N.05
Settembre/Ottobre 2000

Nelle persone che ci guidavano trovai un dono prezioso…

Riflettendo sulle frasi pronunciate dal Papa in occasione della XV giornata mondiale della gioventù e confidando nelle parole di Gesù ai suoi apostoli “avrete forza dallo Spirito Santo che scenderà su di voi e mi sarete testimoni fino agli estremi confini della terra” (At 1,8) mi permetto di ripercorrere brevemente le tappe che mi hanno fatto approdare alla vita consacrata. Sento il desiderio di rendere questo servizio con un profondo senso di gratitudine nei confronti di coloro che mi hanno chiesto di scrivere questi pensieri e per coloro che mi hanno trasmesso la fede e contribuiscono a sostenerla con la preghiera e l’esempio, sperando che il Signore possa illuminare la mente di quelli che li leggeranno. 

Un po’ di anni fa, avvertendo un certo disagio interiore, sentii il bisogno di fare chiarezza e di ordinare la mia vita cercando di conoscere quale fosse la verità di tutto ciò che mi accadeva intorno, come realmente fossero andati certi fatti e quali fossero le intenzioni di coloro che vivevano accanto a me. Fu quindi inevitabile che mi ponessi una domanda: “Dove sto andando e perché?”. Ricordo che una mattina, molto presto, mi recai alla Santa Messa e, durante la celebrazione, mi colpì molto una lettura che descriveva la preghiera rivolta dal Re Salomone a Dio. La preghiera recitava così: “Ebbene io sono un ragazzo non so come regolarmi. Concedi al tuo servo un cuore docile perché sappia rendere giustizia al tuo popolo e sappia distinguere il bene dal male” (1Re 3,7-9). Dentro di me pensai che, con le dovute differenze, anche Salomone aveva avuto difficoltà nel capire cosa dovesse fare e si era appellato all’aiuto di “Qualcuno” per comprendere meglio. Proprio in quel periodo, il mio parroco mi consigliò di aumentare la preghiera e di partecipare alla vita della parrocchia in modo più serio e intenso non limitandomi a prendere parte alla celebrazione domenicale dell’Eucaristia e a incontri in occasioni particolari. La premura con cui me lo disse fece sì che alcuni giorni dopo, su invito suo  e di altri amici, mi recassi ad ascoltare la prima di una serie di catechesi per adulti che si sarebbero tenute nei locali della parrocchia. 

In questi incontri, dopo il saluto e una breve introduzione del sacerdote, presero la parola alcune persone più o meno giovani che, Bibbia alla mano, ripercorsero la storia della salvezza e raccontarono con semplicità, come avevano percepito la presenza di Cristo che aveva cambiato la loro vita. Era uno stile nuovo che non avevo mai visto ma forte. Anche se un po’ incerto, trattandosi di un’esperienza nuova, c’era qualcosa che mi spingeva ad ascoltare con interesse. Mi fu detto che appartenevano al Cammino Neocatecumenale che si presentava come una pastorale di rinnovamento della parrocchia. Avevo sentito parlare di questo gruppo di fedeli nella chiesa ma mi muovevo con una certa prudenza per timore di imbattermi in qualcosa di strano. L’annuncio coraggioso e gratuito, la serietà e la disponibilità di persone che portavano i segni della passione di Gesù, ma da cui traspariva una pace e una serenità ben visibili, mi aiutò subito a eliminare ogni tipo di pregiudizio soffermandomi a considerare alcuni aspetti della fede che prima non avevo valutato.

Tra le persone che esponevano i vari argomenti notavo un legame molto forte, che mi faceva pensare all’amore con cui la Chiesa si prende cura  dei suoi, soprattutto dei più piccoli. Dopo alcuni incontri si formò una vera e propria comunità che, passo dopo passo, come un neonato impara a crescere, iniziò a muoversi tentando di conoscere sempre meglio Gesù, ascoltando la parola di Dio, pregando e ritrovandosi spesso insieme, partecipando con sempre maggior consapevolezza ai sacramenti, in particolare all’Eucaristia, fonte e culmine della nostra vita.

Nella comunità fu eletto un responsabile che con l’aiuto di altri aveva il compito di coordinare e servire i fratelli e le sorelle nell’obbedienza al parroco e ai catechisti che ci assistevano e frequentemente si ritrovavano con noi per verificare come procedeva questa sequela di Cristo. Anche ad altri fratelli fu assegnato un ruolo preciso che permise di rendere più agevole il servizio nella vita comunitaria e nelle celebrazioni liturgiche: alcuni preparavano l’altare, altri facevano le letture, altri suonavano strumenti e cantavano per animare le celebrazioni.

Mensilmente la comunità si riuniva condividendo insieme una intera giornata e tutti iniziavano a conoscersi meglio, a tal punto che l’assemblea dei fedeli non era più un gruppo di persone anonime che si conoscevano sommariamente ma fratelli e sorelle che mettevano in comune tutto ciò che avevano. Varie volte ho assistito a collette o ad altre opere fatte per andare incontro a poveri e bisognosi sia della parrocchia che esterne. 

Prendendo parte agli incontri mi accorsi  che cresceva in me il contatto con la parola di Dio, l’importanza e il valore dell’obbedienza, la partecipazione ai sacramenti era più forte e viva. Questo mistero di salvezza si configurò in me come un disegno ben preciso che Dio avrebbe voluto comunicarmi e si fece forte il senso dell’attesa che non fu più semplice curiosità ma esigenza di conformarsi a qualcosa di grande e misterioso da cui non potevo scappare che mi guidava su vie nuove. Tutto questo, però, non fu come consultare una sfera magica ma ricordo che avvenne con grande sacrificio e passando anche da un periodo di faticosa trasformazione. Nelle persone che ci guidavano trovai dei doni che oggi reputo notevoli: tempo per stare con noi ragazzi, libertà e impegno nell’aiutare a verificare se la vita che uno conduceva era conforme alla fede cristiana. Continuando in questo itinerario furono suggeriti, oltre alla preghiera, a chi si sentiva in grado di farlo, anche qualche piccola penitenza e il digiuno da offrire al Signore perché avrebbero aiutato a conoscere  la sua volontà. La domanda di fondo che doveva guidare la giornata era: qual è la volontà di Dio per me, in pratica, oggi?

Se avevamo dei dubbi nel definire la nostra posizione facendo delle scelte personali potevamo rivolgerci a loro per vedere se nel lavoro, nella famiglia, nei rapporti con le altre persone il nostro essere era conforme a quello in cui credevamo. Se questo non veniva riscontrato era necessario fare dei cambiamenti concreti. Dalla loro testimonianza fu evidente che, per vivere una vita piena, ciascuno di noi doveva affrontare dei dilemmi, arrivare al bivio, rischiare delle scelte, assumersi delle responsabilità. Vivere da cristiani significa scegliere e questo implicava una rinuncia ad un’altra cosa o ad altre. Il cristiano vero era l’uomo della decisione la decisione era un atto chirurgico ed era questo a renderla dolorosa ma salutare. Per cercare e trovare la  volontà divina bisognava aver chiaro il fine per aver chiaro anche il mezzo per poter procedere. Molto spesso attaccamenti disordinati alternano l’ordine delle cose, fanno un fine del mezzo e un mezzo del fine.

Contrattare, conservare, scendere a compromessi era l’esatto contrario della scelta, del “sì, sì; no, no” evangelico (Mt 5, 37). Le mezze misure non andavano bene. Vivere con delle persone che avevano fatto esperienza diretta della misericordia di Dio mi fece capire che delle scelte non si potevano rimandare e questo, forse, era il costo dell’essere discepoli, anche se, ora, posso dire che il salario sarebbe stato di gran lunga superiore. Per progredire nella fede cristiana bisognava prendere la vita sul serio, non piegarsi sugli errori del passato creando archivi e riferimenti, ma iniziare a gustare il perdono di Dio per poter vivere il presente in pace. Non erano, grazie a Dio, gli inciampi occasionali a interferire con la rotta da prendere, ma la direzione sbagliata.

Occorreva tener presenti le parole di S. Paolo: “Esaminate ogni cosa, tenete ciò che è buono” (1Ts 5,21) e questo era il primo lavoro da fare. Dopo aver preso una decisione sarebbero state necessarie delle conferme. Ispirazioni e sensazioni particolari dovevano essere messe alla prova per vedere se veramente venivano da Dio o erano frutto della nostra fantasia o dei nostri desideri, della nostre aspirazioni. Se gli apostoli, pur avendo vissuto accanto a Gesù per anni e avendo  riconosciuto solo dopo la sua passione, morte e Risurrezione, chiedendo di vedere con i propri occhi e di toccare con le proprie mani, per noi non avrebbe potuto accadere in modo diverso per giungere a una fede più matura e per saperlo riconoscere. Era necessario sperimentare anche il dolore per poi capire che, dopo la morte, viene la Risurrezione. Altrimenti la nostra fede sarebbe stata vana!

La familiarità con le Scritture, la preghiera e la vicinanza ai sacramenti costituivano lo sfondo migliore per una scelta cristiana e per educare e perseverare con costanza in ogni situazione. Anche alcune letture sulla vita dei santi consigliateci in parrocchia contribuirono molto a vedere come coloro che ci avevano preceduto nella fede erano riusciti a incarnare, con un loro stile personale, il vangelo e a sentire la “chiamata” di Dio. A questo si aggiunse la continua presenza del sacerdote e dei catechisti che da vicino seguivano i giovani intervenendo anche direttamente per correggere atteggiamenti sbagliati, aiutandoci a scoprire e conoscere le varie vocazioni ed esortandoci a prendere parte ai vari incontri che si tenevano in diocesi e in altri luoghi in occasione  delle giornate organizzate per prepararsi ai vari tempi liturgici. In questo contesto trovai grandi benefici nel confidarmi periodicamente con un sacerdote che mi aiutava a saper ascoltare più in profondità quello che Dio voleva da me trovando il tempo per alcune giornate di ritiro, riscoprendo il valore del silenzio e della meditazione, visitando luoghi particolari di preghiera e facendo esperienze di deserto.

Il Signore mi concesse il dono di capire che mi chiamava alla vita consacrata e, così, iniziai a frequentare dei conventi dei frati Minori Cappuccini partecipando a una scuola di preghiera e a campi vocazionali, della durata di una settimana, tenuti presso l’eremo “Le Celle” di Cortona, per poi trascorrere un periodo condividendo la vita della fraternità a cui mi ero appoggiato per continuare nel discernimento. Dopo un periodo, sentendo anche il parere dei frati, fui accolto, come postulante nel convento di formazione chiedendo di poter entrare nell’Ordine dei Frati Minori Cappuccini della Toscana.

Già dalla prima formazione la giornata ruotava attorno alla preghiera comunitaria. Ogni candidato doveva svolgere un lavoro quotidiano all’interno del convento da cui si poteva provare una certa fedeltà ai compiti assegnati, vedere la carità verso i fratelli, anche attraverso il contatto con i poveri, alimentare la vita di fede che culminava nella celebrazione della S. Messa. 

Al termine del periodo di postulato, che generalmente dura un anno, la fraternità si riunì per decidere l’ammissione al noviziato, un anno di prova, irripetibile che si propose di approfondire l’assimilazione della forma di vita cappuccina, svolto in collaborazione con altre province dell’Ordine che raggruppano le regioni dell’Italia centrale. Trascorso il tempo del noviziato fui ammesso, con una ulteriore verifica da parte dei frati, alla professione temporanea facendo voto a Dio di vivere per un anno senza nulla di proprio, in obbedienza e in castità. Dopo la prima professione l’iter formativo iniziale precede 2 anni di post-noviziato e l’inizio, per accedere agli ordini sacri, degli studi teologici. È necessario tener presente che nessuno può svolgere la sua specifica missione con dignità e senso di responsabilità se privo di una valida consistenza umana, spirituale e culturale che, se sono carenti, devono essere integrate nei programmi di formazione per permettere una crescita delle persone affidate. È fondamentale che ci sia un rapporto attento e continuo soprattutto nel periodo iniziale tra il formando e l’educatore, che risponde davanti a Dio e alla fraternità di quella persona, in modo tale da permettere una consapevolezza piena degli impegni da assumere. Il dialogo, un confronto aperto e una certa disponibilità ad accogliere nuove proposte da entrambe le parti può aiutare chi inizia la vita religiosa a donarsi totalmente, accettando di essere provato per conoscersi meglio e aumentare l’intimità con Dio, e chi è preposto ad accompagnare il giovane a saper cogliere i nuovi frutti dello Spirito. Anche l’età adulta delle nuove vocazioni può costituire un elemento nuovo da considerare con attenzione in questi tempi. Credo che la maturità della persona sia uno degli elementi più delicati da tenere in considerazione per decifrare i segni che si presentano per instaurare un rapporto più proficuo tra le varie generazioni.

Credo che queste varie tappe dovrebbero abituare a saper interpretare la volontà di Dio con l’aiuto di un continuo lavoro di ascesi, fatto di piccole rinunce, che sappia condurre progressivamente al rinnegamento di sé per poter prendere la propria croce e diventare discepoli di Cristo.