Paola Turci. Tu fatti bella per te
Scritta dalla stessa Turci con Giulia Anania, Luca Chiaravalli e Davide Simonetta, Fatti bella per te è la canzone che la cantante, lo scorso anno, ha portato in concorso al 67° Festival di Sanremo; era alla sua nona partecipazione. Il suo dodicesimo album di inediti si intitola Il secondo cuore ed ha segnato gli ascolto del 2017.
Il Festival di Sanremo ci ha restituito un’artista di cui avevamo sentito la mancanza. Il successo di Paola Turci è arrivato negli anni ’90, quando si è fatta apprezzare per brani come Questione di sguardi, Stato di calma apparente, Volo così, Mani giunte, Sai che è un attimo e molti altri ancora. E’ tornata dopo 16 anni, con una luce nuova che colpisce fin dalla prima esibizione. Incanta il pubblico prima con un’eleganza magnetica e poi con la sua voce e la sua grinta.
La sua rinascita giunge chiara a chi ascolta, la sua voglia di tornare a sentirsi bella e ad amarsi nonostante tutto, contagia e fa riflettere.
Partendo dai temi del libro della Turci Mi amerò lo stesso, il testo è un invito ad ogni persona a ritrovare il gusto di farsi del bene, riscoprendo la propria bellezza, nel dialogo con se stessi, in un bilancio sincero, nudo e crudo. Il ritmo è veloce, le sonorità pop rock sono ariose e hanno un gusto britannico.
Non ti trucchi
E sei più bella
Le mani stanche
E sei più bella
Con le ginocchia sotto il mento
Fuori piove a dirotto
Qualcosa dentro ti si è rotto
E sei più bella
Sovrappensiero
Tutto si ferma
Ti vesti in fretta
E sei più bella
E dentro hai una confusione
Hai messo tutto in discussione
Sorridi e non ti importa niente, niente!
Se un’emozione ti cambia anche il nome
Tu dalle ragione, tu dalle ragione
Se anche il cuore richiede attenzione
Tu fatti del bene
Tu fatti bella per te!
Per te, per te
Tu fatti bella per te!
Per te, per te
Passano inverni
E sei più bella
E finalmente
Ti lasci andare
Apri le braccia
Ti rivedrai dentro una foto
Perdonerai il tempo passato
E finalmente ammetterai
Che sei più bella
Se un’emozione ti cambia anche il nome
Tu dalle ragione, tu dalle ragione
Se anche il cuore richiede attenzione
Tu fatti del bene
Tu fatti bella per te!
Per te, per te
Tu fatti bella per te!
Per te, per te
E sei più bella quando sei davvero tu
E sei più bella quando non ci pensi più
Se un’emozione ti cambia anche il nome
Tu dalle ragione, tu dalle ragione
Se anche il cuore richiede attenzione
Tu fatti del bene
Tu fatti bella per te
Per te
Per te, per te
Tu fatti bella per te!
“Ho confessato le mie debolezze, guardato in faccia le mie cicatrici e alla fine mi sono detta Mi amerò lo stesso”.
Paola Turci, la grintosa e popolare cantante romana, si guarda allo specchio e si racconta: in musica e in teatro con il monologo diretto da Emilio Russo.
In scena e in musica, fragilità, gioie, sogni, paure, pensieri intimi detti a bassa voce, nel silenzio, pagine tratte dalla sua autobiografia che raccontano la storia di una popstar, ma soprattutto di una donna che non ha mai perso la sua determinazione, nonostante il destino l’abbia messa a dura prova.
“Il grave incidente stradale, del 1993, è stato lo spartiacque della mia vita; mi ha costretto a fare i conti con la realtà”. Un bruttissimo incidente stradale che le ferisce il viso, lasciando segni impossibili da cancellare. Paola Turci riesce nell’impresa di cristallizzare l’attimo in cui l’anima è lì, nuda, sotto gli occhi di tutti. A partire dai suoi, di occhi.
Sul palco, tra gli specchi che la svelano in ogni suo aspetto, si snodano i ricordi dell’artista: un flusso inarrestabile di pensieri e riflessioni, di esperienze vissute sulla propria pelle: “Avevo un gran bisogno di normalità, continuavo a cercare e nello stesso tempo a fuggire dalla bellezza”, un dialogo profondo con se stessa che in scena e nella vita diventa il percorso di crescita di una donna.
“Grazie a quel tragico evento, ho capito cosa sia la bellezza, cosa voglia dire stare davvero male o bene. Ho ritrovato l’amore per la musica, l’ironia, la gioia e la forza per volermi bene ancora più di prima”.
Il monologo termina con una riflessione sulla bellezza, “quella che va oltre lo specchio, quella che ti permette di attraversarlo”.
“Ho vissuto tra chirurghi estetici e i ridicoli ricatti del mio io, alla fine ho capito che il viso non si può nascondere, è la nostra vita che dobbiamo cercare, la nostra fierezza è ciò che bisogna ritrovare. Vorrei dirlo ai tanti giovani che subiscono un concetto di estetica estremo e si aggrappano a pericolosi standard di bellezza”.
“Fatti bella per te” è, infatti, un inno alla bellezza e uno schiaffo morale a ciò che può deturparla, al passare del tempo che minaccia di offuscarla. Ma non esiste ruga che non possa essere lo spazio di un sorriso, della serenità di accettarsi e vedersi affascinanti nonostante le imperfezioni, i mutamenti, le nuove consapevolezze che fanno della bellezza un concetto meno distorto, maturo, scevro da condizionamenti emotivi.
Spiega la cantante: “E’ un tema che mi è caro, quello dell’accettazione di sé. Ho cominciato ad affrontarlo seriamente quando sono venuta allo scoperto con me stessa, ammettendo di avere paura invece di avere coraggio.
Allora ho confessato i miei limiti, gli sbagli, la mia vulnerabilità. Le canzoni contengono sempre un messaggio per chi lo vuole ricevere. Questa canzone è un inno alla donna che si libera dai condizionamenti e dalle paure di essere giudicata dagli altri.
Si guarda allo specchio e decide di giudicare se stessa, facendolo però con benevolenza, con affetto.
Quando ti fai bella per te stessa, hai vinto! Quando ti vuoi bene, ti liberi dalle cicatrici”.
Siamo il nostro volto
Il nostro volto, il nostro corpo al centro della nostra attenzione. Non per osservarlo scrupolosamente, non per sottoporlo ad una ossessiva valutazione estetica, non per trasformarlo con interventi invasivi e soggetti a tempi determinati, ma per contemplarlo come tavola pittorica in cui sono segnati i tratti della nostra storia, i momenti che abbiamo attraversato e che ci hanno costruito. In ogni segno, i passi compiuti ed evitati, le novità realizzate e le paure affrontate, i disagi e i dolori, le chiusure e le incomprensioni.
Ci siamo noi nel nostro volto, noi protagonisti responsabili, maestri e guaritori di noi stessi, apprendisti umili e intelligenti, ricercatori liberi e autodeterminati. Nel volto, il deposito di cui siamo custodi, ma anche tutta la forza del futuro di cui siamo creatori.
Bisogna guardarsi allo specchio e conoscersi e riconoscerci, risvegliando, o forse ripristinando, la cura a quel che siamo realmente, in tutta la nostra verità oltre quel che altri vedono o vogliono vedere. E’ bene guardarsi per domandarsi: Dove sei? A chi appartieni? Dove stai andando? Per non essere distanti da sé e, poi, necessariamente, dagli altri e da Dio. Per non essere orfani, volutamente orfani.
La risposta alla nostra ricerca sta nell’intensità della domanda: quanta nostalgia abbiamo, guardandoci, della verità, dell’assoluto. E’ questa la nostalgia che schioda da un presente superficiale e frivolo, premuroso nel garantire un’apparenza impeccabile; un’atrofia che ferma la vita nella sua forma e che uccide la vitalità feconda e costruttiva.
Farsi del bene
Papa Francesco, nell’udienza del 14 giugno scorso, diceva: “Nessuno di noi può vivere senza amore. E una brutta schiavitù in cui possiamo cadere è quella di ritenere che l’amore vada meritato. Forse buona parte dell’angoscia dell’uomo contemporaneo deriva da questo: credere che se non siamo forti, attraenti e belli, allora nessuno si occuperà di noi. Tante persone oggi cercano una visibilità solo per colmare un vuoto interiore: come se fossimo persone eternamente bisognose di conferme (…). Tanti narcisismi dell’uomo nascono da un sentimento di solitudine e di orfanezza. Dietro tanti comportamenti apparentemente inspiegabili si cela una domanda: possibile che io non meriti di essere chiamato per nome, cioè di essere amato? Perché l’amore sempre chiama per nome”.
Farsi del bene è mettersi allo specchio e rivolgersi uno sguardo d’amore gratuito, che non cerca il motivo per amare, ama e basta. Uno sguardo che strappa un sorriso, che costringe a non arrendersi, che trova una via di uscita, che apre le porte del cuore. E’ così che ci guarda Dio: con amore anticipante e incondizionato. Imparare da Lui, significa diventare padri e madri di noi stessi: “Quando era ancora lontano, suo padre lo vide, ebbe compassione…” (Lc 15,20). Si è fatto vicino, l’ha riconosciuto e l’ha abbracciato.
Bisogna abbracciarci così come siamo e, nell’abbraccio, farci sentire che ci desideriamo, che siamo importanti, che amiamo proprio quello che siamo… e che possiamo diventare.
E’ un amore che coinvolge e fa star bene, che avvolge e cura, che rende vigorosi e mette in cammino.
Una fede che abbraccia
Paola Turci ha raccontato come ha ritrovato il valore e il dono della fede: “Ero a Lourdes, da atea, profondamente atea. Quando mi hanno detto di andare a Messa ho detto ‘lasciate perdere, non fa per me’. E invece lì è cominciato qualcosa di inspiegabile. Ho pensato che Dio mi vuole felice. L’unico riferimento è l’amore e la gioia. Oggi sono tranquilla. Se non avessi la fede, mi sarei persa nella confusione”.
Dio ci abbraccia e, in un contatto immediato e profondo, ci ama e ci chiama a camminare e a ricominciare l’avventura della rinascita. Rinascere alla vita è rispondere a una speciale vocazione, quello allo spostamento.
Chiamati a spostarci: a cambiare posizione, ad adattarci, a scoprire, a confrontarci, a sbilanciarci, a dialogare.
E’ un’esperienza di metamorfosi, di trasformazione quella del divenire cristiani. Non un dato di fatto, dunque, ma un “work in progress”, un lavoro in corso, sempre. E’ osare vivere una vita nuova, in Cristo; è osare sperimentarsi, mettendo i passi dell’esistenza sulle sue orme.
A volte, le incognite e le preoccupazioni per il futuro e l’incertezza che intacca la quotidianità rischiano di paralizzare questi slanci, di frenare i sogni, fino al punto di pensare che non valga la pena impegnarsi in questo spostamento. E’ questione di disponibilità, di generosità, di decisione: di coraggio, di pazienza, di coerenza.
Lo dice con un verso bellissimo padre Turoldo: “Cristo, mia dolce rovina, gioia e tormento insieme tu sei. Impossibile amarti impunemente”. Impossibile amarti e poi accontentarsi; impossibile amarti e poi vivere di cose, di potere, di maschere e di paure. Impossibile amarti e non amare noi stessi nella verità.
Signore, donami di amare le porte aperte
che fanno entrare notti e tempeste,
polline e spighe. Volti e desideri.
Libere porte
che rischiano l’errore e l’amore.
Signore, io amo le porte aperte:
Buchi nella rete, brecce nei muri,
presagio e profezia di una umanità
in rivolta per diritto di libertà.
Amo le porte aperte
dei pericolosi visionari,
dei testardi amanti,
di chi ha fatto voto di tenerezza.
Saranno le mie strade.
Amo Gesù quando dice:
io sono la porta, e non il recinto:
per me entreranno ed usciranno, liberamente,
e troveranno pascolo.
Amo le porte aperte di Dio.
Ermes Ronchi