Aspetti pedagogici della vocazione e delle vocazioni
Ha riscosso un notevole successo, in questi ultimi anni, anche in Italia, il libro “Chi ha spostato il mio formaggio?” di Spencer Johnson, autore di numerosi bestseller internazionali. Si tratta di una semplice
parabola per rivelare una grande verità. Una storia divertente ed istruttiva nello stesso tempo su quattro personaggi, che vivono in un “labirinto” e sono alla costante ricerca di un “formaggio” che li nutra e li faccia vivere felici. Nasofino e Trottolino sono topolini; Tentenna e Ridolino, invece, sono gnomi, che hanno la stessa taglia dei topolini ma un comportamento molto simile agli umani. Essi rappresentano la parte semplice e complessa di ogni persona. Il “formaggio” è la metafora di ciò che ognuno vorrebbe avere di più dalla vita (un buon lavoro, un rapporto di amicizia e di amore, salute, soldi, serenità d’animo,…) Il “labirinto” invece è il luogo in cui cerchiamo quello che desideriamo (l’azienda in cui lavoriamo, la famiglia, la comunità in cui viviamo). Nella storia/parabola questi personaggi si trovano a fronteggiare dei cambiamenti inattesi. Alla fine uno di loro affronta il mutamento con successo e scrive sui muri del labirinto che cosa ha imparato dalla sua esperienza. In tal modo tutti possono imparare come gestire il cambiamento, per subire meno stress ed avere più successo nel lavoro e nella vita. Questa storiella, adatta a tutti, ha parecchio da suggerire anche per noi “gente di Chiesa” e addetti agli svariati ambiti dell’attività pastorale. E anche per rileggere il cammino della Chiesa italiana in questi anni e per fare il punto della rivista ‘Vocazioni’ può senz’altro offrire un’interessante chiave di lettura con questo nostro lavoro. Per il nostro lavoro si potrebbe infatti presentare semplicemente una serie di espressioni dei documenti e dei piani pastorali, discutendone l’attualità e valenza pedagogica per l’oggi, ma, alla fine, tutto ciò risulterebbe abbastanza sterile per non dire poco utile. Oppure, più semplicemente ancora, fermarsi su una sorta di lavoro analitico di rassegna di tutto quello che nei documenti in questione riguarda il problema delle vocazioni, che abbia attinenza con problemi e prospettive di pedagogia vocazionale. Cose tutte interessanti ma che non si scosterebbero molto da un ambito teorico e cognitivo. Credo utile, invece, proprio per le nervature estremamente concrete e metodologiche, che riguardano la pedagogia e la pedagogia vocazionale, assumere una chiave di lettura previa per il nostro confronto e discorso e questa può essere appunto la capacità di cambiamento, cambiamento epocale, cambiamento di stili di vita, cambiamento nelle persone, soprattutto ragazzi e giovani, cambiamento del modo di essere Chiesa nel trapasso epocale, cambiamento, di conseguenza, della pastorale e della pedagogia vocazionale. Vivere con successo il cambiamento oppure chiusura in secche di resistenza sempre più anguste?
Dal tempio al mondo, …dai piccoli mondi paralleli all’unità nella comunione
Indubbiamente oggi siamo di fronte ad un dato assodato: in questi 40 anni, quanti ci separano dal Vaticano II, la Chiesa ha vissuto una rivoluzione copernicana, che non è ancora finita e che ha intaccato ogni realtà ed istituzione. Gli studiosi dicono che, proprio intorno agli anni ‘60 del secolo scorso, i vari modelli di organizzazione delle istituzioni hanno subito un notevole mutamento, quando, per dirla con il linguaggio degli addetti ai lavori, la prospettiva dei sistemi aperti, ha preso il sopravvento sul sistema dei sistemi chiusi e curtensi precedenti. Il circuito aperto si può dire un modello in senso antiorario, che va dall’interno all’esterno. Naturalmente diciamo subito che è questione di metodo, più che di contenuti, che dovrebbero essere quelli di sempre. Ma gli impulsi esteriori, in questo nuovo sistema, dovrebbero servire soprattutto come animazione, per risvegliare un’esigenza interiore di ogni persona. Modello a sistema chiuso invece è quello tradizionale, che cammina invece in senso orario e consiste nel partire dall’esterno per giungere all’interno; in altri termini: potenziare le istituzioni, le regole, le leggi ed i doveri, portando le persone ad eseguire quanto si è stabilito. Questo movimento oggi fa problema sia nel piccolo della famiglia e delle comunità sia in tutte le istituzioni.
E tutto questo ha messo in moto una specie di crisi anche nella Chiesa, che non è solo improvvisa riduzione delle vocazioni od emergenza dell’invecchiamento o addirittura il problema di gestire delle strutture, che improvvisamente si sono rivelate ingestibili ma una crisi che è ben più a monte: per tutti si rivela sempre più di carattere conoscitivo, culturale e dell’intera cultura e che si potrebbe riassumere nell’espressione: primato della persona sulle istituzioni, più conosciuta con il titolo emblematico di svolta antropologica. Un assurto che è maturato lentamente e che viene da lontano, dalla Rivoluzione Francese e da Nietzsche e che ormai si impone con forza decisiva inarrestabile. Tanto più che, mentre praticamente la Chiesa appariva come una delle migliori società organizzate dell’intero pianeta, in una sola decina di anni, dal 1958 al 1968, questa sua compagine si può dire sfaldata dal di dentro e ciò proprio mentre si temevano soprattutto i nemici dal di fuori, in particolare dall’est.
Anche nella Chiesa, grazie soprattutto al vento di Pentecoste del Concilio, si può dire che la prospettiva del sistema aperto ha preso il sopravvento sul sistema chiuso e la riflessione in seno ad essa, sia a livello generale che nel piccolo del territorio, inizia a gravitare intorno al come la comunità pensa a se stessa e riflette la sua identità e così, ai paradigmi semplici del pre-concilio si sono sostituiti i paradigmi complessi del pluralismo nelle sue varie sfaccettature; da una Chiesa preoccupata di distinguere, fin nei particolari, diritti e doveri dei singoli stati di vita, ci si è avviati ad una Chiesa preoccupata soprattutto della comunione a tutti i livelli; da una Chiesa che proclamava l’unità fondata soprattutto sulla uniformità, si sta camminando in una Chiesa che tende soprattutto all’unità come convergenza delle diversità.
Il post-concilio in Italia inizia negli anni ‘70 con la preoccupazione del rinnovamento della catechesi e con i grandi piani pastorali. Più che documenti a se stanti si può parlare di un unico grande orientamento con diverse attenzioni, che si implicano e si richiamano a vicenda e continuamente, con la preoccupazione della comunione ecclesiale in vista di riedificare cristianamente la società. Con il documento Evangelizzazione e Sacramenti (1973) si prende atto che la societas tradizionalmente christiana è ormai finita e non c’è più la realtà dell’essere cristiani semplicemente per via ereditaria, perché ormai ha preso il sopravvento lo spontaneismo ed il pluralismo; quindi diventa drammaticamente urgente un rinnovato annuncio del vangelo. Con il documento Evangelizzazione e promozione umana (1976) si ribadisce la riflessione del documento precedente e si aggiunge l’imperativo a riaggregarsi come credenti attorno ai valori più che attorno ad una disciplina di gruppo.
Nel 2° decennio, quello degli anni ‘80, abbiamo come filo conduttore il tema del piano pastorale Comunione e comunità (1981). In una situazione debole delle comunità cristiane tradizionali, parrocchie e comunità religiose, prendono molta forza i movimenti, che si presentano alla ribalta della società come espressioni energiche dell’esperienza cristiana da parte di credenti, che sono per lo più dei convertiti dall’ateismo pratico o da una vita cristiana appena anagrafica e mediocre; espressione movimentista tutta centrata sulla essenzializzazione della fede, formando gruppi a parte e piuttosto paralleli con le altre comunità cristiane, con itinerari di fede e celebrativi pronunciatamente paralleli. Il documento Comunione e comunità e gli altri del decennio: La Chiesa italiana e le prospettive del paese (1981); Eucaristia, comunione e comunità (1983); Riconciliazione cristiana e comunità degli uomini/la Chiesa in Italia dopo Loreto (1985) invitano a serrare le fila, per donare al mondo la fede. Infatti la comunità cristiana è un’aggregazione che nasce dalla comunione; dunque occorre che ci si un con-venire di tutte le componenti ecclesiali, per una Chiesa tutta ministeriale, che può articolarsi meglio attraverso le cosiddette unità pastorali.
Segue il decennio della carità negli anni ‘90. Da una parte si prende coscienza delle difficoltà a convergere in un progetto comune di rivitalizzazione del tessuto cristiano della società, dall’altra che la modernità non solo non deve essere tollerata ma deve diventare una scelta. Per questo il documento Evangelizzazione e testimonianza della carità (1990) invita a gustare insieme il pane della Parola e il pane della carità, al fine di affrontare le sfide della Chiesa in Italia verso il 3° millennio, per tentare di rifare il tessuto cristiano della società. Indicazione questa fortemente sottolineata nel convegno di Palermo: Con il dono della carità dentro la storia. La Chiesa in Italia dopo il Convegno di Palermo (1996). Ciò sarà possibile se si privilegerà il campo della formazione sia dei formatori che dei giovani e pensando ad avviare quello che diventerà l’ormai famoso progetto culturale CEI. Il primo decennio 2000, in corso, in seguito al grande Giubileo e all’esortazione apostolica Novo Millennio Ineunte (2001) è tutto centrato sulla preoccupazione di Annunciare il vangelo in un mondo che cambia (2001): si apre con un grande respiro di speranza, si ferma ad approfondire il compito della comunicazione e della trasmissione della fede, in particolare ai giovani; richiede una vigorosa e qualificata scelta formativa dei cristiani e soprattutto una coraggiosa conversione pastorale ad ampio raggio. Tutte queste grandi linee di fondale sono, a mio parere, un previo necessario, per avere la possibilità di leggere in questo cammino gli input vocazionali, che ci stanno particolarmente a cuore, input visti proprio con la preoccupazione pedagogico-formativa. Significativamente, noi ritroviamo gli input vocazionali dei documenti brevemente presentati sopra, debitamente approfonditi e lanciati nella Chiesa italiana, nei tre documenti vocazionali, che costellano questi anni e che sono il riflesso, in chiave vocazionale, dei temi e delle riflessioni, che concentrano la riflessione e l’agire vocazionale di oltre 30 anni. Si tratta del Piano vocazionale per le vocazioni in Italia (1975), in cui si prende atto della situazione complessa, che si è creata nella Chiesa e nel mondo, della crisi delle associazioni, della famiglia e dell’identità dei consacrati stessi, per cui si esprime la necessità di un approfondimento culturale e di una chiara programmazione, tenendo conto dei diversi compiti dei responsabili ai diversi livelli. Il Piano pastorale delle vocazioni nella Chiesa italiana (1985) riflette i contenuti e le preoccupazioni dei documenti degli anni ‘80, in particolare l’impegno a costruire la Chiesa nella varietà di tutte le vocazioni e di tutti i ministeri. Il documento insiste sulla pastorale unitaria, che scaturisce dalla vita di comunione della Chiesa e rivela il suo volto vocazionale: tutti sono chiamati e la pastorale vocazionale, in fin dei conti, è il collante unitivo di tutta la pastorale. La pastorale vocazionale richiede preghiera incessante, ricchezza e qualità catechistica e celebrativa ed animazione vocazionale della carità, soprattutto attraverso l’esercizio del volontariato. In questo sono responsabili tutti e si deve intervenire con una pastorale vocazionale, che rispetti la gradualità dell’età e della maturazione dei destinatari. Si deve inoltre procedere con un chiaro itinerario vocazionale fatto di annuncio, proposta e accompagnamento. Il documento La formazione dei presbiteri nella Chiesa italiana (1989) richiama le responsabilità delle comunità cristiane ed indica nuove forme di accompagnamento vocazionale accanto al classico seminario minore; richiede, di conseguenza, la formazione aggiornata degli educatori dei seminari e rilancia la pastorale ordinaria come pastorale vocazionale e la pastorale giovanile con uno specifico itinerario vocazionale. Infine, il documento Le vocazioni al ministero ordinato e alla vita consacrata nella comunità cristiana (1999) riflette le indicazioni del decennio della carità, in particolare il compito di educare i giovani al vangelo della carità, formare i formatori, valorizzare gli ambienti educativi ed i luoghi di incontro giovanile con particolare attenzione alla risonanza vocazionale di ogni situazione, perché la vocazione cristiana è unica, anche se si esplicita in cammini diversi e fa sua la preoccupazione di dare vita ad una cultura della vocazione all’interno della nostra società, che si trova immersa nella cultura della distrazione, e a tradurre per l’Italia le prospettive affascinanti e ricche del documento Nuove vocazioni per una nuova Europa (1997). Il documento si ferma infatti sulla questione di fondo del senso della vita e delle sue domande esistenziali ed indica degli specifici percorsi vocazionali: pregare, testimoniare, evangelizzare, chiamare, con particolare attenzione ai luoghi segno ed ai luoghi pedagogici quali la parrocchia, i gruppi, le associazioni ed i movimenti. Tutto questo da utilizzare anche come strumento di revisione di vita per l’esperienza degli anni appena trascorsi.
Corsie preferenziali di impronta pedagogica
Tenendo d’occhio l’impianto strutturale di un progetto, in questo caso quello pedagogico ed i singoli ingranaggi che lo compongono, cioè il quadro teorico, il quadro situazionale, il fine e gli obiettivi generali ed intermedi, i criteri di azione, le aree o dimensioni, le verifiche, vogliamo utilizzare questo strumento come unità di misura, per valutare l’impronta pedagogica vocazionale presente nei piani pastorali generali e quelli di traduzione specifica vocazionale di questi anni.
QUADRO TEORICO: indubbiamente dobbiamo dire che le grandi ideeguida vocazionali si sono avute, oltre che dai più generali documenti conciliari e della Santa Sede, dai congressi internazionali per le vocazioni, soprattutto, con un rilievo particolarmente emergente, dal documento Nuove vocazioni per una nuova Europa. Italianamente non ci sono state molte altre riflessioni portanti, per quel che riguarda l’impianto teorico vocazionale. Questo denota una certa debolezza di idee portanti, preoccupati come siamo più della prassi e delle iniziative che della previa maturazione teorica di natura teologica e pastorale. Anche i convegni annuali di studio sono risultati più delle soste operose che fucine/laboratorio di idee e di mentalizzazione.
QUADRO SITUAZIONALE: abbiamo invece un ricchissimo quadro esperienziale, nel tentativo di cogliere il volto della realtà sia negli aspetti problematici che nelle caratteristiche nuove della società, della Chiesa e dei giovani, in modo particolare. Dal punto di vista metodologico, questo grande interesse ed indagine sulla situazione denota una notevole preoccupazione pedagogica, perché è impossibile delineare degli interventi pastorali ed educativi, senza sapere come stanno veramente le cose e descrivere, almeno in generale, le cause della situazione. E così risultano interessanti e perspicaci, fin dagli anni ‘70, le acute osservazioni ed analisi realizzate ad opera sia dei piani pastorali in generale sia di quelli specifici vocazionali sulla situazione della società in generale, delle realtà ecclesiali, dei giovani, della catechesi e della pastorale in atto… Ad un primo sguardo potrebbe sembrare che dietro questo piani non esistano né progetti chiari né degli intenti ben articolati. In realtà il filo conduttore unico di questi piani è proprio questa focalizzazione della situazione, aggiungendo, passo dopo passo, nuove videate della situazione in atto.
FINE / OBIETTIVI: dando uno sguardo complessivo, mi sembra di poter cogliere due fini che si attorcigliano tra loro, creando così insieme qualche confusione o almeno un discreto rallentamento nella realizzazione della pastorale vocazionale. Da una parte risulta chiaro il fine di promuovere in tutti i modi la pastorale vocazionale, perché c’è il funesto dato della diminuzione progressiva delle vocazioni e del prevalere dell’invecchiamento delle vocazioni consacrate, con tutte le conseguenze che ben conosciamo. Dall’altra è maturata in questi anni, sempre di più, la consapevolezza conciliare che esiste un’unica vocazione, quella alla santità, un dato questo che ha provocato un’espansione enorme del concetto di vocazione. Di conseguenza, ognuno ha il diritto/dovere di essere aiutato a scoprire la propria vocazione ed il proprio percorso vocazionale, per realizzare la comune vocazione di tutti. Quindi non è solo la vocazione consacrata sacerdotale e religiosa, che deve stare particolarmente a cuore, ma tutte le vocazioni risultano particolarmente importanti e da favorire nella pastorale vocazionale. Tuttavia, queste due diverse accezioni e fini, tuttora ancora molto presenti in modo concomitante, e, più di qualche volta, confusionario, non sempre apportano nell’impegno e nelle scelte pratiche dei contributi costruttivi, anzi, molto spesso, fanno circolare una sorda e persistente azione disturbante.
CRITERI DI AZIONE E DI INTERVENTO: e siamo a quella che ritengo la parte più ricca dei piani pastorali, cioè quella dei criteri di azione. Prima di considerare degli ambiti specifici di intervento, l’anello decisivo di un progetto si misura proprio sui criteri di intervento. È qui che si misura soprattutto la capacità non solo gestionale ma anche educativa e formativa di un’istituzione. Qui, credo, si sono maturate le cose più pregevoli. Proviamo a delineare le principali, che potremmo denominare, con una felice espressione di mons. Italo Castellani, “corsie preferenziali di grande valenza vocazionale “:
– lavorare decisamente su un progetto di pastorale unitaria e non di dispersive pastorali parallele;
– inserire organicamente la dimensione vocazionale nella pastorale ordinaria e non in un sistema chiuso a sé stante;
– pensare, progettare ed attuare una pastorale giovanile con esplicita coloritura vocazionale, ponendo fine al parallelismo di pastorale giovanile e pastorale vocazionali spesso concorrenti;
– studiare un tipo di accompagnamento per la maturazione vocazionale, che sia al contempo strettamente personalizzato e di ambiente comunitario;
– progettare itinerari di fede, che proporzionatamente all’età, facciano da guida specifica al ragazzo / giovane, per maturare nella fede e nella presa di coscienza vocazionale;
– progettare un fattivo raccordo tra centri nazionale, regionale, diocesano e parrocchiale, perché possano “girare alla stessa velocità”, in vista di un vero servizio alla nascita e crescita sul territorio della cultura vocazionale. E, per questo, dedicare molte energie alla formazione dei formatori.
Sono tutti criteri decisamente nuovi o rinnovati rispetto al periodo preconciliare e sono, a mio avviso, estremamente significativi.
AREE E DIMENSIONI DI INTERVENTO: le aree e dimensioni di intervento pastorale con itinerari specifici ad hoc rimangono le solite, che lungo questi anni si sono attivate e realizzate e che potremmo riassumere nei percorsi vocazionali indicati dal documento Le vocazioni al ministero ordinato e alla vita consacrata nella comunità cristiana del 1999:
– pregare per generare una seria cultura vocazionale
– testimoniare con i segni persona dei testimoni ordinari quotidiani, cioè genitori e consacrati autentici, fino ai martiri della fede e della carità; con i luoghi segno come il vescovo con il suo presbiterio, le comunità di vita consacrata vere “scholae amoris”, i seminari diocesani, le famiglie e con i segni degli spazi educativi come la scuola e il tempo libero;
– evangelizzare, iniziando dal luogo per eccellenza che è la parrocchia, con itinerari di catechesi e liturgici di qualità e con l’esercizio della carità soprattutto nel volontariato e con i luoghi pedagogici della pastorale vocazionale, che sono i gruppi, i movimenti e le associazioni;
– chiamare da parte di tutti, ma in modo particolare da parte dei presbiteri, dei consacrati, dei catechisti ed educatori della fede, dei giovani e delle giovani già incamminati nella risposta vocazionale consacrata. Chiamare con itinerari di pastorale giovanile ben curata ed in essa con percorsi vocazionali specifici. Un compito notevole è affidato, a questo proposito, alla direzione spirituale e all’animazione del Centro Diocesano Vocazioni.
VERIFICHE: tutto questo con il coraggio di verificare annualmente e per i periodi accordati la validità degli obiettivi di intervento, dei percorsi e dei mezzi adottati, coniugandoli con le sempre nuove sorprese della situazione in rapidissimo cambiamento.
Sintesi e prospettive
Ecco, al termine di questa breve rassegna, anche se, necessariamente, molto sintetica, possiamo dare un bel voto alla capacità di affrontare il cambiamento dimostrata in questi anni dalla Chiesa di Dio che è in Italia. Possiamo costatare che la dimensione educativa/pedagogica sottostà in modo molto forte a tutti i piani pastorali di questi anni. La misurazione con lo strumento del progetto educativo, attraverso i suoi vari ingranaggi, ce lo ha confermato. Guardando in prospettiva, noi riteniamo ancora molto validi la maggior parte degli apporti e delle indicazioni offerte negli anni trascorsi. Non c’è più da inventare chissà che di nuovo per quanto riguarda le iniziative e le dimensioni attivate: mai, credo, sono state organizzate tante attività vocazionali come in questi anni.
Da continuare l’acuta attenzione alla situazione, per mantenere il polso e la videata della realtà sempre ancora in profonda trasformazione. Da seguire con maggior diligenza i criteri preziosi di azione, che mantengono tutta la loro attuale validità e perspicacia. Devono essere solo ulteriormente attivati e sono da potenziare invece la riflessione teologica vocazionale e la pastorale vocazionale, che risulta sproporzionata rispetto al gettito abbondante della prassi. Una prassi non sufficientemente suffragata e coniugata con lo studio e la riflessione si esaurisce in fretta, perché non è in grado di guardare lontano (è quindi un vero sgorbio pedagogico). Anche perché occorre maggior chiarezza sui fini ed obiettivi generali della pastorale vocazionale, per non continuare a preoccuparci ed accontentarci di “tappare buchi” ma collaborare vocazionalmente con il buon Dio, che è interessato alla realizzazione vocazionale di tutti e di ciascuno.
Bibliografia di riferimento
Per i documenti della Santa Sede: Enchiridion Vaticanum, Bologna, EDB.
Per i documenti della CEI: Enchiridion CEI, Bologna, EDB.
GUCCINI L. (a cura di), Una comunità per domani, Bologna, EDB, 2000.
SPENCER J., Chi ha spostato il mio formaggio? Cambiare se stessi in un mondo che cambia in azienda, a casa, nella vita di tutti i giorni, Cles (TN), Sperling & Kupler, 2000. TACCONI G., Alla ricerca di nuove identità, Leumann (TO), LDC, 2001.