N.03
Maggio/Giugno 2003

I casi difficili: il discernimento vocazionale di fronte alle immaturità e patologie dello sviluppo affettivo-sessuale

Relazione piuttosto difficile su un tema non solo intrigante e complesso, sempre attuale nella Chiesa, ma che ancora per certi aspetti (vedi l’omosessualità) sfugge ancora a una definizione diagnostica precisa e su cui vi sia convergenza da parte degli studiosi. Pur tuttavia tema anche affascinante, e che sta ancora a dire il mistero dell’essere umano chiamato a vivere una vocazione che implica il massimo dell’amore, del dono di sé, della libertà di voler bene. A Dio e agli uomini. E dunque anche il massimo dell’attenzione nel discernimento vocazionale. Divideremo la materia di questa relazione in quattro parti. Nella prima cercheremo di chiarire ambito e criterio del discernimento vocazionale; quindi vedremo di dare qualche indicazione circa la differenza tra patologie e immaturità in generale; nella terza parte affronteremo esplicitamente il tema delle patologie e immaturità affettivo-sessuali, e infine nell’ultima parte tenteremo di dire qualcosa sulla omosessualità in prospettiva sempre di primo discernimento vocazionale. Senza particolari pretese, ovviamente.

 

 

AMBITO E CRITERIO DEL DISCERNERE

Anzitutto è importante definire correttamente ambito e criterio dell’indagine, ovvero l’oggetto vero e proprio e il criterio di riferimento per l’indagine stessa, quello che offre la possibilità concreta di un confronto con la persona e il suo livello di maturità. In altre parole si tratterebbe di definire oggetto materiale e formale del discernimento vocazionale per quanto riguarda la maturità affettivo-sessuale.

 

Oggetto materiale

È l’area affettivo-sessuale con il suo ampio ambito di problematiche, legate ai normali problemi di sviluppo e – ad un livello più serio – a patologie particolari. Ma è anche l’area che si trova al centro della nostra geografia intrapsichica[1], e che dunque spesso si trova a funzionare da cassa di risonanza di problemi nati altrove, ovvero più da sintomo che da sindrome, in ogni caso come parte che rimanda al tutto; mentre altre volte è essa stessa nascosta “pudicamente” dietro altri problemi o – più semplicemente – dietro la paura o la vergogna o qualche falsa precomprensione della persona. Questo estende oltremodo l’ambito dell’indagine e l’oggetto materiale del discernimento; non basterà certo un’attenzione sommaria ai comportamenti, né l’adozione di un criterio puramente negativo (“siccome non ha un certo tipo di comportamenti non c’è problema”, “siccome è sereno può andare avanti”), o l’interpretazione del silenzio sull’argomento come segno di maturità. Il titolo della nostra relazione, comunque, c’invita a rivolgere la nostra attenzione ai cosiddetti “casi difficili”, quelli che presentano immaturità o addirittura patologie nell’area affettivo-sessuale. Quelli, più esattamente, il cui discernimento vocazionale si fa complesso a causa di questi problemi, che vanno a contaminare in maniera più o meno pesante la stessa opzione vocazionale e la possibilità di vivere un’autentica consacrazione a Dio nella vita sacerdotale o religiosa.

Per definire più precisamente questi casi difficili occorre definire il tipo di ideale qui in questione (l’ideale sacerdotale-religioso così com’è concepito dalla Chiesa), e la natura della sessualità-affettività. In altre parole, occorre rispettare la solita legge dell’integrazione tra prospettiva architettonica ed ermeneutica, e in ultima analisi tra la componente teologica e quella psicologica della scelta che il soggetto si appresta a fare. Sarà proprio questa chiarificazione che ci consentirà di cogliere l’oggetto formale del discernimento vocazionale circa l’affettività-sessualità.

 

Oggetto formale

Il criterio per il discernimento di una chiamata al ministero sacerdotale o alla consacrazione religiosa è dunque, per natura sua, complesso o composito. Non consiste in una lista di requisiti, pur correttamente definiti (sul piano teologico o psicologico), da verificare in modo freddo e impersonale, magari con l’impiego di strumenti tecnici, come si trattasse di constatare tout-court la coincidenza o meno con una sorta di identikit del prete o del frate o della suora che non ammette sconti o eccezioni; ma – al contrario – questo tipo di discernimento è gesto profondamente umano, d’aiuto offerto alla persona perché si conosca, e che esige una profonda conoscenza dell’individuo da parte di chi offre l’aiuto stesso, un grande senso del mistero della persona umana, una notevole conoscenza dei due elementi che entrano costitutivamente in gioco nella questione, quelli spirituali e quelli psicologici, come abbiamo già detto e come ora andiamo a esplicitare maggiormente.

 

Elementi normativo-spirituali

Intendiamo anzitutto riferirci alle norme indicate dalla Chiesa per l’ammissione agli ordini e alla consacrazione religiosa. Rifacendoci agli ultimi documenti ecclesiali[2] potremmo sintetizzare e precisare in questi termini e attorno a questi punti. Possono esser ammessi agli ordini e ai voti coloro che, oltre ad avere le altre qualità richieste dalla Chiesa,[3] hanno acquisito (o mostrano d’esser in grado d’acquisire) nel loro sviluppo psico-sessuale

– Una solida identità sessuale, ben tipificata dal proprio sesso d’appartenenza e senza paure nei confronti dell’altro sesso e della sessualità in genere, all’interno di un’identità sufficientemente forte, che renda la persona libera da dipendenze affettive, con o senza connotazioni erotiche, nei confronti dell’uno o dell’altro sesso[4];

– la possibilità e capacità di vivere pienamente nel celibato il “significato sponsale” del corpo umano, “grazie al quale la persona dona se stessa all’altra e l’accoglie”[5], nel servizio disinteressato al bene spirituale di tutti i fedeli, senza preferenze od esclusioni, con libertà d’interazione con l’altro-da-sé;

– “un grande amore, vivo e personale, nei riguardi di Gesù Cristo…, prolungato in una dedizione universale”[6], all’interno di una vita matura di fede;

– una sufficiente libertà e maturità affettiva, che li renda uomini di relazione, capaci di vera paternità pastorale e resi conformi ai sentimenti del Figlio Servo e Agnello[7], Pastore e Sposo[8], come lui liberi di amare intensamente e di lasciarsi voler bene in modo retto e purificato, senza legare mai nessuno a sé, capaci d’attenzione oblativa all’altro e di comprensione intima dei suoi problemi nella lucida percezione del suo vero bene, ricchi di calore umano e capaci di educare negli altri un’affettività altrettanto oblativa[9];

– la certezza morale di poter vivere il celibato e la castità sacerdotale, affrontando con determinazione e prudenza la fatica della rinuncia all’esercizio di un istinto profondamente radicato in ogni uomo e donna, senza ricorrere a stili relazionali difensivi o selettivi nei confronti dell’uno o dell’altro sesso[10].

Questi criteri indicano i percorsi e costituiscono il punto d’arrivo della formazione sacerdotale e religiosa. Ma in qualche modo indicano pure il punto di riferimento o lo sfondo generale anche del discernimento iniziale, della prima ammissione, e dunque anche, per contrasto, dei casi in cui quest’ammissione non è possibile.

 

Elementi ermeneutico-psicologici

Tali elementi ci consentono di precisare meglio l’ideale proposto dalla norma ecclesiale, e dunque anche di metter a fuoco le componenti di quest’ideale o le condizioni della norma. In tal senso ci può aiutare molto la psicologia, quale scienza ermeneutica, capace di spiegare l’intimo meccanismo intrapsichico dell’uomo quale essere sessuato e amante nella verginità, capace di condurci quanto meno alle soglie del mistero della sessualità, dell’amore, della verginità per il regno, di farci capire come “funziona” il tutto.

È importante, allora, ricordare che esiste un ordo relativo a queste tre realtà, e che proprio la psicologia, o una certa psicologia in dialogo con la prospettiva spirituale, o con la riflessione filosofico-teologica, può aiutarci a cogliere una certa struttura intrinseca alla realtà della sessualità, dell’amore, e della stessa scelta verginale per quanto è connessa strutturalmente con le altre due realtà. Se esiste un ordo, o struttura intrinseca, diviene tutto interesse dell’uomo, prim’ancora che dovere, obbedire a tale ordine o dare la precedenza all’oggettività sulla sua soggettività. In ogni caso è solo l’idea dell’ordo che ci può far capire l’idea del disordine. Ai fini del nostro discorso sarà sufficiente annotare velocemente per punti molto schematici le tre indicazioni.

 

Ordo sexualitatis

La sessualità ha un suo codice interno, una specie di DNA che ne svela natura e funzioni. Secondo l’analisi psicologica, particolarmente deputata per questo tipo d’indagine, la sessualità è

– dinamismo, non è solo un dato di fatto, biologico o psicologico, che s’impone o impone necessariamente un certo esercizio dell’istinto genitale, ma è anche e soprattutto un dato da farsi, ovvero realtà educabile che chiama subito in causa la libertà e responsabilità dell’uomo, o parte che va integrata col tutto o messa al suo servizio,

– ma all’interno di una logica misteriosa, ovvero la sessualità è mistero, punto d’incontro o luogo di composizione e integrazione di polarità apparentemente contraddittorie, all’interno e all’esterno dell’individuo;

– la sessualità è la memoria, infatti, inscritta nell’essere umano, perfino nel suo corpo, del suo provenire ab alio e assieme energia che apre ad alium, dunque è bisogno (deficit) e potenzialità (risorsa), e proprio così indirettamente svela o lascia intravedere anche il significato non solo del corpo, ma della vita dell’uomo: bene ricevuto che tende per natura sua a divenire bene donato;

– è luogo della tipificazione del genere d’appartenenza, luogo ove la identità trova un preciso punto di riferimento, ciò che fa la differenza rispetto all’altro, e in cui l’alterità raggiunge il suo punto più evidente; la sessualità in tal senso è simbolo e cifra per natura sua della differenza e della complementarità relazionale umana, quale sfida e ricchezza dell’esistenza e condizione di fecondità, luogo ove l’identità si pone in “misterioso” dialogo con l’alterità, l’una nascendo dall’altra;

– è relazione e uscita di sé verso l’altro, è trascendenza verso l’altro-da-sé, in un equilibrio di funzioni (dare e ricevere) e di polarità rappresentative dell’io e del tu (mascolinità-femminilità, autonomia-appartenenza, autotrascendenza-innamoramento, differenziazione-fusione);

– è pienamente assunta e fatta propria (=messa al servizio del proprio progetto di crescita) da chi riesce a integrare la capacità oblativa con quella ricettiva attorno a quella verità fondamentale inscritta nella sessualità medesima: la vita è un bene ricevuto che tende per natura sua a divenire bene donato.

 

Ordo amoris

È S. Agostino a parlare per primo d’un ordo amoris, d’una struttura interna o d’un ordine oggettivo cui l’amore “obbedisce” o dovrebbe obbedire.

– Tale ordo ricalca la struttura scalare dell’essere (e del bene) per cui ogni essere è amabile in relazione con la pienezza e qualità dell’essere posseduto. Per tale ragione, ad es., una pietra è meno amabile d’un animale, che – a sua volta – lo sarà meno d’un essere umano, mentre sulla sommità di questa scala c’è Dio, l’Essere sommamente amabile e desiderabile, l’unico vero desiderio, per quanto a volte inconscio, del cuore umano.

– Questa struttura scalare dell’essere non dice solo l’oggetto materiale dell’amore dell’uomo, ma dice e svela le possibilità e capacità della sua natura, anzi l’esperienza umana d’un amore, quello divino, che non si limita alla semplice benevolenza, ma che giunge al punto di rendere la creatura capace d’amare alla maniera del Creatore. Questo è il punto centrale dell’ordo amoris.

– In tal senso la ordinata dilectio, ordinata da questa potenzialità divina presente in ogni cuore umano, imprime un ordine alla realtà, ordine inventivo e disciplinato, che nasce esattamente dalla certezza dell’amore di Dio (“effuso nei nostri cuori”), e che consiste in sostanza nell’amare col cuore di Dio: in modo disinteressato e gratuito, accogliendo l’altro incondizionatamente e raggiungendolo nella positività radicale del suo io per volere il suo bene, imparando bensì a ricevere, non solo a dare, a far le cose per amore e ad osservare la legge non per costrizione ma liberamente, ad amar Dio con tutto il cuore per amare col cuore di Dio ogni creatura.

– Al tempo stesso, però, l’ordinata dilectio è sempre anche costantemente attaccata dal suo contrario, dal dis-ordine, dal caos, o dalla pretesa ingenua che il cuore segua spontaneamente un certo ordine nell’amare e nel lasciarsi amare; l’affettività è area in cui s’esprime una certa inquietudine esistenziale, un’ambivalenza di fondo, un’attrazione contraria o una certa cupiditas che rende solo apparente il movimento verso l’altro, amato o “usato” prevalentemente per il proprio bisogno di sentirsi amato. È dunque indispensabile una certa ascesi e disciplina del cuore e dei sentimenti.

– Punto d’arrivo di questo cammino di purificazione e crescita è la libertà affettiva. Che nasce da due certezze: quella d’essere già stato amato, da sempre e per sempre, e quella d’esser capace d’amare, per sempre. Consente alla persona di consegnarsi totalmente a un’altra e accoglierla altrettanto incondizionatamente (=innamoramento); e in forza di tale concentrazione d’amore consente pure di esprimere al massimo grado la propria capacità affettiva, amando molto e molti, specie chi è più tentato di sentirsi non amabile.

 

Ordo virginitatis

Qui l’analisi si fa sempre più interdisciplinare e aperta allo spirituale; come un cammino che mentre accoglie le indicazioni precedenti si apre a un percorso inedito.

– La verginità è attuazione peculiare e misteriosa dell’ordo amoris o della struttura scalare dell’essere, ove Dio è vertice della tensione amante umana, poiché indica la possibilità che Dio divenga in qualche modo l’oggetto “esclusivo” e totalizzante dell’amore umano che comunque non esclude altri amori, ma anzi esalta la capacità affettiva del vergine.

– Il vergine per il regno sceglie d’amar Dio con tutto il cuore, la mente e le forze, o con tutto se stesso (=al di sopra d’ogni amore, anche quello così naturale e desiderato per una donna, al punto da rinunciarvi), per amare con il cuore di Dio le creature (=amando tutti intensamente, senza legarsi a nessuno né escludere alcuno).

– Nella misura in cui Dio diventa l’oggetto “esclusivo” dell’amore, diventa ancor più la modalità amante del vergine (l’amore rende simile all’amato, o l’oggetto materiale diviene anche l’oggetto formale).

– La scelta verginale non può mai esser privatizzata o interpretata per la propria perfezione personale; ma è fondamentalmente annuncio della verità del cuore umano creato da Dio e dunque a lui orientato, o a trovare solo in lui l’appagamento pieno, qualsiasi sia il suo stato di vita.

– Diventa allora fondamentale nell’ordo virginitatis lo stile relazionale verginale, come modo d’esprimere lo stile amante di Dio e assieme la centralità di Dio nell’amore umano. È lo stile

* di chi non si mette mai al centro della relazione, perché il centro spetta a Dio;

* di chi “sfiora” l’altro senza invaderlo, perché non è il corpo il luogo né il motivo dell’incontro interpersonale nella vita del celibe; 

* di chi sa rinunciare intelligentemente all’esercizio fisico genitale, ma per cercare e trovare con creatività le altre mille forme espressive del vero amore; 

* di chi dice no al viso più bello e attraente, ma per voler bene a chi, umanamente non attraente (come il lebbroso baciato da Francesco o il moribondo abbracciato da madre Teresa), è più tentato di non sentirsi amabile[11].

Ovviamente questo ordo non può esser disatteso e deve essere rispettato nelle sue implicanze in qualsiasi stato vocazionale. Mentre potremo parlare in genere di immaturità e patologie ogni qualvolta la persona non sembra in grado di esprimere e realizzare nella sua vita una cammino di maturazione nella sessualità, affettività e verginità in linea con queste indicazioni.

 

 

CASI DIFFICILI

Vediamo allora di definire più in concreto l’oggetto materiale della nostra indagine, ovvero i cosiddetti casi difficili del discernimento vocazionale; ci riferiamo soprattutto al primo discernimento vocazionale, quello relativo all’ammissione al cammino di formazione. Ma per prima cosa dobbiamo dare qualche indicazione, quasi una premessa, sul tipo di problemi, indipendentemente dal loro contenuto, che normalmente un educatore si trova ad affrontare con giovani in cammino evolutivo.

 

Livello problematico[12]

È importante che l’educatore sappia anzitutto distinguere e identificare la natura del problema presentato da un giovane. Che può esser dovuto a:

– problemi di psicopatologia (latente o manifesta, più o meno grave), cioè derivanti da disturbi o sintomi psichici strutturali e di natura clinica, come possono esser, ad es., pedofilia ed efebofilia, o forme ossessive di dipendenza affettivo-sessuale, o una mancanza pressoché sistematica di controllo dell’istinto sessuale, in senso etero e omosessuale[13];

– problemi di sviluppo: sono manifestazioni e fragilità legate a un ritardo o a una insufficiente soluzione di problematiche evolutive, come nel caso d’una adolescenza persistente (cfr. gli “adultescenti”) o d’una incertezza nell’area della identificazione sessuale con difficoltà relative, con possibile presenza di sintomi a volte simili a quelli psicopatologici, ma isolati e infrequenti, o di atti legati a un cedimento impulsivo che tuttavia rimane sporadico e comunque controllabile;

– problemi di inconsistenza e integrazione vocazionale: denotano difficoltà molto comuni, per lo più legate alla presenza di bisogni inconsci, che risultano prevalenti e assorbono le energie del giovane, così da trattenerlo dentro un orizzonte di ricerca di gratificazione di sé, impedendo di muoversi secondo dinamiche di donazione di sé motivate dalla carità, come può esser, ad es., una tendenza all’isolamento con conseguente tendenza masturbatoria, o un certo egocentrismo nelle relazioni…;

– problemi di carattere spirituale, riguardanti l’area dei valori, la modalità concreta di viverli o addirittura la visione chiara del cammino vocazionale persona le. Tali difficoltà normalmente si pongono a un livello conscio, ma altrettanto spesso questo tipo di problemi convive con quello precedente (problema spirituale e pure d’inconsistenza vocazionale)[14].

Già questa semplice suddivisione ci consente d’individuare una linea di condotta discernimentale: i problemi legati a una realtà di psicopatologia costituiscono una vera e propria controindicazione per una ammissione alla struttura formativa; anche perché almeno alcuni di essi sono per natura loro recidivi (ad es. la pedofilia e l’efebofilia). A differenza degli altri tipi di problemi che possono essere adeguatamente risolti, a condizione, però, che siano tempestivamente rilevati. Indispensabile, in ogni caso, cogliere il più presto possibile tali realtà nel giovane o procedere a una mappatura della sua situazione intrapsichica. Anche con un aiuto professionale da parte di professionisti che si muovano all’interno dell’orizzonte antropologico cristiano. Il problema sarà semmai come procedere alla distinzione, specie tra i primi tre tipi di problemi.

 

Patologie rilevanti

Vediamo allora come identificare correttamente la presenza di patologie, anche perché vi sono gradi intermedi e non sempre situazioni del tutto chiare. In ogni caso le immaturità o patologie sessuali vanno sempre giudicate come tali alla luce di criteri generali, quali quelli che andiamo a vedere ora. Le deviazioni patologiche vere e proprie, lungo un continuum di gravità, hanno normalmente queste componenti a livello di struttura della persona:

– nascono da un disturbo più o meno profondo della personalità, con radici abbastanza remote nel tempo, senza che l’individuo ne possa riconoscere origine e funzione psicodinamica (cioè il bisogno psichico che cercano di soddisfare), e il collegamento eventuale con l’area affettivo-sessuale[15];

– vanno a disturbare il rapporto con la realtà, distorcendo la percezione della propria vocazione (della sua natura e dei suoi compiti) o creando aspettative irrealistiche circa il proprio futuro, senza che il soggetto avverta il contrasto fra tutto ciò e la vocazione stessa (e la propria identità dunque);

– in particolar modo disturbano la relazione con l’altro, persino quella con Dio e con la sua parola, ma ancora senza che l’individuo possa controllare più di tanto i propri sentimenti e comportamenti né avvertire la non corrispondenza del suo mondo interiore con la realtà;

– nonostante rimandino a una fragilità strutturale importante e diffusa non necessariamente si manifestano in forme psicotiche manifeste, o non necessariamente tali espressioni sono costanti. A volte la persona affetta da questo tipo di disturbo ha un aspetto esteriore normale, ha capacità intellettuale e creativa o sembra capace di svolgere determinati compiti.

 

In sostanza gli elementi strutturali attorno a cui si configura questa personalità sono: la perdita di contatto con la realtà (con relativa perdita di controllo della situazione) e le relazioni oggettuali parziali (che impediscono al soggetto di cogliere e accogliere tutti gli aspetti della realtà, specie quella interpersonale, e con distorsione relativa)[16].

Ma vi sono alcuni segnali, apparentemente non gravi, a livello più dinamicofenomenologico, che possono far pensare a una sottostante situazione patologica o comunque a una situazione che potrebbe sfociare in quella direzione:

– perdurante instabilità della vita: è il caso di chi è costantemente incerto e non si decide mai nelle scelte, negl’impegni, nel lavoro, negl’ideali, nelle relazioni;

– incapacità di intuire e poi rispettare i sentimenti degli altri e i loro problemi; mancanza di senso di colpa (e ancor più della coscienza di peccato) in relazione ad azioni morali oggettivamente gravi e lesive dell’altro, autogiustificazione e egosintonia su tutto il fronte, senza alcuna “sofferenza”, né lotta, né motivazione a cambiare (“non le ho mica fatto niente di male…”, “ma che male c’è?”, “è lei che ha il problema, o che ha certi sentimenti verso di me…”);

– azioni impulsive di carattere sessuale (e aggressivo) con scarso controllo, come se la persona non potesse prender le distanze dall’impulso (“è più forte di me”); di solito tali individui hanno pure molta difficoltà nella concentrazione e riflessione proprio perché costantemente (ossessivamente) presi dal loro problema;

– passaggi repentini di stati d’animo, con ondeggiamenti da sensazioni di esaltazione irrealistica ad altre di disfatta e critica totale di situazioni e persone e incapacità d’integrare gli aspetti positivi e negativi del reale (=relazioni oggettuali parziali).

 

La presenza relativamente regolare e frequente di alcuni di questi segni o sintomi chiede d’esser presa in seria considerazione prima d’una decisione vocazionale: non sembra, infatti, che una persona con questo tipo di problemi possa abbracciare un impegno di vita celibe con le sue gioie e dolori, specie se vi sono già stati episodi devianti. È atto squisito di carità rilevarlo in tempo e aiutare la persona a intraprendere un cammino terapeutico adeguato, anche quando vi fossero semplici dubbi al riguardo (proprio ai fini d’un discernimento appropriato). A volte, quando cioè la situazione intrapsichica non s’è ancora configurata in senso patologico tali traumi possono esser integrati e risolti, e addirittura divenire poi ricca esperienza di vita, a beneficio anche d’altri. Ma quando ciò non è possibile (o perché al soggetto non è stato dato l’aiuto adeguato o perché il trauma s’è mostrato troppo pesante) sarebbe crudele mettere sulle spalle di questi individui un peso eccessivo come sarebbe l’opzione celibataria, e ingenuo ignorare che non raramente gli ideali religiosi e vocazionali possono “fare da copertura anche a patologie o insufficienze psichiche”[17]. Dovrebbero esser definitivamente passati i tempi in cui si dava per scontato che il tempo o la Grazia aggiustino tutto, o che basti un po’ di buona volontà e la voglia d’andare avanti, o che sia sufficiente metter il tipo in certi ambienti (una parrocchietta in montagna) o fargli fare una certa esperienza. La carità senza verità è falsa. E sarebbe carità e verità proporre un aiuto pertinente. In questi casi, comunque, un accompagnamento clinico è da proporre senz’altro prima di qualsiasi scelta importante[18].

 

Disordini della personalità (o immaturità)

A un livello meno grave, invece, parliamo di deviazioni che nascono da un disordine della personalità con conseguenze anche nell’area affettivo-sessuale, ma che possono esser più o meno tenute sotto controllo dall’individuo, almeno teoricamente e soprattutto nelle fasi iniziali d’un certo cammino. È il caso delle inconsistenze psicologiche, da cui derivano le varie forme di immaturità. In tali casi la situazione è meno seria poiché il “disordine di personalità”

– non è in sé figura psicopatologica né disturbo psichico strutturale, ma è un disordine lieve e moderato, che crea un problema soprattutto di gestione di certi comportamenti e si manifesta nel progressivo irrigidimento o nel funzionamento improprio (più che nella perdita del controllo vero e proprio) dei normali processi di adattamento della persona (nei modi di sentire, pensare, avvertire e gratificare i propri bisogni, valutare, agire, …);

– non cancella nel soggetto la sensibilità e coscienza interiore, per cui tale soggetto è anzitutto consapevole del suo problema, è in grado di “soffrire” la sua situazione, di percepirla come contraria ai suoi ideali (egoaliena), di desiderare di cambiarla, d’esser motivato a lottare contro di essa (almeno nelle fasi iniziali);

– non ha la sua origine, almeno normalmente, in un passato remoto della persona, ma in tempi relativamente recenti;

– il problema riguarda un settore della persona, non tutta la personalità; e non è sempre presente al punto di disturbare le sue normali attività o impedire la possibilità di concentrarsi o dedicarsi a qualcosa con tutte le sue forze;

– non implica la perdita della libertà e lo stato inconscio con distorsione del rapporto con la realtà, ma significa piuttosto una limitazione della propria libertà, in tal caso soprattutto della libertà affettiva, che rende sempre più pesante (al limite anche insopportabile) l’impegno celibatario con tutte le sue esigenze e rinunce.

 

Avremo così la persona che avverte un bisogno forte, ad es., d’esser al centro dell’attenzione, di avere relazioni speciali con qualcuno/a che le dia la certezza d’essere amabile e amata di fatto, e dunque avrà anche bisogno di segni d’affetto; se c’è una certa gratificazione e l’individuo non è aiutato a prender coscienza della situazione e distanza dal bisogno, quest’ultimo diverrà sempre più esigente e prepotente, pretenderà un aumento progressivo della dose (ad es. segni d’affetto anche fisici…), fino a condurre il soggetto ad assumere pian piano uno stile relazionale che si discosterà progressivamente dall’atteggiamento di vita tipico del vergine per il regno dei cieli, con implicanze morali (che potranno anche giungere a una certa gravità) e coinvolgimento anche d’altre persone. Per lo meno non si potrà escludere un esito simile. In ogni caso, però, il soggetto continua a essere sostanzialmente responsabile dei propri gesti; la sua libertà sarà ridotta, ma non annullata, e sarà ridotta perché e nella misura in cui ha cominciato a cedere progressivamente alla tendenza che non controlla (ma che potrebbe imparare o reimparare a controllare), come in un circolo vizioso in  4 tappe:

– prime leggere e veniali gratificazioni, così leggere da passare inosservate, ma creanti in realtà sempre più

– un’abitudine, che già rende meno libero l’individuo e meno capace di controllarsi e controllare una certa ambiguità di comportamento;

– l’abitudine gratificante e gratificata diventa poco per volta automatismo, sempre più esigente e prepotente, per cui la gratificazione di ieri non basterà più oggi, mentre la coscienza si adatterà sempre più al comportamento, giudicandolo con sempre maggior comprensione, fino a giustificarlo[19];

– ma soprattutto l’automatismo consente al bisogno gratificato di piazzarsi al centro della personalità e da lì “comandare” le operazioni come una motivazione inconscia o divenuta tale.

 

Siamo dunque dinanzi a una possibile deviazione meno grave dal punto di vista psichico e meno negativa sul profilo della prognosi e del possibile recupero (e ovviamente, sul piano morale, vi sarà maggiore responsabilità). Ma diventa assolutamente fondamentale che il problema venga identificato al più presto e che l’individuo venga aiutato a non entrare in quel circolo vizioso che lo conduce lentamente a smarrire la sua libertà e se stesso. Proprio per questo possiamo ben dire che questo processo rende un disordine della personalità sempre più grave anche in termini intrapsichici, quasi come una cellula cancerogena che ne contamina altre o che da negativa si trasforma lentamente in positiva. Vi sono dei segni, anche qui a livello fenomenologico, che possono esser indicativi in tal senso e dunque utili per questo tipo di discernimento. In genere le persone con questo sottostante tipo di problemi hanno uno stile difensivo, con queste caratteristiche fenomenologiche:

– tendenza a evitare le scelte e a non esporsi e compromettersi con scelte definitive;

– fatica a sganciarsi dai vecchi stili del passato o inclinazione a ripetere e ripetersi per rassicurare, ancora una volta, una vacillante identità e positività dell’io;

– tentativo di addomesticare la realtà mitigandone le esigenze più costose;

– percezione soggettiva del reale e paura della diversità subito conflittualizzata;

– poca disponibilità al cammino ascetico lungo e paziente, e pretesa di risolvere sbrigativamente i problemi;

– abilità notevole nel ricorrere a forme varie di autogiustificazione[20].

 

Qui, come si vede, il problema è subito assieme psicologico (non psichiatrico) e morale, d’identità e vocazione, riguarda la normale lotta che ognuno di noi ogni giorno combatte con le proprie debolezze, e che è legata alla propria (in)consistenza interiore; lotta che decide poi del livello della nostra virtù e della qualità ed efficacia della nostra testimonianza. Lotta e tentazione che son parte anch’esse del mistero della vita umana, e che ben ne esprimono la dimensione drammatica. La presenza di questi o analoghi sintomi deve far pensare a una situazione che ha bisogno d’esser seguita con attenzione e trattata con strumenti adeguati, capaci di far emergere la parte inconscia del problema e di mettere il soggetto in condizione di gestire meglio la situazione o di recuperare il controllo della parte che ora gli sfugge. Opportunamente affrontati questi disagi intrapsichici non precludono il cammino formativo. Saranno poi da verificare attentamente i segni d’un effettivo cambiamento prima di giungere a decisioni definitive. È molto importante, in ogni caso, saper distinguere tra questi due fondamentali tipi di problematiche, anche ricorrendo a un aiuto professionale, sia per valutare realisticamente la situazione, sia per individuare i correttivi adeguati.

 

 

 

PATOLOGIE E IMMATURITÀ AFFETTIVO-SESSUALI

Di per sé l’area affettivo-sessuale dovrebbe sempre meritare una certa attenzione, specie quando il soggetto nega qualsiasi tipo di problematica al riguardo (“un giovane che non ha problemi in quest’area è un problema”). E dovrebbe meritare un’attenzione costante tenendo conto di quanto abbiamo detto all’inizio, a proposito della centralità dell’amore (e della sessualità): in forza di tale posizione l’energia affettivo-sessuale comunica con ogni aspetto della vita psichica umana. Per questo il suo linguaggio diventa complesso e non facile da intendere. È ancora una volta la dimensione del mistero della affettività-sessualità umana!

Ovviamente molte delle cose che abbiamo già detto possono senz’altro essere applicate anche al contesto affettivo-sessuale del giovane in vocazione. Dunque non ci ripeteremo. Aggiungiamo piuttosto alcuni elementi che ci aiutino a cogliere la specificità, per quanto possibile, di questo mistero. Vedremo per grandi linee lo sviluppo psicosessuale, e proprio all’interno del discorso evolutivo cercheremo di individuare anche i possibili blocchi di tale sviluppo o le possibili patologie, e veder infine di dare qualche indicazione.

 

Sviluppo affettivo-sessuale

Non possiamo certo trattare per esteso l’argomento, ma semplicemente intendiamo cogliere i momenti considerati salienti dell’evoluzione affettivo-sessuale, o quelli in cui possono maggiormente crearsi blocchi e fissazioni. Lo facciamo in modo molto schematico.

 

Fase infantile

Nel disegno psicoanalitico l’evoluzione della affettività-sessualità procede attraverso fasi specifiche (orale, anale, fallica) nei primissimi anni di vita, seguite poi dalla fase della latenza (dai 5 ai 10 anni di vita circa) e poi della genitalità. Già nelle tre fasi primordiali avviene qualcosa di estremamente rilevante per lo sviluppo armonico affettivo-sessuale: il rapporto con le figure genitoriali dovrebbe trasmettere al piccolo quella fiducia di base che è il fondamento della stima di sé e della libertà affettiva, e che consiste nelle due certezze (di esser già stato amato e di saper amare), e che darà poi nella vita sempre più la libertà di amare e lasciarsi amare. Quando e nella misura in cui ciò non avviene si possono creare blocchi o resistenze a crescere per eccesso o per difetto di gratificazione di particolari bisogni (da cui deriveranno tipi particolari di fissazione o perversione).

Di speciale importanza per noi è quanto avviene nella fase fallica, particolarmente nel momento cosiddetto del “complesso di Edipo”, in cui avviene il processo della tipificazione sessuale, attraverso l’identificazione col genitore dello stesso sesso (visto come modello per la conquista del genitore di sesso opposto). Quando questo non avviene, per i più svariati motivi (ma fondamentalmente per una mancata identificazione col genitore dello stesso sesso), è possibile una identificazione col sesso opposto, ovvero quella che si potrebbe chiamare omosessualità strutturale, quella che inerisce fin da subito nella struttura autoidentificatoria della persona e che dunque tende a permanere, almeno a livello di tendenza. In altre parole, la radice della omosessualità strutturale sembra essere un certo tipo di relazioni incrociate all’interno del nucleo familiare d’origine (e non fattori genetici più o meno ereditari).

 

Fase preadolescenziale-adolescenziale

Dopo la fase della latenza inizia un periodo molto importante per lo sviluppo psicosessuale, che Freud chiama della genitalità. Siamo all’incirca nella stagione della preadolescenza, e l’affettività-sessualità del preadolescente è in grande effervescenza, mentre attraversa un periodo segnato da tre fasi.

Autoerotismo

Amore e interesse sono pressoché totalmente ripiegati su di sé, in un atteggiamento in buona sostanza narcisista. L’attenzione al proprio corpo e ai suoi mutamenti, un certo “egocentrismo intellettuale”, come lo chiama Piaget, e le prime esperienze affettive sono il segno d’un nuovo modo di porsi dinanzi alla vita, caratterizzato da un interesse inedito per la propria persona, sempre più al centro della situazione. Probabilmente per questo motivo è possibile che in tale periodo il ragazzo inizi certa pratica masturbatoria, come tentativo di esplorare il proprio corpo e le sue reazioni, o come reazione a certa tensione, o come chiusura autosufficiente dentro di sé dinanzi alla fatica di alcune relazioni, o come ricerca di gratificazione, o come tentativo di reagire a un insuccesso, o come espressione del proprio potere sul proprio corpo. Come si vede possono essere e sono in effetti tante le motivazioni del gesto masturbatorio, e neppure così connesse con la ricerca del piacere genitale-sessuale, anzi, l’atto è molte volte seguito da un retrogusto doloroso, e certamente non risolve alcun problema. Ciò nondimeno tale gesto può divenire abitudine e resistere enormemente al tentativo del soggetto di liberarsene. Al contrario instaura nel soggetto una tendenza a chiudersi in se stesso e a non cercare soluzioni più adulte ai problemi da cui nasce l’impulso masturbatorio.

Proprio in tal senso si potrebbe addirittura parlare di masturbazione in modo improprio, ovvero come di tutto ciò che piano piano chiude e rinchiude la persona dentro se stessa, la rende sempre più autosufficiente, non la fa sentire responsabile dell’altro, le impedisce di riconoscere quanto ha ricevuto e continua a ricevere dagli altri… Insomma, non esiste solo la masturbazione fisica, ma anche quella intellettuale o morale o addirittura religiosa, come espressione d’un atteggiamento egocentrico o narcisista, in buona sostanza, con un io che gira perdutamente attorno a se stesso, senza trovarsi mai, perché l’identità nasce dalla relazione, la positività dell’io viene dall’amore ricevuto. Ma proprio questo è il problema del narcisista, il quale, come il Narciso del mito greco che non si lascia benvolere da Eco, in realtà è individuo non privo d’affetto, ma

– uno che semmai l’affetto che ha ricevuto finisce per rifiutarlo, non l’apprezza, lo ritiene scadente, perché lo vorrebbe perfetto e senza macchia, o vorrebbe prove e conferme sempre nuove, e dunque non gli basta, ne vuole sempre più, non ci crede, non si fida…,

– oppure forse non riconosce né apprezza quell’affetto perché è …del tutto gratuito, lui non ha fatto niente per meritarlo, non è frutto delle sue fatiche o conquiste, di qualcosa che lui ha meritato, e questa è come un’offesa per uno che pensa d’essersi fatto-da-sé, per uno che non ha da ringraziare nessuno e in realtà teme l’intimità…

– di fatto al narcisista manca la libertà affettiva di amare e lasciarsi amare, perché gli mancano ancor prima quelle due certezze (di esser già stato amato e d’esser in grado di amare);

– la vocazione del narcisista, dunque, è spesso ingannevole, proprio per questi caratteri di apparente autonomia nei confronti dell’altro e di eroismo e protagonismo nei confronti della scelta vocazionale stessa. La vocazione autentica è fatta soprattutto di gratitudine per l’amore ricevuto come una scelta che non è legata ai propri meriti. Proprio per questo è fondamentale che il giovane possa ripercorrere la sua storia con l’aiuto dell’educatore, per ritrovare in essa, qualsiasi sia stata l’esperienza nella famiglia d’origine e assieme agl’inevitabili momenti e componenti negativi, i segni d’un amore comunque ricevuto, da persone certo imperfette, ma in ogni caso mediazione misteriosa dell’amore dell’Eterno. Un amore che è tanto più grande quanto più accetta le mediazioni imperfette e inadatte per comunicarsi alla creatura. Un amore che, in ultima analisi, è la fonte di quelle due certezze strategiche che fondano la libertà affettiva.

 

Omoerotismo

In un secondo momento del suo sviluppo il preadolescente entra in una fase in cui assume un enorme rilievo il gruppo dei coetanei appartenenti allo stesso sesso, per vari motivi che gli consentono un migliore inserimento sociale e più precisi punti di riferimento per la propria identità. Il rischio è che il soggetto si blocchi in questa identificazione e impari a relazionarsi solo con quelli che la pensano come lui e che resti per sempre attaccato a qualche rapporto “incestuoso” o a qualche “cordone ombelicale” (gruppo, razza, classe sociale, gruppo o movimento ecclesiale, partito politico…), conflittualizzando le diversità e pretendendo omologare tutto e tutti a sé. Secondo Fromm la persona orientata in senso incestuoso (a qualsiasi livello) non è capace di amore autentico, ma solo di affetto animale, di quello che lui chiama, con espressione un po’ colorita e forse eccessiva, “tepore della stalla”.

Di per sé non c’è alcun interesse di tipo omosessuale, almeno come motivazione originaria, anche se la frequentazione costante può suscitare fantasie, desideri e dubbi di questo tipo. Ma non si può escludere del tutto un esito in tal senso, soprattutto nel caso di un’eventuale esperienza, magari subita e ripetuta, di questo tipo, e all’interno d’una cultura, come quella attuale, che ha assunto nei confronti dell’omosessualità un atteggiamento molto possibilista. È chiaro che le esperienze ripetute depositano nella psiche una memoria affettiva che rende sempre più sensibile il soggetto a un certo richiamo, ma in questo caso non si potrebbe parlare di omosessualità strutturale, che caratterizza da sempre, in pratica, il sentire dell’individuo, ma solo di una omosessualità intervenuta più avanti nello sviluppo e dunque con una prognosi migliore.

Occorre stare molto attenti al riguardo, perché sovente ragazzi e giovani che si trovano in questa fase si sentono omosessuali o temono d’esserlo e addirittura sono invitati da qualcuno o dal clima culturale a manifestarsi per quel che sentono e a gratificare una certa esigenza di rapporto, finendo magari per diventare davvero omosessuali. Chissà quanti omosessuali, o sedicenti tali, non lo sono veramente o avrebbero potuto a suo tempo essere stati aiutati a chiarire e chiarirsi. Credo davvero che la prima carità sia quella della verità!

 

Eterosessualità

Quando l’individuo è aiutato a percorrere serenamente queste due prime fasi senza fermarsi di fronte a nuovi compiti evolutivi, entra progressivamente nella fase dell’incontro eterosessuale. In tale fase, situabile verso la fine della preadolescenza e l’inizio dell’adolescenza, l’individuo passa dall’attrazione sessuale indifferenziata alla preferenza per un tipo particolare e infine alla scelta d’una persona determinata. Immaturo, da questo punto di vista, sarebbe invece chi sembra non saper andare oltre la fase d’una vaga attrazione sessuale indifferenziata e non giunge mai a coinvolgersi in un rapporto con una persona particolare, oppure chi moltiplica rapporti a non finire, sviluppando una dipendenza affettivo-sessuale che gl’impedisce di consegnarsi per sempre a una persona (=d’innamorarsi) e lo rende incapace di tener sotto controllo il proprio impulso affettivo-sessuale.

Occorre una certa attenzione nel discernimento vocazionale, perché non è escluso che persone che non sanno andare oltre l’attrazione sessuale indifferenziata e temono, di fatto, la consegna di sé a un altro, possano nutrire velleità vocazionali, magari per non ammettere a se stessi (e agli altri) tale incapacità. Più raro, ma non impossibile, è il caso del “dongiovanni” che per tener a bada il suo esuberante istinto sessuale si mette in testa o chiede di diventare …don Giovanni. Soprattutto non è impossibile che l’eventuale motivazione vocazionale sia in parte e inconsciamente condizionata da questa inquietudine interiore e dalla conseguente pretesa ingenua. Altre forme d’immaturità, ma che rasentano la patologia, sono quegli atteggiamenti difensivi nei confronti della sessualità e del coinvolgimento relazionale interpersonale che consentono all’individuo di giungere a forme indirette di gratificazione d’un incontrollato istinto sessuale e si manifestano sotto varie forme di gratificazione compensativa (o vicaria), non attraverso il rapporto interpersonale, in altre parole, ma attraverso oggetti e strumenti sostitutivi (pornografia, voyeurismo, fantasia sfrenata, Internet, …), tutte forme attraverso le quali non c’è relazione con la persona concreta o la relazione è solo oggettuale e parziale.

In tal senso potrebbe esser utile la cosiddetta “analisi dello sguardo”, quale primo segnale del tipo di relazione interpersonale o del fenomeno così frequente oggi nella cultura odierna della spaccatura tra sesso e amore con la conseguente percezione parziale. Lo sguardo parziale è 

– lo sguardo erotico, sguardo parziale che vede solo i “pezzi interessanti” dell’altro/a, e ci si trastulla o lo “fa a pezzi” come fosse un oggetto (non importa se solo nella mente o nel sogno), prendendo e portandosi via quanto gli piace e buttandolo via, magari, dopo averlo spremuto;

– lo sguardo superficiale che vede unicamente l’apparenza e in base a essa giudica e condanna, rifiuta o lega a sé, senza saper cogliere alcuna amabilità intrinseca[21];

– lo sguardo guardone-consumistico che afferra e “ruba” dell’altro solo ciò che serve per soddisfare la propria curiosità adolescenziale, o riempire il proprio vuoto, e lo consuma e brucia all’istante, per rivolgersi poi altrove, a qualcos’altro da rubare-consumare, sempre con la solita furtiva disinvoltura;

– lo sguardo narcisista, tipico di chi nell’altro pretende rispecchiarsi e vede solo e sempre se stesso, e finge di voler bene e d’innamorarsi pure, ma in realtà non sa amare nessuno, nemmeno se stesso;

– lo sguardo adultero, di chi sogna e consuma, nel segreto del cuore, amori proibiti e frodati, e s’illude d’esser fedele solo perché il suo adulterio è nascosto, inconfessato e solo nel desiderio (frustrato);

– lo sguardo pornografico, sguardo meschino di chi non ha il coraggio di vivere il rapporto con la persona reale e vivente, ne teme l’incontro o si vergogna della trasgressione plateale, e allora riduce la persona a un pezzo di carta, in qualche modo in suo potere, e la virtù a un compromesso tra legge e osservanza, e s’accontenta e si compensa così, tra lo squallido e il misero…[22].

 

 

PROBLEMATICA OMOSESSUALE

Il tema è molto complesso e merita un’attenzione particolare. Sia per via dei fatti recenti che hanno coinvolto molti uomini di Chiesa e sconvolto l’opinione pubblica, sia per la tematica in sé, oggetto oggi di molta attenzione nell’opinione pubblica. La Chiesa stessa si sta interrogando al riguardo, particolarmente turbata dagli episodi nordamericani, che in qualche modo la spingono a rivedere proprio i criteri di discernimento vocazionale di persone con questo tipo di problemi. Ed è anche comprensibile, e va detto senza reticenza, che l’atteggiamento della Chiesa oggi sia piuttosto guardingo, e tenda a restringere criteri d’ammissione adottati nel passato che si sono rivelati non adeguati (com’è successo nella Chiesa nordamericana).

Non pretendo qui risolvere nessun problema, anche perché a tutt’oggi non esiste ancora una convergenza tra gli studiosi circa la diagnosi dell’omosessualità, con tutto quel che ne segue a livello di significato della tendenza, della sua origine e dell’eventuale cammino terapeutico. Mi limiterò a presentare quanto oggi è indicato dai documenti al riguardo e a un tentativo d’approfondimento dei criteri proposti. Nel massimo rispetto verso persone che non hanno scelto, nella grande maggioranza, l’orientamento sessuale che avvertono dentro di sé[23].

 

Indicazioni magisteriali

Quelle più specifiche per noi, ovvero riguardanti il momento dell’ammissione vocazionale di giovani con inconsistenze nell’area affettivo-sessuale (dalla dipendenza affettiva alla tendenza omosessuale, ma escludendo già in partenza le patologie a quanto pare), sono del documento Nuove vocazioni per una nuova Europa (In verbo tuo…), che è il documento finale del Congresso sulle Vocazioni al Sacerdozio e alla Vita Consacrata in Europa, che s’è tenuto a Roma dal 5 al 10 maggio del 1997, firmato dalle Congregazioni per l’Educazione Cattolica, per le Chiese Orientali, per gli Istituti di Vita Consacrata e le Società di Vita Apostolica, e pubblicato nel 1998. In tale testo si dice che giovani con questo tipo di problemi potranno esser accolti a condizione “che vi siano assieme questi tre requisiti:

– che il giovane sia cosciente della radice del suo problema, che molto spesso non è sessuale all’origine.

– La seconda condizione è che il giovane senta la sua debolezza come un corpo estraneo alla propria personalità, qualcosa che non vorrebbe e che stride con il suo ideale, e contro cui lotta con tutto se stesso.

– Infine è importante verificare se il soggetto sia in grado di controllare queste debolezze, in vista di un superamento, sia perché di fatto ci cade sempre meno, sia perché tali inclinazioni disturbano sempre meno la sua vita (anche psichica) e gli consentono di svolgere i suoi doveri normali senza creargli tensione eccessiva né occupare indebitamente la sua attenzione.

Questi tre criteri devono essere tutti presenti per consentire un discernimento positivo”[24]

Il fatto che il documento pensi anche alla problematica omosessuale è dimostrato, oltre che da dichiarazioni esplicite degli estensori, anche dal riferimento che il testo fa, proprio a questo punto, del documento Potissimum Institutioni (Direttive sulla formazione negli istituti religiosi), ove si raccomanda di “scartare, circa l’omosessualità, non quelli che hanno tali tendenze, ma ‘quelli che non giungeranno a padroneggiare tali tendenze’[25] , anche se quel ‘padroneggiare’ va inteso – secondo il documento sulle vocazioni – in senso pieno, non solo come sforzo volitivo, ma come libertà progressiva nei confronti delle tendenze stesse, nel cuore e nella mente, nella volontà e nei desideri”[26]. Sono indicazioni molto precise e utili, ma che potremmo commentare e precisare ulteriormente.

Ora, fermo restando che la diagnosi di omosessualità non è certamente facile, né può esser immediata o automatica, aggiungiamo che non può neppure prender come punto di riferimento semplicemente il comportamento esteriore. È necessario, invece, considerare il problema, ovvero la persona, nella sua globalità, e con molta attenzione anche a ciò che non appare a prima vista o di cui il soggetto stesso non è – in tutto o in parte – consapevole. Perché si deve, in ultima analisi, verificare quanto la tendenza faccia parte d’una struttura omosessuale di personalità (o sia omosessualità strutturale), o quanto sia, invece, un impulso non centrale nell’economia intrapsichica e sotto il controllo della persona. Di per sé è l’omosessualità strutturale la vera omosessualità. Per verificare questa importante distinzione proponiamo un’analisi a tre livelli o ambiti d’attenzione.

 

Tre ambiti d’analisi

Mi sembra che un buon discernimento dovrebbe concentrarsi attorno a questi tre punti (che in fondo ricalcano i tre criteri ora visti): la tendenza omosessuale in sé (nel contesto più generale della personalità), il rapporto soggettivo che la persona stessa stabilisce con queste sue tendenze, e infine il tipo e la qualità del controllo che esercita su di esse. Queste tre realtà possono divenire utilmente tre corrispondenti ambiti d’analisi.

 

La tendenza in sé

Per prima cosa va considerata attentamente la natura delle tendenze omosessuali (fantasie, attrazioni, pensiero ricorrente ecc.), attraverso un’analisi a più voci, di varie componenti.

Origine psicogenetica

A partire dall’origine psicogenetica della tendenza stessa, come in parte abbiamo già visto. È necessario sapere, per quanto possibile, se si tratta di qualcosa che affonda le sue radici nella prima infanzia e nel rapporto di mancata identificazione con il genitore dello stesso sesso (=omosessualità strutturale), oppure se la tendenza è legata a uno scompenso o a un blocco (arresto) evolutivo nel passaggio dalla preadolescenza all’adolescenza (e sarebbe omosessualità non strutturale, con migliore prognosi). Più la radice è remota, più la tendenza è resistente, normalmente, e spesso pure pretenziosa. Ma soprattutto, come abbiamo già accennato, l’omosessualità strutturale sarebbe quella che affonda le sue radici nella prima infanzia della persona.

Nel caso che l’origine, invece, sia più recente andrebbe verificato l’evento o l’elemento scatenante. Potrebbe trattarsi d’una violenza subìta o comunque di atti ed esperienze in cui la persona ha giocato un ruolo passivo, o di un’attrazione (con fantasie corrispondenti) innescata dalla cultura circostante o provocata da pressioni esterne, ma potrebbe anche esser l’effetto d’una permanenza prolungata in ambienti monosessuati; in tale caso sarebbe una omosessualità in qualche modo indotta, ma che di per sé non è vera omosessualità, nonostante possa creare o aver creato nel soggetto la paura o il dubbio d’essere omosessuale. Non basta aver subìto un’avventura in tal senso o ritrovarsi con fantasie e desideri di questo tipo per ritenersi o esser considerati omosessuali, come sovente succede oggi! Tale situazione, con la paura e il dubbio che crea, può e dovrebbe esser trattata in ambito psicoterapeutico, o comunque in un cammino d’accompagnamento, in cui chiarire al soggetto questa importante distinzione, per giungere poi a un chiarimento più generale diagnostico[27].

Cambia invece la situazione se l’individuo, magari condizionato da un certo clima socio-culturale, come quello odierno molto possibilista al riguardo, si abbandona a un certo tipo d’esperienze o le subisce passando poi sempre più a un ruolo attivo; ovviamente l’eventuale esercizio ripetuto dell’esperienza omosessuale non è innocuo, e può rendere resistente e persistente la tendenza stessa, quasi rendendo strutturale ciò che prima o di per sé non lo era. È la storia, credo, di molti giovani, oggi, non debitamente e tempestivamente aiutati a fare la verità dentro di sé, e dunque a non ripetere certe esperienze, o troppo sbrigativamente ritenuti omosessuali e ingenuamente incoraggiati ad “accettarsi”, e a seguire un certo stile di vita, fatto di compagnie, esperienze, eccetera. Ho in mente casi reali.

Significato psicodinamico

A questo punto è necessario analizzare il significato psicodinamico delle tendenze, o cercare di cogliere il loro ruolo all’interno della personalità. Molto spesso, come sappiamo, vita e pulsioni sessuali nascondono problemi e conflitti irrisolti che si sfogano in quest’area strategica e che non necessariamente hanno a che vedere con la sessualità (ad es. sensazioni d’inferiorità, paura dell’altro sesso, timore della diversità…). In ogni caso è da osservare con molta attenzione l’obiettivo di queste tendenze: è di natura esplicitamente sessuale-genitale oppure la tendenza omosessuale cerca soprattutto relazione, comprensione, rassicurazione, vicinanza fisica e morale?

L’omosessualità strutturale, ancora una volta, sembra collegata prevalentemente con un corrispondente ed esplicito desiderio genitale-sessuale, a differenza dell’altro tipo di omosessualità che ha alla radice un altro genere di bisogni psichici, più legati a una carente identità o a un certo bisogno di rapporto. In ogni caso individuare l’impulso che è alla radice della tendenza è di straordinaria importanza per affrontare in modo intelligente il problema. In molti casi s’è rivelata strategia vincente per risolvere addirittura il caso e scoprire che la persona non era veramente omosessuale.

Grado di pervasività

Fa sempre parte dell’analisi della funzione psicodinamica osservare il grado di pervasività psichica della tendenza omosessuale, ovvero il suo influsso sulle diverse aree della personalità e, in definitiva, sulla libertà dell’individuo. Si tratta di chiedersi quanto la tendenza stessa sia presente e persistente, fino a che punto consenta alla persona di dedicarsi alle normali sue attività senza aver il pensiero costantemente dominato da una sorta di ossessione. Strettamente legato a questa variabile è il livello della forza di pressione della tendenza omosessuale, che comunque risulta dalla presenza di ulteriori elementi che vedremo. Inoltre, per quanto riguarda l’oggetto della tendenza, è necessario verificare se si tratti d’una preferenza esclusiva o solo prevalente per le persone dello stesso sesso. Nel caso dell’omosessualità strutturale la tendenza è costantemente presente, almeno come sottofondo, e con notevole forza di pressione (che s’impone di fatto), normalmente in senso esclusivo. È un’altra importante discriminante tra vera e non vera omosessualità.

Personalità intera

L’analisi della tendenza omosessuale va sempre fatta all’interno d’un esame più globale della personalità intera. È dunque necessario vedere il livello di maturità o immaturità complessiva (a prescindere dalla presenza di questa tendenza), specie a livello di maturità affettiva come è richiesta dalle esigenze della consacrazione verginale a Dio. In generale è importante verificare non solo come il soggetto riesca a controllare la tendenza stessa (ne parleremo per esteso più avanti), ma pure come quest’ultima di fatto s’inserisca nel quadro generale della personalità, condizionandola in modo più o meno marcato nel suo essere e agire, in quello che è e in quello che vuole realizzare, nel modo di definirsi e relazionarsi. Spesso abbiamo osservato che la coscienza soggettiva del proprio orientamento omosessuale determina una sensazione (inconscia) d’inferiorità che, in non pochi casi, provoca a sua volta una reazione esattamente contraria (“l’orgoglio omosessuale”), con inevitabili ripercussioni negative a carico del senso d’identità; oppure, al contrario, sensi di colpa e d’indegnità generale che deprimono la persona e danno un tono basso al suo apostolato.

Altra possibile conseguenza o componente della personalità omosessuale da verificare a livello generale è l’incapacità o la fatica d’assumere un ruolo paterno o di esprimere coerentemente la dimensione feconda del ministero presbiterale, con quanto è legato a questo ruolo e a tale dimensione. Ma onestamente non è semplice tale tipo di analisi nel momento della prima ammissione (né tale punto gode di grande assenso).

In rapporto con la scelta

Fa parte, ancora, di quest’analisi in un contesto più globale, considerare la relazione tra la pulsione omosessuale e l’opzione vocazionale: la chiamata al sacerdozio, e l’impegno che ne deriva, potrebbe costituire (o esser vista come) una sorta di difesa dall’omosessualità medesima, o un modo di sublimarla o nasconderla, magari trovando un compromesso o un punto d’incontro tra le pretese della tendenza e le possibilità offerte dal ministero presbiterale. Inoltre, è anche da vedere quanto l’attrazione per le persone dello stesso sesso possa determinare nel comportamento del futuro pastore, che deve essere aperto a tutti, una sorta di esclusione, in pratica, dell’altro sesso, o gl’impedisca di assumere in pieno quel ruolo di paternità spirituale che è tipico soprattutto del sacerdote.

Problema relazionale

Ma forse il vero problema nel caso dell’omosessualità è di tipo relazionale. L’attrazione per lo stesso sesso, infatti, potrebbe esser parte d’un problema più ampio d’insofferenza della diversità, fino alla sua conflittualizzazione, o d’una tendenza più generale a omologare la realtà, l’altro, soprattutto, o della pretesa d’accettare la relazione solo con il simile a sé o con chi accetta d’esser in qualche modo reso tale.

Né è da escludere che tale tendenza omologante condizioni, in forme varie e spesso sottili, anche il rapporto con Dio, il Totaliter Aliter; sarà significativo rilevarlo. C’è una carenza oggettiva nella vita relazionale dell’omosessuale, visto che la differenza sessuale è la cifra e il punto estremo della diversità. Così almeno nel caso dell’omosessualità strutturale. Mi domando, a volte, se l’omosessualità sia più problema sessuale-genitale o relazionale. Di fatto devo dire che più di qualche volta il lavoro terapeutico sulla relazione per favorire la crescita nella capacità di relazione con la diversità ha sorprendentemente risolto in buona sostanza il problema.

 

Rapporto del soggetto con la propria tendenza omosessuale

Non basta analizzare la tendenza in sé, occorre indagare sul tipo di relazione che la persona ha stabilito con la sua stessa tendenza. È un problema di conoscenza e poi d’integrazione.

Consapevolezza soggettiva

Il primo dato da verificare è il grado di consapevolezza soggettiva. Si potrebbero utilmente riprendere i punti analizzati nel paragrafo precedente e verificare la conoscenza che la persona ha non solo della propria tendenza, ma della sua origine, del suo significato psicodinamico, dell’influsso da essa esercitato nei riguardi della propria personalità, della relazione interpersonale, della libertà di accogliere incondizionatamente la diversità dell’altro-da-sé, del rapporto con Dio come il Radicaliter Aliter, della propria opzione vocazionale. Molte volte almeno alcuni di questi aspetti non sono subito visibili, né ogni cammino formativo sembra offrire concretamente la possibilità di decifrarli; dunque tale conoscenza non è da dare per scontata. Rendersi conto delle cause e sapere le conseguenze – per altro – non vuol dire certo aver risolto il problema, ma è la condizione, in ogni caso, per tentare di risolverlo; in tal senso l’autoconsapevolezza nei termini ora detti è buon segnale indicatore. Forse possiamo anche aggiungere che curiosamente l’autentico omosessuale (o omosessualità strutturale come la stiamo chiamando ora) nega d’aver quei problemi relazionali che abbiamo menzionato, nega d’aver la tendenza a omologare l’altro.

Ego-sintonia

Ciò che può risultare decisivo o, comunque, molto importante ai fini del discernimento vocazionale è il modo soggettivo con cui il soggetto vive la consapevolezza del dato oggettivo. A tal riguardo possiamo distinguere due modalità nettamente diverse di porsi di fronte alla propria tendenza omosessuale. La prima potremmo chiamarla egosintonica, ed è tipica di quei soggetti che sembrano assumere un atteggiamento più o meno possibilista dinanzi a tale tendenza, quasi di compromesso mentale (pur mantenendo un controllo circa il comportamento); in qualche modo la razionalizzano e in buona sostanza giustificano, certamente non la “soffrono”, dato che la considerano come qualcosa di semplicemente diverso da quel che provano i più, come una variante di genere, senza valenza etica e oggettiva; qualcosa che riguarda esclusivamente la sessualità; la sentono come parte di sé, qualcosa che non potrà mai cambiare e che loro stessi non vedono perché cambiare (è la tipica cultura gay)[28]. Apparentemente la loro è un’accettazione della loro situazione, in realtà la subiscono, in un atteggiamento un po’ passivo-fatalista, un po’ presuntuoso-semplicista. Ovvio che questo atteggiamento creerebbe una grave dissociazione tra le esigenze della vita religiosa o sacerdotale e la propria situazione esistenziale. E dunque costituirebbe una controindicazione per l’ammissione.

Ego-alienità

Diversa è la modalità egoaliena, propria di chi considera la sua tendenza omosessuale quasi come un corpo estraneo, qualcosa che soffre e non vorrebbe, e di cui riesce a vedere gli aspetti oggettivamente carenti e le implicanze negative, in sé e sul piano relazionale, e non esclusivamente a livello sessuale. Per questo cerca ogni giorno di contrastare, per quanto può, questa tendenza, non solo sul piano del comportamento, ma di tutta la personalità. In un cammino progressivo di conversione e di disponibilità al confronto formativo. La sua è un’accettazione intelligente e attiva, responsabile e illuminata dalla fede, ma che passa attraverso la lotta. E proprio questo atteggiamento intelligente e intraprendente tiene ancora aperta la possibilità d’un cammino evolutivo e la speranza di crescere nella libertà progressiva dal condizionamento interno. Ma pure nella libertà interiore – da un lato – da un senso inutile e ossessivo di colpevolizzazione o di oppressione psicologica, e – dall’altro – da quella banalità e leggerezza che impedisce di cogliere la serietà della cosa, del pericolo e dei rischi a essa connessi (in relazione non solo con la vocazione, ma anche con lo sviluppo psichico e la vita relazionale della persona). È questa libertà che ora lo rende non solo disponibile ma pure desideroso di ricorrere a tutti quei mezzi che possano in qualche modo esser d’aiuto, a cominciare dal confronto formativo.

Dinanzi a Dio

Ma c’è pure un versante tipicamente credente in questo cammino d’integrazione. La persona che vive la sua tendenza omosessuale secondo una logica di egoalienità riesce a vivere la coscienza della sua debolezza, in ultima analisi, dinanzi a Dio. Solo di fronte all’Eterno emerge il mistero dell’uomo fatto di carne: l’impotenza umana, allora, poco per volta diviene dimora della grazia divina (2 Cor 12,9), la consapevolezza del limite mantiene umile la persona e libera da ogni presunzione, mentre il bisogno di misericordia dall’Alto rende misericordioso il cuore verso gli altri, specie verso il fratello che sbaglia. Sarebbe il segno dell’integrazione della propria debolezza[29]. È un itinerario normalmente lungo, ma la disponibilità a percorrerlo è elemento decisivo nel discernimento vocazionale. Centrale, dunque, diventa la docibilitas del singolo, come disponibilità formativa saggia e operosa, umile e credente. Poiché la docibilitas è la condizione della crescita e fa davvero superare situazioni che sembrerebbero bloccate. Evidente, ai fini del discernimento, la diversa attitudine vocazionale nei due casi. Diventa dunque indispensabile procedere a questo chiarimento. 

 

Qualità del controllo comportamentale

Infine resta da vedere come il soggetto riesca o meno a tenere sotto controllo la tendenza omosessuale. Se forse un tempo e all’interno d’una certa ascetica poteva esser sufficiente il criterio comportamentale, oggi certo non è più così, particolarmente per questo tipo di analisi e di discernimento.

Incapacità di dominio dell’impulso

Il principio è di non poter ammettere coloro che dopo la adolescenza si sono dimostrati incapaci di dominare l’impulso sessuale cadendo in comportamenti omosessuali (o eterosessuali). Per questo è importante sapere non solo se vi siano state condotte di questo tipo, ma il contesto generale di queste condotte. Più precisamente se queste siano avvenute con minori (o prepuberi); se siano state ripetute o occasionali; quale ruolo vi abbia giocato la persona. Come ben si sa, infatti, oltre alla componente patologica, la pedofilia omosessuale è recidiva, così pure la efebofilia (anche se il rispettivo quadro diagnostico è diverso), e dunque, oltre a esser più gravi sul piano delle conseguenze psicologiche (a parte l’aspetto morale), sono anche inequivocabilmente negative sul piano della prognosi. Stesso discorso se le cadute sono state ripetute e se l’individuo vi ha giocato un ruolo particolarmente attivo e intraprendente, nel senso che s’è procurato le occasioni o s’è messo nelle circostanze a ciò favorevoli, o addirittura ha adescato qualcuno o, tanto peggio, ha avuto legami più o meno durevoli con persone dello stesso sesso o pratiche più o meno intense di tipo omosessuale, specie se con più persone. Nel caso di cadute occasionali o in cui il soggetto non ha giocato un certo ruolo attivo sarà necessario un cammino d’accompagnamento chiarificatore prima di una decisione. Forse su questo punto quanto dice il documento europeo vocazionale andrebbe precisato.

Tendenza pedofila ed efebofila

Particolare attenzione e rigore di discernimento si deve avere con coloro che provano in sé tendenze pedofile od efebofile, sia omosessuali che eterosessuali, indipendentemente dal fatto che abbiano determinato comportamenti conseguenti. Pur se omosessualità e pedofilia non sono realtà identiche, anche un dubbio consistente di una possibile evoluzione della personalità in tal senso è sufficiente per la non ammissione[30]. Alcuni segni che vanno in tale direzione potrebbero essere, ad esempio, fantasie ricorrenti su questo tema, tentativi sistematici di gratificazione indiretta e compensativa attraverso strumenti impersonali (pornografia o ricerca di particolari siti internet), coinvolgimenti possessivi anche se in apparenza sessualmente innocui verso bambini/e o adolescenti, curiosità morbose e insistenza immotivata a raccogliere le loro confidenze sessuali e affettive, abuso della spontanea identificazione dell’adolescente con figure più adulte… In tali casi anche la semplice tendenza diverrebbe segnale negativo.

Particolarmente delicata è la situazione di chi fosse stato, nella sua infanzia o poi, vittima di abusi sessuali. In tal caso i segnali ora menzionati risulterebbero ancor più eloquenti; sembra, infatti, che la vittima, specie se non aiutata a integrare il trauma subito, tenda a ripetere su altri quanto da essa subito, proiettandosi nell’aggressore. D’altro canto va evitato ogni fatalismo interpretativo di marca freudiana, per cui i traumi infantili debbano per forza determinare la vita adulta[31], e va piuttosto usata ogni attenzione per aiutare queste persone e non penalizzarle ulteriormente.

Tensione di frustrazione

Nel caso vi sia un’attrazione che non è mai giunta al coinvolgimento genitale-sessuale può esser utile il confronto tra due diversi atteggiamenti, esteriormente simili, ma profondamente differenti nelle motivazioni di fondo, o nella tensione interiore. La mancata gratificazione d’una tendenza, infatti, crea inevitabilmente tensione, ma tensione che può esser di due tipi. La tensione di frustrazione è la risultante della rinuncia a qualcosa che il soggetto avverte come importante per il suo equilibrio psicologico, di cui può sì fare a meno, ma solo a prezzo di un sacrificio rilevante, quasi una violenza che l’individuo fa a se stesso. Al punto di convincersi che …non ne può fare a meno. Questa tensione non fa crescere. Ed è anche molto debole, rendendo poco credibile e affidabile l’impegno della persona. Così, nel caso della tendenza omosessuale, vi sarebbe questo tipo di tensione qualora la persona sentisse in modo eccessivo il peso della rinuncia a essa, svelandone così la centralità nei suoi dinamismi interni. Spesso la frustrazione è legata all’ignoranza della vera radice o del reale obiettivo dell’orientamento sessuale, e dunque all’impossibilità d’intervenire su di essi e di poter far qualcosa per diminuire la pressione del bisogno. Da un lato, allora, sarebbe in tal caso una rinuncia gestita solo dalla volontà (non abbastanza coadiuvata dalle altre forze psichiche, cuore e sensibilità generale, ancora dipendenti da quella gratificazione); dall’altro sarebbe un sacrificio “inutile” e fine a se stesso, perché non affronterebbe il problema reale, e infatti lascia inalterata la pressione dell’impulso. È inevitabile, allora, la sensazione di frustrazione, che rende debole la volontà stessa di rinuncia e molto dubbia la sua capacità di tenuta per il futuro. L’energia volitiva, infatti, può esser forte e particolarmente motivata nel tempo iniziale della prima formazione, ma venir poi progressivamente meno. Con amare sorprese, come purtroppo molte storie di consacrati/e ci confermano. Potremmo dire che la tensione di frustrazione, essendo rinuncia a qualcosa che la persona sente come centrale per sé, è di per sé o più frequentemente legata all’omosessualità strutturale.

Tensione di rinuncia

La tensione di rinuncia rappresenta, invece, la normale fatica legata alla mancata gratificazione della pulsione omosessuale, per amore d’un valore che il cuore dell’individuo comincia a gustare e che la mente scopre sempre più come la verità della vita, della propria vita. Questa tensione è sana e fa crescere nella libertà. È, infatti, una rinuncia motivata dalla verità-bellezza-bontà del valore scelto, e dunque fatta, idealmente, con tutto il cuore, tutta la mente e tutte le forze. Proprio questo coinvolgimento totale intrapsichico rende possibile anche la rinuncia all’attività omosessuale senza che la personalità ne senta eccessivamente il carico mortificante. Al tempo stesso tale rinuncia è mirata, l’individuo conosce la causa della tendenza omosessuale o ciò di cui essa sarebbe una sorta di sfogo o cassa di risonanza, e interviene su questa radice (spesso non di natura sessuale), per eliminarne il più possibile i frutti. E con la solida speranza, a lungo andare, di avvertire sempre meno la tensione stessa della rinuncia. Anche questa distinzione tra i due tipi di controllo può divenire molto utile ai fini del discernimento per l’ammissione.

 

Valutazione e discernimento

Come si vede la valutazione è molto complessa, proprio perché oggi a livello scientifico una diagnosi di omosessualità è tale. Ma, al tempo stesso e proprio per questo, crediamo che valga la pena cercare di approfondire, nell’interesse di queste persone e nel rispetto della natura e delle esigenze della vocazione al ministero presbiterale come della consacrazione a Dio. Nessuna pretesa, dunque, da parte nostra di aver concluso un’analisi. Più in particolare, penso che sia decisivo imparare a distinguere tra le varie forme di omosessualità e non pensare più, banalmente, che un’esperienza o una fantasia o un desiderio in tal senso sia quanto basti per ritenersi omosessuali. Proprio per questo credo che i veri omosessuali siano molti meno di quanto si pensi o di quanti si ritengono tali (o vanno a dimostrare in piazza). E sempre per questo abbiamo cercato di dare qualche indicazione sulla differenza tra omosessualità strutturale e non strutturale. Ovvio che a creare problemi in sede di discernimento vocazionale sia la prima, soprattutto. È l’omosessualità strutturale, specie se non rilevata per tempo e dunque non adeguatamente trattata, che costituisce una controindicazione vocazionale.

Il giudizio di discernimento potrebbe esser favorevole solo qualora il soggetto mostrasse nei tre ambiti d’indagine ora proposti un atteggiamento generale, non solo comportamentale, di maturità affettivo-sessuale e libertà progressiva nei confronti della tendenza omosessuale. Più in concreto, e seguendo in sintesi lo stesso schema fin qui indicato, si dovrebbero poter constatare assieme le seguenti condizioni e qualità. Riprendiamo in sintesi i punti più salienti già visti.

 

Autenticità vocazionale

La prima condizione è che l’opzione vocazionale non sia più in qualche modo legata all’orientamento sessuale, quasi a difendersi da esso o – al contrario – nella prospettiva, magari inconscia, di ambigui compromessi, ma abbia una sua consistenza motivazionale, del tutto indipendente dalla tendenza sessuale del soggetto. Ciò è di fatto tanto più possibile quanto più l’attrazione omosessuale non s’impone con particolare forza. Ovvero, per quanto riguarda l’origine psicogenetica, la sua radice non è remota (nella prima infanzia), ma recente (nella preadolescenza o adolescenza). Inoltre, in riferimento al significato psicodinamico l’attrazione non esercita più o esercita sempre meno una pressione pervasiva e onninvadente, non s’impone in modo pesante, ma è limitata, controllabile e controllata nel suo influsso sulla personalità e tale da consentire al soggetto di dedicarsi col cuore e la mente, non solo con le mani e la volontà, ai suoi normali interessi e attività, apostolici e spirituali. La persona, insomma, è sempre più libera nei suoi confronti.

Infine la tendenza omosessuale non dovrebbe assolutamente portare il soggetto a escludere nella vita relazionale le persone dell’altro sesso né a preferire alcuno, così come non dovrebbe poter impedire al futuro presbitero di assumere in pieno quel ruolo di paternità che gli spetta nella comunità cristiana, e al consacrato in genere quella capacità di relazione con l’altro-da-sé, con l’alterità e la diversità che è condizione fondamentale per il dialogo e l’annuncio della buona novella.

 

Capacità d’integrazione

Anzitutto la persona deve avere una consapevolezza piena del suo orientamento sessuale, non superficiale; ne dovrebbe sapere origine e significato, funzione e obiettivo nella dinamica generale della sua personalità, per poter intervenire in modo mirato nel controllo d’esso. Soprattutto è decisivo che abbia una relazione non egosintonica, ma egoaliena con la sua tendenza omosessuale, e mantenga dunque una distanza critica nei suoi confronti, tale da percepirne lucidamente le carenze oggettive, specie in riferimento alla capacità di relazione e di relazione con l’alterità-diversità, ed esser sempre più motivato a dominare la tendenza stessa, facendone l’impegno d’una conversione e lotta continua. Al tempo stesso non può certo rivestire un ruolo di guida o di testimonianza ufficiale nella comunità cristiana colui che non accetta la dottrina morale della Chiesa sull’omosessualità come vincolante per sé nel presente o nel futuro, o dissente dalla visione antropologica e morale della sessualità proposta dal Magistero: sarebbe una contraddizione insostenibile.

È affidabile e credibile solo chi, libero da ogni presunzione (particolarmente rischiosa al riguardo), accetta e cerca l’aiuto d’una guida, è attento a evitare situazioni che potrebbero esser pericolose e fa uso d’una sapiente disciplina. Così pure è determinante che il soggetto abbia imparato a vivere dinanzi a Dio la sua povertà, in un’ottica di fede aperta alla speranza, che alimenta l’impegno fattivo e consente davvero al futuro ministro della misericordia di sperimentare la potenza della grazia nella sua debolezza, e magari di poter comprendere efficacemente e aiutare chi si trovi con lo stesso problema.

 

Libertà interiore

Nel caso di cadute con minori o anche di semplice attrazione pedofila o efebofila non si può pensare ad alcuna ammissione al cammino formativo. Così pure nel caso di cadute ripetute con una certa frequenza o di atteggiamento adescatore. Nell’eventualità di cadute occasionali e con ruolo subalterno è consigliabile un approfondimento della situazione attraverso mezzi appropriati, fino a giungere a un chiarimento soddisfacente. Una iniziale valutazione vocazionale positiva implica, in ogni caso, che il soggetto abbia dato prova per un tempo congruo di poter mantenere abbastanza agevolmente il controllo della sua tendenza omosessuale.

Questo controllo, però, va inteso in senso pieno, o nella linea della tensione di rinuncia e non di frustrazione: non solo nel comportamento, ma anche nella mente e nella fantasia, nel cuore e nei desideri. Al punto che la persona sia sempre più libera nei confronti della sua stessa tendenza omosessuale. E tale capacità di controllo non sia semplicemente conseguenza, più o meno inconscia, di pressioni esterne o paure interne, di violenze che l’individuo farebbe a se stesso, ma derivi sempre più dalla sua maturità umana e vocazionale.

Ribadiamo che queste condizioni devono essere tutte globalmente presenti perché la valutazione possa esser positiva. Vi possono essere casi, evidentemente, di valutazione dubbia. Qualora venisse a mancare qualcuno di questi criteri, mentre la situazione generale sembra di segno positivo, e vi sono fondate speranze d’una evoluzione positiva per quanto riguarda il criterio ancora mancante, oppure uno di questi elementi non risultasse chiaro e ben definito nel suo significato diagnostico, la cosa migliore è, come abbiamo qua e là accennato, offrire al soggetto la possibilità di fare un cammino d’accompagnamento, anche attraverso strumenti professionali, con professionisti che condividano l’antropologia di base credente o, meglio ancora, siano essi stessi sacerdoti o consacrati, per meglio considerare il problema da entrambi i punti di vista, non solo quello psicologico, ma anche quello più propriamente spirituale, e delle esigenze legate al ministero o alla consacrazione. Ma in ogni caso nessuno venga abbandonato a se stesso.

 

 

 

 

 

Note

[1] Anche un documento ecclesiale come Pastores dabo vobis lo ricorda: “La maturazione affettiva suppone la consapevolezza della centralità dell’amore nell’esistenza umana” (44).

[2] Particolarmente: CONGREGAZIONE PER GLI ISTITUTI DI VITA CONSACRATA E LE SOCIETÀ DI VITA APOSTOLICA, Potissimum institutioni, Direttive sulla formazione negli istituti religiosi, Roma 1990, 39-40; GIOVANNI PAOLO II, Pastores dabo vobis, Roma 1992, 44; CONGREGAZIONE PER L’EDUCAZIONE CATTOLICA, La preparazione degli educatori nei seminari. Direttive, Roma 1994, 33-35; GIOVANNI PAOLO II, Vita Consecrata, Roma 1996, 65-71; POVE, Nuove vocazioni per una nuova Europa, Roma 1997, 37b; CEI (COMMISSIONE EPISCOPALE PER IL CLERO), Linee comuni per la vita dei nostri seminari. Nota, Roma 1999, 9-22.

[3] Cfr. can. 1029 (Siano promossi agli Ordini soltanto quelli che per prudente giudizio del Vescovo o del Superiore maggiore competente, tenuto conto di tutte le circostanze, hanno fede integra, sono mossi da retta intenzione, posseggono la scienza debita, godono buona fama, sono di integri costumi e di provate virtù e sono dotati di tutte quelle altre qualità fisiche e psichiche congruenti con l’ordine che deve essere ricevuto).

[4] Cfr. Potissimum institutioni, 39; Nuove vocazioni per una nuova Europa, 37b.

[5] Pastores dabo vobis, 44; cfr., sull’argomento della sponsalità dell’essere umano, anche GIOVANNI PAOLO II, Verginità o celibato “per il regno dei cieli”, V ciclo di catechesi di Giovanni Paolo II alle udienze generali, Roma 1982.

[6] Cfr. Pastores dabo vobis, 44.

[7] Cfr. Vita Consecrata, 65-69.

[8] Can.1029.

[9] La preparazione degli educatori nei seminari, 35. 

[10] Cfr. Pastores dabo vobis, 44.

[11] Sullo stile relazionale del vergine cfr. A. CENCINI, I sentimenti del figlio. Il cammino formativo nella vita consacrata, Bologna 2001, pp. 207-211.

[12] Seguo in questo paragrafo le indicazioni offerte dalla Nota della CEI, Linee comuni per la vita dei nostri seminari, 15.

[13] Va ricordato, però, che la valutazione complessiva in questi casi non è mai automatica; deve tener conto dei molti elementi che entrano in gioco, secondo un certo ordine d’attenzione. Non si potrà certo ignorare, vogliamo dire, che siamo di fronte a un problema anzitutto psichico (a volte addirittura psichiatrico), e solo successivamente con un problema d’identità e vocazione, con riflessi poi inevitabilmente anche morali, resi ancor più gravi dal coinvolgimento d’altri (specie minori e adolescenti). L’attenzione globale alla complessità della situazione, in questi casi, è rispetto del mistero dell’essere umano; anche se ferito, o forse soprattutto quand’è ferito, l’essere umano rimanda a un mistero, o a una dimensione misteriosa che non può esser ridotta semplicemente ai suoi comportamenti, né è da questi smentita.

[14] Altra distinzione possibile nel campo dei disordini psichici sarebbe questa: psicosi (=perdita del contatto con la realtà e rifugio in un mondo soggettivo, la psicosi s’impone senza che il soggetto possa far nulla per contrastarla), nevrosi (=disturbo nel contatto con la realtà, ma senza il ripiegamento assoluto nel soggettivo o con ripiegamento relativo, per cui il nevrotico può combattere fino a un certo punto la sua nevrosi e comunque ne è consapevole e la soffre). Dice qualcosa di vero la battuta secondo la quale il nevrotico si costruisce i castelli in aria, mentre lo psicotico ci vive addirittura dentro (e lo psichiatra prende l’affitto…).

[15] Come il caso di quel religioso, già d’una certa età, con tendenze pedofile attive, da lui giustificate in forza d’una “Energia unificante”, che dovrebbe portare a “una nuova coscienza e a una nuova comunione”.

[16] Ho analizzato questo tipo carente di relazione in rapporto con la via del celibe nella trilogia Per amore, Con amore, Nell’amore. Libertà e maturità affettiva nel celibato consacrato, Bologna 1994-’95.

[17] CEI, Linee educative per la vita dei nostri seminari, Roma 1999, 13.

[18] Cfr. ibidem, 16.

[19] Come quei due religiosi che vivevano da tempo una relazione che piano piano era divenuta sempre più coniugale, e la giustificavano dicendo che li aiutava a viver meglio la loro consacrazione.

[20] Cfr. ibidem, 17.

[21] Come gli scribi e farisei che conducono a Gesù la donna “sorpresa in flagrante adulterio” (cioè, da tutti “vista” e trattata come adultera, unicamente come oggetto appetibile, e giudicata e condannata poi per il suo comportamento), mentre, al contrario, Gesù “vede” con sguardo globale, si rifiuta di condannare, provoca tutti a guardarsi dentro, e coglie e fa cogliere a questa donna la sua positività (“Neanch’io ti condanno; va’ e d’ora in poi non peccare più”).

[22] Cfr. A. CENCINI, Con amore. Libertà e maturità affettiva nel celibato consacrato, Bologna 1994, pp. 55-58.

[23] Cfr. Catechismo della Chiesa Cattolica, Roma 1992, 2358. 

[24] Nuove vocazioni per una nuova Europa, 37b. 

[25] Potissimum Institutioni, 39.

[26] Nuove vocazioni, 37b, nota 112.

[27] L’aiuto più importante e immediato che si può dare al giovane, in questi casi, è quello educativo-veritativo, quello cioè di consentire allo stesso di fare la verità o di scoprire e tirar fuori la verità (=educere) circa la sua tendenza omosessuale. L’esperienza insegna che a volte è stato sufficiente questo chiarimento per modificare o iniziare a modificare in profondità l’atteggiamento del soggetto nei confronti della sua tendenza omosessuale.

[28] È chiaro che se non c’è una motivazione interna a cambiare, nessuna terapia potrà esser efficace. Forse anche per questo molto spesso si dice o si ritiene che l’omosessualità non sia per nulla curabile. L’esperienza nostra e di altri ci dice che le cose non stanno esattamente così; è vero che nel caso dell’omosessualità strutturale la tendenza può anche permanere, ma anche in questo caso si può sempre aiutare la persona a tener meglio sotto controllo la tendenza, cioè a recuperare la sua libertà.

[29] Molto bella e profonda l’affermazione del documento sulla formazione nei nostri seminari: “…nell’incontro con l’Amore di Dio rivelato in Cristo e nell’esperienza di esso, il limite può diventare il veicolo: ossia, anche una sofferenza psichica, un disturbo della struttura personale, un fallimento può diventare ricordo di Dio, comunicazione di Dio, partecipazione alla sua Pasqua” (Linee comuni, 22). Naturalmente qui non si parla di patologia (pur “misteriosamente visitata dal mistero pasquale di Cristo”), ma di “ciò che, per quanto problematico, si rende disponibile al cambiamento e alla trasformazione in vista del ministero presbiterale” (cfr. 2 Cor 12,9-10) (ibidem, nota 26).

[30] Vedi in tal senso il fermo richiamo del Santo Padre in occasione dell’incontro coi vescovi nordamericani in seguito ai noti fatti: “La gente deve sapere che nel sacerdozio e nella vita religiosa non c’è posto per chi potrebbe far del male ai giovani”; la pedofilia in quella circostanza fu da lui definita “crimine per la società…, peccato orrendo agli occhi di Dio” (cfr. M. MUOLO, “Abusi, un peccato orrendo”, in “Avvenire” 24/IV/2002).

[31] Secondo Groth, che ha studiato a fondo il problema, il 30% dei bambini abusati diverrà pedofilo. Comunque è da pensare che il restante 70% porterà in qualche modo lungo il resto della vita il peso dell’abuso, sempre se non viene aiutato (cfr. F. DI NOTO, La pedofilia, Cinisello B. 2002).