’amore divino: «Come l’incenso che pure in se stesso è bello e profuma, ma solo quando entra in contatto con il fuoco sprigiona tutta la sua fragranza, così la preghiera: bella in se stessa, sì, ma più bella e olezzante quando elevata con animo accalorato e infuocato, quando l’anima diviene turibolo e accende un fuoco possente»[47].

Con l’“Amen”, che sigilla da parte dell’assemblea la preghiera eucaristica e che, al dire di S. Girolamo, dovrebbe avere il fragore di un tuono, esprimiamo la volontà di entrare nel sì di Cristo al Padre. La vocazione battesimale a cantare il personale e gioioso inserimento nell’offerta che Cristo Gesù fa di se stesso alla volontà del Padre per amore di tutti noi, ha il suo punto culminante nella celebrazione eucaristica e chiede di essere testimoniata dalla vita. «La partecipazione al corpo e al sangue di Cristo – afferma san Leone Magno – non è ordinata ad altro che a trasformarci in ciò che assumiamo. E colui nel quale siamo morti, sepolti e risuscitati, è lui che diffondiamo, mediante ogni cosa, nello spirito e nella corporeità»[48].

La celebrazione eucaristica domenicale è scuola di vocazione, perché educa alla gratuità. 

Questo provoca la PV ad aiutare i giovani, che vivono come tutti in una logica “economica”, dove nulla si fa per nulla e dove alla fine tutto deve essere “in attivo”, ad essere gratuiti nel loro agire e a saper “spendersi” nel servizio dei fratelli.

 

Conformi a Cristo nel dono di sé

Nella celebrazione eucaristica il Cristo risorto, con la forza del suo Santo Spirito, strappa le catene che ci tengono imprigionati nell’angusto mondo del nostro individualismo ed egoismo, dell’autorealizzazione, e ci conforma ai suoi sentimenti per entrare nella piena comunione con il Padre e vivere la nostra vita nel servizio gioioso e gratuito dei fratelli. La volontà di conformarsi al sacrificio di Cristo è espresso visivamente in modo mirabile nelle basiliche a pianta a croce. Quando queste sono gremite di gente, la comunità cristiana in essa riunita per la celebrazione eucaristica si identifica con la croce di Cristo, dandole, in un certo senso, corpo. Anche il segno dell’altare, soprattutto quando è fatto di pietra, proclama con forza la fede della comunità cristiana: solo in Cristo, pietra angolare, (cfr. 1Pt 2,48; 1Cor 10,4) e nel suo atteggiamento di totale disponibilità alla volontà del Padre e di generoso amore per l’umanità, la nostra vita può trovare solidità e pienezza. «Davvero tremendi i misteri della Chiesa – esclama il Crisostomo –, davvero tremendo l’altare! Dal paradiso sgorgava una fonte che emetteva fiumi sensibili. Da questa mensa ne zampilla una che spande fiumi spirituali. Accanto a tale fonte sono piantati non salici infruttuosi, ma alberi che arrivano al cielo stesso, che hanno un frutto sempre maturo e immarcescibile»[49]. E il Cabasilas così spiega il significato dell’altare: «Gli altari rappresentano la mano del Salvatore: dalla mensa consacrata per mezzo dell’unzione riceviamo il pane, come ricevendo il corpo di Cristo dalla sua stessa mano immacolata… Poiché egli è insieme sacerdote e altare, vittima e offerente, ministro e offerta»[50].

Se l’altare è il Cristo, il ciborio che sovrasta l’altare è segno della presenza dello Spirito; si sottolinea così, in termini architettonici, come l’Eucaristia deve prolungarsi in quel “sacrificio spirituale”, richiamato dall’Apostolo, che consiste nell’«offrire i vostri corpi come sacrificio vivente, santo e gradito a Dio» (Rm 12,1). Quanti prendono parte al calice della vita, afferma il Crisostomo, sanno che «il calice spirituale… non provoca ebbrezza…, non paralizza la forza dell’uomo, ma la risveglia… È un nuovo tipo di ebbrezza, infonde vigore, rende l’uomo robusto e pieno di forza: è scaturito infatti, dalla pietra spirituale»[51]. E Gregorio di Nissa osserva che questa ebbrezza opera «il distacco dalle cose terrene e l’avvicinamento alla realtà più divina»[52]. È questa la testimonianza che ci offrono i martiri. Il martirio prolunga nella vita la celebrazione eucaristica ed è da quest’ultima che trae origine e forza, come si esprime la liturgia nella orazione sulle offerte della festa dei Santi Cosma e Damiano: «Ti offriamo, o Padre, il sacrificio del tuo Figlio, che è principio e modello di ogni martirio».

Per questo la Chiesa ha sempre riservato una grande venerazione per i martiri, e, celebrando l’Eucaristia sul luogo del loro martirio, ha voluto sottolineare la stretta relazione esistente tra martirio ed Eucaristia. Ecco come è raccontato, in termini eucaristici, il martirio di S. Policarpo: «Il fuoco fece come una volta, come la vela di una nave gonfiata dal vento e circondò il corpo del martire come un muro. Egli era in mezzo, non come una carne che brucia, ma come un pane cotto»[53].

Nella celebrazione eucaristica «ogni cristiano – ci ricorda il Documento europeo sulle vocazioni – prende parte ed entra nello stile del dono di Gesù, diventando come Lui pane spezzato per l’offerta al Padre e per la vita del mondo. L’Eucaristia diventa così sorgente di ogni vocazione cristiana; in essa ogni credente è chiamato a conformarsi al Cristo Risorto totalmente offerto e donato. Diventa icona di ogni risposta vocazionale; come in Gesù, in ogni vita e in ogni vocazione, c’è una difficile fedeltà da vivere sino alla misura della croce»[54]. E il Papa nel suo Messaggio per la GMPV del 2000, così scriveva: «L’Eucaristia costituisce il momento culminante nel quale Gesù, nel suo Corpo donato e nel suo Sangue versato per la nostra salvezza, svela il mistero della sua identità ed indica il senso della vocazione d’ogni credente. Il significato della vita umana è, infatti, tutto in quel Corpo ed in quel Sangue, poiché da essi sono giunti a noi la vita e la salvezza. Con essi deve, in qualche modo, identificarsi l’esistenza stessa della persona, la quale realizza se stessa nella misura in cui sa farsi, a sua volta, dono per gli altri. […] Ciascun credente trova nell’Eucaristia non solo la chiave interpretativa della propria esistenza, ma il coraggio per realizzarla, sì da costruire, nella diversità dei carismi e delle vocazioni, l’unico Corpo di Cristo nella storia»[55].

Non è questo il significato del voto di castità, che caratterizza la vita consacrata e che sollecita ogni cristiano a fare della propria vita un dono d’amore a Dio nel servizio dei fratelli, soprattutto di coloro che nessuno ama? Secondo S. Ambrogio, «stanza nuziale della Chiesa è il corpo di Cristo», dove lo Sposo e la Sposa insieme si addormentano nella morte e si alzano nella risurrezione[56]. E S. Teresa di Lisieux, in una sua poesia così scrive: «Io son vergine, Gesù! Ed ecco il mistero! Ché unendomi a te ti son madre d’anime». Il forte collegamento che intercorre tra la celebrazione eucaristica e la vita è ben espresso dalle orazioni dopo la comunione, come quella di questa mattina: «Dio onnipotente e misericordioso, fa’ che la forza inesauribile di questi santi misteri ci sostenga in ogni momento della nostra vita»[57].

Così i riti di conclusione, mentre pongono fine alla Mistero celebrato, rimandano i credenti al Mistero vissuto nella quotidianità, nell’attesa della domenica senza tramonto. «Si passa dall’incontro con Cristo nel segno del Pane, all’incontro con Cristo nel segno di ogni uomo. L’impegno del credente non si esaurisce nell’entrare, ma nell’uscire dal tempio. […] La fedeltà alla propria vocazione attinge alle sorgenti dell’Eucaristia e si misura nella Eucaristia della vita»[58].

Non è un caso che nelle contraffacciate di alcune chiese medievali – penso ad esempio alla stupenda Cappella degli Scrovegni a Padova – è raffigurato il giudizio universale. Dopo aver partecipato all’Eucaristia, prima di uscire dalla chiesa, sollevando lo sguardo al di sopra della porta, la vista dell’affresco del Giudizio universale diventa un forte richiamo a non sciupare il dono ricevuto, ma a farlo fruttificare con responsabilità, nella speranza di poter ascoltare le dolci parole del Signore, che porrà il sigillo definitivo ad una vita vissuta vocazionalmente: «Bene, servo buono e fedele, […] sei stato fedele nel poco, ti darò autorità su molto; prendi parte alla gioia del tuo padrone» (Mt 25,21.23).

Comprendiamo l’esortazione del Crisostomo: «Nessuno di coloro che mangiano questa Pasqua (la divina liturgia) guardi all’Egitto, ma al cielo, alla Gerusalemme celeste»[59]. La celebrazione eucaristica domenicale è scuola di vocazione, perché educa al dono gioioso e gratuito di sé.

Questo provoca la PV ad aiutare i giovani ad assumere “la logica eucaristica” nella loro vita e a sperimentare la verità della loro partecipazione all’Eucaristia con la loro capacità di servire i fratelli.

 

 

Conclusione

Vorrei concludere con la testimonianza resa dal presbitero Noël Pinot, durante la Rivoluzione francese. A tutti i sacerdoti era stato proibito di celebrare la Messa, pena la vita, ciononostante Pinot continuò la sua missione. Fu denunciato, arrestato, condotto ad Angers e condannato a morte. Il giudice gli comandò, ironicamente, di indossare i paramenti liturgici il giorno della sua esecuzione. Quando la folla vide il sacerdote recarsi al luogo dell’esecuzione vestito come per la messa, non rise affatto, ma si raccolse in preghiera. Ai piedi del patibolo Noël Pinot si fece il segno della croce: «Introibo ad altare Dei». Era la sua ultima messa, la messa solenne, l’ultima volta che annunciava il Vangelo con la sua vita e firmava con il sangue la sua fedeltà al Cristo. La sua vita si identificava così con la celebrazione eucaristica. Quando nella nostra vita di consacrazione o nel nostro servizio a favore delle vocazioni fa capolino lo scoraggiamento, ricordiamoci delle parole di S. Girolamo: «Nessuno deve scoraggiarsi per questa vita. Hai Cristo e hai paura? Sarà Lui la nostra forza, Lui il nostro pane, Lui la nostra guida»[60].

 

 

Note

[1] GIOVANNI PAOLO II, Mane nobiscum Domine, 17.

[2] Cfr. GIOVANNI PAOLO II, Ecclesia de Eucharistia, 5.

[3] CONCILIO VATICANO II, Optatam Totius, 5.

[4] ISACCO IL SIRO, Discorso, 62, 2.

[5] GIOVANNI PAOLO II, Mane nobiscum Domine, 25.

[6] Cfr. GIOVANNI PAOLO II, Dies Domini, 31.

[7] Ibidem, 28.

[8] GIOVANNI PAOLO II, Pastores dabo vobis, 38.

[9] MESSALE ROMANO, Colletta II domenica di Pasqua/B.

[10] CEI, Ordinamento Generale del Messale Romano (secondo la terza edizione tipica), 50.

[11] Il Rinnovamento della Catechesi, 57.

[12] GIOVANNI PAOLO II, Novo millennio ineunte, 29.

[13CEI, Il volto missionario delle parrocchie in un mondo che cambia, 13.

[14] GIOVANNI CRISOSTOMO, Commento al Vangelo di Giovanni, 86, 4, PG 59, 472.

[15] N. CABASILAS, Commento della divina liturgia, 46, 12.

[16] GIOVANNI PAOLO II, Ecclesia de Eucharistia, 5.

[17] GIOVANNI PAOLO II, Dies Domini, 35.

[18] CONCILIO VATICANO II, Lumen gentium, 4.

[19] MESSALE ROMANO, Prefazio VIII delle Domeniche del Tempo Ordinario.

[20] Nel sacrifico pasquale «il Padre è stato riconciliato, il Figlio ha riconciliato, lo Spirito santo è divenuto il dono per gli amici già costituiti tali. Uno ci ha liberati, l’altro è il prezzo col quale siamo stati liberati e lo Spirito è la libertà» (N. CABASILAS, La vita in Cristo, I, 6).

[21] GREGORIO DI NAZIANZO, Discorso 45, 29.

[22] E. BIANCHI, Giorno del Signore Giorno dell’uomo. Per un rinnovamento della domenica, Casale Monferrato 1994, p. 9.

[23] CEI, Il volto missionario delle parrocchie in un mondo che cambia, 6.

[24] CEI, Piano Pastorale delle Vocazioni nella Chiesa italiana, 1.

[25] GIOVANNI PAOLO II, Pastores dabo vobis, 34.

[26] MASSIMO IL CONFESSORE, La mistagogia, I.

[27] GIOVANNI PAOLO II, Novo millennio ineunte, 43.

[28] CEI, Il rinnovamento della catechesi, Lettera di ripresentazione, 14.

[29] CEI, Ordinamento Generale del Messale Romano (secondo la terza edizione tipica), 55. Cfr. Dei Verbum, 2.

[30] Cfr. CONCILIO VATICANO II, Dei Verbum, 5.

[31] S. AGOSTINO, Serm. 179, 1, PL 38, 966.

[32] ID., Discorso sul Salmo 49, 1.

[33] CEI, Comunicare il Vangelo in un mondo che cambia, 13.

[34] CEI, Ordinamento Generale del Messale Romano (secondo la terza edizione tipica), 56.

[35] Nuove Vocazioni per una Nuova Europa, 26/a.

[36] «Le due parti che costituiscono in certo modo la messa, cioè la liturgia della parola e la liturgia eucaristica, sono congiunte tra di loro così strettamente da formare un solo atto di culto» (SC, 56).

[37] MESSALE ROMANO, Orazione sulle offerte del 5 gennaio.

[38] GIOVANNI PAOLO II, Ecclesia de Eucharistia, 21.

[39] GIOVANNI CRISOSTOMO, Commento al Vangelo di san Matteo, 25, 3.

[40] MESSALE ROMANO, Orazione dopo la comunione del 3 gennaio.

[41] MESSALE ROMANO, Orazione sulle offerte del 3 gennaio.

[42] Nuove vocazioni per una Nuova Europa, 36/b.

[43] MESSALE ROMANO, Orazione sulle offerte del venerdì dopo l’Epifania..

[44] MESSALE ROMANO, Orazione dopo la comunione del 4 gennaio.

[45] S. AGOSTINO, Discorso 34, 6.

[46] GIOVANNI CRISOSTOMO, Commento al Vangelo di san Matteo, 50, 3.

[47] ID, Sul salmo 140, 3, PG 55, 430-431.

[48] S. LEONE MAGNO, Trattato 63, 7.

[49] GIOVANNI CRISOSTOMO, Commento al Vangelo di Giovanni, 46, 4, PG 59, 261.

[50] N. CABASILAS, La vita in Cristo, III, 3.

[51] GIOVANNI CRISOSTOMO, Contro gli ubriachi e sulla risurrezione, 2, PG 50, 436.

[52] GREGORIO DI NISSA, Omelie sul Cantico dei cantici, 5.

[53] Martirio di S. Policarpo, 15, 1-2.

[54] Nuove Vocazioni per una Nuova Europa, 17/d.

[55] GIOVANNI PAOLO II, Messaggio per la GMPV del 2000, 2.

[56] AMBROGIO, Commento al Salmo 118.

[57] MESSALE ROMANO, Orazione dopo la comunione del 5 gennaio.

[58] Nuove Vocazioni per una Nuova Europa, 17/d.

[59] GIOVANNI CRISOSTOMO, Commento alla Lettera agli Efesini, 23, 2, PG 62, 166.

[60] S. GIROLAMO, Breviarium in Psalmos, Ps. CVII: PL 26,1224.