N.05
Settembre/Ottobre 2000

Chiesa, comunità cristiana, cammini di vita nello Spirito e maturazione vocazionale

Oggi più che mai la figura del laico all’interno della Chiesa sta incontrando un’importanza notevole. Gli studi e le iniziative, a tal riguardo non mancano, anzi la riflessione teologica aumenta più che mai: basti pensare alle numerose pubblicazioni attorno a questo tema. La Chiesa inoltre sta vivendo un forte slancio missionario e i laici sono posti al centro del progetto d’evangelizzazione di tutta la Chiesa. Questa riscoperta della dimensione missionaria porta il laico a riprendere il cammino di una vera e propria maturazione della coscienza di appartenere alla Chiesa. A questo riguardo sorgono spontanee alcune domande: cos’è la Chiesa? Cos’è la comunità cristiana? 

Lo scopo del presente articolo è proprio quello di riproporre l’autocoscienza ecclesiale dell’appartenenza al popolo cristiano. La riflessione che andremo a fare, anche se limitata ad alcune brevi suggestioni, non può non riferirsi ad uno dei documenti più importanti del Vaticano II, la “Lumen Gentium”, dove i padri conciliari hanno cercato di descrivere con chiarezza la natura intima della Chiesa, affinché essa stessa possa mostrarsi ai fedeli e al mondo. 

 

Nel mistero della Chiesa

Nella riflessione sulla genesi della Chiesa, i padri conciliari hanno decretato la natura stessa della Chiesa come Mistero, perché essa partecipa del Mistero e pertanto ne diviene essa stessa Mistero; da qui viene a noi un’importante conclusione: la sua natura intima non è adeguatamente penetrabile in termini concettuali perché ci supera e ci sfugge. Altri temi posti dai padri conciliari, nella definizione di Chiesa, che sono intimamente collegati al precedente, sono le nozioni di Sacramento, Corpo e Popolo. Altri fattori costituiscono la Chiesa ma tutti derivano dal nucleo della dottrina conciliare; infatti senza i quattro pilastri costitutivi, Mistero, Sacramento, Corpo e Popolo, non è possibile comprendere i sacramenti, la comunione gerarchica e la comunità cristiana. 

Lo scopo di questo articolo non è la definizione conciliare di Chiesa: ci limiteremo ad alcuni elementi che potranno aiutarci a riflettere e a ripensare i percorsi costitutivi dell’ecclesiologia. Non possiamo non riconoscere che, per profondità e per ricchezza di fondamenti biblici, dottrinali e magisteriali, la definizione di Chiesa che emerge dai primi due capitoli della “Lumen Gentium”, è la più profonda e adeguata che mai sia stata prodotta nel corso della storia della Chiesa e da essa non si può prescindere. La Chiesa rappresenta l’implicazione necessaria del mistero nella storia e della storia nel mistero. La dottrina contenuta nei primi due capitoli della costituzione conciliare, alcune volte, è stata assimilata in maniera erronea. Infatti ancora oggi questo tipo di assimilazione fa sentire i suoi effetti nell’ecclesiologia e offre equivoci dentro la vita stessa della Chiesa. Il mio contributo prenderà in considerazione il percorso dell’esperienza cristiana dentro la comunità e l’appartenenza dei gruppi, movimenti e aggregazioni alla vita della Chiesa.

È proprio dentro la visione del rapporto della Chiesa col mondo, che il Concilio ci ha proposto, che scaturisce la presa di coscienza della nostra identità cristiana. Secondo la “Lumen Gentium”, ciò che la Chiesa è in se stessa è identicamente il termine della vocazione del mondo (cfr. LG 4). Vi è dunque un’unità tra Chiesa e mondo perché niente possiamo pensare fuori dal disegno di Dio sul mondo in Cristo e la Chiesa nella sua peculiarità storica porta dentro di sé il germe di tutta l’umanità, la realizzazione piena del suo regno. 

 

Chiamati per chiamare

Pertanto il cristiano che è il principale protagonista di questa opera nel mondo, diventa nel suo impegno ecclesiale, culturale, civile e politico, l’uomo che favorisce e testimonia la missione di Cristo e il suo vangelo, instaurando dove vive la comunità cristiana. Il mondo è chiamato a Cristo e i fedeli sono chiamati a vivere e ad attuare questa vocazione, infatti nessuna esistenza cristiana è veramente tale se non ha una chiara apertura all’universo, vivendo in maniera inconfondibile la vita dell’uomo nella sua quotidianità. Famiglia, amicizia, professione, scuola, studio, possono diventare, di volta in volta, oggetto dell’impegno e della generosa dedizione del cristiano. Infatti con l’avvento di Cristo niente può essere concepito come estraneo alla rivelazione perché proprio in essa la comunità cristiana ritrova il suo volto vero e la sua valorizzazione. Tutto l’universo degli interessi, delle abilità dell’uomo viene illuminato da Cristo e il modo di essere uomini ha in Cristo la sua verità. La comunità cristiana, dunque, per vivere a pieno la sua esperienza deve camminare dentro l’esperienza di Cristo perché solo così può aprire e chiarire ogni cosa. Il cristiano dentro la comunità ha il compito specifico di testimoniare la fede e testimoniarla all’interno del proprio stato di vita cioè rendere presente Cristo attraverso ciò che la sua vita è e attraverso il cambiamento che Cristo ha operato in lui, perché ciò che cambia Cristo è il lavoro, il modo di vivere gli affetti, la socialità, la famiglia, insomma tutto ciò che l’uomo vive nella ferialità della sua esistenza. 

Prima che laico o prete o religioso, l’uomo è cristiano, fedele, e la sua vocazione implica per sua natura una chiamata universale in forza della quale l’uomo è continuamente posto in essere da Dio ed è mantenuto in rapporto con lui. La Chiesa è in Gesù – come scrive la Lumen Gentium – “Segno e strumento dell’intima unione con Dio e dell’unità di tutto il genere umano” (LG 1). In una parola: la Chiesa è comunione, unità con Dio e tra gli uomini; dall’altro lato la Chiesa è missione: chiamata ad annunciare e ad estendere a tutti gli uomini quella comunione con Dio che essa vive ed è. Da qui, dentro l’unità di queste realtà, nasce la comunità cristiana, la comunità dei credenti di coloro che attraverso lo Spirito Santo, che dirige, unifica, e abbellisce la Chiesa dei suoi frutti, rendono presente il mistero di Cristo e la sua opera salvifica nel mondo. 

Attraverso i doni gerarchici e i doni carismatici si realizza dentro la Chiesa la promessa che Gesù ha fatto agli apostoli: “Ecco io sono con voi tutti i giorni fino alla fine del mondo” (Mt 28,20).

 

Gerarchia, carismi, vocazioni, comunità cristiana

Per mezzo dei doni gerarchici, lo Spirito Santo garantisce oggettivamente la presenza di Gesù che si dona, attraverso la Parola e i Sacramenti; per mezzo dei doni carismatici lo Spirito Santo dischiude la soggettività dei credenti, le loro menti, i loro cuori, la loro esistenza, affinché si rendano capaci di accogliere e di portare a piena efficacia di vita e di santità la presenza di Cristo e il dono oggettivo di Cristo che ricevono dalla Parola e dal Sacramento.

I doni gerarchici e quelli carismatici convergono alla comunione e missione della Chiesa. Mentre il compito della gerarchia è innanzi tutto quello di garantire il “deposito della fede” e la sua integrità; quello dei doni carismatici è di dischiudere nuove esperienze e rendere comprensibile e vivibile agli uomini e alle donne di ogni tempo il mistero di Cristo. Ed è proprio questa la chiave di lettura che ci permette di comprendere il ruolo dei movimenti, dei gruppi e delle associazioni dentro la Chiesa; non un fatto, una realtà parallela dunque ma un’unità posta proprio all’origine stessa della Chiesa: non esiste infatti una comunità cristiana che non si riconosca in una vera esperienza di dinamismo spirituale, aggregazione fraterna, slancio missionario.

Il “fatto cristiano”, che è l’evento di Gesù Cristo morto e risorto, si rende presente nella Chiesa e attraverso la Chiesa, all’oggi della storia, comunicandosi in modo gratuito e sorprendente agli uomini e ai popoli di tutte le culture e tradizioni. Se l’esperienza cristiana incontra la libertà dell’uomo nella varietà delle sue culture, nella diversità di storie, temperamenti e sensibilità chiamandola ad una risposta, lo Spirito non può non sostenere il cammino dell’uomo che aderisce a Cristo attraverso i suoi doni, attraverso i carismi, attraverso le varie vocazioni che interpretano l’unica vocazione alla piena comunione con Dio, in una parola, all’amore. Ecco perché la dimensione carismatica appare fin dall’inizio co-essenziale a quella gerarchica (primo e fondamentale carisma) e la loro comprensione è dentro un’unità organica e non dialettica. L’utilità dei carismi, dei movimenti, dei gruppi ecclesiali è insita nel fatto che essi stessi ci rendono presente la storia, la traditio. La Chiesa, allora, anche attraverso i movimenti, i gruppi, le associazioni autorealizza se stessa perché ne diviene movimento e assicura all’uomo di oggi il permanere dell’evento di Cristo. È qui che possiamo comprendere adeguatamente la vexata quaestio dell’apostolato cristiano nelle forme associative e personali. Infatti non è possibile pensare la realtà di un movimento al di fuori del movimento di autorealizzazione della Chiesa perché in essa l’esperienza assicura all’uomo l’incontro tra Cristo e la sua libertà; sono i testimoni che mettono in movimento nuovi testimoni ed è proprio da qui che si costituisce la comunità cristiana, il movimento, l’associazione. 

E da qui possiamo comprendere ancora meglio la comunità cristiana, le sue implicazioni, i suoi cammini, la fatica di tradurre il vangelo nelle pieghe della storia, che è la storia di coloro che vivono il presente non diversa dalla storia di coloro che hanno vissuto e toccato con mano il fatto cristiano, l’evento di Cristo Gesù.