N.05
Settembre/Ottobre 2015

Il miracolo della vita che cresce

Ascoltare canzoni e sentire che ci può essere  proprio lì chi ti prende per mano e con te  ricerca la parola, la strada, la scelta che possono indicare, insegnare, sostenere la vita dell’altro, del figlio che ti è dato e affidato dalla vita.
Nelle parole e nella melodia, poter trovare lo slancio che è dell’educatore-genitore-amico, di chi è invitato a partecipare alla festa della vita che cresce.

Elisa
Elisa Toffoli, nome d’arte Elisa, nasce il 19 dicembre 1977 a Trieste e cresce a Monfalcone (GO). Già durante l’infanzia Elisa manifesta il proprio interesse nei confronti di diverse forme d’arte che spaziano dalla danza, alla pittura, alla scrittura di brevi racconti.
Ma il suo talento trova la massima espressione nella musica e così, all’età di undici anni, inizia a scrivere da sola i primi testi e le prime melodie. Seguiranno le esibizioni con alcune band locali il cui repertorio era soprattutto di musica Blues e Rock anni ‘70.
All’età di sedici anni un suo demo viene consegnato a Caterina Caselli che, colpita e affascinata dalla voce e dall’universo emotivo che questa ragazzina riusciva ad evocare e trasferire a chi l’ascoltava, decide di investire su di lei; ad Elisa viene così offerta la possibilità di volare verso gli Stati Uniti per perfezionare l’inglese, lingua scelta ed utilizzata per il suo esordio musicale e per tutti i suoi album successivi fino ad oggi.
È nel 1995, all’età di soli 18 anni, che ottiene il primo contratto discografico importante. L’album di esordio Pipes and Flowers viene registrato e in parte scritto negli Stati Uniti, la cosa è resa possibile da Corrado Rustici, produttore di grandi artisti internazionali e promoter di Zucchero. La vendita supera le 280.000 copie e segue il doppio disco di platino. Il 1998 è un anno in cui il successo riscosso dal precedente album ha riscontri concreti, infatti Elisa vince il premio Tenco e il PIM (Premio italiano per la musica) come miglior opera prima, si esibisce all’Heineken Jammin Festival di Imola e come special guest nel tour di Eros Ramazzotti. Non è da attribuire meno successo al secondo album Asile’s world (Asile sta per Elisa scritto al contrario), preceduto dal singolo The Gift, al quale dà un contributo anche un grande musicista come Darren Allison, e che consacra definitivamente l’ingresso di Elisa nel mondo della canzone.
Nel 2001 si ha una novità rispetto al passato nella produzione discografica della cantante, infatti arriva al primo posto al Festival di Sanremo con la canzone Luce (Tramonti a nord est), scritta in italiano con la partecipazione di Zucchero. In quell’anno esce il terzo album Then comes the sun con il quale vince il Premio Italiano come miglior artista femminile e miglior canzone dell’anno.
Continuano i lavori musicali di Elisa: nuovi album, remake di grandi successi, collaborazioni nelle colonne sonore cinematografiche.
Si afferma una voce che dice di un’anima attenta al vivere e intenta a dirne il senso profondo.

«Questa canzone parla di un tema universale come quello del rapporto tra figli e genitori e si basa su emozioni, gioie, paure», queste le parole di Elisa a proposito del terzo singolo estratto da L’anima vola, scritto da Ligabue per la figlia Linda.
«Questo brano è stato scritto interamente Luciano, dedicato a sua figlia Linda, e lui ha voluto sentirlo cantare da una mamma. Luciano è un artista a 360 gradi, è anche uno scrittore, per questo credo gli venga spontaneo mettersi così tanto nei panni degli altri, scrive per altre anime e altre voci come se fossero la sua, e racconta storie e sentimenti come pochi altri sanno fare, non solo in Italia.
Si racconta il rapporto profondo tra madre e figlia. Io ritengo che questo sia uno di quei brani “incantabili” perché ti commuovi dopo le prime righe e non riesci ad andare avanti… Descrive il difficile ruolo del genitore che cresce i propri figli: vorrebbe proteggerli tutta la vita e tenerli lontani dal dolore e dai problemi, ma in fondo sa bene che dovrà lasciarli andare per la loro strada un giorno».
«Per il ruolo della bambina si era pensato in un primo momento ad una piccola attrice, ma poi mi sono detta “perché non chiederlo a mia figlia Emma Cecile!”». E così, le protagoniste del videoclip di A modo tuo sono proprio Elisa e la figlia Emma. La regia è stata curata da Sara Tirelli e le riprese sono state fatte nella riserva naturale del Lago di Cornino (Udine) e nella Cava Romana di Aurisina (Trieste). Alla clip ha partecipato anche Andrea Rigonat, chitarrista e compagno dell’artista.

Crescere nella domanda e nel desiderio
Sarà difficile diventar grande prima che lo diventi anche tu; tu che farai tutte quelle domande…
Generare l’altro, metterlo al mondo è quanto di più luminoso si possa sperimentare. È un dono che l’educatore accoglie e che porta frutto se egli è fedele a una decisione: rimanere nella domanda e nella ricerca; queste lo mantengono vivo, sostengono i passi che tessono l’incontro e lo rendono costruttivo e fecondo.
La condizione necessaria per ascoltare la domanda dell’altro è rimanere attenti alla propria domanda, al proprio desiderio. Conoscere il desiderio non è sempre facile, perché raramente nella nostra infanzia siamo stati educati ad ascoltarlo. Certamente ciascuno, a riguardo, ha vissuto esperienze diverse e uniche. Tutti, comunque, di sicuro, siamo stati educati ad essere attenti al bisogno; infatti è sul bisogno che inizia la relazione con l’altro durante la primissima infanzia. Il rischio è di rimanere bloccati a quella situazione. Trasformare il bisogno in un imperativo che determina e condiziona ogni scelta. La vita, le relazioni che fanno la vita, si riducono, allora, alla soddisfazione di bisogni legati all’accudimento o alle aspettative dell’altro che ci ha accudito e che perciò riteniamo importante. Il triste presagio è di esistere nella prospettiva di essere graditi all’altro, di muoverci sempre alla ricerca del consenso dell’altro, insicuri, dipendenti e inappagati rispetto alla domanda che da dentro urge, chiama e chiede considerazione.
Essere educatore significa essere consapevoli di quel che potrebbe accadere se rendiamo l’altro dipendente da noi. Si è educatori, si genera alla vita quando si fa fare all’altro quell’esperienza vitalizzante che è l’incontro autentico, l’incontro con qualcuno che ha lo sguardo oltre sé, nell’orizzonte che sta dentro l’altro, là dove abita quel che l’altro è chiamato a diventare.
Il rischio è di incontrare persone che propongono (o, con poca avvertenza, impongono) un modello ben preciso da ricalcare e realizzare.
Può capitare che fare qualche cosa che fa piacere all’altro ci possa far sentire momentaneamente soddisfatti, perché fin quando rispondiamo a quello che ci si aspetta da noi, siamo sicuri.
Il giorno in cui possiamo prescindere dall’approvazione dell’altro vuol dire che siamo pronti a correre il rischio dell’inconosciuto, dell’imprevisto, della solitudine, dell’abbandono, dell’incomprensione, siamo pronti ad andare incontro a quello che succederà, alla vita che non si ripete mai. Allora potremo sentirci dentro un processo più grande che ci porta sempre al di là di e che ci affranca dal rotolare quotidiano.

La responsabilità di una consegna
Sarà difficile chiederti scusa per un mondo che è quel che è…
Il contesto sociale in cui viviamo non ci aiuta ad ascoltare e a conoscere il desiderio, anzi, rischia di soffocarlo, perché ci sommerge di bisogni indotti dalla legge del consumo e del profitto. A queste condizioni diventa spesso molto difficile incontrare il desiderio, sostenerlo e indirizzare le energie e gli sforzi per realizzarlo. Veniamo rapiti dalla legge del bisogno che assoggetta e svilisce il meglio che siamo. Quando nell’esperienza di ciascuno ci si ferma prevalentemente alla sola risposta ai bisogni, il desiderio si sbriciola in mille rivoli e si consuma in questo modo la tensione verso l’inedito che esso porta con sé. Le nostre energie si orientano in una realizzazione di noi che rimane molto superficiale, apparente, svuotata dallo spessore che proviene dalle domande sul senso che ha la vita e che vogliamo dare alla vita perché sia solida, piena e felice. La superficie e il suo fascino roboante assopiscono lo scavo che fa inoltrare le radici fin dove la linfa diviene nutrimento che lancia le fronde ad altezze di grande respiro.
Si può vincere il richiamo di un mondo che ci fa ingordi, insaziabili e mai contenti?
Una strada è la custodia del desiderio. E a questo deve richiamarsi l’azione educativa. Scriveva Etty Hillesum nel suo Diario: «Dentro di me c’è una melodia che a volte vorrebbe essere tradotta in parole sue. Ma per la mia repressione, mancanza di fiducia, pigrizia e non so che altro, rimane soffocata e nascosta».
Accompagnare il cammino di chi cresce significa insegnare ad ascoltare quella melodia segreta che è il sigillo che ci fa persone, immagine stupenda del Creatore. Significa insegnare a scoprire il modo unico e originale di tradurre quelle note, vincendo repressioni, sfiducia, pigrizia, distrazioni, così che la propria storia diventi cammino vocazionale: risposta al Signore della vita in un dialogo esistenziale che colma di significato l’istante.
Una vita-vocazione intesa come attenzione continua al divenire del nostro essere che ci riconduce all’Autore dell’esistenza. Ecco la musica di ognuno che, unita a quella degli altri, forma la bellezza del vivere! Scoprire il senso che Dio ha messo nell’esistenza di ogni persona diventa il compito di ognuno e di ciascun educatore. 

L’energia nella scelta
A modo tuo andrai; a modo tuo camminerai e cadrai; ti alzerai sempre a modo tuo.
La vita che ci è data in dono è sempre una realtà fragile e spesso ferita. L’amore che riceviamo da chi ci genera e educa, dall’altro compagno dei nostri passi, non è sempre puro, esente dall’egoismo, integro e libero dalla tentazione di barattare-usare la bellezza della relazione con la soddisfazione dei propri bisogni. Non è sempre un amore oblativo e pieno, attento al desiderio. Perciò il cammino verso la realizzazione del proprio desiderio, che è la nostra verità, attraversa sempre la tappa della riconciliazione con la propria storia. Si tratta di intessere con il filo del perdono le relazioni, di restituire a ritroso un dono a chi ci ha aperto la via della Vita!
È un passo, quello del perdono, che ci fa passare dall’io al noi, dal mio al nostro, dal garantirci una personale salvezza, al volere che il Bene abbia l’ultima parola sul male e sulla negatività. Questo fa la densità del desiderio perché lo fa tendere verso l’Oltre. Lo apre alla dimensione spirituale! Nella misura in cui impariamo ad ascoltare il dentro di noi, ci offriamo una direzione di senso, un filo rosso di convergenza della nostra identità in divenire, verso la maturità e il compimento di noi stessi. Diveniamo più consapevoli e disponibili, più responsabili verso la vita che ci è gratuitamente donata.
I frutti dell’attenzione al desiderio sono appunto questi: la capacità di amare tutte le manifestazioni della vita; la libertà dalla preoccupazione di controllare la vita; lo slancio dell’abbandono alla vita, lasciandosi avvolgere dal suo vento impetuoso senza la paura di essere destabilizzati.
Chi ama veramente guarda l’altro, interpella il desiderio, se ne prende cura e lo sostiene nel suo dispiegarsi. «Cosa desideri? – Che io veda, Signore» (Mc 10,51). Questo è l’amore di cui parla Gesù. Educare così cambia le categorie dell’essere accanto all’altro: riconfigura la quotidianità, sbilancia la familiarità, infrange le abitudini, rende insolito e nuovo il tempo che ci è dato!

In questa notte d’autunno
sono pieno delle tue parole
parole eterne come il tempo
come la materia
parole pesanti come la mano
scintillanti come le stelle.
Dalla tua testa dalla tua carne
dal tuo cuore
mi sono giunte le tue parole
le tue parole cariche di te
le tue parole, madre
le tue parole, amore
le tue parole, amica.
Erano tristi, amare
erano allegre, piene di speranza
erano coraggiose, eroiche
le tue parole
erano uomini.

Nazim Hikmet