N.03
Maggio/Giugno 2000

Le età della vita e le vie dell’accompagnamento nella comunità cristiana

Su di te mi appoggiai fin dal grembo materno, dal seno di mia madre sei tu  il mio sostegno… Tu mi hai istruito, o Dio, fin dalla mia giovinezza, e ancora oggi proclamo i tuoi prodigi. E ora, nella vecchiaia e nella canizie, Dio, non abbandonarmi, finché io annunzi la tua potenza, a tutte le generazioni le tue meraviglie (Sal 72, 16-18). Il salmista, giunto alla vecchiaia, con un luminoso flash-back contempla la presenza tenera e forte di Dio nel cammino della sua vita, attraverso le tappe delle diverse età. Questi versetti del salmo 72 mentre costituiscono una meravigliosa sintesi-pregata di tutto ciò che in questi giorni abbiamo ascoltato, ci vengono offerti perché diventino, per ciascuno di noi, un ottimo viatico capace di illuminare il nostro servizio di animatori vocazionali nelle nostre diocesi, suscitando quegli atteggiamenti che devono essere sempre presenti prima in noi e, poi, in chi accompagniamo: un “cuore pensante”, come ci diceva Sr Lucia, capace di dare uno sguardo sapienziale alla vita; gratitudine e riconoscenza per un amore, quello di Dio, che sempre ci precede, ci avvolge e ci accompagna; un’umiltà intelligente che, mentre, non risparmia alcuna energia nell’accompagnare i fratelli e le sorelle, consapevole dei propri limiti, invoca con fiducia filiale l’aiuto di Dio per annunciare alle generazioni future le meraviglie del Suo amore. Lo scopo del mio intervento più che essere quello di “concludere” questo Seminario, quasi sigillandolo con il rischio di relegarlo così fin d’ora nel passato, è piuttosto quello di rilanciarlo valorizzando quelle spinte dinamiche emerse in questi giorni e capaci di dare un rinnovato impulso al nostro servizio.

 

Le “età della vita”: una duplice prospettiva

Il tema delle “età della vita” è stato affrontato da due diverse prospettive che si sono reciprocamente arricchite, offrendoci una visione unitaria del cammino vocazionale. Da una parte, infatti, le relazioni hanno sollecitato la Direzione Spirituale (DS) a rapportarsi alle diverse categorie di persone (adolescenti, giovani, adulti) senza ignorarne le caratteristiche, le problematiche e le specifiche risorse; dall’altra, hanno sottolineato la necessità di un accompagnamento che non può limitarsi alla sola fase della ricerca vocazionale, ma deve accompagnare il battezzato, con modalità diverse, in tutte le età della vita. Questa duplice prospettiva ha sempre guidato e illuminato la sapienza pedagogica con cui la Chiesa da sempre ha accompagnato la crescita della fede dei suoi figli. La ritroviamo, con una chiarezza e una attualità sorprendente, soprattutto nei Padri della Chiesa. Per questo vorrei ora presentarvi, quasi a mo’ di esempio, il differente approccio al nostro tema da parte di due Padri, uno d’occidente e l’altro d’oriente.

1. Gregorio Magno, commentando la parabola degli operai chiamati nelle diverse ore della giornata a lavorare nella vigna, così si esprime: “Possiamo considerare le diverse età della vita come ore del giorno. La mattina della nostra intelligenza è la puerizia; l’ora terza è l’adolescenza, perché allora cresce il calore dell’età, come il sole che sale il firmamento; l’ora sesta è la gioventù, perché in essa è la forza, come il sole nel meriggio; l’ora nona è la vecchiaia, perché vi scema il calore giovanile, come fa il sole nel chinarsi all’occidente, l’undecima ora è il tempo della decrepitezza… Poiché, dunque, si è chiamati alla vita buona nella puerizia o nella adolescenza, o nella gioventù, o nella vecchiaia o nella decrepitezza, così si possono paragonare gli uomini agli operai chiamati alla vigna nelle diverse ore del giorno. Esaminate, perciò, fratelli carissimi, la vita vostra e vedete se siete già operai del Signore, se lavorate nella sua vigna” (H. om. in Evang. I, XIX, 2: PL 76, 1155).

2. Giovanni Crisostomo, invece, nel suo commento al Vangelo di S. Matteo, parla in questo modo delle difficoltà e delle fatiche che ogni persona deve affrontare nelle diverse stagioni della vita: “Vi prego e vi supplico di correggere con gran cura e diligenza le passioni che si sviluppano in noi nelle diverse età. Se, mentre navighiamo in questo mare, in ogni periodo della nostra vita, non ci dedichiamo all’utile fatica della virtù, faremo continui naufragi e, giunti al porto, privi di mercanzie spirituali, saremo condannati ai più gravi supplizi. Perché questa vita è un mare lungo e largo e in esso, come in tutti i mari, vi sono vari golfi, dove per diverse cause, nascono grandi tempeste… Lo stesso suole accadere nella nostra vita, poiché il primo golfo si vede già nel bambino, esposto, a causa della sua età, a molte e gravi tempeste, sia perché l’intelligenza è poco sviluppata, sia perché non ha ancora nessuna fermezza, ma si piega da ogni parte. Per questo lo affidiamo a pedagoghi e maestri della natura, come accade nella navigazione, in cui l’abilità del timoniere trionfa delle onde agitate dal mare. All’infanzia succedono le onde burrascose della gioventù che, come il mare Egeo, è agitata dai forti venti della concupiscenza; questa età si presta meno alla correzione, non solo perché sono maggiori le onde che la colpiscono, ma anche perché, non essendovi il pedagogo e il maestro, gli errori non vengono rimproverati. Quando poi i venti soffiano con maggior impeto, essendo il timoniere ancora inesperto e non avendo nessuno che lo difenda e lo aiuti, pensa quanto sarà pericolosa la tempesta! L’età virile occupa il terzo posto e su di essa pesano i pensieri della famiglia: la moglie, il matrimonio, i figli, il governo della casa, le preoccupazioni, che cadono come fiocchi di neve. È il momento in cui nascono le piante dell’avarizia e dell’invidia. Se siamo esposti al naufragio in tutte le età, come trascorreremo questa vita? Se non impariamo ad essere sicuri e retti nella prima età, se non viviamo moderatamente nella gioventù e se non domineremo l’avarizia nell’età matura, giungeremo alla vecchiaia con la barchetta della nostra anima sconquassata dalle tempeste e arriveremo al porto recando non mercanzie spirituali, ma abbondante e sudicio fango col quale daremo piacere al demonio e condanneremo noi stessi e ci renderemo meritevoli di eterni e intollerabili supplizi” (om. 81 in Mt.: PG 32, 231).

 

Tutta la vita e ogni vita è vocazione”

Potremmo sintetizzare questa duplice prospettiva con cui è stato affrontato in questi giorni il tema delle diverse età della vita prendendo a prestito una frase del documento “Nuove Vocazioni per una Nuova Europa”(NVNE): Tutta la vita e ogni vita è una risposta (26/e). Se tutta la vita e ogni vita è una risposta vuol dire che non è pensabile parlare delle diverse età della vita senza fare riferimento alla dimensione vocazionale che la deve attraversare totalmente. Infatti, come ci è stato detto in questi giorni, la vocazione è quella realtà capace di collegare tra loro le diverse tappe della vita dando loro un senso unitario. La capacità di saper scorgere le continue chiamate di Dio in ogni stagione della propria vita è resa più urgente oggi, in un tempo in cui, come ci diceva Don Romano, “esiste il fenomeno patologico dell’amnesia, la tentazione dell’autoespropriarsi dell’uomo, che non è più capace di stare in se stesso; l’uomo si difende nell’autodispersione, si consegna come ostaggio a ciò che fa opinione o sfugge agli interrogativi dell’esistenza, incapace di venire a capo di essa”. E riportando una citazione di Guardini così continuava: “Ho il dovere di voler essere quello che sono; davvero voler essere io, e io soltanto. Devo collocare me nel mio me stesso, quale esso è e assumermi il compito che in tal modo m’è assegnato nel mondo. È la forma fondamentale di tutto ciò che si chiama vocazione”. Si comprende, allora, perché il CNV abbia voluto affrontare il tema delle “età della vita” in un Seminario sulla DS: perché quest’ultima è una forma privilegiata di discernimento e di accompagnamento vocazionale, come si esprimono i Vescovi italiani nella loro recente Nota pastorale al n. 24. Affermazione questa già citata da don Luca nella sua introduzione. E l’Esortazione post-sinodale Pastores dabo vobis, mentre sottolinea l’importanza che la DS riveste nello sviluppo di ogni vocazione, chiede che sia estesa a tutto l’arco dell’esistenza: “Anche la pratica della direzione spirituale contribuisce non poco a favorire la formazione permanente dei sacerdoti. È un mezzo classico, che nulla ha perso di preziosità non solo per assicurare la formazione spirituale, ma anche per promuovere e sostenere una continua fedeltà e generosità nell’esercizio del ministero sacerdotale. Come scriveva il futuro Paolo VI, la direzione spirituale ha una funzione bellissima e si può dire indispensabile per l’educazione morale e spirituale della gioventù, che voglia interpretare e seguire con assoluta lealtà la vocazione, qualunque essa sia, della propria vita; e conserva sempre importanza benefica per ogni età della vita, quando al lume e alla carità d’un consiglio pio e prudente si chieda la verifica della propria rettitudine ed il conforto al compimento generoso dei propri doveri. È mezzo pedagogico molto delicato, ma di grandissimo valore; è arte pedagogica e psicologica di grave responsabilità in chi la esercita; è esercizio spirituale di umiltà e di fiducia in chi la riceve” (n. 81).

 

Difficoltà che reclamano con forza la DS

Se la DS ha sempre offerto un preziosissimo contributo alla crescita di fede dei battezzati, oggi la sua azione è resa ancor più necessaria, per le mutate circostanze della vita e perché sono venuti meno alcuni punti essenziali di riferimento. Lo stesso confine tra le diverse età si è fatto più labile: non è infatti raro notare, come è stato osservato più volte in questi giorni, che alcune caratteristiche psicologiche specifiche di una età si ritrovino nella successiva o siano anticipate nella precedente fase della vita. Chi di noi non è venuto a contatto con giovani che sembrano “inchiodati” nell’adolescenza? O non ha conosciuto adolescenti che vivevano esperienze, atteggiamenti e scelte tipiche degli adulti? O non si è scontrato con adulti incapaci di assumersi le proprie responsabilità, preferendo galleggiare, come i giovani, sull’onda dell’emotività, sospinti “dall’insostenibile leggerezza dell’essere”?

Questo confine così labile ed evanescente tra le diverse età sollecita l’accompagnatore ad abbandonare, come ci ha detto questa mattina don Adelio, ogni rigido schematismo e ogni pedissequo riferimento ad una tabella di marcia standardizzata. Si avverte forte, al contrario, l’urgenza che l’accompagnatore vocazionale assomigli sempre più al “preparatore atletico”, che propone esercizi progressivamente sempre più difficili e faticosi, ma mai superiori alle possibilità dell’atleta. “Questa attenzione all’individualità di ciascheduno – affermava Sr Lucia – è di singolare importanza, diversamente, anche con le migliori intenzioni, si rischia di imporre un cliché, oppure offrire dei suggerimenti a partire dal proprio percorso spirituale, dalle proprie preferenze relative la spiritualità, il tipo di missione, il modo di pregare e così via”. Le difficoltà, però, non sono presenti solo sul versante dei giovani, ma coinvolgono anche gli accompagnatori e gli educatori in genere. Difficoltà causate innanzitutto dal loro numero in costante diminuzione. Sono, infatti, sempre meno i preti e i consacrati che si dedicano a tempo pieno al servizio della DS, perché chiamati a rispondere a numerose altre urgenze. Questo problema favorirà uno sfoltimento delle attività e delle iniziative a favore di ciò che è essenziale?

Vi sono anche difficoltà provocate dal divario generazionale: differenze di mentalità, di esperienze e di linguaggio che certamente non facilitano quella sintonia necessaria tra l’accompagnatore e i giovani, con il rischio, notato in qualche intervento in aula, che al dialogo formativo subentri il silenzio o il “tacito consenso”. Non è forse la capacità di “stare” con i giovani la necessaria premessa per un efficace accompagnamento?

Infine, le famiglie e le comunità cristiane, sempre più frantumate e sovraccaricate di impegni e responsabilità, rischiano di non prestare attenzione alle vicende e ai cammini delle singole persone, finendo per vivere da “separati” in casa. Non capita, infatti, di essere strappati dalla freddezza e dalla superficialità dal solo verificarsi di qualche gesto inconsulto o da qualche tragedia inattesa. Allora, si è costretti, da parte di tutti, ad ammettere: chi avrebbe mai potuto immaginare che quel giovane avesse dei problemi, sembrava così tranquillo!

 

Umiltà serena e intelligente nella DS

Non si vuole, qui, caricare la DS di un peso e di una responsabilità eccessive: il padre spirituale più che considerarsi un eroe, salvatore unico della patria, deve, invece, ritenersi sempre un umile e intelligente compagno di viaggio, come ci ricorda il documento NVNE: Il ministero dell’accompagnatore vocazionale è ministero umile, di quell’umiltà serena e intelligente che nasce dalla libertà nello Spirito, e si esprime con il coraggio dell’ascolto, dell’amore e del dialogo (34/a). Un’umiltà, la sua, che si basa non solo sulla certezza che “il Maestro interiore” di agostiniana memoria, è sempre all’opera e con una efficacia maggiore della sua, ma anche sulla consapevolezza che il suo ministero è accompagnato e sostenuto dall’azione di tutta la Chiesa. Parafrasando il n. 200 del Rinnovamento della catechesi potremmo dire che “prima delle iniziative e dei sussidi, vi sono gli accompagnatori e prima ancora degli accompagnatori è la comunità cristiana”.

Nessuno può pensare di gestire in proprio il servizio della DS, ma deve sempre esercitarlo nella Chiesa e in nome della Chiesa, sapendo che quest’ultima non smette mai di accompagnare tutti i battezzati nel loro cammino di fede servendosi delle più molteplici occasioni e strumenti: l’anno liturgico, la celebrazione dei sacramenti, soprattutto dell’Eucaristia e della Riconciliazione, l’omelia, la catechesi… Infatti, come afferma NVNE: La Chiesa manifesta la sua maternità quando, oltre a chiamare e riconoscere l’idoneità dei chiamati, provvede perché costoro abbiano una formazione adeguata, e perché siano di fatto accompagnati lungo la via di una risposta sempre più fedele e radicale. La maternità ecclesiale non può certo esaurirsi nel tempo dell’appello iniziale. Né può dirsi madre quella comunità di credenti che semplicemente “attende” demandando totalmente all’azione divina la responsabilità della chiamata, quasi timorosa di rivolgere appelli… La crisi vocazionale dei chiamati è anche crisi, oggi, dei chiamanti (n. 19/d).

Alla luce di quanto appena detto, dovremmo, forse, riscoprire la DS come “luogo” privilegiato per la proposta vocazionale e non solo come aiuto a chi è già in un cammino vocazionale. Inoltre, tutto ciò deve tradursi nell’impegno da parte del padre spirituale a “lavorare in rete”, sentendosi un elemento importante nel cammino di formazione, ma non l’unico. Un buon padre spirituale sa, come ci ha detto don Giuseppe, che potrà accompagnare gli altri fin dove lui è arrivato; a quel punto anziché abbandonarli alla deriva o limitarsi a fornire qualche mappa o cartina stradale particolareggiata, saprà affidarli ad altri, senza per questo vedere sminuita la sua azione e il suo valore. Un buon accompagnatore vocazionale mentre accoglie chi con fiducia a lui si affida, nutre egli per primo fiducia nei confronti delle tante persone che possono affiancarsi al giovane e, con modalità diverse, accompagnarlo. Il direttore spirituale non può che essere libero da ogni sentimento di gelosia, di possessività, di disistima di sé o degli altri, per essere capace di rendere libero chi accompagna. L’umiltà non può che accompagnarsi da parte del padre spirituale con lo stupore, l’ammirazione, il rispetto nella consapevolezza di trovarsi dinanzi al mistero della persona. Il dialogo si trasforma, allora, in una finestra che, come ci diceva Sr Lucia, “si apre sulle realtà più personali, sulle pieghe riposte di certi eventi ed esperienze che hanno segnato, inciso acutamente. Tale mistero sospinge ad accostarsi quasi in punta di piedi, a sostare in rispettosa accettazione e benevolenza non del giovane in generale, ma di questo preciso giovane che mi sta di fronte, riconoscendo il suo essere diverso da me, con il suo modo di sentire, di valutare, con il suo bagaglio di esperienze, sapendo apprezzare e godere della fantasia di Dio che ci ha creati nel contempo così simili e così unici”. L’umiltà, infine, che deve sempre profumare il servizio della DS, solleciterà l’accompagnatore in una formazione permanente, per evitare quei pericoli che, come ci ha detto don Giuseppe, sempre minacciano la sua azione: l’intellettualismo sterile, la voglia di dominare sugli altri, l’impreparazione, il silenzio…

La formazione è fatta di studio, di letture, ma anche della capacità di sapersi sempre interrogare sul proprio operato, senza avere paura di riscontrarvi limiti e lacune.

 

La DS nella pastorale ordinaria

La DS non solo deve saper valorizzare il contributo che la pastorale ordinaria può dare al cammino di crescita di ogni battezzato, ma saprà anche essere una forza propulsiva capace di sospingere la pastorale ordinaria fuori dalle sabbie mobili di un genericismo inconcludente. Si avverte da più parti  l’esigenza che, come afferma NVNE: la pastorale in genere sia più coraggiosa e franca, più esplicita nell’andare al centro e al cuore del messaggio-proposta, più diretta alla persona e non solo al gruppo, più fatta di coinvolgimento concreto e non di vaghi richiami ad una fede astratta (n. 26/b). Questo significa che la DS mentre offre un servizio alle singole persone, non trascura di impegnarsi perché la qualità e la forza propositiva della pastorale ordinaria cresca sempre di più. Potremmo, allora, affermare che un padre spirituale non può non essere anche un buon animatore vocazionale, impegnandosi all’interno della pastorale vocazionale della sua diocesi e sostenendola con il suo specifico contributo.

Quali attenzioni possiamo e dobbiamo, allora, suscitare nelle nostre Chiese a partire da ciò che è stato detto in questo Seminario e che mi sono permesso di sintetizzare con la frase “tutta la vita e ogni vita è risposta”? Innanzitutto saper rispettare e accettare i tempi della crescita e dello sviluppo, senza affrettarne le tappe. NVNE ci ricorda: Fa parte della saggezza del seminatore spargere il buon seme della vocazione al momento propizio. Che non significa affatto affrettare i tempi della scelta o pretendere che un preadolescente abbia la maturità decisionale di un giovane, ma capire e rispettare il senso vocazionale della vita umana. Ogni stagione dell’esistenza ha un significato vocazionale, a cominciare dal momento in cui il ragazzo o la ragazza si apre alla vita e ha bisogno di coglierne il senso, e prova a interrogarsi sul suo ruolo in essa (33/c). Inoltre, nessuna età va esclusa dal servizio della DS, perché l’esperienza pastorale mostra che la prima manifestazione della vocazione nasce, nella maggior parte dei casi, nell’infanzia e nell’adolescenza… Ogni persona ha i suoi tempi di maturazione. L’importante è che accanto a sé abbia un buon seminatore (n. 33/c).

Quale obiettivo si deve prefiggere di raggiungere ogni accompagnatore vocazionale? La risposta la troviamo espressa in modo chiaro e puntuale in NVNE, quando afferma: L’itinerario pedagogico vocazionale è un viaggio mirato verso la maturità della fede, come un pellegrinaggio verso lo stato adulto dell’essere credente, chiamato a decidere di sé e della propria vita in libertà e responsabilità, secondo la verità del misterioso progetto pensato da Dio per lui (34/a). Come si evince da questa affermazione, la prospettiva vocazionale non solo non può mai essere assente nel servizio della DS, ma deve diventare sempre più quella realtà capace di unificare le diverse esperienze e tutta la vita.

 

Su quale via accompagnare?

Come realizzare questo obiettivo? Propongo tre vie, non alternative, ma tra loro correlate e complementari.

 

La via della verità di sé

Questa via, richiamata con forza da don Giuseppe, è così delineata da NVNE: Quanti giovani non hanno accolto l’appello vocazionale non perché ingenerosi e indifferenti, ma semplicemente perché non aiutati a conoscersi, a scoprire la radice ambivalente e pagana di certi schemi affettivi; e perché non aiutati a liberarsi delle loro paure e difese, consce e inconsce nei confronti della vocazione stessa… La sincerità è un passo fondamentale per giungere alla verità, ma è necessario un aiuto esterno per vedere bene l’interno. L’educatore vocazionale, allora, deve conoscere i sotterranei del cuore umano, per accompagnare il giovane nella costruzione dell’io vero (n. 35/a). Nel pellegrinaggio alla ricerca del suo vero volto, ogni giovane potrà trovare un validissimo aiuto nell’accompagnamento vocazionale.

La via del Mistero

Quando un giovane, nonostante il suo desiderio e il suo impegno, prende coscienza che non giungerà mai ad una conoscenza esaustiva di se stesso, allora vedrà spalancarsi davanti a sé la via del Mistero che così viene tratteggiata in NVNE: È indispensabile che il giovane accetti di non sapere, di non potersi conoscere fino in fondo. La vita non è interamente nelle sue mani, perché la vita è mistero… Mistero è quella parte dell’io che ancora non è stata scoperta, ancora non vissuta e che attende d’essere decifrata e realizzata; mistero è quella realtà personale che ancora deve crescere, ricca di vitalità e di possibilità esistenziali ancora intatte, è la parte germinativa dell’io (n. 35/b). Di fronte alla constatazione che la sua vita è mistero, con le sue zone d’ombra non ancora pienamente illuminate e conosciute e con le sue potenzialità non ancora totalmente impiegate e sviluppate, il giovane si sente nascere dentro come un bisogno di rivelazione, il desiderio, cioè, che l’Autore stesso della vita gliene sveli il senso e il posto che in essa ha da occupare (n. 35/b). Dal mistero della sua vita il giovane sarà condotto, quasi per mano, a porsi dinanzi al “Mistero nascosto nei secoli in Dio e rivelato ora a noi in Cristo Gesù”. È proprio l’incontro con Cristo che rende possibile il camminare per strade inedite e di contemplare orizzonti infiniti, sospingendo “al largo” la vita del giovane. Infatti, alla luce del mistero del Verbo incarnato trova piena luce il mistero dell’uomo, perché, Cristo rivelando l’amore del Padre, rivela anche pienamente l’uomo all’uomo e gli fa nota la sua altissima vocazione (GS, 22). L’oggetto della DS è Cristo, ci diceva con forza Sr Lucia, aggiungendo che la DS si gioca tutta sulla qualità della relazione. E don Adelio poco fa sottolineava il fatto che discepolo è colui che non riesce a pensarsi al di fuori di questa relazione personale con Cristo, il Signore della sua vita. E qual è il segreto che Cristo consegna ad ogni giovane, perché possa realizzare pienamente se stesso? È sempre la GS ad offrircene la risposta: L’uomo è la sola creatura che Dio abbia voluto per se stessa e non si realizza se non nel dono sincero di sé (GS, 24). Ecco l’avventura affascinante che Cristo propone ad ogni giovane: donare tutto se stesso con amore libero, gratuito, fedele e gioioso. Il “catino” di cui si è servito il Signore per lavare i piedi ai suoi discepoli, è il simbolo più eloquente – ci diceva don Adelio – della coscienza che Gesù ha di sé come dono! Per questo ogni autentico itinerario vocazionale ci diceva don Giuseppe ieri e ha ribadito questa mattina don Adelio, deve necessariamente condurre ogni battezzato ad entrare nella Pasqua di Gesù. Per questo ogni accompagnamento vocazionale non potrà limitarsi ad aiutare il giovane a conoscere e ad aderire alla propria vocazione, ma deve innanzitutto fargli fare l’esperienza dell’amore e della misericordia di Dio che sempre lo precede e lo avvolge. 

Un buon padre spirituale aiuterà chi accompagna ad avere “un cuore pensante”, come ci diceva Sr. Lucia, capace di dare uno sguardo sapienziale alla propria vita, ricco di quello stupore e ammirazione che Fr. Enzo ci ha fatto scoprire mentre rileggeva l’esperienza dell’adolescenza alla luce del Salmo 8. E Don Romano ci ha suggerito la “pedagogia della benedizione”: Benedire per le stagioni della vita! L’uomo saggio comprende ed interpreta il senso di ogni tappa e rende grazie per la sapienza della creazione colta nel frammento della sua corporeità, vi ammira la fantasia di Dio, la sua continua creatività fedele. Anche il Papa ce lo ricorda, quando afferma che: L’uomo non può vivere senza amore. Egli rimane per se stesso un essere incomprensibile, la sua vita è priva di senso, se non gli viene rivelato l’amore, se non s’incontra con l’amore, se non lo sperimenta e non lo fa proprio, se non vi partecipa vivamente (RH, 10).

La via della responsabilità

Perché tutto questo non resti solo un pio desiderio o solo una vaga e indistinta aspirazione, l’accompagnatore aiuterà il giovane a rispondere alle continue, umili e feriali chiamate di Dio: fedeltà al quotidiano! Tutto ciò nella consapevolezza che – come afferma NVNE – Vocazione non è solo il progetto esistenziale, ma lo sono tutte le singole chiamate di Dio, evidentemente sempre correlate su un piano fondamentale di vita, comunque disseminate lungo tutto l’arco dell’esistenza. L’autentica pastorale rende il credente vigilante, attento alle moltissime chiamate del Signore, pronto a captare la sua voce e a rispondergli. È proprio la fedeltà a questo tipo di chiamate quotidiane che rende il giovane oggi capace di riconoscere e accogliere la chiamata della sua vita, e l’adulto domani non solo capace di esserle fedele, ma di scoprirne sempre più la freschezza e la bellezza (n. 26/a).

Alla luce di quanto appena detto, la pastorale vocazionale non può limitare la sua azione alla sola fase della ricerca e dell’accoglienza della vocazione da parte del giovane, ma deve illuminare tutta la vita che, pertanto, non può che essere vissuta vocazionalmente nella fedeltà. La fedeltà alla propria vocazione più che essere un conservare, quasi “surgelandola”, una scelta fatta nel passato, è piuttosto una disponibilità sempre fresca e sempre nuova alla voce di Dio che continuamente incrocia la nostra vita. “La frammentazione del tempo in episodi – ci ricordava don Romano – ciascuno separato dal suo passato e dal suo futuro porta a considerare il tempo non più un fiume ma un insieme di pozzanghere e piscine”. Educare ad una vita vissuta vocazionalmente significa educare ad una fedeltà dinamica e creativa o – per adoperare un’immagine usata da don Adelio – vuol dire dare delle indicazioni chiare e precise perché chi accompagniamo possa correre per cogliere la presenza del Risorto nella sua vita.

E don Romano ci ha ricordato che “l’unica pedagogia vocazionale evangelica è quella che aiuta a riconoscere in ogni tempo dell’uomo, anche nell’ora decima, l’ora inutile, un tempo di chiamata e ora di responsabilità. Inoltre è importante non dimenticare che la fruttuosità, la perseveranza di tutte le vocazioni, è decisa da una particolare forma di radicalità: il lasciarsi attrarre nel quotidiano dalla concatenazione delle successive chiamate”. E aggiungeva: “L’uomo esiste solo in quanto diviene, continuamente creato dalla Parola di Dio. È ciò che diventa rispondendo”. Esprimeva molto bene tutto questo S. Teresa del Bambino Gesù quando affermava: La mia vita è come una barca a vela ed io spiego le mie vele, perché il soffio dello Spirito mi conduca dove vuole. La DS, pertanto, è chiamata a tenere sempre viva questa disponibilità all’azione dello Spirito perché tutta la vita e ogni vita sia una risposta. Concludendo, vorrei affidarvi le indicazioni di vita che l’ebreo Rabbì Nahùm traeva dalle regole del gioco della dama e che noi possiamo consigliare a chi guidiamo e che, comunque, possiamo sempre tenere presenti nel guidare gli altri: Ricordati di fare solo una mossa alla volta. Non scordare che ti devi muovere sempre in avanti. Quando, poi, sei arrivato “in alto”, allora potrai andare dovunque tu vuoi.