La vocazione è oggi, la missione cristiana è per il presente
Le conclusioni sono la parte più effimera della ricerca (M. Sclavi) e se ad un primo sguardo questa espressione può lasciarci qualche dubbio, pensandoci bene mi sembra invece vera anche per quanto riguarda la vocazione. Anche il pane di Dio è effimero – dura un giorno – è quotidiano perché serve per l’oggi, come l’efemeride, la mappa che descrive le stelle utile per la navigazione di un giorno. È vero, «la vocazione è oggi, la missione cristiana è per il presente!» (Francesco, Messaggio per la 55a Giornata Mondiale di Preghiera per le Vocazioni) perché è oggi che si costruisce il mondo di domani.
A tutti sarà capitato di giocare insieme ai piccoli con i mattoncini Lego e di seguire passo dopo passo le istruzioni per la realizzazione di un camioncino o di un’astronave. Ma questo non è il più bello del gioco, il suo fascino viene dal fatto che i componenti si possano rimontare, rimaneggiare, comporre in mille altri modi perché l’opera diventi più nostra. Così è della vocazione, si realizza in ascolto della voce dello Spirito, secondo la propria creatività buona, che ci fa immagine del Creatore. Tutta la storia della Salvezza si è compiuta nella sinergia tra Dio e gli uomini, è così per l’ispirazione dei Vangeli, l’incarnazione del Verbo e la redenzione: «Dio che ti ha creato senza di te, non ti salverà – non costruirà la tua vita piena – senza di te» (Agostino).
Le resistenze che abbiamo vissuto nel Convegno e che rispecchiano la fatica di ogni discernimento della vocazione, non soltanto nel suo sorgere ma anche nel suo compiersi, viene dalla nostra disposizione a voler capire e dal disagio di rimanere come sospesi di fronte alla vita quando non sappiamo disporre nel giusto ordine tutti i suoi elementi. Ma capire viene da ‘capere’ che significa prendere, contenere, accogliere ma anche afferrare, ingoiare avidamente, trattenere. Una polarizzazione interessante, c’è capire e capire anche nella vita laddove non serve afferrare tutto ma contenere qualcosa, una parola feconda, un seme che porta vita, un’intuizione che consente un passo in avanti (F. Michieli) nella giusta direzione.
Camminare così non è sempre facile perché in ogni discernimento vocazionale si vorrebbe possedere la tecnica, l’algoritmo, la ricetta, le istruzioni di una vita realizzata, compiuta, gioiosa. Occorre invece camminare sotto le stelle riscoprendo quell’ orizzonte con il quale il discernimento ha sempre a che fare perché porta in sé il duplice movimento di considerare (Hernandez) gli avvenimenti, gli incontri, le grida della propria storia e del proprio cuore e riconoscere il desiderio più vero, la nostra vera volontà, quella che ha la sua radice nella volontà di Dio sulla nostra vita, la sua chiamata.
Dammi un cuore che ascolta (1Re 3,9). Come discepolo amato del terzo millennio altro non c’è da fare per riconoscere la propria vocazione: appoggiare l’orecchio sul cuore di Cristo per udire dal profondo il battito dell’amore eterno della Trinità misericordiosa e sentire così il grido che vi è contenuto, quello della vita di ogni uomo e riconoscere per quali volti, per quali persone hai da spendere la vita e rispondere alla domanda più importante della vita, quella della tua vocazione: «Per chi sono io?».